DOCUMENTO TEOLOGICO PASTORALE
Et potestas Iesus Christi
per potentiam opprimit satanas“Salvatore, Vescovo Ordinario, Successore degli Apostoli, e, Servo di nostro Signore Gesù Cristo”.
PROEMIO
“Cristo Gesù, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò sé stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini. Apparso in forma umana umiliò sé stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte e alla morte di Croce. Per questo Dio lo ha esaltato e gli ha dato un nome che è al di sopra di un altro nome. Perché, nel nome di Gesù, ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sottoterra, e, ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore a Gloria di Dio Padre”. (Filippesi 2, 5 – 11).
Breve Introduzione
L’importanza della verità sulla creazione è dovuta al fatto che è «il fondamento di tutti i divini progetti di salvezza da parte di Dio; è l’inizio della storia della salvezza dell’intera umanità culminante nella vittoria di Cristo sul peccato, sulla morte e sul demonio» Sia la Bibbia, all’Antico e Nuovo Testamento, sia nel Credo Apostolico hanno inizio con la confessione di fede nel Dio Creatore, Signore del cielo e della terra. A differenza degli altri grandi misteri della nostra fede (la Trinità e l’Incarnazione), la creazione «è una prima risposta agli interrogativi fondamentali dell’uomo circa la propria origine e il proprio fine», che lo spirito umano si pone e ai quali, in parte, può anche rispondere, come dimostra la riflessione filosofica e teologica. Nonostante i racconti delle origini che fanno parte della cultura religiosa di tanti popoli, la specificità della nozione di creazione in realtà è stata colta solo con la rivelazione giudaico-cristiana. La creazione del mondo e di tutto ciò che contiene, è un mistero di fede talmente grande e complesso che allo stesso tempo è una verità accessibile alla ragione naturale di ogni pensiero umano. Questa posizione peculiare tra fede e ragione fa della creazione un buon punto di partenza per il compito di evangelizzazione e di dialogo che i cristiani sono sempre chiamati a realizzare in modo particolare ai nostri giorni, così come aveva fatto San Paolo nell’Areopago di Atene, dopo di che tutti coloro che erano presenti si convertirono a Gesù Cristo, morto e Risorto dai morti (At 17, 16-34). Si è soliti distinguere l’atto creatore di Dio, ossia, la creazione active sumpta, e la realtà creata, che è effetto di tale azione divina, la creazione passive sumpta.
CAPITOLO I
La Creazione del mondo e insediamento del male
Fratelli e Sorelle carissimi, con queste meravigliose parole scritte e meditate da San Paolo l’Apostolo delle genti, alla Lettera ai Filippesi, presentiamo la figura di Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, che si incarnò per opera dello Spirito Santo, nacque da una giovane donna vergine di nome Maria, figlia dei SS. Gioacchino e Anna, per compiere una missione di fondamentale importanza; la salvezza di tutta l’umanità decaduta nel peccato e nella morte. Di questa prodigiosa nascita si discusse in cielo prima della creazione del mondo, tra Dio Padre e il Suo Unigenito Figlio nostro Gesù Cristo. Dio Padre disse a Gesù: “Figlio mio, io ho intenzione di creare il mondo, ma questo determina la tua decisione di assumere la natura umana in tutto eccetto il peccato, nascendo da una giovane donna discendente della Famiglia di Davide, predicare il compimento del Regno di Dio, patire, soffrire, morire in Croce per mano dei pagani e il Terzo Giorno risusciterai dalla morte terrena per la salvezza del mondo, sconfiggendo una volta per tutte la morte, e il peccato e il demonio. Figlio, se tu acconsenti a tutto ciò che deve accadere, Io Dio Padre, creerò il mondo con tutti i suoi esseri viventi. Gesù rispose: Padre mio, sia fatta la tua non la mia volontà”. Allora Dio dopo aver ricevuto il consenso del suo Unigenito Figlio diede con mano potente alla creazione del mondo come aveva progettato. La Rivelazione presenta l’azione creativa di Dio come frutto della sua Onnipotenza, della sua sapienza e del suo amore per noi miseri peccatori. Di solito si attribuisce la creazione in modo particolare al Padre come è espresso nel I Libro della Bibbia, la Genesi, così come la redenzione al Figlio e la santificazione, e allo Spirito Santo nel Nuovo Testamento. Nello stesso tempo le opere ad extra della Trinità, la prima di esse, la creazione, sono comuni alle tre Persone, ci si può pertanto interrogare sul ruolo specifico di ognuna delle tre Persone nella creazione, in quanto «ogni Persona divina compie l’operazione comune secondo la sua personale proprietà» Si tratta della “appropriazione” degli attributi essenziali: onnipotenza, sapienza e amore, rispettivamente, all’operare creativo del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Nel Simbolo apostolico niceno-costantinopolitano confessiamo la nostra fede «in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra»; «in un solo Signore, Gesù Cristo; per mezzo di lui tutte le cose sono state create»; e nello Spirito Santo «che è Signore e dà la vita». La fede cristiana, pertanto, parla non solo di una creazione ex nihilo , dal nulla, che indica l’Onnipotenza di Dio Padre, ma anche di una creazione fatta con intelligenza, con la sapienza di Dio, il Logos per mezzo del quale tutto è stato fatto ( Gv 1, 3), e di una creazione ex amore, frutto della libertà e dell’amore che è Dio stesso, lo Spirito Santo che procede dal Padre e dal Figlio. Di conseguenza, le processioni eterne delle Tre Persone stanno alla base del loro operare creativo. Poiché non c’è contraddizione tra l’unicità di Dio e le sue tre Persone, analogamente l’unicità del principio creativo non si contrappone alla diversità dei modi di operare di ognuna delle Tre Persone Divine.
«Creatore del cielo e della terra»
La Genesi riporta: “In principio, Dio creò il cielo e la terra”. Queste prime parole della Scrittura contengono tre affermazioni: il Dio eterno ha dato un inizio a tutto ciò che esiste fuori di lui. Egli solo è Creatore, il verbo “creare” in ebraico significa “bara”, è ha sempre come soggetto Dio in persona. La totalità di ciò che esiste espressa nella formula “il cielo e la terra”, da ciò, dipende da colui che gli dà di essere». Solo Dio può creare in senso proprio è può aggiudicarsi il monopolio della creazione. Questo significa dare origine alle cose dal nulla (ex nihilo) e non a partire da qualcosa di preesistente; perciò si richiede una potenza attiva infinita che solo Dio possiede. È, dunque, coerente attribuire l’onnipotenza creativa al Padre, perché Egli è nella Trinità secondo un’espressione classica, “fons et origo”, vale a dire, la Persona da cui procedono le altre due, principio senza principio. La fede cristiana afferma che la distinzione fondamentale, è quella che c’è tra Dio e il creato. Questo costituì una novità nei primi secoli della nascita delle prime comunità cristiane e non solo, nei quali la polarità fra materia e spirito dava adito a visioni inconciliabili tra loro, materialismo e spiritualismo, dualismo e monismo. Il cristianesimo infranse questi modelli, soprattutto con l’affermare che anche la materia così come lo spirito, è creata dall’unico Dio trascendente. Più avanti San Tommaso d’Aquino sviluppò una metafisica della creazione che descrive Dio come lo stesso Essere sussistente Ipsum Esse Subsistens. In quanto causa prima, è assolutamente trascendente al mondo; e, allo stesso tempo, in virtù della partecipazione del suo essere alle creature, è presente intimamente in esse, che dipendono in tutto da Colui che è la sorgente dell’essere. Dio è superior summo meo e, allo stesso tempo, intimior intimo meo (Sant’Agostino).
«Tutto è stato fatto per mezzo di Lui»
L’Antico Testamento ci presenta il mondo come frutto della sapienza e onnipotenza di Dio. “Non è il prodotto di una qualsivoglia necessità, di un destino cieco o del caso”, ma ha una intelligibilità che la ragione umana, partecipando della luce dell’Intelletto divino, può cogliere, non senza sforzo e con spirito di umiltà e di rispetto davanti al Creatore e alla sua opera il mondo con tutto ciò che contiene. Questo sviluppo raggiunge la sua espressione piena nel NT: nell’identificare il Figlio, Gesù Cristo, con il Logos, afferma che la sapienza di Dio è una Persona, il Verbo incarnato, per mezzo del quale tutto è stato fatto, è esistente prima della creazione degli Angeli e del mondo. San Paolo formula questa relazione del creato con Cristo, spiegando che tutte le cose sono state create in Lui, per mezzo di Lui e in vista di Lui. C’è, dunque, una ragione creatrice all’origine del cosmo. Il cristianesimo ha sin dall’inizio una grande fiducia nella capacità della ragione umana di conoscere e la straordinaria certezza che mai la ragione scientifica, filosofica, ecc., potrà arrivare a conclusioni contrarie alla fede, perché entrambe provengono da una stessa origine, Dio Creatore. Quindi, non è raro imbattersi in alcuni che pongono falsi dilemmi; come per esempio: fra creazione ed evoluzione. In realtà, un’adeguata epistemologia non solo distingue gli ambiti propri delle scienze naturali e della fede, ma inoltre riconosce nella filosofia un necessario elemento di mediazione, perché le scienze, con i loro metodi e con gli obiettivi che le sono propri, non coprono tutto l’ambito della ragione umana; e la fede, che si riferisce allo stesso mondo di cui parlano le scienze, ha bisogno per esprimersi di entrare in dialogo con la razionalità umana delle categorie filosofiche. È logico, dunque, che la Chiesa fin dall’inizio abbia cercato il dialogo con la ragione: una ragione cosciente del suo carattere creato, perché non ha dato a sé stessa l’esistenza, né dispone in modo completo del proprio futuro; una ragione aperta a ciò che la trascende, ossia, alla Ragione originaria. Paradossalmente, una ragione ripiegata su sé stessa, che crede di poter trovare in sé la risposta ai suoi quesiti più profondi, finisce con l’affermare l’assurdità dell’esistenza e col non riconoscere l’intelligibilità di ciò che è reale dall’irreale.
«È Signore della vita e non della morte»
«Noi crediamo che il mondo trae origine dalla libera volontà di Dio, il quale ha voluto far partecipare le creature al suo essere, alla sua saggezza e alla sua bontà: “Tu hai creato tutte le cose, e per la tua volontà furono create e sussistono” (Ap 4, 11). “Buono è il Signore verso tutti, la sua tenerezza si espande su tutte le creature” (Sal 145, 9. Di conseguenza, “scaturita dalla bontà divina, la creazione partecipa di questa bontà, “E Dio vide che era cosa buona… cosa molto buona”: (Gn 1, 4.10.12.18.21.31). La creazione, infatti, è voluta da Dio come un dono. Questo carattere di bontà e di dono libero permette di scoprire nella creazione l’azione dello Spirito Santo che “aleggiava sulle acque” ( Gn 1, 2), unito dall’Amore sussistente tra il Padre e il Figlio. La Chiesa confessa la sua fede nell’opera creatrice dello Spirito Santo, datore di vita e sorgente di ogni bene. Dio ha creato tutto “non per aumentare la sua gloria, ma per manifestarla e comunicarla alle sue creature” (San Bonaventura, Sent. 2, 1, 2, 2, 1). Il Concilio Vaticano I (1870) insegna che “nella sua bontà e con la sua onnipotente virtù, non per aumentare la sua beatitudine, né per acquistare perfezione, ma per manifestarla attraverso i beni che concede alle sue creature, questo solo vero Dio ha, con la più libera delle decisioni, insieme, dall’inizio dei tempi, creato dal nulla l’una e l’altra creatura, la spirituale e la corporale. La gloria di Dio è: che si realizzi la manifestazione e la comunicazione della sua bontà, in vista delle quali il mondo è stato creato. Fare di noi i suoi “figli adottivi per opera di Gesù Cristo” è il benevolo disegno della sua piena volontà a lode e gloria della sua grazia” (Ef 1, 5-6). Infatti, la gloria di Dio è l’uomo vivente e la vita dell’uomo è la visione di Dio” (Sant’Ireneo, Adversus haereses ,4, 20, 7). Lungi da noi a pensare a una dialettica di principi contrapposti come accade nel dualismo di tipo manicheo e nell’idealismo monista hegeliano, nell’affermare la gloria di Dio come fine della creazione non comporta una negazione dell’uomo, ma un presupposto indispensabile per la sua realizzazione. L’ottimismo cristiano affonda le sue radici nella esaltazione di Dio e dell’uomo insieme: l’uomo è grande solo se Dio è grande, mai sostituirci a Dio, noi siamo solo semplice creature fatte di materia e spirito che dobbiamo obbedire in modo assoluto al nostro creatore, altrimenti facciamo il gioco del diavolo nostro acerrimo nemico, e assomiglieremo a lui nella volontà e nelle opere. Si tratta quindi di un ottimismo e di una logica che affermano l’assoluta priorità del bene, ma che non per questo sono ciechi davanti alla presenza del male nel mondo e nella storia dell’intera umanità. L’esistenza degli esseri spirituali, incorporei cerati prima del mondo che la Sacra Scrittura chiama Angeli, è una verità di fede. La testimonianza impressa come un sigillo di Fede all’interno della Sacra Scrittura è tanto chiara quanto l’unanimità della Tradizione. Entrambi li mostrano nella loro duplice funzione di dare lode a Dio e di essere messaggeri del suo disegno salvifico. Il Nuovo Testamento presenta gli Angeli in relazione con Cristo: “creati per mezzo di lui e in vista di lui” (Col 1, 16), sono presenti nella vita di Cristo dalla nascita fino all’Ascensione, annunciatori e testimoni fedeli della sua seconda venuta gloriosa come Giudice dei vivi e dei morti, e il suo Regno non avrà fine. Nello stesso modo, essi sono presenti anche all’inizio della vita della Chiesa, la quale trae beneficio dal loro aiuto potente, e nella liturgia si unisce a loro nell’adorazione a Dio. La vita di ogni uomo è accompagnata sin dalla nascita da un angelo che lo protegge e lo guida verso la Vita Eterna in Cristo. La teologia e specialmente in San Tommaso d’Aquino, il Dottore Angelico, e tutto il magistero della Chiesa, hanno approfondito la natura di questi esseri puramente spirituali, dotati di intelligenza e volontà, affermando che sono creature personali e immortali, che superano in perfezione tutte le creature visibili. Gli angeli furono creati e sottoposti a una prova. Alcuni di loro si opposero irrevocabilmente a Dio disubbidendo con la propria volontà. Caduti miseramente nel peccato, lucifero che era l’angelo più splendente del Paradiso, satana e gli altri demoni che, creati buoni, con il loro libero arbitro si erano fatti cattivi, quindi, istigarono nel peccato e nella morte i nostri progenitori a peccare, due essere viventi formati da una sagoma di fango, l’uomo e la donna, Adamo ed Eva, e li fece abitare nel Giardino dell’Eden. Le persone umane godono di una posizione particolare nell’opera creatrice di Dio, perché partecipano allo stesso tempo della realtà materiale e di quella spirituale. Solo di lui la Scrittura dice che Dio lo creò «a sua immagine e somiglianza» (Gn 1, 26). È stato messo da Dio a capo della realtà visibile e gode di una dignità speciale perché, “di tutte le creature visibili, solo l’uomo è capace di conoscere e di amare il proprio Creatore; è la sola creatura che Dio abbia voluto per sé stessa; è chiamato a condividere, nella conoscenza e nell’amore, la vita di Dio”. A questo fine è stato creato ed è questa la ragione fondamentale della sua dignità, servire il Creatore nel bene infinito. Uomo e donna, nello loro diversità e complementarietà, volute da Dio, godono della stessa dignità di persone. In entrambi c’è un’unione sostanziale di corpo e anima, essendo questa la forma del corpo materiale. Dato che è spirituale, l’anima umana è forgiata direttamente dall’Amore di Dio, ed è immortale. Pertanto, è un riduzionismo affermare che l’uomo procede esclusivamente dall’evoluzione biologica o evoluzionismo assoluto. La coscienza morale e la libertà dell’uomo, per esempio, manifestano la sua superiorità sul mondo materiale e dimostrano la sua particolare dignità. Mediante la sua attività, l’uomo partecipa del potere creatore di Dio. Inoltre, la sua intelligenza e la sua volontà sono una partecipazione, una briciola della sapienza e dell’amore di Dio. Mentre il resto del mondo visibile è una semplice impronta della Trinità, l’essere umano costituisce un’autentica imago Trinitatis. Ma purtroppo il male si infiltrò all’interno del Giardino, sotto la fatti specie di un serpente e, con astuzia e perfidia tentò la donna, a mangiare il frutto dell’albero proibito posto in mezzo al Giardino; “Egli disse alla donna: «È vero che Dio ha detto: Non dovete mangiare di nessun albero del giardino?». Rispose la donna al serpente: «Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, ma del frutto dell'albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: Non ne dovete mangiare e non lo dovete toccare, altrimenti morirete». Ma il serpente disse alla donna: «Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male». Allora la donna vide che l'albero era buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch'egli ne mangiò” (Gn. 3, 1-7). Ella consapevolmente cadde nel peccato e trascinò volontariamente anche l’uomo, nell’abisso del peccato e della morte. Dio constatando di persona che le sue creature hanno trasgredito volontariamente ad un suo rigoroso comando, li punì severamente scacciandoli via dal Giardino dell’Eden per sempre, e ponendo due Cherubini con la spada fiammeggiante al suo ingresso. Ma prima di tutto questo, facciamo qualche passo indietro. In un giorno e in un tempo infinito, ci fu un gran combattimento in cielo, tra lucifero, che era l’angelo più spendente del Paradiso con l’Arcangelo San Michele Arcangelo, Principe delle Milizie Celesti, perché, lucifero ambiva nel suo orgoglio essere lui il Figlio di Dio e governare il Paradiso con le sue schiere, e perché, non si volle prostrare a adorare sia il Figlio di Dio Gesù Cristo nostro Signore che in quell’istante aveva preso la forma umana (corporea) e sia sua Madre la Vergine Maria, presente istantaneamente nel suo corpo in Paradiso. Allora, San Michele Arcangelo intervenne e spodestò l’accusatore, il tentatore, il ribelle cacciandolo definitivamente dal Paradiso. Infatti, dice la Sacra Scrittura: “ci fu un gran combattimento in cielo, il potente Arcangelo Michele spazzo via le schiere nemiche, e vidi lucifero precipitare come una folgore dal Paradiso cambiando le sue splendide sembianze, trasformandosi in un terribile mostro insieme con le sue schiere di angeli ribelli, e formare una gigantesca voragine di fuoco eterno che fu chiamato inferno”, dove andranno tutte le anime che non vogliono convertirsi alla sequela di Gesù Cristo. Dopo che il primo peccato prese forma nel mondo, ci fu il primo omicidio della storia dell’intera umanità. Dall’unione carnale di Adamo ed Eva, nacquero con dolori di parto due figli, Abele il Giusto e Caino il malvagio. Caino invidioso di suo fratello Abele che era ben voluto da Dio perché offriva le primizie del suo pascolo e, perché era ubbidiente con i suoi genitori, fu assassinato per vendetta ed invidia. Da quel momento il sangue di Abele gridava a Dio dal suolo, e Caino divenne un fuggiasco, un criminale, un assassino, un maledetto dal Signore, per aver compiuto un delitto così atroce: “Allora il Signore disse a Caino: “Dov'è Abele, tuo fratello?”. Egli rispose: “Non lo so. Sono forse il guardiano di mio fratello?”. Riprese: «Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo!” (Gn. 4, 9-10). Il Signore Dio esiliò Caino che vagava nel mondo come un vagabondo e un miserabile e lo marchiò con un segno e, a nessuno fu dato il permesso di ucciderlo. Da Caino, che fu maledetto da Dio, nacque una lunga discendenza di uomini malvagi e perversi, che in breve tempo contaminarono tutta la terra al male assoluto, costringendo Dio a pentirsi di aver creato il mondo.
CAPITOLO II
Il Diluvio Universale e la nascita del popolo d’Israele
Dio Onnipotente così facendo, pensava che il male fosse stato annientato per sempre, ma, l’eterno nemico trovò un punto debole nell’uomo e si insidiò nuovamente. Nel Libro della Genesi, Dio Padre Onnipotente disse a Noè: “Ecco, io sto per mandare il diluvio, cioè le acque, sulla terra, per distruggere sotto il cielo ogni carne in cui c’è soffio di vita; quanto è sulla terra perirà. Ma con te io stabilisco la mia alleanza. Entrerai nell’arca tu e con te i tuoi figli, tua moglie e le mogli dei tuoi figli. Di quanto vive, di ogni carne, introdurrai nell’arca due di ogni specie, per conservarli in vita con te: siano maschio e femmina. Degli uccelli, secondo la loro specie, del bestiame, secondo la propria specie, e di tutti i rettili del suolo, secondo la loro specie, due di ognuna verranno con te, per essere conservati in vita. Quanto a te, prenditi ogni sorta di cibo da mangiare e fanne provvista: sarà di nutrimento per te e per loro». Noè eseguì ogni cosa come Dio gli aveva comandato: così fece” (Gn 6,17-22). La storia di Noè occupa i capitoli 6–9 del libro della Genesi. Nella logica del racconto, Noè costruisce una gigantesca arca per ordine di Dio, quindi, entra sulla scena due motivi principali, ossia, Dio vede il male che si è insediato e compiuto volontariamente dagli esseri umani, e decide di cancellarli definitivamente dalla faccia della terra: l’autore sacro ci dichiara addirittura che Dio si pentì amaramente di avere creato l’uomo. Noè, però, e qui siamo alla seconda ragione per cui la storia di Noè e della sua famiglia viene narrata, era un uomo secondo Dio «giusto» e «integro»: per la sua rettitudine, per il suo Timor di Dio sopravvive al diluvio, e con lui tutta la sua famiglia. In questa storia, ci colpisce anzitutto l’atteggiamento di Dio. che in un primo tempo viene ritratto come dispiaciuto per avere creato l’essere umano, dunque, non come un Dio non immobile o impassibile, ma come un Dio deluso dall’uomo, ferito profondamente nei suoi affetti, e capace di cambiare idea, dopo avere quasi distrutto l’umanità, promette solennemente di non alzare più la mano contro di essa e contro la terra (Genesi 8,21-22); manda quindi sulla terra l’arcobaleno, che diventa il segno della prima alleanza tra Dio e l’uomo, sigillata unilateralmente da parte del primo nella forma di un arco, strumento da lancio e arma per uccidere riposto a terra perché non venga mai più usato contro le sue creature. A osservare bene, tutto il racconto del diluvio dice che l’umanità non è distrutta totalmente, non si estingue dal mondo; anzi, ad essa è data una nuova opportunità, una nuova ripresa, che avrà come protagonisti la famiglia di Noè ma anche, secondo il progetto che Dio aveva già all’inizio della creazione, tutti i popoli della terra elencati nelle tavole del cap. 10 di Genesi, e, infine, Abramo e la sua discendenza (Genesi 12). In questo modo, la cura di Dio nei confronti dell’umanità peccatrice si risolve non nell’eliminazione di essa, ma nel lavacro delle colpe da questa compiute a causa del diavolo che ha seminato nel mondo la sua cattiveria. Il peccato infatti aveva ormai portato la terra a una intollerabile impurità, che aveva come conseguenza la mescolanza di piani ben congeniati e il sovvertimento dell’ordine che il Dio della giustizia (Elohim, visto secondo questo attributo, rispetto all’altra caratteristica, la misericordia, che la sinagoga vede invece nel nome Yhwh), aveva voluto mentre creava il mondo. In particolare, secondo quanto commenta la tradizione giudaica, le relazioni sessuali che intercorrevano tra persone della generazione antidiluviana alle quali allude anche Gesù nell’ultimo suo discorso (Matteo 24,37-39; cfr. Luca 17,26-27), erano corrotte e la malvagità degli uomini era arrivata a comportamenti osceni: addirittura, pensavano i rabbini, allo scambio delle mogli e all’unione dei letti, ad accoppiamenti con lo stesso sesso, fino all’accoppiamento con le bestie e alla dispersione del seme per non generare nuovi esseri umani. Ecco perché la terra dovette essere purificata dall’acqua del diluvio. Come Adamo accettò dopo il suo peccato, (secondo l’antico apocrifo Vita di Adamo ed Eva), la pena di stare nel Giordano per quarantasette giorni nella speranza che Dio, per questa penitenza, rimettesse i suoi peccati, così la terra rimase per quaranta giorni sotto l’acqua del diluvio (Genesi 8,6). Noè non è solo sull’arca che ha costruito per la sua salvezza: con lui si trova la sua famiglia. Anche la Prima lettera di Pietro ci ricorda che furono «otto in tutto» le persone salvate dal diluvio (1 Pietro 3,20). È proprio su questo aspetto, riguardante le relazioni familiari, che ci soffermiamo ora: guardando in primo luogo all’arca sulla quale si trova la famiglia di Noè, poi alla questione dei rapporti coniugali durante il diluvio, infine studiando brevemente la storia della nudità di Noè. L’arca che il patriarca deve costruire è descritta con precisione, e Noè esegue meticolosamente le indicazioni che riceve da Dio per la sua preparazione (Genesi 6,15-16). “Dio diede indicazioni così precise e tanto dettagliate per la costruzione del santuario e dei suoi accessori”: anche l’arca, in fondo fu la “tenda del Re”, il suo Tabernacolo, perché, “la misura che in futuro verrà utilizzata per la costruzione del Tempio di Gerusalemme è quella dell’arca di Noè: i cubiti dell’antica misura” (ovvero circa 45 cm), come scritto in 2Cr 3,3. Le due strutture, l’arca e la Dimora nel deserto, “non sono tra loro del tutto lontane: il luogo in cui Dio incontra il suo popolo e in cui mostra la sua Gloria (la Dimora) è anche il luogo (nella forma dell’arca) in cui preserva la vita dell’umanità, e quindi, del futuro del popolo di Israele”. A noi resta da notare una cosa evidente: se l’arca è come il Tabernacolo, allora la famiglia di Noè che lì è custodita – fuori metafora, e al di là di ogni simbolismo, ogni famiglia umana è quindi inevitabilmente investita dello stesso onore che deve essere conferito a ciò che nel santuario evocava la presenza di Dio. Ogni vita creata da Dio è all’interno dell’arca ci sono proprio tutte, è degna di essere messa in salvo, e di queste la più bisognosa di salvezza è la famiglia degli uomini. Non ci stupisce, allora, che la «cesta» nella quale sua madre riporrà Mosè (Esodo 2,3-5) abbia lo stesso nome, in ebraico (tēbâ), dell’arca di Noè: quindi, anche Mosè rischierà di morire annegato nell’acqua, ma per volere di Dio fu salvato dalla sua piccola arca e dalla sorellina, Maria, che lo abbondonò dolcemente in un canneto, difronte alla casa della figlia del Faraone Sethi I della XIX Dinastia. La famiglia di Noè è salva all’interno dell’arca dalla furia del diluvio che ha raso al suolo il mondo con tutti i suoi essere viventi, ma nel Libro della Genesi vi è narrato l’episodio della sua ubriacatura e della conseguente sua nudità, vista dal figlio Cam (Genesi 9,18-28). L’ebbrezza del patriarca, inventore del vino, è motivata, nel racconto che narriamo ora, dall’eziologia della maledizione per Canaan, uno dei nemici di Israele (anche se l’affronto è compiuto da Cam, questi non può essere maledetto, dice il midrash, perché Cam era stato benedetto da Dio stesso: quindi di conseguenza, la maledizione passa così a suo figlio, eponimo dei Cananei). A noi interessa però notare due cose: Il vino, anche se causa la perdita dei sensi a Noè, nell’ambito della storia del diluvio è un elemento positivo, (diversamente da come era visto nella cultura greca classica), e si colloca subito dopo il segno dell’arcobaleno, ed insieme ad esso, come simbolo di gioia e riconciliazione: dalla terra profanata dal peccato può ora nascere un nuovo frutto, che “allieta il cuore dell’uomo” (Salmo 104,15). Infine, si deve notare ciò che viene insegnato da questo racconto: la colpa del figlio Cam è secondo i rabbini, quella di avere mancato di rispetto nei confronti del padre, come si evince anche dalla punizione per chi scopre la nudità degli altri (dei propri fratelli: Levitico 20,17). Ma ammirevoli sono gli altri due figli di Noè: fanno di tutto pur di non vedere il padre nudo; in questo modo ci insegnano in modo parabolico come “onorare il padre e la madre” (Esodo 20,12), anche quando questi dovessero mostrare le loro debolezze (nel caso, l’ebbrezza di Noè) e, soprattutto, mostrarsi per quello che davvero sono (nelle loro “nudità”). Dopo il diluvio Noè, la sua famiglia e tutti gli animali sbarcarono dall’arca e la terra secolo dopo secolo si ripopolò nuovamente di uomini e di animali, e tutte le generazioni che vi si formavano parlavano la stessa lingua. “Tutta la terra aveva un’unica lingua e uniche parole. Emigrando dall’oriente, gli uomini capitarono in una pianura nella regione di Sinar e vi si stabilirono. Si dissero l’un l’altro: «Venite, facciamoci mattoni e cuociamoli al fuoco». Il mattone servì loro da pietra e il bitume da malta. Poi dissero: «Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo, e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra». Ma il Signore scese a vedere la città e la torre che i figli degli uomini stavano costruendo. Il Signore disse: «Ecco, essi sono un unico popolo e hanno tutti un’unica lingua; questo è l’inizio della loro opera, e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile. Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l’uno la lingua dell’altro». Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città. Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la terra”. (Gn 11, 1-9). Il conosciutissimo testo biblico della cosiddetta costruzione della "Torre di Babele", è tradizionalmente interpretato secondo lo schema classico dei racconti della punizione divina in risposta all'orgoglio umano (in greco hybris). Tale schema prevede nella sua completezza la presenza di cinque elementi fondamentali:
- un progetto degli uomini (o donne) elaborano per eguagliare e raggiungere la grandezza degli dèi;
- questi si accorgono che qualcuno sta tentando di paragonarsi o arrivare a loro, e con buone probabilità di successo;
- Dio stesso mette in atto un piano per far fallire il progetto dell'ingegno umano;
- tale progetto inesorabilmente fallisce;
- al fallimento segue la punizione inflitta da Dio.
Lo storico greco Erodoto (V sec. a.C.) ha sintetizzato bene questa battaglia tra l'umanità e gli dèi, che in definitiva è Dio, che Erodoto ancora non conosce e non comprende la sua esistenza, in cui esce sempre vittorioso sull'orgoglio umano, quindi, in definitiva, l’uomo si deve piegare alla nemesis dell'umiliazione. È a partire da questo genere letterario che si sono mosse tutte le interpretazioni del nostro brano, sin dalle più antiche che trovano eco nell'opera di Giuseppe Flavio (Antiquitates 1.4.3, del I d.C.). Il dover dare ragione di un mondo che parla lingue diverse e nel quale le diverse popolazioni e culture non si comprendono avrebbe portato gli autori sacri a presentare un tale scenario, come il risultato dell'orgoglio umano che ha utilizzato male del dono dato da Dio di poter comunicare liberamente e con pienezza e, che l’uomo ha pensato di poter costruire una città e una torre la cui cima tocchi il cielo e così "farsi un nome", ovvero diventare come Dio. Infatti, lucifero nel suo orgoglio voleva paragonarsi Dio, essere in tutto simile in Lui. E lo stesso lucifero sapeva benissimo che il giorno in cui mangiando il frutto dell’albero del bene e del male si aprirebbero come d’incanto i vostri occhi e sareste diventati simili Dio, conscendo il bene e il male. Ancora più evocativo a questo riguardo diventa il collegamento del nome” Babele”, di per sé in ebraico deriva dalla radice che indica “confondere, confusione”, con la città di Babilonia, nella quale si avevano i tipici templi a gradini (le ziggurat), il più alto e imponente dei quali era stato costruito proprio negli anni della deportazione degli ebrei nel VI secolo a.C., epoca nella quale è avvenuta la redazione finale del nostro racconto. Eppure, questa interpretazione, che apparentemente sembra dare ragione dei diversi snodi del testo, si scontra con molti elementi che sembrano fare resistenza allo schema "peccato di orgoglio /presunzione di essere come Dio, quindi, di tutto questo ne deriva il castigo divino". Innanzitutto, non si capisce in che cosa consista il vero peccato degli uomini. Non esiste alcun divieto di Dio nel costruire una città e una torre, e solo una lettura già condizionata dall'orizzonte interpretativo della hybris, quindi, può far leggere le espressioni utilizzate dall'umanità in prospettiva negativa. Le espressioni di Dio non esprimono d'altro canto alcun riferimento all'ira o a una condanna cui debba fare seguito una pena. Dio esprime piuttosto un timore che qualche cosa di fatto avvenga, e afferma che quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile. Quindi, per comprendere il perché di una tale preoccupazione che porta all'intervento di Dio, occorre allargare lo sguardo dalla semplice lettura di questi nove versetti, spesso interpretati nella loro autonomia, e a quanto li aveva preceduti. In Genesi 10 riporta, sotto la forma di genealogie dei tre figli di Noè (Sem, Cam e Iafet), una vera e propria "tavola dei popoli" che abbraccia tutto il "mondo" allora conosciuto. Avevamo già sottolineato in questa stessa rubrica, l'importanza dell'identità "fraterna" dell'intera umanità. La comune radice in Noè come padre dei tre fratelli capostipiti di tutte le diverse nazioni ed etnie, è tanto più importante quanto più fotografa realmente la diversità delle genti presenti sulla terra. Ma qui troviamo la prima sorpresa. Una tale diversità, difatti, era stata presentata in tutta la sua bellezza proprio come risposta al comandamento di Dio. Sia all'inizio di tutto il progetto creaturale, sia all'uscita dall'arca dopo il diluvio, Dio ripete: “Siate fecondi e moltiplicatevi e riempite la terra” (Genesi 1, 28 e 9, 1). Per poter obbedire a tale comando, l'umanità salvata dal diluvio universale è invitata a far ripartire il progetto di Dio "moltiplicandosi" e "riempiendo la terra di nuovi esseri umani", e la lista delle generazioni future partono per l’appunto da Sem, Cam e Iafet. Non c'è altra possibilità di realizzarlo se non grazie alla "dispersione" dei popoli. Ecco allora che la lista dei discendenti dei figli di Noè è segnata dal contrappunto della "dispersione": Da costoro derivarono le genti disperse per le isole, nei loro territori, ciascuna secondo la propria lingua e secondo le loro famiglie, nelle rispettive nazioni (10, 5). In seguito, si dispersero le famiglie dei Cananei (10, 18). Queste furono le famiglie dei figli di Noè secondo le loro genealogie, nelle rispettive nazioni. Da costoro si dispersero le nazioni sulla terra dopo il diluvio (10, 32). Vale la pena sottolineare come il tema della "dispersione" sembri essere il tema fondamentale e centrale nel racconto della torre di Babele. Essere dispersi è infatti, il grande timore dell'umanità tutta radunata in un unico luogo in 11, 4, timore che porta a desiderare di costruire la città e la torre come centro nevralgico della comunità. D'altro canto, è l'ultima parola del nostro racconto come risultato dell'azione di Dio: li disperse su tutta la terra (11, 9). Strana "punizione" quindi, quella da parte di Dio che spinge l'umanità al bene originario della diversità e dell'abitare tutta la terra, volutamente sottolineata nel narrare le genealogie umane del capitolo 10, si collega con l'episodio di Babele proprio nel diverso modo di concepire l'unità. Se nel capitolo 11 tale modo è descritto come un'uniformità di lingua, quello precedente mostra l'unità come una perenne meditazione della comune "fraternità". Sarà nel potersi riscoprire fratelli che la dispersione realizzerà appieno il comando divino della creazione. La dialettica di unità non presuppone che famiglie, lingue, terre, nazioni diverse siano una realtà negativa o disubbidiente. La loro diversità è voluta, rientra nel volere di Dio, per formare, nuove razze, nuove culture e nuove forme di linguaggio. Quest'espressione che apre il racconto in 11, 1, tutta la terra aveva un'unica lingua e uniche parole non dice solo di una uniformità linguistica, ma evoca anche quella culturale, dato che il significato “devarîm” in ebraico vuol dire "parole", non è termine solo afferente alla lingua, ma copre tutta l'area semantica per "concetti, realtà anche materiali". E una tale uniformità culturale è stata propagandata come necessaria e buona nel mondo "occidentale", forse per la prima volta proprio dall'impero babilonese del VII-V sec. a.C., che ha distrutto Gerusalemme e deportato tutto il Regno di Giuda. Lo stesso farà poi Alessandro Magno e la cultura greco-macedone ellenistica e, da quel momento, ogni potenza dominatrice come i romani, tenterà lo stesso processo. Così il racconto del desiderio espresso dalle parole: “Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo, e facciamoci un nome”, di 11, 4, può senz'altro essere considerato come il desiderio di ogni totalitarismo e di ogni imperialismo. C'è quindi una stretta equivalenza tra il desiderio di una città e di una torre che tocchi il cielo, il desiderio di immortalità. L'espressione di "farsi un nome" secondo la maggioranza degli studiosi, evoca proprio il desiderio di immortalità di ogni uomo, e l'anelito all'uniformità culturale. Da quei tempi antichi fino alle grandi dittature che hanno caratterizzato la storia fino ai giorni nostri, il delirio del dominio umano ha sempre imposto anche uniformità di cultura, costume, morale, teologia e pensiero. "Pensiero unico" che regoli ogni pensiero di ogni singolo individuo; solo quelle uniche parole possono allora essere dette, prodotte e pensate. Anche la religione può fornire questo tipo di unità e sanzionare l'oppressione sociale. Dunque, in un contesto siffatto la torre potrebbe benissimo partecipare del "religioso" e assurgere a simbolo di unità e di uguaglianza. Se così fosse, Genesi 11, 1-9 rappresenta una feroce critica di ogni anelito umano ad appiattire differenze e diversità, nell'imposizione del "pensiero unico" per farsi un nome. Si può senz'altro dire che abbiamo un paradigma, un’evoluzione, che ha le sue radici in alcune esperienze storiche. Tuttavia, il messaggio che ci viene dato è universale. Il racconto della torre di Babele non è un oracolo contro Babilonia, ma bensì, impartisce una lezione universale, che vale per ogni tempo e ogni popolo: il destino dell'umanità non è una ricerca chimerica dell'immortalità. È nell'avventura della storia, nella diversificazione delle culture e nella disseminazione delle nazioni su tutta la superficie della terra. Dicevamo quindi, che il racconto di Babele è costruito "come se" il risultato finale fosse proposto a noi come un "castigo" divino per il peccato dell'umanità. La situazione che chiunque ha davanti agli occhi, un'umanità dispersa in una moltitudine di popoli diversi e non più capace di comprendersi date le molte lingue e le molte culture che ne sono scaturite, sarebbe così da interpretarsi come un presunto "male" contrapposto al "bene" originario di una presunta unica umanità concentrata in un unico luogo e con un'unica lingua e cultura. Abbiamo però anche visto, dalla lettura del capitolo precedente di Genesi, come tale lettura non possa essere accolta a rischio di trovarci dinanzi a due testi contrastanti. Sant'Agostino proponeva di leggere Genesi 11 come cronologicamente precedente Genesi 10 per risolvere il problema, ma non è difficile comprendere l'intento didattico dell'autore biblico se si pone sufficiente attenzione al valore narrativo dei testi dei primi capitoli di Genesi che, da un lato, vogliono spiegare le motivazioni profonde per cui l'umanità si trova nella condizione che si percepisce al presente, ma, dall'altro, vogliono anche essere una “road map” per permettere all'umanità di trovare la via per l'obbedienza al desiderio di Dio per il suo benessere e la sua felicità. Se è da sempre compito difficile e problematico per l'umanità fare i conti con la varietà dei popoli e con la difficoltà delle diverse parole con cui si può rappresentare l'esperienza umana, che è la caratteristica delle differenti culture, la soluzione non può essere il semplice annullamento delle differenze per costruire "una sola città" che voglia arrivare a essere immortale e onnicomprensiva. Il cammino che il testo propone apre la strada, alla possibilità del riconoscimento dei diversi come "fratelli e sorelle", figlie e figli tutti dell'unico padre che non è Abramo, ma Noè, il giusto, con cui viene stipulata l'alleanza eterna di Dio nei confronti di tutta l'umanità che si plasmerà dopo il diluvio universale. Il testo biblico propone sia una pista di autocomprensione del popolo di Israele nei confronti del resto dell'umanità, ossia, "tutti i popoli sono tuoi fratelli anche se non condividono con te la Fede nel Signore Dio", sia una modalità di possibili relazioni, "per non farsi guerra occorre comprendersi anche se si hanno diverse lingue e diverse parole di comprendersi e camminare insieme in pace". Il fatto che il Nuovo Testamento vedrà questo processo possibile solo grazie all'intervento dello Spirito Santo nel giorno di Pentecoste (in Atti degli Apostoli 2), apre a ulteriori riflessioni a comprendere il significato della Sacra Scrittura. Successivamente, quando su tutta la terra si formarono nuove culture e nuove tradizioni, giunsero con il passare del tempo e dei secoli, battaglie, pestilenze, deportazioni e tanto dolore e sofferenza, finché giunse il tempo tanto atteso dal mondo, la Prima Venuta del Redentore, Cristo Gesù Nostro Signore. Questi furono i segni predetti dal profeta Isaia: “Nascerà un Bambino da una Vergine, che sarà Colui che porterà l’equilibrio tra i popoli e, di Lui ne parlerà il mondo, di generazione in generazione, ed il Suo Regno non avrà mai fine”. L’Angelo Gabriele quando venne la pienezza del tempo, Dio lo andò da Maria, figlia di Anna e Gioacchino ed egli gli annunziò che avrebbe dato alla luce il Figlio di Dio, per Opera dello Spirito Santo, frutto dell’Amore del Padre e del Figlio, e che gli sia dato il Nome di Gesù. Così avvenne nella povera cittadina della Giudea di nome Betlemme in una misera grotta, la giovane Maria Sposa di Giuseppe il falegname, partorì un figlio che chiamerà Gesù, come gli fu detto dall’Angelo del Signore. “Nel sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te». A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto. L'angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine». Allora Maria disse all'angelo: «Come è possibile? Non conosco uomo». Le rispose l'angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio. Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: nulla è impossibile a Dio». Allora Maria disse: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto». E l'angelo partì da lei.” (Lc 1, 26-38). Il bambino crebbe in santità e purezza ed all’età di dodici anni andò a Gerusalemme per la Pasqua e si trattenne nel Tempio con i Dottori della Legge e, spiegava a loro il significato vero ed autentico delle Scritture, e, ammoniva i dotti, perché, essi parlavano agli altri delle Leggi e dei Decreti del Signore, ma, essi erano i primi fra tutti a non osservarli. Essi si meravigliarono di Lui e, non capivano da chi venisse tanta sapienza ed istruzione. Infatti, sapevano con certezza che era Figlio di un umile falegname di Nazareth di nome Giuseppe. Il tempo passava e Gesù viveva sottomesso con suoi genitori aiutando suo padre putativo nella sua umile bottega di falegnameria, fino all’età di trenta anni, quando ispirato dallo Spirito Santo andò da Giovanni il Battista, suo cugino, figlio di Zaccaria e Elisabetta al Fiume Giordano. Giovanni di cui la sua nascita fu annunziata a Zaccaria dall’Angelo Gabriele quando si recò al Tempio perché era il suo turno, fece l’offerta all’altare dell’incenso, predicava con tutte le sue forze la venuta del Messia che avrebbe sconfitto il peccato dal mondo. Viveva in solitudine e in preghiera nel deserto e si cibava di locuste e miele selvatico e attendeva come tutti l’avvento del Messia, liberatore del popolo d’Israele. Ogni giorno accorrevano da lui tante persone che li battezzava e li ammaestrava sulle vie di Dio, e infieriva contro i peccatori a convertirsi, perché, il Regno di Dio era vicino. Tutti erano gioiosi ad ascoltarlo anche lo stesso Erode Antipa, perché quello che diceva veniva da Dio. Ma, la sua predicazione infastidiva maggiormente la nuova moglie di Erode, Erodiade che, la denunciò pubblicamente di essere un’adultera e una concubina perché era la legittima moglie del fratello di Erode che è stata ripudiata, quindi, secondo la Legge di Mosè, non gli era lecito al re di prenderla con sé. Quando venne il tempo stabilito Gesù andò al Giordano e fu Battezzato da Giovanni, che lo annunciò, come “l’Agnello di Dio che toglie i peccati dal mondo”. In quell’istante si aprirono i cieli e, apparve lo Spirito Santo sotto forma di una colomba e la voce del Padre diceva: “Questi è il mio Figlio Prediletto, ascoltatelo”. (Mt 13, 17) Da quel momento, iniziava la Missione profetica di Gesù. Partì dal Giordano e lo Spirito Santo lo condusse nel deserto dove digiunò per quaranta giorni e quaranta notti. Allora avvenne che, anche Gesù Figlio di Dio, divenuto uomo in tutto eccetto il peccato dopo un lungo periodo senza toccare cibo e acqua, ebbe le stesse esigenze che sono sottoposti tutti gli esseri umani, ebbe fame e sete. Qui intervenne puntualmente satana, e cercava con la sua astuzia di tentare il Cristo per tre volte. Ma Gesù non si fece intimorire da lui, anzi lo affrontò con grande determinazione e lo sconfisse miseramente con la Potenza della Sua Parola. Il demonio non riuscendo nel suo intento lo abbandonò definitivamente, tornando poi a tempo opportuno. Le tentazioni di Gesù furono il primo passo dell’inizio del Suo Ministero Apostolico di Redenzione e salvezza dell’intera umanità, gli fecero comprendere in fondo le Parole del Padre, nel seguire la vera strada che successivamente lo condusse fino alla fine della Sua vita terrena, sottoponendosi volontariamente alla sua dolorosa passione, morte in Croce. Ma dopo tre giorni nel sepolcro si compì come avevo detto le Scritture la sua gloriosa Risurrezione e, insegnò ai suoi Apostoli e poi a noi sacerdoti e vescovi, come sconfiggere le malizie e le astuzie crudeli di satana.
CAPITOLO III
I Primi Discepoli e inizio del Suo Ministero di Redenzione
Quando il diavolo sconfitto e arrabbiato lasciò Gesù, gli Angeli lo servirono e una volta rifocillato fece ritorno verso la civiltà e decise di prendere con sé degli Apostoli a cui trasferire la Sua dottrina e i Suoi poteri divini. Si recò sul Mare di Galilea e chiamò per primo a Simone che lo chiamò Pietro e suo fratello Giovanni e poi tutti gli altri, compreso Giuda Iscariota, il traditore. Gesù inizia la Sua Missione e per prima cosa si reca nella sua città a Nazareth in Galilea a salutare sua Madre Maria e, entrò nella Sinagoga, si alzò e aprì il Rotolo del Libro di Isaia e lesse a alta voce il versetto che citava: “Lo Spirito del Signore è sopra di me, per questo mi ha consacrato con l’unzione e, mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annunzio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e, ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi a proclamare l’anno di Grazia del Signore”. Chiuso il rotolo disse: “Oggi si è compiuta questa scrittura, che voi avete ascoltato”. Ma il Sommo Sacerdote del Tempio con gli altri membri della comunità, avevano il cuore e la mente chiusa per comprendere che il Messia era giunto a loro, e, non accettavano che un uomo come Gesù dicesse tali parole, per loro era considerato una bestemmia. Infatti, tuttora gli ebrei aspettano la Venuta del Messia. Gesù vedendo che era contestato sia dal sommo sacerdote e dalla folla presente, si alzò e usci dal Tempio constatando che le loro menti erano chiuse al messaggio divino e all’avvento del Regno di Dio. Infatti, già nell’Antico Testamento Dio disse a Mosè: “il popolo di Israele è di dura cervice, ostinato a comprendere la vera via verso la salvezza”. Dopo questi fatti, gli ebrei cercarono di lapidarlo, ma Gesù, voltò le spalle a tutti ed andò a ritirarsi in Preghiera. Il Signore ne scelse Dodici, come le Dodici Tribù di Israele che lo seguivano da per tutto, insegnando loro il Ministero che successivamente, mediante la Successione Apostolica, dovevano trasmettere ad altri fino ai nostri giorni, vedendo con i propri occhi le guarigioni miracolose, la resurrezione dai morti, come avvenne per Suo cugino Lazzaro e, tante altre meraviglie dell’Altissimo. “In quei giorni Gesù se ne andò sulla montagna a pregare e passò la notte in orazione. Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede il nome di apostoli: Simone, che chiamò anche Pietro, Andrea suo fratello, Giacomo, Giovanni, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso, Giacomo d'Alfeo, Simone soprannominato Zelota, Giuda di Giacomo e Giuda Iscariota, che fu il traditore.” (Lc 6, 12-16). Sin dall’inizio del suo ministero profetico, Gesù comincia a chiamare degli individui sconosciuti tra loro affinché lo seguano e imparino a fare quello che Gesù fa, quando non ci sarà più tra di loro. Questi seguaci sono conosciuti come i suoi Dodici Apostoli. In seguito, come cita la Scrittura, ne sceglie dodici di questi Apostoli per formare una cerchia ristretta che sarà con lui quasi costantemente nel corso del suo ministero. Sembra che Gesù vedesse l’evento della scelta dei Dodici come d’importanza cruciale per il successo della sua missione. Luca descrive così la notte che precede questo evento: “In quei giorni Gesù se ne andò sulla montagna a pregare e passò la notte in orazione” (Lc 6,12). Il racconto dell’Evangelista Marco ci fornisce la risposta: “Ne costituì Dodici che stessero con lui e anche per mandarli a predicare, a guarire i malati e avessero il potere di scacciare i demoni” (Mc 3,14-15). Dovevano stare in compagnia di Gesù. Dovevano quindi essere “mandati” a predicare la buona novella e l’Avvento del Regno di Dio ormai prossimo. Gesù avrebbe dato loro la sua autorità contro le forze del male, per annientarlo dove esso vi si fosse annidato. In altre parole, Gesù li avrebbe istruiti e preparati a compiere il suo stesso mandato divino. Ma in definitiva, chi erano i Dodici Apostoli? Simon Pietro era un pescatore della Galilea quando Gesù lo chiamò perché fosse suo discepolo. Pietro era spesso avventato e impetuoso nelle sue azioni, ma la sua fede in Gesù era forte e fu il primo dei discepoli a riconoscere Gesù come “il messia, il Figlio del Dio vivente”. Durante l’ultima cena, Pietro dichiarò audacemente che non avrebbe mai abbandonato Gesù, ma solo qualche ora più tardi negò d’averlo mai conosciuto, perché preso dalla paura e dal terrore per quello che i giudei stavano facendo al suo Maestro. Nonostante Pietro l’avesse rinnegato per ben tre volte, Gesù volle incontrarlo dopo la risurrezione e gli affidò un ruolo importante nella chiesa primitiva, il Primato sugli Apostoli, e formò il Primo Collegio Apostolico, che fu tramandato fino ai nostri tempi, sotto l’autorità del Sommo Pontefice, Papa Francesco. Era Pietro che predicava il giorno della Pentecoste, quando in tremila si unirono alla chiesa primitiva. Pietro fu uno dei primi a rendersi realmente conto che il Vangelo era per tutti e non solo per gli Ebrei, ma per tutti coloro che ritrovavano la Fede per mezzo delle Parole del Cristo Risorto. Si unì alla cerchia anche Andrea fratello di Pietro ed era, come lui, un pescatore. Originariamente era stato discepolo di Giovanni Battista, ma quando quest’ultimo dichiarò che Gesù era “l’Agnello di Dio che toglie i peccati dal mondo”, insieme a un altro discepolo cominciarono a seguire Gesù. Andrea fece incontrare Gesù a Simon Pietro. Giacomo era il fratello di Giovanni. Tutti e due erano pescatori. Gesù li soprannominò “figli del tuono” a causa della loro natura impetuosa. Una volta ad esempio essi volevano far discendere il fuoco dal cielo su un villaggio della Samaria che non aveva accolto Gesù, e chiesero al Signore di riservare loro i posti migliori nel suo regno. Eppure, Pietro, Giacomo e Giovanni formavano il gruppo che era più vicino a Gesù fra tutti gli atri Apostoli che si unirono a Lui. Dopo la risurrezione di Gesù, Giacomo fu giustiziato da Erode Agrippa a causa della sua fede in Cristo. Giovanni era il discepolo più vicino a Gesù che egli amava di un amore del tutto spirituale. Sembra probabile che egli si riferisca a sé stesso quando parla, nel vangelo che porta il suo nome, del “discepolo che Gesù amava”. Pietro e Giovanni si recarono insieme al sepolcro vuoto nella prima mattina di Pasqua, e Giovanni “vide e credette”. Con Pietro, Giovanni diresse la chiesa di Gerusalemme, e probabilmente scrisse le tre lettere e l’apocalisse che nel Nuovo Testamento sono collocate sotto il suo nome. Filippo veniva da Betsaida. È menzionato poche volte nei vangeli, che riportano le sue domande riguardo all’identità di Gesù e allo scopo della sua venuta. Bartolomeo può essere quel Natanaele che Filippo presentò a Gesù. Matteo era un esattore delle tasse; lasciò il suo redditizio lavoro per seguire Gesù. Conosciuto anche come Levi, invitò Gesù a una festa nella propria abitazione, dove Gesù cominciò a incontrarsi con esattori delle imposte e con altri individui disprezzati dalla società ebraica, perché li consideravano peccatori e non osservanti della Legge di Mosè. Tommaso è famoso soprattutto per avere rifiutato di credere alla risurrezione dopo che Gesù era apparso agli Apostoli mentre egli era assente. Gesù apparve ancora, questa volta quando tutti gli Apostoli erano uniti. La confessione di Tommaso: “Mio Signore e mio Dio” è il punto cruciale del Vangelo di Giovanni. Giacomo, figlio di Alfeo, è il fratello minore di Giacomo e Giovanni. Simone lo Zelota è probabile che facesse parte di un partito politico e religioso conosciuto più tardi come quello degli Zeloti. Giuda, figlio di Giacomo, era conosciuto come Taddeo. Giuda lscariota appare sempre ultimo nella lista degli Apostoli chiamati da Gesù. È tristemente famoso per avere tradito Gesù guidando i nemici del Maestro nel posto dove sapeva che Gesù si sarebbe trovato durante la notte, perché lo vendette per trenta monete d’argento. Ma dopo aver commesso il tradimento di Gesù si sentì invadere dall’orrore e dal senso di colpa e seguendo le seduzione di satana che stava dentro il suo cuore si suicidò, precipitando nelle profondità dell’inferno. I dodici Apostoli ebbero quindi un ruolo molto importante nella vita e nell’opera di redenzione di Gesù. solo uno del gruppo, Giuda, lo tradì, ma gli altri gli rimasero fedeli perché amavano il loro Maestro e quindi, furono testimoni di tutto quello che aveva detto e fatto. Ogni cosa che sappiamo di Gesù è arrivata a noi grazie al loro impegno, alle loro testimonianze dette e scritte, tramandate a noi mediante i Vangeli. Dopo la morte e risurrezione di Gesù, che ha sconfitto il peccato, la morte e lo stesso demonio, i discepoli furono mobilitati dal Fuoco Vivo dello Spirito Santo con lo scopo specifico di annunciare al mondo chi era stato Gesù e che cosa aveva compiuto. Senza di loro, il messaggio del cristianesimo non si sarebbe mai diffuso. Essi si rivelarono essenziali per la realizzazione l’opera per la quale Gesù vero dio e vero Uomo era venuto fra gli uomini. Essere Apostoli di Cristo oggi è vitale e fondamentale, per continuare il lavoro di Dio nel mondo. La missione di Gesù Cristo nel mondo di oggi dipende dalla volontà dei cristiani di offrire le proprie risorse, tempo, energia, denaro al Cristo. Se la chiesa oggi è debole, lo è perché i cristiani non sono pronti come un tempo a seguire Gesù con lo stesso impegno e slancio dei primi cristiani, che formarono e costituirono la Santa Chiesa. Gesù mentre ammaestrava un’immensa folla radunatesi sulla montagna a insegnare ci consegnò la Preghiera del Padre Nostro, le Beatitudini, e, insegnava al popolo la Sua dottrina per la conversione di molti in Israele. Ma non tutti lo vedevano di buon occhio, i Farisei suoi acerrimi nemici lo odiavano e cercavano in ogni modo di metterlo in trappola con le loro perfidie, come avvenne per il caso della donna adultera di nome Maria Maddalena, colta in fragranza di reato, ma non riuscirono mai a trovare in Lui un punto debole dove poterlo attaccare e deridere per il suoi insegnamenti. Questa donna era una prostituta, e volevano ucciderla lapidandola, come prescriveva la Legge di Mosè, ma prima di procedere la portarono dal Maestro, per vedere che cosa pensasse di lei. Ma il Signore che lesse nei loro cuori malvagi ed infami, diede una grande risposta senza neanche guardarli in faccia: “Chi di voi è senza peccato, scagli la prima pietra contro di lei”. (Gv 8, 7). Penso che dopo che Gesù ebbe dato loro questa risposta, il loro cuore si sconvolse talmente tanto che fecero una giusta riflessione: tutti noi siamo peccatori, dal primo all’ultimo, solo Dio è Puro e Santo, come possiamo colpire o dire che non abbiamo peccati, allora con un senso di contrizione, buttarono le pietre per terra e, lasciarono stare la loro azione criminale, perché, in cuor loro hanno compreso il loro errore. Il miglior modo di Gesù per parlare alla gente e far comprendere loro le scritture era nel parlare in Parabole, storie fatte su misura per il popolo che lo ascoltava, che insegnavano e colpivano nei loro punti deboli anche i dotti e i sapienti, coloro che osservavano alla lettera la Legge di Mosè amministravano le Scritture, ma i loro occhi e il loro cuore era sigillato alla vera interpretazione delle Sacre Scritture e, questo ai Farisei pieni di arroganza, che in fondo non conoscevano a fatto Gesù, non lo sopportavano e, non riuscivano a capire da dove gli venisse un così grande sapere e potere a compiere tutti questi miracoli. Gesù era ed È considerato un’autorità, e si recò insieme ai suoi discepoli a Gerasa nel cimitero dove da giorni viveva un uomo indemoniato che tormentava tutto il villaggio. Appena lo vide arrivare, l’uomo posseduto aumentò la sua ira e cercava di scagliarsi contro di lui, allora, ordinò con piena autorità alla legione presente dentro di lui, di uscire immediatamente dal suo corpo, ed ordinò, di entrare in quella mandria di porci che stava pascolando liberamente nel prato, e si gettarono dal precipizio nel mare dove affogarono. Dal punto di vista letterario il brano dell’incontro di Gesù con l’indemoniato di Gerasa è frutto di una lunga storia redazionale. Lo testimonia ad esempio la difficile localizzazione dell’episodio. Nei manoscritti più antichi, si parla di Gerasa che però si trova a più di 50 km dal lago di Galilea. Ciò rende improbabile, dal punto di vista storico, la vicenda dei porci che si buttano nel lago. Questo episodio è stato quindi inserito in un secondo momento. A conferma del modo di procedere dei diversi redattori evangelici notiamo che l’evangelista Matteo, per rendere più verosimile il racconto, sostituisce la localizzazione di Gerasa con Gadara che dista ‘solo’ 10 km dal lago. Nella redazione finale dell’evangelista Marco, sono state fuse assieme diverse storie, che originariamente erano separate, ma che vengono accomunate dal tema della predicazione in terre pagane. La Decapoli è infatti un insieme di dieci città poste direttamente sotto la dominazione romana e quindi dominate da una religione pagana. L’intenzione della comunità di Marco è prettamente teologica: intende mostrare in questo racconto la forza, la potenza e, presenza e della parola di Gesù capace di scacciare con piena autorità il demonio, origine di ogni male e peccato, quindi, il diffondersi repentino della missione che ora tramite l’indemoniato guarito può crescere anche fuori della Giudea. La preghiera quindi ci permette di comprendere come, per la comunità cristiana, questo brano possa parlare anche agli uomini di oggi e quindi anche a noi stessi che per un certo senso siamo testimoni moderni del Risorto: L’indemoniato è una persona posseduta dal demonio, che la Chiesa ormai pellegrina sulla terra riconosce, ma soltanto in casi molto rari e ben documentati, Infatti abbiamo testimonianza scritte di esorcisti che praticano questo difficilissimo ministero In questo episodio per noi rappresenta situazioni importanti che ci vengono introdotte è presentate dallo stesso evangelista. L’indemoniato di cui si fa riferimento nel Vangelo è nudo, si aggira per i sepolcri, è escluso dalla società che cerca di imbrigliarlo sena riuscirci mettendogli delle catene, ma, Lui dimostra di avere una forza sovraumana che non gli appartiene come essere umano. È un ribelle alla volontà di seguire le vie di Dio. È una persona che sta male, inquieta con sé e con gli altri. Si percuote con le pietre, si fa del male come se cercasse di autopunirsi per la condizione in cui vive. Urla, segno della rabbia che ha dentro di sé. Vive nei sepolcri nei luoghi dei morti, come colui che è morto alla redenzione. È una specie di condannato alla vita che rifiuta. Corre incontro a Gesù, ma non vuole essere aiutato da lui, perché lo conosce molto bene è ha paura di Lui. Gesù: non ha paura di andargli incontro e di accoglierlo così com’è. Si comporta da medico nei suoi confronti: con la sua Potenza che viene da Dio, separa da lui il male che lo tormenta e lo caccia via in maniera definitiva. La sua presenza e la sua parola lo calmano e lo rendono umano. Alla fine, lo si vede vestito e non più nudo e calmo tra lo stupore di tutti. Gesù sa che per essere vicino all’indemoniato dovrà prendere su di lui la sua malattia. Guarire l’indemoniato significa in fatti: condannare i porci, che sono però una fonte di guadagno per il mandriano che li accudisce. Per questo al termine del brano gli abitanti della regione vogliono cacciare Gesù dal loro territorio come prima avevano fatto con l’indemoniato, perché secondo loro, Gesù ha sottratto al padrone il suo guadagno. I porci sono considerati animali impuri per gli ebrei, così come il demonio. Il fatto che i demoni vogliano entrare nei porci è quindi simbolo del fatto che il male cerca solo sé stesso per autodistruggersi, simboleggia il fatto che i porci si gettano nel mare simbolo del caos e della morte. Colui che prima era posseduto e torturato dal male, e viveva nel cimitero in compagnia dei defunti, ora è divenuto discepolo e annunciatore al mondo intero della misericordia di Dio. Gesù si serve di tutti, nessuno escluso, e tutti possono annunciare la Buon notizia della guarigione operata da lui. I demoni sottomessi sotto la sua autorità non opposero nessuna resistenza, perché Colui che li comandava è il Figlio di Dio, uscirono dall’uomo lanciando un urlo diabolico, ed egli, ritornato normale tornò sano e salvo dalla sua famiglia. Questa fu la seconda sconfitta inflitta a satana. Successivamente Gesù, trasmesse questo comando anche ai Suoi Apostoli, che li inviò a due a due per tutta la Galilea, Giudea e Samaria, ordinando loro di predicare il Vangelo alle genti, di imporre le mani sui malati e guarirli e, l’autorità di scacciare i demoni dai posseduti. Nel Vangelo di Luca cita: “Dopo questi fatti il Signore designò altri settantadue discepoli e li inviò a due a due avanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Diceva loro: «La messe è molta, ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il padrone della messe perché mandi operai per la sua messe. Andate: ecco io vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né bisaccia, né sandali e non salutate nessuno lungo la strada” (Lc 10, 1-4). Tutti sono mandati in missione da i Gesù, nessuno escluso. Questo indica che l'annuncio del Vangelo non è un'incombenza riservata ad alcuni membri della Comunità, ma a tutti i discepoli che aderiscono alla fede in Gesù e ne voglio fare esperienza Gli Apostoli sono inviati a due a due, non per farsi compagnia, ma per una ragione teologica. Il cristianesimo non può essere vissuto che in Comunità e, per costituire una Comunità basata su sane fondamenta è necessario essere almeno in due per avere tra i due la "Presenza di Gesù". L'evangelizzazione non è mai opera di individui che predicano le proprie intuizioni o aspirazioni personali. Chi annuncia il Vangelo deve mantenersi in piena sintonia e comunione con Gesù, attraverso la piena comunione con la Chiesa. C'è un'altra ragione importante che va specificata per una migliore comprensione: l'andare a due a due si fonda su una promessa di Gesù: "Dove sono due o tre uniti nel mio nome, io sono lì in mezzo a loro". Ciò che si annuncia non è una dottrina, ma una Persona, resa presente dalla concordia e dall'amore tra i discepoli: "Da come vi amerete crederanno in me". L'esperienza cristiana è un'esperienza visibile e concreta. Nella Novo Millennio ineunte, San Giovanni Paolo II afferma: "Non una formula ci salverà, ma una Persona". È quella persona è Gesù Cristo e il suo Vangelo. È interessante notare nel brano evangelico che Gesù non dice cosa devono dire i discepoli, ma come devono andare. Da come essi si presenteranno, essi diranno un'esperienza, saranno credibili, non dovranno convincere con le Parole, ma convinceranno in quanto testimoni di un'esperienza vissuta nell'amore reciproco. L'annuncio non è solo parola che si disperde nel corso del tempo e dei secoli, ma avviene nella potenza di Gesù Cristo reso presente dall'amore reciproco. È la sua Presenza che opera miracoli, prodigi, che scaccia i demoni, che permette di compiere opere ancora più grandi del Maestro. È per questo che Gesù dice di non portare nulla con sé: né pane, né bisaccia, né denaro, perché la provvidenza si manifesterà a loro da parte delle gente che li accolgono. È nella debolezza, dirà San Paolo, che si manifesta la potenza di Dio: "Ti basta la mia grazia". Quindi, con questa coscienza di una grande inadeguatezza dinnanzi al ministero che Gesù affida a ciascuno, ma nello stesso tempo con la convinzione che Lui ci precede là dove andiamo, anzi viene con noi, e sorregge con la sua potenza ogni sforzo missionario, per il bene della Chiesa e dell’umanità intera. Quando gli Apostoli tornarono erano meravigliati di aver compiuto tutte queste opere e, il Maestro disse: “tutte queste cose che voi avete compiuto per il Regno di Dio, dovete compierle fino alla fine del mondo”, e, così avvenne.
CAPITOLO IV
Ultima Cena e inizio della Sua Passione, Morte e Resurrezione
Intanto a Gerusalemme e in ogni parte del Regno di Erode, le voci riguardanti le Opere di Gesù arrivavano numerose alle orecchie dei Sommi Sacerdoti, Scribi, Farisei e dello stesso re Erode, che erano infuriati, non sapevano più come placare l’animo della gente che osannava Gesù, Figlio di Davide, quindi, volevano a tutti i costi sistemare la questione una volta per tutte, ma, ancora il tempo non era ancora giunto. Ma Gesù, sapendo che la sua venuta sulla terra era per portare la luce e la verità, e, che si doveva concludere in un modo veramente drammatico, preparava gli Apostoli a questo avvenimento. Quando giunse il tempo del suo sacrificio, dopo aver risuscitato suo cugino Lazzaro dopo quattro giorni dalla morte, organizzò il Suo ingresso Messianico in Gerusalemme. Infatti, quando furono vicini alla città, mandò due Apostoli da un tale a prendere un’asina con il suo puledro, vi salì sopra e entro trionfante nella Città Santa di Gerusalemme. Tutta la gente sapendo che arrivava il Signore si precipitò nelle strade e, con reverenza stendevano tappeti, mantelli e rami di palme e ulivi e gridavano: “Osanna al Figlio di Davide, Benedetto Colui che viene nel nome del Signore, Osanna nel più alto dei cieli”. I Farisei vedendo quello che stava avvenendo bollivano dalla rabbia e dalla gelosia e cercavano ogni modo di prenderlo e di ucciderlo, ma avendo paura della folla che lo circondava e lo osannava come un vero re, cercavano un modo astuto e segreto per catturarlo, senza destare il minimo sospetto. Quando giunse la pienezza del tempo Gesù sapendo che da questo mondo doveva tornare dal Padre che lo ha inviato, decise di entrare trionfalmente a Gerusalemme, insieme ai Dodici e a molti altri discepoli, solo dopo aver visto che in virtù dell'appoggio popolare, le autorità, giudaiche e romane, non avrebbero potuto arrestarlo alla luce del sole, per non creare rivolta popolare. La folla già presente in città e nelle strade a motivo della Pasqua proveniva da tutta la Palestina e da ogni luogo conosciuto, gli andò con gioia incontro come se lo aspettasse, ed era così numerosa che i farisei, sbigottiti e amareggiati, esclamarono: "Vedete che non concludete nulla? Ecco che il mondo gli è andato dietro!"(v. 19). Nel brano di Mt 21,8 parla infatti di "una folla numerosissima" e di "tutta la città in agitazione per la sua presenza"(21,10); Mc 11,8, più genericamente, parla di "molti" e Lc 19,37, volendo specificare che si trattava di "tutta la folla dei discepoli", dice una mezza verità, in quanto questa volta il consenso andava ben al di là dell'adesione fattiva al movimento istituito da Gesù il Nazareno. La guarnigione romana, colta del tutto impreparata, non mosse un dito, anzi, considerando che la Pasqua, per essa, era il momento più critico di tutto l'anno, in quanto gli ebrei affluivano copiosi in città, rendendo facilmente possibili gli attentati e le sommosse, viene da pensare che molto forte dovette essere la preoccupazione di una imminente sollevazione popolare, quindi i romani erano costretti a mantenere con rigore l’ordine pubblico. Infatti, non accaddero incidenti di nessun tipo, al momento dell'ingresso di Gesù a Gerusalemme, non perché come vuole l'esegesi confessionale, il corteo non sembrava avere alcuna finalità politico eversiva, ma perché era talmente imponente il numero e inaspettata l'iniziativa che il potere istituzionale restò come paralizzato da quest’avvenimento. Il Cristo venne accolto al pari di un re (Gv 12,13; Lc 19,38) o come se dovesse ricostituire il regno di Davide (Mc 11,10; Mt 21,9). Tutta la festa assomiglia a quella che si faceva per l'intronizzazione degli antichi re d'Israele: la folla stese i propri mantelli (Mc 11,8; Mt 21,8; Lc 19,36) come quella che in 2 Re 9,13 consacrò re Jeu; l'uso dei "rami di palme e di ulivo" (Gv 12,13; Mc 11,8; Mt 21,8) è analogo a quello di circa 170 anni prima, in occasione della decisiva rivolta popolare guidata dal leader Simone contro l'occupazione seleucida di Gerusalemme (1 Mac 13,51): praticamente dall'epoca maccabaica il vincitore veniva accompagnato così in città (2 Mac 10,7). La stessa espressione "uscirono incontro a lui" (Gv 12,13) indica una sorta di regola protocollare per l'intronizzazione regale di un capo carismatico. Persino la semplice espressione "Osanna" (Hoshia'na), che in origine era un grido d'aiuto, e con il tempo era diventata un'acclamazione solenne, di cui il significato è "Salvaci, aiutaci, donaci la vittoria!" (2 Re 6,26; 2 Sam 14,4). Insomma, la folla di Gerusalemme mostrava di avere di Gesù una concezione chiaramente politico militare, ma che effettivamente non era così. Gesù non rifiuta le acclamazioni, li accetta e li gradisce, non si tira indietro: l'unico paletto che pone al cospetto di questo atteggiamento esuberante è quello relativo alla scelta dell'asino. Una scelta anch'essa umile: il nuovo re d'Israele voleva presentarsi in maniera democratica, così come aveva espresso il miglior profetismo ebraico: "Esulta grandemente figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d'asina". Giovanni sintetizza, Sof 3,16s. e Zc 9,9, ma anche 1 Re 1,33s., ove si narra dell'intronizzazione di Salomone che cavalcava una mula. Forse qui si può sottilizzare dicendo che mentre in Giovanni la scelta dell'asino sembra essere dettata da considerazioni fatte sul momento stesso dell'ingresso, in Marco invece, a motivo dell'ampio spazio che si dedica a questa scelta, si ha l'impressione dell'esistenza di un piano messianico preparato nei minimi dettagli. La cosa strana tuttavia è che mentre in Giovanni Gesù entra in città senza simboli di sorta e la scelta dell'asino viene fatta proprio per attenuare le aspettative di un puro e semplice revival di intronizzazione anticotestamentario; in Marco invece la rappresentazione che viene fatta di Gesù è quella di un grande profeta o comunque di un Messia del tutto pacifico, che in nessun modo avrebbe usato la violenza per liberare Israele dai romani: egli quindi vuole di proposito utilizzare l'asino al fine di tutelarsi preventivamente da pressioni che possono andare oltre questi rigorosi limiti di operatività; tant'è che mentre in Giovanni i discepoli non comprendono questo tipo scelta, anche perché essi si stavano giocando la loro stessa vita, in Marco invece agiscono come se quella fosse la scelta migliore, quasi con la consapevolezza che il destino del Messia nella capitale era già segnato prima della creazione degli Angeli e del mondo. Non dobbiamo infatti dimenticare che per i sinottici l'immagine di un Messia religioso, che cavalca un'asina proprio per non diventare Messia politico, perché il suo regno non è di questo mondo, è conseguente, in maniera necessaria, al fallimento del progetto di liberazione nazionale, per cui, Gesù è venuto nel mondo per salvare l’umanità decaduta dal peccato e dalla tirannia del demonio, che li teneva schiavi, consegnandosi volontariamente alla morte per mano dei pagani romani. Però, in Lc 12,49 il termine: "Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso!", voleva significare che la violenza interpretata da Gesù potrebbe essere anche non fisica, ma a suon di parole come una "legittima difesa" dal sopruso e dalla tirannia dal dominio di Roma, che non è mai stata negata nei vangeli. Infatti, in un altro passo di Lc 22,49, si sostiene che al momento della cattura di Gesù gli apostoli erano tutti armati di spade e pugnali, ma, può essere interpretata come: avere un’arma a portata di mano da utilizzare solo ed esclusivamente per legittima difesa, alla pari del proprio nemico che le stava difronte. Infatti, nel Getsemani, Pietro per difendere Gesù dalla cattura, tagliò l’orecchio destro di Malco, che poi Gesù nel suo infinito amore, guari miracolosamente. Infatti, Marco si convertì immediatamente, riconoscendo Gesù Figlio di Dio. In 10,34: "Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada". L’Evangelista Giovanni è l'unico Apostolo ad affermare che in quell'occasione il gruppo formato dal nazareno allacciò dei rapporti politico diplomatici con alcune realtà del mondo ellenico, anch'esse evidentemente interessate a un'opposizione antiromana. È tuttavia singolare che questo incontro, che peraltro attesta l'universalismo implicito nell'ideologia nazarena, non comporti alcuna conseguenza nel contesto della pericope. Nei vangeli si è fatto di tutto per porre una netta incompatibilità tra progetto di liberazione nazionale e la possibilità di un fronte comune interculturale, che lo si è voluto caratterizzare in maniera esclusivamente spirituale. L’unico interesse di Gesù era quello di schiacciare il potere del "principe di questo mondo" che deve essere subito gettato fuori (Gv 12, 31), il che non si riferiva all’Imperatore di Roma Cesare Augusto ma satana, perché doveva compiersi la glorificazione del Figlio dell'uomo con la sua imminente passione e crocifissione e morte, ossia, lavarci da tutte le nostre impurità versando il suo sangue sulla Croce. La parola più difficile da interpretare è il termine hupsôsis, ossia "elevare da terra". L'unico precedente è raffigurato nel IV Vangelo è, fa paragone col serpente di rame che Mosè si costruì nel deserto per volere di Dio stesso, per salvare gli ebrei dal terribile morso dei serpenti, dopo che gli stessi ebrei accesero l’ira di Dio con la loro scontentezza: "Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il figlio dell'uomo"(Gv 3,14). Nella lingua italiana è stato usato il verbo "innalzare", ma sarebbe stato meglio utilizzare il verbo "esaltò" indicando, col gesto, anche il suo significato evocativo. Però la versione latina "exaltatus" la ritroviamo soltanto in At 2,33 e 5,31, in un contesto ovviamente teologico: il Cristo è stato "innalzato alla destra di Dio come Capo e Salvatore dell’intera umanità, per dare al popolo d’Israele la grazia della conversione e il perdono dei peccati". Da qui quindi, è facile risalire all'originaria etimologia politica del verbo in questione. Così come d'altra parte appare nell'Antico Testamento: in 2 Cr 32,23 "exaltatus" che viene usato con una finalità chiaramente politica, per esempio: il re di Giuda Ezechia "aumentò in prestigio agli occhi di tutti i popoli"; in 1 Mac 11,16 la parola indica il trionfo del re Tolomeo. Dietro questo termine può nascondersi il significato di una vera e propria "sollevazione popolare", in cui il popolo stesso avrebbe dovuto esserne protagonista. Solo successivamente i redattori hanno circoscritto l'accezione del termine a Cristo, attribuendogli un significato religioso e messianico di natura pacifica e quindi non violenta. "Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me"(v. 32). Infatti, al v. 42 Giovanni afferma che, "tra i capi del sinedrio, molti credettero in lui, ma non lo riconoscevano apertamente a causa dei farisei suoi acerrimi nemici, per non essere espulsi dalla sinagoga e considerati eretici", perché, nel dialogo usato da Gesù durante i suoi insegnamenti vi erano solo discorsi basati sull’ amore e il perdono dei proprii nemici, non era un sobillatore di folla che cercava guerra e vendetta, come Barabba, leader degli zeloti, autore di tanti omicidi. Si ha addirittura l'impressione che sotto l'espressione dei capi e nemici di Gesù: "Noi abbiamo appreso dalla Legge che il Cristo rimane in eterno; come dunque tu dici che il Figlio dell'uomo deve essere elevato? Chi è questo Figlio dell'uomo?"(v. 34). Qui subentra una certa difficoltà nel comprendere il significato della parola "democrazia", che pur in Asia Minore e in Grecia era conosciuta sin dal VII sec. a.C. È come se questi capi politici chiedano al Cristo un "segno" che attesti in maniera inequivocabile che lui è il Messia ed è in grado d'imporre la propria autorità e quindi di garantire l'esito della liberazione della nazione, occupata dal dittatore romano. Infatti, la stessa espressione è usata dagli stessi, al Calvario stando sotto la croce a beffarsi di lui. Insomma, da un lato la situazione sembrava davvero favorevole all'insurrezione del popolo, poiché il consenso delle masse, pur dominate dallo spontaneismo, era davvero grande; dall'altro però vi era una certa esitazione da parte dei leaders politici religiosi ebrei, che non volevano in nessun caso sfidare il potere di Roma, le cui conseguenze erano dannose per il popolo ebraico. Infatti, quando il Sommo Sacerdote Caifa tenne consiglio con tutto il Sinedrio per far morire Gesù disse: “meglio che muoia un solo uomo, che perisca tutto il popolo d’Israele”. Gesù dopo il suo ingresso a Gerusalemme si trattenne nei primi tre giorni nel Tempio a predicare ed insegnare le Sacre Scritture. Ora, mentre camminava vicino alla folla vide buttato per terra un cieco dalla nascita, che non aveva le pupille. Gesù impietositosi decise di donare a questo uomo la vista. Pietro gli disse: “Maestro, perché questo uomo è nato cieco, per un peccato commesso da qualche suo antenato, o dai suoi genitori? Se lui ha accettato questa vita perché modificarla?” (Gv 1, 2). Gesù rispose: “Pietro, io sono venuto per dare la vista ai ciechi, io, sono la Luce del mondo, chi vede me, non morirà nelle tenebre del peccato”. Quindi prese della terra, e con la sua saliva fece del fango e lo spalmò sui suoi occhi e, poi disse alla folla: “lavate i suoi occhi”. Portarono il cieco alla Piscina di Siloe, gli lavarono gli occhi e, all’improvviso il cieco nato ricevette la vista. Egli si mise ad urlare dalla gioia dicendo: “ci vedo, ci vedo, non sono più cieco, portatemi da lui per ringraziarlo per quello che mi ha fatto”. La gente che era con lui restò meravigliata e si domandava come fosse possibile un tale prodigio e tutti dicevano: “allora è Lui il Messia, il Figlio del Dio Vivente”. I Sommi Sacerdoti non ci videro più dalla rabbia ed aizzavano la folla a deridere il Maestro con false accuse, dicendo, che operava per opera di belzebù. Allora Gesù si infuriò e scagliò sugli Scribi e Farisei sette maledizioni, che fecero tremare il Tempio. Detto questo, prese i Suoi Apostoli e se ne andò. Il giorno dopo Gesù era presente nuovamente nel Tempio ad insegnare, quindi, interloquendo con i Farisei che volevano interrogarlo su quale fosse il più Grande dei Comandamenti, Gesù rispose: “Amerai il Signore Dio tuo, con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente; ed aggiunse: “Amerai il prossimo tuo come te stesso”. “Da questi due Comandamenti, dipende tutta la Legge e i Profeti”. Questo non vale soltanto per loro, ma, per tutti coloro che sono timorati di Dio e temono i suoi castighi, perciò, vale anche per noi, che stiamo vivendo in quest’epoca buia ed attanagliata dal male e dal peccato che dilaga come un’enorme macchia d’olio in tutto il mondo. Intanto il tempo della sua dipartita da questo mondo per tornare nuovamente dal Padre si avvicinava sempre di più. Il Signore Gesù desiderava ardentemente mangiare la sua Ultima Cena con i suoi Apostoli. Intanto, il demonio con astuzia e perversione aveva messo nel cuore di Giuda il proposito di tradirlo tanto tempo prima che si compisse. Si recò volontariamente dai Sommi Sacerdoti per organizzare la cattura del suo Maestro e naturalmente, contrattare il prezzo della vendita, nulla viene fatto se non c’è un tornaconto. “Quegli tutti contenti che potevano realizzare il loro progetto gli fissarono trenta monete d’argento, (circa 3000 Euro ai nostri tempi), e cercava l’occasione propizia per consegnarlo”. Radunò i Suoi nel Cenacolo e cominciò a dare gli ultimi insegnamenti, e il suo volto divenne triste, dichiarando pubblicamente una sconcertante verità: “In verità io vi dico; uno di voi questa sera stessa mi tradirà”. Tutti i presenti rimasero sbigottiti e senza parole, ma li rassicurò dicendo che era giunta la sua ora, per questo lui era nato. Gli Apostoli ancora attortiti chiesero chi fosse l’autore del tradimento. Egli prese un boccone di pane azimo lo intinse nel piatto e lo diede a Giuda Iscariota: Poco dopo si alzò dal tavolo, depose le sue vesti e cominciò a lavare i piedi ai suoi Apostoli per renderli puri, infatti, non tutti erano puri. Poi disse a Giuda: “Giuda, quello che devi fare fallo subito”. Il diavolo prese possesso totalmente della sua anima ormai destinata alle profondità dell’inferno nei tormenti eterni, si mise le scarpe e uscì in gran fretta dal Cenacolo per compiere il tradimento. Era già notte. Dopo che Giuda il traditore uscì fuori del Cenacolo, per andare incontro al suo destino di eterna dannazione, Gesù istituì il più Grande dei Sacramenti; la SS.ma Eucaristia, ed comandò loro di fare questo in sua memoria fino alla fine dei tempi: “Ora, mentre essi mangiavano, Gesù prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede ai discepoli dicendo: “Prendete e mangiate; questo è il mio corpo”. Poi prese il calice e, dopo aver reso grazie, lo diede loro, dicendo: “Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell’alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati. Io vi dico che da ora non berrò più di questo frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo con voi nel regno del Padre mio” (Mt 26, 26-29). L'Ultima Cena si riferisce all'ultimo pasto consumato da Gesù con i Suoi Apostoli all’interno del Cenacolo, prima del Suo tradimento da parte di Giuda Iscariota e del Suo arresto nel Giardino del Getsemani. L'Ultima Cena viene riportata dai Vangeli Sinottici da Matteo 26:17–30; Marco 14:12–26; a Luca 22:7–30, ma, Giovanna non ne parla affatto. Non riguarda quindi l'ultimo pasto consumato da Gesù; era anche un pasto della Pasqua ebraica. Uno dei momenti importanti dell'Ultima Cena è l'esortazione di Gesù a ricordare quello che stava per fare per tutta l'umanità: stava per versare il proprio Sangue sulla croce per pagare il debito dei peccati dell’umanità intera (Luca 22:19). Oltre a predire la Sua sofferenza e la Sua morte per la nostra salvezza (Luca 22:15–16), Gesù usò l'Ultima Cena anche per dare alla Pasqua ebraica un nuovo significato, istituire il Nuovo Patto, stabilire un'ordinanza per la Chiesa, e anticipare che Pietro lo avrebbe rinnegato (Luca 22:34) e che Giuda Iscariota la notte stessa lo avrebbe tradito (Matteo 26:21–24). L'Ultima Cena portò a compimento l'osservanza della festa della Pasqua ebraica nell'Antico Testamento. La Pasqua ebraica (Pesah) era un evento particolarmente sacro per il popolo ebraico, in quanto commemorava il tempo in cui Dio li aveva risparmiati dalla piaga della morte dei primogeniti d’Egitto e li aveva liberati dalla schiavitù (Esodo 11:1—13:16). Durante l'Ultima Cena con i Suoi Apostoli, Gesù prese due simboli associati alla Pasqua ebraica e diede loro un nuovo significato, come modo per ricordare il Suo sacrificio, il quale ci salva dalla morte spirituale e ci libera dalla prigionia spirituale del demonio: "Poi prese il calice, rese grazie e disse: «Prendete questo e dividetelo fra di voi, perché io vi dico che non berrò più del frutto della vigna, finché il regno di Dio sia venuto». Poi, preso il pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: «Questo è il mio corpo, che è dato per voi; fate questo in memoria di me». Cosí pure, dopo aver cenato, prese il calice dicendo: «Questo calice è il nuovo patto nel mio sangue, che è sparso per voi" (Luca 22:17–20), istituì il Sacramento dell’Eucaristia. Le parole usate da Gesù riguardo il pane azzimo e la coppa riecheggiano quello che aveva detto dopo aver nutrito i 5.000 uomini sulla montagna: "Io sono il pane della vita chi viene a me non avrà mai più fame e chi crede in me non avrà mai più sete. Io sono il pane vivo che è disceso dal Cielo; se uno mangia di questo pane vivrà in eterno; or il pane che darò è la mia carne, che darò per la vita del mondo». Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, ha vita eterna, e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Poiché la mia carne è veramente cibo e il mio sangue è veramente bevanda" (Giovanni 6:35, 51, 54–55). La salvezza giunge per mezzo di Cristo e del sacrificio del Suo corpo fisico sulla croce. Gesù insegnò anche i principi del significato di servitù e di perdono, quando si levò le vesti e lavò i piedi ai Suoi discepoli: "Ma con voi non sia cosí; anzi il più grande fra di voi sia come il minore e chi governa come colui che serve. Chi è infatti più grande chi siede a tavola, o colui che serve? Non è forse colui che siede a tavola? Eppure, io sono in mezzo a voi come colui che serve" (Luca 22:26–27; Giovanni 13:1-20). Oggi l'Ultima Cena viene ricordata durante la Santa Messa, dove si perpetua il sacrificio di Cristo sul Calvario, ma non in modo cruento (1 Corinzi 11:23–33). La Bibbia ci insegna che la morte di Gesù fu esemplificata nell'offerta del sacrificio della Pasqua ebraica (Giovanni 1:29). Giovanni nota che la morte di Gesù somiglia al sacrificio della Pasqua ebraica, in quanto le Sue ossa non furono rotte, ma il suo fianco fu squarciato dalla lancia di Longino, per effondere su di noi la sua Divina Misericordia (Giovanni 19:36; cfr. Esodo 12:46). E Paolo disse: "la nostra pasqua infatti, cioè Cristo, è stata immolata per noi" (1 Corinzi 5:7). Gesù è la realizzazione della Legge e dei Profeti, incluse le feste del Signore (Matteo 5:17). Generalmente, il pasto della Pasqua ebraica era una celebrazione familiare. Tuttavia, all'Ultima Cena, gli Apostoli erano soli con Gesù (Luca 22:14), il che suggerisce che questo pasto particolare avesse un significato specifico per la Chiesa, della quale gli Apostoli divennero il fondamento (Efesini 2:20). L'Ultima Cena era consolidata nell'Antico Patto, persino quando annunciava il Nuovo. Geremia 31:31 promise un Nuovo Patto tra Dio ed Israele, nel quale Dio disse: "Metterò la mia legge nella loro mente e la scriverò sul loro cuore, e io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo" (Geremia 31:33). Gesù fece un riferimento diretto a questo Nuovo Patto durante la Cena: "Questo calice è il nuovo patto nel mio sangue" (Luca 22:20). Una nuova legge era all'orizzonte, fondamentale per l’istituzione della Chiesa. Nella grazia di Dio, il Nuovo Patto non si applica solo ad Israele, ma: chiunque abbia fede in Cristo verrà salvato (Efesini 2:12–14). Questo fu un evento significativo e rappresentò un punto di svolta nel piano di Dio per il mondo. Paragonando la crocifissione di Gesù alla festa della Pasqua ebraica, possiamo immediatamente vedere la natura espiatrice della morte di Cristo. Come simboleggiato dal sacrificio originario della Pasqua ebraica nell'Antico Testamento, la morte di Gesù espia i peccati del Suo popolo e dell’intera umanità; il Suo sangue ci salva dalla morte eterna e dalla schiavitù di satana. Oggi, Cena del Signore ha luogo quando i credenti riflettono a fondo sull’importanza del sacrificio perfetto di Cristo e apprendono che, per mezzo della nostra fede nel riceverLo, saremo con Lui per sempre nel suo Regno (Luca 22:18; Apocalisse 3:20). Quando, poi ritornerò di nuovo nella Gloria, verrò a giudicare i vivi e i morti, ed il Suo Regno non avrà fine. Dopo aver consegnato ai suoi Apostoli e a noi suoi successori il Suo Corpo e il Suo Sangue, uscì dal cenacolo dopo aver cantato l’Inno, e si ritirò insieme ai suoi Apostoli in un podere chiamato Getsemani o Orto degli Ulivi. Si allontanò da loro e si prostrò a terra in preghiera, tutto dolorante, spaventato, e il suo sudore divenne sangue per tutto quello che gli doveva accadere. Mentre era assorto nella preghiera al Padre, chiedendo che quel calice che deve bere se fosse possibile si allontanasse da lui, si presentò nuovamente il demonio, per indurlo falsamente a lasciar perdere tutto: “perché, devi soffrire per dare salvezza ai figli di questo mondo, questi ingrati, uomini senza coscienza e senza fede?”, ma il Signore, pregava il Padre ancora di più intensamente e, al demonio non gli rivolse una sola parola. Quell’essere malvagio, fece comparire dal nulla un serpente che strisciava minaccioso verso Gesù, e il Signore quando si rialzò ancora dolorante e sofferente, con una pedata gli staccò la testa. Intanto, il demonio lo lasciò e al suo posto si presentò Giuda il traditore con un grosso distaccamento di soldati armati con spade e bastoni, si accostò al viso del Signore e con un bacio lo consegnò ai suoi carnefici che lo conducevano alla morte. Il tradimento di Giuda Iscariota avvenne in due momenti specifici: quando Giuda s'accordò con i Farisei nemici di Gesù per la modesta somma di trenta denari e poi nell'esecuzione con il bacio dato al Maestro nel Getsemani. Ora analizziamo la figura di Giuda Iscariota. Egli apparteneva al gruppo dei Dodici Apostoli ossia, di coloro che Gesù stesso aveva chiamato per nome come stretti compagni e collaboratori, per lasciare in eredità i suoi insegnamenti e la sua Chiesa. Rimane un mistero che ancora la maggior parte dei teologi e dei scristiani non sa rispondere: la scelta di questa persona, sapendo fin dal principio chi fosse e quali fossero le sue intenzioni, tanto più che il Signore pronuncia un giudizio molto severo a suo riguardo “Guai a colui dal quale il Figlio dell'uomo viene tradito” (Mt 26,24). Tra i possibili moventi che hanno portato l'Iscariota a tradire Gesù, rammenta la ben nota cupidigia nell’attaccamento al danaro e la delusione nel vedere che Gesù non inseriva nel suo programma la liberazione politico militare della Palestina. In realtà i testi evangelici insistono su un altro aspetto: «Il diavolo da tempo aveva messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo» (Gv 13,2). Il tradimento si spiega, pertanto, in base alla responsabilità personale di Giuda, che cedette miseramente alla tentazione del Maligno, e voleva guadagnare una buona ricompensa su Gesù. Gesù fino all’ultimo momento lo aveva trattato da amico, però nei suoi inviti a seguirlo sulla via delle beatitudini, non forzava le volontà né le premuniva dalle insidie di Satana, rispettando la libertà umana. In effetti, le possibilità di perversione del cuore umano sono davvero molte, l'unico modo di ovviare ad esse consiste nel rifiutare una visione individualistica ed autonoma e con tanta umiltà mettersi di nuovo dalla parte di Gesù, assorbendo nel sua vita il suo punto di vista. Giuda si pentì, ma il suo pentimento degenerò in disperazione e divenne automaticamente autodistruzione. Ci sono due cose da tener presente: Gesù rispetta la nostra libertà ed aspetta la nostra disponibilità al pentimento ed alla conversione, poiché Egli è ricco di Misericordia e di perdono. Nel suo misterioso piano di salvezza, Dio assume il gesto inescusabile di Giuda come occasione del dono totale del Figlio per la redenzione del mondo. Anche se nella Chiesa non mancano cristiani indegni e traditori. Spetta quindi a ciascuno di noi controbilanciare il male da essi compiuto con la nostra limpida testimonianza a Gesù Cristo, nostro Signore e Salvatore. Dopo il tradimento, il traditore sapendo che il Suo Maestro è stato condannato a morte, restituì il prezzo del venduto ai Sommi Sacerdoti e, circondato dai servi di satana, per disperazione andò ad impiccarsi consegnando così la sua anima a lucifero, dove tuttora dimora. Il Signore fu arrestato e condotto dai Sommi Sacerdoti per interrogarlo, e, gli muovevano attorno falsi testimoni con false accuse, lo disprezzavano, lo beffeggiavano e lo picchiavano. Egli rimase in silenzio ed affrontò il processo, e, quando venne il momento di dichiarare a tutti la sua Verità, rivelò di essere il Figlio di Dio, e, i Sommi Sacerdoti, le guardi e la folla radunata nel tribunale, istigati dal maligno lo percossero e, l’indomani lo presentarono davanti al Procuratore Romano Ponzio Pilato e lo fecero condannare a morte dai romani pagani. Il demonio sfoderò tutta la cattiveria nei soldati romani che, lo flagellarono crudelmente, gli misero una corona di spine sul capo, lo malmenarono, e dopo la sentenza di morte pronunciata da Pilato, e lo condussero fuori della Città carico della Croce come il peggiore dei malfattori sul Monte del Golgota. Lo Crocifissero insieme a due malfattori, di cui uno chiamato Disma si è convertito e andò salvo in Paradiso, l’altro finì nei tormenti eterni dell’inferno, perché anche in punto di morte ha resistito alla conversione. Sulla croce non oppose resistenza, si lasciò morire spremuto come l’uva all’interno del torchio, versando tutto il suo sangue per la nostra salvezza, ed è qui, che sconfisse in via definitiva il peccato e la morte. satana fu annientato per l’eternità, ridotto ad un misero escremento puzzolente e, lasciato seccare sotto al sole sull’erba fresca. Dopo tre ore di agonia, consegnò il Suo Spirito al Padre e spirò. Giuseppe d’Arimatea staccò il suo corpo dalla Croce e avvolto in un lino lo depose con rispetto nel sepolcro nuovo. Per questo motivo, carissimi fratelli e sorelle, il demonio ha paura del Santo Nome di Gesù, e di sua Madre Maria e ad ogni invocazione lo marchia a fuoco, ed infine, il demonio abbandona la sua preda, e ritorna strisciante all’inferno, dove è la sua dimora eterna.
CAPITOLO V
La Discesa dello Spirito Santo e le prime persecuzioni
Passarono tre giorni dalla morte di Gesù e come ebbe predetto ritornò in vita nel suo vero Corpo ed apparse ai Dodici con i segni dei chiodi e della lancia, dove vi rimase con loro per quaranta giorni, avvisandoli che avrebbero ricevuto il Consolatore, vale a dire, lo Spirito Santo, che gli dava la forza di andare per il mondo a portare il lieto annunzio, cacciare i demoni e guarire i malati, nel Nome di Gesù il Nazareno. “Mentre il giorno di Pentecoste stava per finire, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all'improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano. Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro; ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro il potere d'esprimersi. Si trovavano allora in Gerusalemme Giudei osservanti di ogni nazione che è sotto il cielo. Venuto quel fragore, la folla si radunò e rimase sbigottita perché ciascuno li sentiva parlare la propria lingua. Erano stupefatti e fuori di sé per lo stupore dicevano: «Costoro che parlano non sono forse tutti Galilei? E com'è che li sentiamo ciascuno parlare la nostra lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamiti e abitanti della Mesopotamia, della Giudea, della Cappadocia, del Ponto e dell'Asia, della Frigia e della Panfilia, dell'Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, stranieri di Roma, Ebrei e proseliti, Cretesi e Arabi e li udiamo annunziare nelle nostre lingue le grandi opere di Dio». Tutti erano stupiti e perplessi, chiedendosi l'un l'altro: «Che significa questo?». Altri invece li deridevano e dicevano: «Si sono ubriacati di mosto” (Lc Atti 2, 1-13) Gli Apostoli dopo aver ricevuto lo Spirito Santo non ebbero più paura ed uscirono allo scoperto predicando il Vangelo, guarendo i malati e, cacciando i demoni nel Nome Santo di Gesù il Nazareno. Da questo momento in poi, nacque la prima Comunità Cristiana dove gli Apostoli, si radunarono in assemblee e celebravano l’Eucaristia pregando con le parole insegnatele dal Maestro e, tutto era centrato sulla frazione del Pane, quindi, cominciarono le prime sacre ordinazioni diaconali e sacerdotali e successivamente le consacrazioni episcopali all’interno delle prime Comunità cristiane, che si sono prolungate fino ai nostri giorni. Naturalmente, tutto questo non piaceva affatto ai Sommi Sacerdoti, agli Scribi e Farisei, pensarono in cuor loro, che uccidendo Gesù avrebbero risolto il problema una volta per tutte, e la sua dottrina fosse scomparsa per sempre, ma invece successe tutto il contrario, la Sua Memoria fu rafforzata dalla Fede degli Apostoli che, aumentavano sempre di più giorno dopo giorno, mediante le conversioni e si facevano battezzare nel Nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Le apparizioni del Cristo Risorto sono terminate con l’Ascensione, a Gerusalemme si è riunito il primo nucleo comunitario, formato da gente umile e ardente di preghiera, quindi, tutto è pronto per la discesa dello Spirito Santo. L’insegnamento che l’Evangelista Luca dà a riguardo sullo Spirito è molto semplice: non è solamente una forza attiva, ma soprattutto una Persona Divina che agisce e prende in possesso tutte le comunità sparse nel mondo. Egli è il regista di tutti gli eventi che si susseguono: lo Spirito investe i discepoli dando pienezza (At 2:4), dona potenza di parola (At 2:14-36), convince di peccato (At 2:37), rivela le menzogne (At 5:3), guida i servitori (At 8:29), sceglie i missionari (At 13:2), manda in missione (At 13:4), vieta di predicare in alcuni luoghi (At 16:6), costituisce gli anziani-vescovi delle chiese locali (At 20:28), prepara la testimonianza di Paolo davanti ai pagani (At 21:11). San Paolo argomenta l’azione dello Spirito con la crisi carismatica di Corinto (1Co 12-13), mentre Giovanni esplicita in forma discorsiva il rapporto che lo lega al Paraclito (Gv 14:15-26). La presenza dello Spirito è imponente nel dittico di Luca Vangelo e Atti degli Apostoli: 106 ricorrenze di pneuma per i 52 capitoli dell’opera rivolta a Teofilo, di cui 70 negli Atti. E l’insegnamento è abbastanza chiaro: Lo Spirito Santo non raggiunge che i credenti e agisce nella e per la comunità: “Se il Signore non costruisce la casa, invano si affaticano i costruttori” (Sl 127:1). Nessuno può ignorare che la Chiesa non nasce dall’uomo, ma dal soffio di Dio, perciò troviamo gli Apostoli, i Discepoli, alcune donne e Maria Santissima con i suoi figli, nella sala di sopra (At 1:13-14), in ubbidienza alle parole di Gesù di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere la realizzazione della promessa del Padre che avevano udita da lui (At 1:4). La comunità, invece di prendere l’iniziativa, di organizzarsi e di avventurarsi nel mondo con le bandiere al vento, si è ritirata ad aspettare e pregare perché venga il Consolatore. La prossima mossa tocca a Dio: al Cristo risorto mantenere la sua promessa di concedere lo Spirito Santo e di ristabilire il Regno a Israele. In un certo senso la preghiera è appunto questo: “l’audace, quasi arrogante sforzo della comunità di costringere Dio a mantenere le sue promesse”. Nel pregare il Signore Gesù disse: “Venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà”. (Mt 6:10). Infatti, noi cristiani battezzati e coeredi di Cristo, chiediamo che Dio sia coerente con sé stesso e ci dia ciò che è stato promesso da suo Figlio Gesù, ossia, il Dono dello Spirito Santo. Così la preghiera che noi celebriamo giorno dopo giorno, è il coraggio nato dalla fiducia nella fedeltà di Dio alle promesse che egli stesso fa, fiducia che egli sarà fedele a sé stesso. Ciò che può sembrare un’insolente preghiera da parte della Chiesa, invece chiede di ricevere: lo Spirito Santo, il regno, la potenza, la restaurazione, la più profonda umiltà: ciò significa, che la Chiesa si rende conto umilmente che soltanto Dio può darle ciò di cui ha disperatamente bisogno. Narrando la storia di Cristo, l’Evangelista Luca, più di ogni altro Vangelo, dedica molta attenzione ai particolari della nascita di Gesù, questo perché ci sarà molta affinità con la discesa dello Spirito Santo. Un paragone tra la nascita di Gesù in Luca e quella della Chiesa negli Atti mostra infatti dei parallelismi avvincenti: Lo Spirito Santo scende su Maria (Lu 1:35) e successivamente sulla Chiesa (At 2:3-4), Giovanni Battista sarà pieno di Spirito Santo (Lu 1:15), lo stesso sarà per la prima comunità (At 2:4), Zaccaria sarà muto fino al compimento della promessa (Lu 1:20), la Chiesa sarà in attesa senza parlare fino al compimento della medesima promessa (At 2:4), Zaccaria pieno di Spirito Santo profetizzò (Lu 1:67), la Chiesa piena di Spirito Santo parla in lingue, come lo Spirito dava agli Apostoli di esprimersi (At 2:4). Solitamente ci si riferisce alla Pentecoste come al giorno della nascita della Chiesa e in ciò vi è molta verità. Ma è assai più esatto parlare di Pasqua anziché di Pentecoste, come giorno della nascita. Quando colloca l’irruzione dello Spirito all’inizio della storia della Chiesa, Luca ripropone una convinzione comune a tutto il cristianesimo primitivo: l’effusione dello Spirito Santo fu una realtà post-pasquale, essa va precisato, non è il risultato del Cristo terreno, ma del Cristo innalzato (Mt 28:19s; Gv 15:26; 16:7; 20:22; Ga 4:6; 2Co 3:17). Infatti, la Pasqua e l’elevazione di Gesù instaurano un cambiamento fondamentale per la nascita della Chiesa, Sposa di Cristo Risorto. La storia passa sotto il regime dell’assenza di Gesù (At 1:11) e lo Spirito Santo scende come un rombo dal cielo e si posa su tutti credenti, come afferma Pietro quando commenta l’evento della Pentecoste per il popolo di Gerusalemme: “Egli dunque, essendo stato esaltato dalla destra di Dio e avendo ricevuto dal Padre lo Spirito Santo promesso, ha sparso quello che ora vedete e udite” (At 2:33). La Pentecoste deve essere letta e compresa nel contesto di Luca 24: il Signore risorto fu “da loro riconosciuto nello spezzare il pane” (v. 35); egli “ci spiegava le Scritture” (v. 32), e promise di dar loro lo stesso potere che lo aveva mosso, dicendo loro “ma voi rimanete in questa città, finché siate rivestiti di potenza dall’alto” (v. 49). Luca dunque fa sua la convinzione dei primi cristiani: Cristo è il mediatore dello Spirito Santo. Ma egli attribuisce ad Esso una funzione precisa: “Ma riceverete potenza quando lo Spirito Santo verrà su di voi, e mi sarete testimoni in Gerusalemme, e in tutta la Giudea e Samaria, e fino all’estremità della terra” (At 1:8). Lo Spirito Santo darà potenza e forza, quindi, abiliterà i discepoli ad essere testimoni fedeli e autentici di Gesù, da Gerusalemme fino ai confini della terra. “Quando il giorno della Pentecoste giunse, tutti erano insieme nello stesso luogo” (At 2:1). Sono passati ormai cinquanta giorni a partire dall’indomani del sabato di Pasqua (Le 23:15-16). Luca ha voluto datare l’avvenimento e specificare i destinatari della promessa. La costruzione della frase nel testo originale appare con la preposizione “Nel” seguita da un verbo infinito: “completarsi il giorno della Pentecoste”. L’uso della stessa formula si trova nel suo vangelo: “Nel completarsi il giorno della sua ascensione” (Lu 9:51), e notifica la fine di un’attesa e l’inizio di un nuovo periodo. L’attesa di cui parla è stata più volte ripetuta: è la promessa sicura di ricevere una potenza dall’alto, che avrebbe cambiato la loro vita, da timidi e paurosi, a ferventi testimoni della Fede in Gesù e del suo Vangelo. Quindi quest’avvento dello Spirito Santo viene a coincidere con la festa giudaica di Pentecoste che già esisteva con un altro nome “Festa delle sette settimane” (Le 23:15-16) o “Festa della mietitura” (Es 23:16; 34:22; De 16:10), perché concludeva il tempo del raccolto. Aveva assunto successivamente il nome di Pentecoste in relazione al cinquantesimo giorno dalla Pasqua. La Pentecoste era una festa più modesta rispetto alla Pasqua e alla festa delle Capanne, ma riuniva, secondo Filone e Giuseppe Flavio, un gran numero di pellegrini a Gerusalemme, provenienti sia dalle campagne palestinesi sia dalla diaspora. Ma che rapporto c’è fra il significato teologico della Pentecoste e la venuta dello Spirito Santo? Dal fatto che questa festa venisse celebrata fin dal primo giudaismo il 50° giorno dopo la Pasqua quale sua conclusione solenne, Luca può aver tratto l’idea di presentare l’evento della discesa dello Spirito Santo anche come l’inizio della testimonianza universale degli Apostoli, quando alla Chiesa fu donato il primo raccolto: “circa tremila persone” (At 2:41). La presentazione della discesa del Consolatore come inizio storico-salvifico era tanto più plausibile per Luca, poiché già ai suoi tempi la festa giudaica di Pentecoste veniva celebrata anche come solennità che commemorava la promulgazione della Legge data a Mosè sul Monte Sinai. Non fu perciò casualmente che il momento inaugurale della Chiesa universale, come popolo di Dio nella nuova alleanza, abbia coinciso con questa festività giudaica. Il luogo degli avvenimenti non viene indicato o descritto con precisione, e questo concorda con il modo in cui Luca apre il suo racconto. Il lettore viene a sapere solo nel v. 2 che la scena si svolge in una casa, può essere la casa dove, nella stanza superiore, si tratteneva la comunità degli Apostoli, o dove con Gesù in quel Giovedì Santo, ha celebrato l’Ultima Cena con i suoi. Quindi si può dedurre, che Luca non dà informazioni precise e si limita a dire che erano nello stesso luogo. Questa espressione greca ha un sapore biblico, la sua traduzione varia fra il significato locale come qui, nello stesso luogo, e il significato sociale; erano insieme. La Settanta traduce l’ebraico yahad con “insieme” che è l’avverbio della vita comunitaria. Ma chi sono questi tutti? Atti 1:13-14 ci dà un aiuto fondamentale per capire in realtà chi sono: gli Apostoli, le donne, Maria, i conoscenti di Gesù e i Discepoli. Alcuni ritengono che questo “tutti” comprenda anche le centoventi persone che presero poi parte alla elezione di Mattia al posto dell’Iscariota il traditore dei benefattori (At 1:15), forse, ma una cosa è certa: la comunità non è fatta di soli Apostoli anche se Luca pone l’accento sul loro ruolo di guida, e li vedere come il nucleo di una comunità più ampia, pronta al servizio dei bisognosi e dei sofferenti. Ognuno di loro non pregava per sé stesso. Tutti pregavano con un cuore solo ed un’anima sola. La perseveranza e la concordia sono l’essenza, la verità della preghiera e sono molto raccomandate da Cristo Gesù nel Vangelo. La venuta dello Spirito Santo si presenta come il compimento di un lungo tempo di attesa ed è il punto di partenza di un tempo nuovo, quello di dare testimonianza alla Verità. Si viene così ad inaugurare l’ultima fase della storia della salvezza, quella della Potenza di Cristo esercitata sull’uomo e sul mondo per mezzo dello Spirito Santo Santificatore. Prima dell’ascensione Gesù aveva promesso che il battesimo in Spirito Santo sarebbe avvenuto fra non molti giorni (At 1:5), quel giorno finalmente è giunto, e tutti furono ripieni di Spirito Santo. Il nuovo giorno comincia con un’esplosione di suoni dal cielo e di vento. È presentato in tre doppie frasi parallele che iniziano con un e: “E venne dal cielo – e riempì la casa” (v. 2), “e apparvero delle lingue di fuoco – e una si posò su ciascuno di loro” (v. 3), “e furono pieni di Spirito Santo – e parlavano in lingue a loro sconosciute” (v. 4). I tre soggetti fondamentali sono: Il rumore, le lingue e tutti. Prima di tutto si afferma la sua totale sovranità: è inaspettato (all’improvviso), e viene dal cielo. Analizziamo insieme l’aspetto uditivo: un rumore (fragore, frastuono, rimbombo, eco) che al v. 6 è chiamato “suono o voce”. Questo fragore che si produce “improvvisamente”, proviene “dal cielo”, come la voce di Dio che risuonò sul Monte Sinai a Mosè nel roveto ardente (Es 19:3) o che si udì al momento del Battesimo di Gesù nel Giordano (Lu 3:22), o che Pietro sentì a Giaffa (At 11:9) o ancora, che sentì Giovanni al momento di sigillare le cose che i sette tuoni avevano pronunciate (Ap 10:4). Questo rumore è poi paragonato ad un “vento impetuoso”, simbolo della potenza misteriosa vivificatrice e creatrice di Dio (Ge 1:1; Gv 3:8) e riempie tutta la casa dove il gruppo era riunito in contemplazione. È bene precisare che lo Spirito non è ancora stato nominato, ma vengono presentati tutti i segni annunciatori della sua presenza. Ma da lì a lì, irromperà sui presenti come un avvenimento che dipende totalmente dal volere di Dio, come Gesù stesso aveva annunciato, che discende come “potenza dall’alto” (Lu 24:49). Dopo il fenomeno sonoro, ecco l’aspetto visivo: delle lingue come di fuoco, viste dai presenti nell’atto di dividersi e posarsi su ciascuno di loro, marcando così l’individualizzazione della sede dello Spirito Santo. Giovanni Battista lo aveva annunciato: “Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco” (Lu 3:16). Il paragone con il “fuoco” riporta al contesto delle teofanie ed è segno del manifestarsi del divino. Le rivelazioni di Dio sono spesso messe in relazione con l’immagine del fuoco che diviene simbolo di “santità”, in particolare lo è della manifestazione di Dio a Mosè nel roveto ardente, dove il fuoco arde ma non consuma (Es 3:1-6). Le lingue che i presenti hanno visto nell’atto di dividersi; (il participio greco vuol dire non che le lingue erano scisse, ma che erano distinte), vanno poi a posarsi su ciascuno dei presenti. Con questa figura Luca vuole dire che lo Spirito Santo è presenza divina, è come fuoco che purifica e che avvolge, e con la sua azione unica e singolare, prende possesso di ogni persona, si adagia per poi rimanere su ciascuno dei presenti, come: “discese e si fermò” su Gesù al momento del Battesimo (Gv 1:32-33). Tutti sono toccati da questo miracoloso evento: la separazione delle lingue conferisce un’identità particolare a ogni Apostolo, legata a un dono che gli è proprio, ma senza essere separato dagli altri. Tutto quello che è avvenuto, trova la sua spiegazione: l’intrusione celeste che investe la casa e prende possesso di ciascuno è la pienezza dello Spirito Santo: “Tutti furono riempiti di Spirito Santo” (At 2:4). Avviene su tutti un’effusione interiore che li riempie fino a traboccare; Pietro infatti, nel successivo discorso apostolico nel Tempio alla presenza dei farisei e del popolo, pieno di coraggio, dirà che Gesù, salito al cielo lo ha ricevuto dal Padre per “riversarlo” sui suoi Apostoli e credenti nella sua parola di vita eterna (At 2:33). Nel tempo della promessa lo Spirito era stato donato ai Profeti e ad alcuni grandi uomini dell’Antico Testamento, poi a pochissimi eletti i cui nomi vengono ricordati dallo stesso Luca: Giovanni Battista quando ancora stava nel seno materno (Lu 1:15), Elisabetta e Zaccaria (Lu 1:41,67), Simeone (Lu 2:26), Maria (Lu 1:35). Egli poi si era concentrato unicamente in pienezza sulla persona di Gesù (Lu 1:35; 3:22; 4:1,18). Ora questo dono con la Pentecoste raggiunge “tutti”: così il gruppo degli Apostoli e dei Discepoli viene definitivamente costituito e intimamente trasformato. Successivamente molte altre persone verranno designate nel libro degli Atti come “riempite di Spirito Santo”: Pietro (4:8), la prima e autentica comunità cristiana (4:31), Paolo (9:17; 13:9), Stefano (6:5; 7:55), Barnaba (11:24), i Discepoli di Antiochia di Pisidia (13:52). Lo Spirito resterà da ora in poi sempre all’opera nella Chiesa come il protagonista principale. “E cominciarono a parlare in altre lingue” (At 2:4b). Il primo dono che lo Spirito Santo dona alla Chiesa è quello della parola, ma questo dono viene definito in modo curioso “parlare altre lingue”. L’aggettivo “altre” è molto importante perché indica che gli apostoli si mettono a parlare in lingue diverse dalla propria. Luca, poi, sottolinea come questo dono sia frutto della irruzione dello Spirito: “come lo Spirito dava di esprimersi”. Questo verbo il cui significato nel testo originale è “enunciare, dichiarare ad alta voce” è il verbo della dichiarazione pubblica (At 2:14; 26:25). Attraverso i servitori prescelti da Gesù parla lo Spirito Santo. Ora ci poniamo alcune domande. come comprendere questo fenomeno? Si tratta forse del dono della “glossolalia” (1Co 12:28) che consiste in un parlare estatico, misterioso, con suoni che non corrispondono a nessun idioma? Il “parlare in lingue” dopo l’evento di Pentecoste appare soltanto due volte: la prima in casa di Cornelio (At 10:45-46) e la seconda a Efeso (At 19:6), dunque, è un evento importante se non come compimento della promessa fatta dal Cristo prima della sua Ascensione al cielo. Gli effetti dello Spirito post-Pentecoste, come vedremo, non riguardano tanto il parlare in lingue, ma la testimonianza e la predicazione. Dunque, la prima cosa che Luca vuole evidenziare che il fenomeno non era diffuso in tutta la cristianità del primo secolo, ma circoscritto ad alcune comunità soltanto. Questo significa che non dappertutto e non sempre l’azione dello Spirito Santo si è manifestata nella forma del “parlare in lingue”. Pertanto, non sminuisce il fenomeno, ma gli dà l’importanza che merita. A Pentecoste infatti il “parlare in altre lingue” degli Apostoli suscitò immediata e piena comprensione da parte di coloro che li ascoltavano, pur parlando lingue diverse tra di loro, dicevano, pieni di stupore: “Li udiamo parlare ciascuno nella nostra propria lingua natia” (At 2:8). Nella chiesa di Corinto, invece, succedeva il contrario: nessuno capiva quel che diceva colui che parlava in lingue, perciò l’Apostolo Paolo raccomandò che ogni discorso “in lingua” venisse anche interpretato e tradotto in parole comprensibili, perché solo così la chiesa sarebbe stata edificata e fortificata dalla potenza del Cristo (1Co 14:12-17). È anche vero che lo stesso Apostolo distingue tra “doni maggiori” da desiderare “ardentemente” (1Co 12:31), perché costitutivi della fede e della vita cristiana, e i doni che, pur importanti, non sono “maggiori”, cioè non indispensabili per la chiesa. Il “parlare in lingue” non è, secondo San Paolo, un “dono maggiore”. L’Apostolo lo apprezza e, come ho già affermato, occasionalmente lo praticava. Ma aggiunge: “Chi parla in altra lingua edifica sé stesso; ma chi profetizza edifica la chiesa”. Come sappiamo a Pentecoste il dono delle lingue non fu dato per l’edificazione della Chiesa ma per la predicazione agli uomini religiosi di ogni nazione che sono sotto il cielo (At 14:5). Poi aggiunge: “Vorrei che tutti parlaste in altre lingue, ma molto più che profetaste; chi profetizza è superiore a chi parla in altre lingue, a meno che egli interpreti, perché la chiesa ne riceva edificazione” (1Co 14:4-5). Luca quindi subordina “il parlare altre lingue” all’annuncio del Vangelo. Lo Spirito abilita a quella testimonianza universale che in Atti 1:8 è promessa e affidata a tutti gli Apostoli del mondo. Perciò Pietro d’ora in avanti non si vergognerà di parlare di Gesù come ha fatto in precedenza (Mt 26:69-75) e può svolgere un tale servizio di testimonianza, il che prima della Pentecoste non era possibile, perché era intimorito e spaventato dai giudei che li perseguitavano. Anche San Paolo, come Luca, subordina il dono dello Spirito ai ministeri della Parola, quando dirà ai Corinzi che amavano la glossolalia: “Dio ha posto nella chiesa in primo luogo degli apostoli, in secondo luogo dei profeti, in terzo luogo dei dottori” (1Co 12:28). Il dono dello Spirito Santo è il potere di testimoniare Gesù, tutti i partecipanti all’evento diventano il primo nucleo della Chiesa che è stabilità in una città per anticipare le meraviglie di Dio a tutta la terra. Allora il demonio per vendetta per essere stato annientato da Gesù Cristo inasprì il cuore e il comportamento dei Sommi Sacerdoti e dei Farisei divenne crudele, e, ebbero inizio le prime persecuzioni contro la novella comunità. Reclutarono un certo Saulo di Tarso, ebreo ma cittadino romano osservante della Legge di Mosè a stanare tutti coloro che si definivano cristiani e condurli in catene davanti alle autorità competenti a Gerusalemme per essere giudicati e condannati a morte per bestemmia, blasfemia e per aver millantato la loro nuova Fede. Ma Gesù, nella Sua infinita Misericordia volle salvare Saulo da questa follia omicida e, quando si trovava con il suo cavallo sulla Via di Damasco gli comparve (Gesù) avvolto di una luce maestosa, lo fece cadere da cavallo e lo rese cieco. “Saulo, sempre spirante minacce e stragi contro i discepoli del Signore, si presentò al sommo sacerdote, e gli chiese delle lettere per le sinagoghe di Damasco affinché, se avesse trovato dei seguaci della Via, uomini e donne, li potesse condurre legati a Gerusalemme. E durante il viaggio, mentre si avvicinava a Damasco, avvenne che, d'improvviso, sfolgorò intorno a lui una luce dal cielo e, caduto in terra, udì una voce che gli diceva: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?» Egli domandò: «Chi sei, Signore?» E il Signore: «Io sono Gesù, che tu perseguiti. Alzati, entra nella città e ti sarà detto ciò che devi fare». Gli uomini che facevano il viaggio con lui rimasero stupiti, perché udivano la voce, ma non vedevano nessuno. Saulo si alzò da terra ma, aperti gli occhi, non vedeva nulla; e quelli, conducendolo per mano, lo portarono a Damasco, dove rimase tre giorni senza vedere e senza prendere né cibo né bevanda.” (Att 9, 1-9). Fu allora che Saulo capì il suo errore, e quando fu ospite nella casa di Malachia, lo stesso, gli restituì la vista, invocando il Nome di Gesù il Nazzareno. Convertendosi totalmente alla nuova Fede fu Battezzato nel Nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, e da Saulo divenne Paolo, l’Apostolo delle Genti. San Paolo da quel momento divenne Apostolo fedele del Signore Gesù, predicando in tutto il Regno di Israele e fuori i suoi confini, fino a che giunse a Roma come carcerato. Fu condotto in catene al Carcere Mamertino e giudicato colpevole di essersi convertito al cristianesimo, quindi, secondo la Legge Romana, fu condannato a morte per decapitazione. La sentenza fu eseguita presso le Aquæ Salviæ, oggi denominata le Tre Fontane nell'anno 67 d.C. sotto il regno di Nerone, dove successivamente fu eretta una Basilica in Suo onore sulla sua tomba. Dopo la morte di Gesù, gli Apostoli (che in greco significa “inviato”, era riservato ai dodici discepoli scelti da Gesù) diffusero a macchia d’olio con la Potenza dello Spirito Santo che era in loro la nuova religione, prima in Asia Minore e in Africa, poi anche a Roma, sede dell’Impero Romano. Essi predicavano che Dio si era incarnato in Gesù di Nazareth, il Messia, e che questi era Risorto dalla morte fisica e apparso di nuovo ai suoi Apostoli. Intorno al 60 d.C., nonostante le persecuzioni attuate dalle autorità religiose ebraiche, comunità di cristiani, che praticavano la loro fede in segreto, si erano oramai radicate in tutto l’Oriente romano e nella capitale. Queste comunità erano ancora immerse nell’ambito del giudaismo: almeno fino alla metà del II secolo d.C. è difficile parlare del cristianesimo come di una religione organizzata e autonoma rispetto a quella ebraica. A distinguere i Cristiani dagli altri Giudei era il fatto che essi identificavano in Gesù Cristo il Messia anonimo atteso dalla religione giudaica. La separazione del cristianesimo dal giudaismo rappresenta un’evoluzione successiva e fu soprattutto opera di San Paolo di Tarso, il padre della teologia cristiana. L’importanza di Paolo di Tarso nella diffusione del cristianesimo fu enorme. Egli non si limitò a sostenere la necessità di diffondere la nuova fede tra, giudei, romani, greci. Predicò anche un messaggio privo di osservanze rituali: quell’insieme di divieti e prescrizioni che rientravano nella tradizione giudaica e che erano estranei alla cultura greco-romana, (in primo luogo evidenziava la circoncisione e l’astinenza assoluta da alcuni cibi, come la carne di maiale, che era un genere fondamentale nell’alimentazione romana). Per circa tre secoli dopo la morte di Cristo, giudaismo e cristianesimo operarono in reciproca concorrenza alla conquista delle anime pagane. Il cristianesimo alla fine prevalse con un successo schiacciante, che fu determinato anzitutto dal suo carattere universalistico: predicando l’uguaglianza di tutti gli esseri umani di fronte a Dio, il nuovo messaggio non privilegiava un popolo “eletto”, ma si rivolgeva a tutti gli uomini di buona volontà, quindi pian piano, veniva abbandonata la visione nazionalistica dell’ebraismo. Molto importante fu anche il fatto che per il cristianesimo, a differenza del giudaismo, il Messia era già apparso e le speranze di salvezza a esso collegate apparivano quindi meno remote, ma più evidenti. Nelle prime comunità cristiane l’aspetto fondamentale del culto era la preghiera in comune che si svolgeva nelle abitazioni private dei fedeli. Il tipico edificio cultuale cristiano, la basilica, modellata architettonicamente sulla basilica civile dei Romani, fu una creazione più tarda, che si diffuse dal IV secolo d.C. in poi. Nella vita religiosa di alcune comunità cristiane avevano grande importanza anche le necropoli sotterranee, note con il nome di catacombe. Offrendosi ai più umili come rifugio contro la sofferenza, le ingiustizie e le prevaricazioni, il cristianesimo continuò a far proseliti fra gli strati più poveri della popolazione. Ma anche tra i ceti più colti la nuova dottrina non tardò a propagarsi: vari esponenti del ceto medio e anche numerosi aristocratici, insoddisfatti dei culti tradizionali romani o giudaici, iniziarono a guardare con favore a una religione più intensamente sentita e praticata, perché diffondeva amore e pace con tutti gli uomini, senza distinzione di razza, di colore e di nazione. Il cristianesimo iniziò a preoccupare l’autorità imperiale quando apparve come un fenomeno infiltrato in tutto il tessuto sociale. Nonostante la tolleranza dei romani in materia religiosa, non pochi princìpi cristiani erano potenzialmente in contrasto con la mentalità corrente e con il potere di Roma: l’affermata eguaglianza tra gli uomini, liberi e schiavi, ricchi e poveri, alleati e nemici; la priorità dei valori dello spirito rispetto a quelli materiali, e quindi dell’autorità spirituale su quella politica; il rifiuto totale di adorare l’imperatore come un dio, perché egli è un uomo mortale come tutti. I cristiani apparivano perciò sudditi inaffidabili e pericolosi e divennero un facile capro espiatorio per ogni difficoltà o evento funesto. Oltretutto, vennero a lungo confusi con gli ebrei, anch’essi malvisti a causa del loro monoteismo; e come nel caso degli ebrei, il raccogliersi dei cristiani in comunità separate e legate da una forte identità destava sospetto e diffidenza. Nacquero da qui le prime persecuzioni, come quella scatenata da Nerone in conseguenza dell’incendio di Roma nel 64. Agli inizi del II sec. d.C. l’ampia diffusione del cristianesimo nelle province orientali è testimoniata dal carteggio tra l’imperatore Traiano e il governatore di Bitinia Plinio il Giovane: emergeva chiaramente il dramma delle persecuzioni, di come volevano annientare questa nuova religione. Ma grazie al sangue dei Martiri nelle arene e, tutti coloro che parlavano nel Nome di Gesù, terminando la loro vita nelle arene romane, uccisi dalla belve feroci, dai gladiatori e crocifissi, per il semplice scopo di divertimento e per il totale disprezzo verso Gesù e la sua Chiesa. Gesù nostro Signore, con il suo potere eterno, diede peso a questo grande sacrificio dei suoi Martiri e, sconfisse nuovamente il demonio, quando Costantino intorno all’Anno mille decretò che il cristianesimo fosse istituito come religione di stato. Da quel momento cessarono tutte le persecuzioni contro i cristiani, in tutto l’Impero Romano.
CAPITOLO VI
La Potenza dell’Esorcismo
Purtroppo, in quest’epoca moderna piena di tecnologia e sprechi di ogni genere, il male ha affondato di più i suoi artigli sui Figli di Dio, cercando con ogni seduzione, peccato e malizia di condurli verso la perdizione eterna. Aimè, quante anime incuranti della loro salvezza sono gli offuscati dalle sue illusioni, e giorno dopo giorno cadono nelle tenebre della morte e si ritrovano per tutta l’eternità nelle fiamme e nei tormenti eterni dell’inferno. Però non tutti si fanno abbindolare dalle suggestioni del diavolo, che cerca in ogni modo di deviare la loro morale e il loro temperamento. Però, per liberarsi da ogni tentazione che quotidianamente si presenta bisogna che ogni timorato di Dio reciti questa potentissima preghiera giornalmente, “Tremate inferi quando pronuncio il Nome di Maria” oppure: “Nel Nome di Gesù e di Maria, vai via da qui”. La preghiera è considerata dai Padri della Chiesa un’arma potentissima che schiaccia, brucia, annienta, sbriciola ed allontana il potere del demonio in tutte le sue diaboliche manifestazioni. La Confessione Sacramentale è la ciliegina sulla torta, ci libera dalla sua presenza all’istante e, non lascia nessuna traccia del suo operato nella nostra anima, è, peggio dell’acido che corrode ogni cosa. Ogni cristiano deve stare in guardia, essere sempre vigilante per non cadere nei suoi tranelli e inganni, perché, egli va in giro nel mondo come un leone ruggente, e cerca di divorare le anime. Bisogna resistergli saldi nella Fede. Ci sono molti modi in cui il demonio cerca le sue prede; ora vi elenco una serie di trappole da lui escogitate da stare attenti a non imbattersi.
- Far credere all’uomo che lui non esiste, così da avere l’anima a sua disposizione.
- Smettere di pregare.
- Troppa televisione e tecnologia devia dalla riflessione e dall’armonia con se stessi e con gli altri.
- Frequentazioni di discoteche e altri luoghi fatiscenti, dove esiste un commercio di droga, stupefacenti e alcol, soldi, che, porta la vittima sull’orlo della perdizione.
- Sesso contro natura e ogni sua devianza.
- Sette sataniche e messe nere ed ogni abbominio, porta l’essere umano verso l’autodistruzione e riempie l’inferno di poveri infelici.
Ora vi presento tutto ciò che dispiace e danno fastidio a lucifero, svelati durante un esorcismo:
- La confessione…che stupida invenzione…Quanto mi fa male…mi fa soffrire…il Sangue di quel vostro falso Dio…quel Sangue mi schiaccia…mi distrugge…lava le vostre anime e mi fa scappare…quel Sangue; quel Sangue…è la mia pena più atroce.
- Il pasto dove mangiate la Carne e il Sangue di quel Crocifisso che ho ucciso io…E qui mi trovo disarmato…non ho più le forze per lottare…quelli che si nutrono di questa Carne e bevono di questo Sangue diventano fortissimi contro di me, diventano invincibili alle mie scaltre seduzioni e tentazioni, sembrano diversi dagli altri, sembra abbiano una luce speciale e una intelligenza velocissima…mi fiutano subitaneamente…e si allontanano da me e mi scacciano come se fossi un cane…che tristezza, che dolore aver a che fare con questi cannibali.
- Quanto sono insensati quelli che perdono ore e ore di giorno e di notte, in ginocchio, ad adorare un pezzo di pane nascosto in una scatola sull’altare di quel falso Dio (È l’ora di adorazione). Quanta rabbia mi fanno queste persone! Mi distruggono tutte le mie opere. Quanto dolore…quanta rabbia queste adorazioni irrazionali…!
- Odio il Rosario…quell’arnese guasto e marcio di quella Donna lì, è per me come un martello che mi spacca la testa… È l’invenzione dei falsi cristiani che non mi ubbidiscono, per questo seguono quella donnaccia! Sono falsi, falsi…invece di ascoltare me che regno su tutto il mondo, questi falsi cristiani vanno a pregare quella donnaccia, mia prima nemica, con quell’arnese…oh quanto male mi fanno.
- Il male più grande di questo tempo, per me, sono le continue presenze (apparizioni) di questa donnaccia…in tutto il mondo…in tutte le nazioni appare e mi perseguita; strappando dalle mie mani tante anime…migliaia e migliaia…per ascoltare i suoi falsi messaggi…
- Ma ciò che maggiormente mi distrugge è l’asinesca obbedienza a quell’uomo, vestito di bianco (il Papa), che comanda a nome del falso redentore e del falso vostro salvatore…che asini…pecore che consigli…! Obbedire a quell’uomo che ama quella donnaccia lì che mi perseguita da sempre…che vergogna…questo mi distrugge il mio regno… Lo farò morire, assassinare una brutta fine gli farò fare…È odioso ai miei seguaci, quel polacco che ama quella donnaccia lì…che propaganda il Rosario di quella ignobile Donna, come la sua preghiera preferita…che vigliacco…che asino…mi schiaccia…mi schiaccia…!
- Molto mi preoccupano quelle servette con la testa fasciata, che abbandonano tutti e tutto per rinchiudersi entro quattro mura, per sacrificare tutto ciò che è bello e buono per quel Dio che solo io sono riuscito a vincere (sono le monache di clausura) … Giorno e notte si mortificano con veglie e digiuni incoscienti e inconsistenti…non dormono sufficientemente…non mangiano secondo le necessità dell’appetito e del corpo, che reclama il vitto necessario…non parlano liberamente ovunque e sempre…taciturne…ammusonite…piene di tristezza, la più disumana…pregano…cantano…e tutto questo sacrificio per chi lo fanno? Per quali motivi particolari…per quali fini…con quali risultati…? Povere servette, che non hanno sentito mai le sensazioni della carne procurate dagli amplessi e dai baci dei miei uomini…! Eppure, quante ne faccio cadere”, le riduco ad una vita grama, sterile, prive di ogni fervore, gettandole nel massimo della tiepidezza…Sì, ne devo fare una vera strage…perché soprattutto di queste claustrali ho paura…ho paura terribile…! Sono i nemici miei più terribili e agguerriti…mi strappano dalle mani tante anime di ogni sesso, di ogni classe e condizione…Che nemici terribili…quando incominciano a pregare per la conversione di un’anima da strapparmi, non la smettono più…più…più…sono tenaci e caparbie! Se poi non bastassero le lunghe ed estenuanti preghiere al loro falso Dio Crocifisso, del quale si chiamano spudoratamente sue “spose”, allora incominciano con le estenuanti penitenze di ogni genere…che nemici…che soldati di primo assalto…! Ho tentato tante volte di diminuire le vocazioni a questa stupida vita…ma purtroppo non ci sono ancora riuscito…sono troppe ancora le donnette stupide e sciocche, anche se tante volte siano perfino laureate e diplomate…Che nemici…!
- Chi sono poi i miei veri persecutori acerrimi e accaniti, sono quelli, che si fanno chiamare “esorcisti” …Che brutta genia…che disgrazia nel mondo…per fortuna ce ne sono ancora pochi, pochissimi, perché io dissuado i Vescovi a nominarli…e questi idioti mi credono e mi ubbidiscono, anche contro il comando del loro Dio Crocifisso che comandò loro: “In mio nome, scacciate i demoni”. Che buffone!!! Questi Vescovi hanno paura di me, tanta, tantissima! l’ho già li possiedo nella forma sia pure delicatissima perché non se ne accorgano, ma li possiedo…e non faccio fare a loro gli esorcismi contro di me e neppure permetto loro che nominino esorcisti…che nemici feroci…!
- Molte volte sono riuscito a vendicarmi…a punirli…a schiaffeggiarli…a bastonarli…a fermarli con tante e svariate malattie; a volte anche gravi…Ma purtroppo, non cedono…non cedono…E quando essi si avvicinano alle mie prede, devo scappare…o presto o tardi devo fuggire…che preghiere fanno…e sempre in nome di quel loro Dio. E di quella loro Donna madre del crocifisso…Oh, che dolori, che strazio per me…!
Ora che abbiamo reso l’idea di quello che succede assecondando i piani del demonio, bisogna che ora conosciate un’altra verità; il diavolo che non ha mai pace, passa a filo di spada tutti i credenti in Dio. Si creano nel mondo false guerre di religione, con lo scopo specifico di mettere l’uno contro l’altro, per raggiungere il pieno dominio sull’altro. Solo il SS.mo Nome di Gesù ci libera da tutto questo, ma soltanto se vengano osservate le sue Leggi e i suoi insegnamenti divini. Come ho detto precedentemente, dopo la discesa dello Spirito Santo, gli Apostoli, partirono pieni di Spirito Santo verso nuove terre inesplorate e, dopo aver dato tutto se stessi nella predicazione trovarono fiduciosi la loro Corona di Gloria con la morte per mezzo del martirio. Ma non tutti gli Apostoli subirono questa orrenda fine; i romani tentarono di uccidere l’Apostolo Giovanni in vari modi, ma non ci riuscirono. Alla fine, si arresero e lo fecero sbarcare su un’isola deserta nel Mare Egeo, e durante il suo esilio, per volere di Dio concluse l’ultimo Libro della Sacra Bibbia: l’Apocalisse. È definito il Libro delle Rivelazioni, dove sono descritti in modo dettagliato, gli ultimi avvenimenti che dovrebbero succedere nel mondo, dove la bestia uscirà dalla sua prigione di fuoco e devasterà il mondo, portando con lui i suoi proseliti marchiati con il suo nome, 666. Secondo il l’Apocalisse, vi sarà una guerra che durerà quanto dovrà durare, e soltanto quando Gesù Cristo verrà nuovamente nella Gloria a giudicare i vivi e i morti, imprigionerà la bestia e il suo esercito nelle profondità degli inferi per l’eternità, e si stabilirà la pace. Nascerà un cielo nuova e una terra nuova e, non ci sarà più pianto e dolore, scenderà la Gerusalemme Celeste. Però, prima che avvenga tutto questo, l’uomo dovrà tribolare, soffrire e allo stesso tempo pregare tanto per la salvezza della propria anima, dopodiché dovrà fare anche una scelta, o il bene o il male. Noi fedeli in Cristo, non dobbiamo temere alcun male perché il Signore è con noi, nulla possiamo fare senza Gesù, Lui è la Via, la Verità e, la Vita. Tra poco tempo quando Gesù lo vorrà saremo tutti giudicati, sia da viventi e sia da morenti, e il Signore manderà su di noi il giusto e meritato castigo per le nostre colpe, ma anche il premio eterno a chi lo meriterà. Bisogna in tutti i modi possibili di ribellarsi a satana e non prevalere nei suoi consigli e nelle sue trappole, altrimenti, andremo a finire male, molto male. I tempi che ultimamente stiamo vivendo sono il preambolo di quello che ci dovrà accadere prossimamente e non è confortante, ma, chi confida nel Signore sarà salvo. Quindi dopo un attento discernimento ho ritenuto opportuno indirizzare in questo documento teologico pastorale la tematica della presenza e dell’azione ordinaria e straordinaria di satana e degli angeli ribelli che la Chiesa continuamente combatte e contrasta con tutto il suo essere e operare e, in maniera distinta, con il rito dell’esorcismo e preghiere di guarigione e di liberazione. Quello che mi ha particolarmente convinto a intraprendere questo nuovo capitolo è stata una presa di coscienza, riscontrando la moltitudine di persone sparse per il mondo che soffrono a causa di satana e invocano il ministero dell’esorcistato in comunione con la preghiera della Chiesa. Inoltre, secondo alcune ricerche che ho effettuato, ho riscontrato nel nostro territorio come tante persone sono consacrate al satanismo. Comunque, al di là di dati, è fuori di ogni controverso che esiste l’esigenza pastorale di venire incontro alle persone che chiedono la carità della preghiera della Chiesa per avere la salute dell’anima e ritrovare la serenità e la pace della vita. A darmi stimolo a scrivere questo documento è stata soprattutto una frase di Gesù che ripeteva in continuazione ai suoi Apostoli: “Vedevo satana cadere dal cielo come una folgore” (Lc 10,18), i discepoli, pieni di gioia, raccontavano al Maestro i frutti raccolti nelle loro prime esperienze missionarie. Meditando questa frase di Gesù, ho capito perfettamente, che l’annuncio del Regno di Dio è sempre una vittoria su satana e, secondo, che l’edificazione del Regno è continuamente esposta alle insidie e alle tentazioni dello spirito del male, che si infiltra da per tutto. Ora ci domandiamo: chi è Satana? La Sacra Scrittura ci da una mano di aiuto fornendoci alcuni preziosi elementi per poter sviluppare una risposta a questa nostra domanda. Nella Lettera di san Giuda, infatti, troviamo scritto: “e tiene in catene eterne, nelle tenebre, per il giudizio del grande giorno, gli angeli che non conservarono il loro grado ma abbandonarono la propria dimora” (Gd 1,6). Invece, nella sua seconda Lettera di San Pietro ci parla di “angeli che avevano peccato” e che Dio “precipitò in abissi tenebrosi, tenendoli prigionieri per il giudizio” (2Pt 2,4). Dio li precipitò negli abissi per la libera scelta che avevano operato di rifiutare Dio: da principio il diavolo è peccatore” (1Gv 3,8); “Egli era ed è omicida fin da principio e non stava saldo nella verità, perché in lui non c’è verità. Quando dice il falso, dice ciò che è suo, perché è menzognero e padre della menzogna” (Gv 8,44). Tutte queste indicazioni bibliche sono state valorizzate dalla tradizione magisteriale che viene così riassunta dal Catechismo della Chiesa Cattolica: “Dietro la scelta disobbediente dei nostri progenitori Adamo e Eva, c’è la voce seduttrice del tremendo nemico infernale, che si oppone con tutte le sue forze a Dio, la quale, per invidia e gelosia, perché siamo stati creati a sua immagine e somiglianza, li fa cadere nel peccato e nella morte eterna. La Scrittura e la Tradizione millenaria della Chiesa, ci insegnano che questo essere immondo è un angelo decaduto si duo spontanea volontà, chiamato satana o diavolo. La Chiesa fin dalla sua nascita insegna che all’inizio era un angelo buono, il più splendente del Paradiso, creato da Dio per obbedire alla sua volontà. “Diabolus enim et alii dæmones a Deo quidem natura creati sunt boni, sed ipsi per se facti sunt mali” Il diavolo infatti e gli altri demoni sono stati creati da Dio naturalmente buoni, ma da se stessi si sono trasformati in malvagi”.All’interno del Catechismo della Chiesa Cattolica, troviamo brevi e preziosi spunti, ci illustrano dettagliatamente il peccato consumato da satana e degli altri demoni, che hanno causato la loro rovinosa caduta per l’eternità: “La Scrittura parla di un peccato di questi angeli. Tale “caduta” consiste che questi spiriti creati, con libera scelta, radicalmente ed irrevocabilmente senza via di ritorno, hanno rifiutato Dio e il suo Regno d’Amore. Troviamo un riflesso di questa ribellione nelle parole che il tentatore rivolse ai nostri progenitori: “Diventerete come Dio, e conoscerete il bene e il male” (Gn 3,5). “dato che il peccato degli angeli non possa essere perdonato è il carattere irrevocabile della loro scelta, e non un difetto dell’infinita misericordia di Dio, non esiste una minima possibilità di pentimento per loro dopo la caduta, come non c’è possibilità di pentimento per gli uomini dopo la morte, se vengono trovati in peccato mortale” La Scrittura attesta la nefasta influenza di colui che Gesù chiama «omicida fin dal principio» (Gv 8,44), e che ha perfino tentato di distogliere Gesù dalla missione affidatagli dal Padre, ma, Il Figlio di Dio è venuto nel mondo sotto le sembianze umane per distruggere le opere del diavolo (1Gv 3,8). Di queste opere, la più grave nelle sue conseguenze è stata la seduzione subdola e menzognera che ha indotto l’uomo a disobbedire al comando di Dio. In questo modo, satana e gli altri demoni sono sempre pronti a minare e a distruggere tutti i valori fondamentali di ogni essere vivente che rendono autentica la vita spirituale e quella umana: la verità, il bene, la giustizia, la grazia e l’amore. Nel Libro della Sapienza troviamo scritto: “per l’invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo e ne fanno esperienza coloro che le appartengono” (Sap 2,24). A fronte di tutto questo, Gesù avverte: “abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geenna, l’anima e il corpo” (Mt 10,28). La fede cattolica tramessa dagli Apostoli, ci insegna che satana tenta in continuazione senza riposarsi mai di esercitare il suo potere e dominio sull’uomo, per condurlo nel suo regno di terrore e sofferenza eterna. Sta a noi essere sempre vigilanti e non farci ingannare dalle sue malizie e tranelli. Questa dottrina che la chiesa ci insegna, trova il suo fondamento basilare nei testi della Sacra Scrittura dove satana è chiamato “il principe di questo mondo” (cf. Gv 12,31; 14,30; 16,11), e persino il “dio di questo mondo” (2Cor 4,4). Anche altri nomi vengono usati dal nostro nemico per presentarsi all’uomo: Beelzebul o Belial, spirito immondo, tentatore, maligno e anticristo (1Gv 4,3). San Pietro nei suoi scritti lo paragona a un leone ruggente che va in giro per il mondo a divorare le anime, resistetegli saldi nella Fede, (1Pt 5,8), l’Apocalisse a un drago con sette teste e la Genesi a un viscido serpente. Viene utilizzato con frequenza il termine diavolo dal greco diaballein da cui diabolos, che significa causa di distruzione, dividere, calunniare, ingannare, nuocere, avvelenatore di anime. Inoltre, la Sacra Scrittura lo identifica come da spirito che è, che può presentarsi come una persona, ma anche come Legione: “Il mio nome è Legione, gli rispose, perché siamo in molti”, gridano i diavoli a Gesù nella regione dei Geraseni (Mc 5,9); “il diavolo e i suoi angeli ribelli”, dice Gesù nella descrizione del giudizio futuro (cf. Mt 25,41). Nel Nuovo Testamento troviamo l’avvertimento che il potere e il dominio di satana e degli altri spiriti maligni non si limitano all’ambito dell’umano ma riguardano tutto il mondo: “Tutto il mondo giace sotto il potere del maligno” (1Gv 5,19). Queste parole dell’Apostolo Giovanni alludono anche alla presenza di satana e degli altri demoni in tutta la storia dell’umanità, come una presenza che si intensifica man mano che l’uomo e la società si allontanano da Dio, offuscati dalle tenebre del peccato. Inoltre, se si considera con attenzione la parabola di Cristo sul campo del contadino, esso deve essere inteso come il mondo, vi è il buon seme e quello cattivo come la zizzania, risulta chiaro che il diavolo semina con l’intenzione di sradicare dal mondo il bene che in esso è stato seminato (Mt 13,38s). quindi, il buon seme va coltivato e custodito con la vigilanza (cf. Mt 26,41; 1Pt 5,8), il digiuno (cf. Mt 17,21) e la preghiera, sono indispensabili per tenere lontano da noi il diavolo e le sue seduzioni: “Questa specie di demoni in nessun altro modo si può scacciare se non con la preghiera” (Mc 9,29). Lo scenario tenebroso delineato dalla presenza e dall’azione di satana nel mondo non ci deve indurre allo sconforto e alla paura, perché, la fede della Chiesa ci insegna che “La potenza di satana e dell’inferno non sono infinite. Egli non è che una creatura, potente per il fatto di essere puro spirito, ma pur sempre una creatura: egli non può impedire l’edificazione del Regno di Dio sulla terra. Sebbene satana agisca nel mondo per odio contro Dio e il suo Regno in Cristo Gesù, e nonostante la sua azione causi gravi danni di natura spirituale e indirettamente anche di natura fisica per ogni uomo e per la società, questa azione è permessa dalla divina provvidenza per mettere alla prova la fiducia dell’uomo sul suo Creatore, la quale guida la storia dell’uomo e del mondo con forza e dolcezza. La permissione divina dell’attività diabolica è un grande mistero, ma «noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio» (Rm 8,28)” Dalla Fede giunge una luce confortante e un messaggio di speranza, perché ci insegna che se l’azione di satana causa molti danni ai singoli e alla società, egli non può ostacolare l’edificazione del Regno di Dio, nel quale si avrà, alla fine, la piena attuazione della giustizia e dell’amore del Padre verso le sue creature. Possiamo anzi dire con san Paolo che l’opera del maligno concorre al bene (cf. Rm 2,28) e che serve a edificare la gloria degli eletti (cf. 2Tm 2,10). Quindi, teniamo ben ferma questa importante verità cristiana: anche se il potere e il dominio di satana sono forti, essi non giungono mai ad annullare la nostra libertà e la responsabilità e nemmeno a mortificare in maniera irreparabile l’azione salvifica di Cristo. A questo riguardo, risultano assai illuminanti le parole che Gesù rivolse a Pietro all’inizio della passione mentre erano riuniti nel Cenacolo: “Simone, ecco satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te perché non venga meno la tua fede” (Lc 22,31). Nella Preghiera del Padre nostro, Gesù ci avverte che per salvarci dalla nostra condizione di esposti alle insidie del maligno dobbiamo pregare con fiducia e costanza, invocando ininterrottamente il Padre con lo spirito di Gesù, e dobbiamo gridare con tutta la forza della nostra fede: Signore fà che non soccombiamo alla tentazione e liberaci dal male e dal maligno! Tutta la storia dell’umanità si può considerare in funzione della salvezza, che comporta la vittoria di Cristo sul «principe di questo mondo» (Gv 12,31; 14,30; 16,11). «Solo al Signore Dio tuo ti prostrerai, lui solo adorerai» (Lc 4,8), dice Cristo a satana nel deserto durante le tentazioni. In uno dei passaggi più difficili ma fondamentali del suo ministero, i farisei sono giunti al punto di accusarlo di scacciare i demoni in nome di Belzebù. Gesù risponde con queste parole, severe ma allo stesso tempo confortanti: “Ogni regno discorde cade in rovina, e nessuna città o famiglia discorde può reggersi. Ora, se satana scaccia satana, egli è discorde con sé stesso. Come potrà dunque reggersi il suo regno? E se io scaccio i demoni per virtù dello Spirito di Dio, è certo giunto fra voi il Regno di Dio” (Mt 12,25-28). Come leggiamo nella Lettera agli Ebrei, “Cristo si è fatto partecipe dell’umanità fino alla croce per ridurre all’impotenza, mediante la morte, colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo e liberare così quelli che erano tenuti in schiavitù” (Eb 2,14s). Nell’orizzonte di questi significativi insegnamenti che la Sacra Scrittura e il Magistero ci indirizza, è opportuno richiamare alcuni orientamenti pastorali, di carattere generale, che si presentano assai utili, soprattutto per noi pastori d’anime nell’esercizio del ministero dell’esorcistato. In primo luogo, è importante che tutte le comunità cristiane siano catechizzate, con rigore teologico e saggezza pastorale, sui temi sopra trattati, mettendo in risalto soprattutto la vittoria di Cristo sulle realtà demoniache. In secondo luogo, le comunità cristiane devono essere preparate e pronte ad accogliere, con amore e rispetto, chi, in un modo o in un altro, si ritiene abbia a che fare l’azione del demonio e possa ottenere sostegno, consiglio e aiuto per la salvezza della propria anima e di coloro che la circondano. Succede che la mancanza di accoglienza spinge queste persone sofferenti a cercare comprensione altrove, e qui vorrei fare il riferimento a: maghi, cartomanti, indovini e imbroglioni di vario genere col rischio di andare incontro a danni, economici, psicofisici e spirituali spesso gravissimi. In terzo luogo, queste persone vanno invitate ad avere fiducia esclusivamente in Gesù Cristo nostro Signore, perché Egli “è l’unico Mediatore tra Dio e gli uomini e non vi è altro nome sotto il cielo e sottoterra nel quale possiamo essere salvati” (cf. At 4, 12). In quarto luogo, è necessario coinvolgerle in una personale e umanizzante esperienza di fede, scandita da una preghiera fervorosa, dall’ascolto e dall’adesione alla Parola di Dio, dalla partecipazione ai Sacramenti, in modo particolare all’Eucarestia e alla Confessione settimanale, dall’impegno caritativo verso i poveri, sofferenti e abbandonati. Per ultimo e nel caso si prendesse atto che il trattamento prospettato non abbia conseguito i frutti sperati e che non si tratta di malattia psichica, si deve segnalare a queste persone l’opportunità di incontrare al più presto possibile un sacerdote esorcista. In modo particolare, i sacerdoti, nell’esercizio del loro ministero, si attengano ai seguenti orientamenti pastorali, predisposti con saggezza da noi Vescovi a seguito della pubblicazione dei libri liturgici canonici riguardanti il rito dell’esorcismo:
- “richiamare, con sapienza e prudenza, i fedeli a non ricercare il sensazionale e ad evitare sia la stolta credulità che vede interventi diabolici in ogni anomalia e difficoltà, sia il razionalismo preconcetto che esclude a priori qualsiasi forma di intervento del maligno nel mondo;
- mettere in guardia i fedeli nei confronti di libri, programmi televisivi, informazioni dei mezzi di comunicazione che a scopo di lucro sfruttano il diffuso interesse per fenomeni paranormali;
- esortare i fedeli a non ricorrere mai a coloro che praticano la magia o si professano detentori di poteri occulti o medianici o presumono di aver ricevuto poteri particolari da parte di Dio. Nel dubbio circa la presenza di un influsso diabolico è necessario rivolgersi prima di tutto al discernimento dei sacerdoti esorcisti e ai sostegni di grazia offerti dalla Chiesa soprattutto nei Sacramenti;
- presentare il significato autentico del linguaggio usato dalla Sacra Scrittura e dalla Tradizione della Chiesa e far maturare nei cristiani un atteggiamento corretto riguardo alla presenza e all’azione di satana nel mondo;
- ricordare nella catechesi e nella predicazione che la superstizione, la magia e, a maggior ragione, il satanismo sono contrari alla dignità e razionalità dell’uomo e alla fede in Dio Padre Onnipotente e in Gesù Cristo suo Figlio e nostro Salvatore”
Bene a questo punto possiamo toccare il tema fondamentale per la lotta a satana e al suo mondo infernale. L’esorcismo è una preghiera pubblica e solenne della Chiesa che è utilizzata per contrastare il potere del diavolo nell’uomo, negli oggetti, negli animali e in tutto il mondo. Nel Catechismo della Chiesa Cattolica troviamo la seguente definizione: “Quando la Chiesa domanda pubblicamente e con autorità, in nome di Gesù Cristo, che una persona o un oggetto sia protetto contro l’influenza del maligno e sottratto al suo dominio, si parla di esorcismo. In una forma semplice, l’esorcismo è praticato durante la celebrazione del Battesimo. L’esorcismo solenne, chiamato “grande esorcismo “, può essere praticato solo da un presbitero e con il permesso scritto del Vescovo diocesano”. L’essenza dell’esorcismo è l’ordine e il comando con autorità, impartito al demonio nel nome di Gesù, di lasciare il posseduto o di liberare dalla sua influenza luoghi, cose o persone. Nell’esorcismo al demonio non si chiede nulla, vale a dire non si dialoga, al demonio si comanda solo tre cose: 1) chi sei, o come ti chiami: 2) quanti siete; 3) quando te ne vai. Esso è un sacramentale che agisce ex opere operantis ecclesiae, ossia per la forza della preghiera della Chiesa che prega. Ad esercitare questo ministero nella Chiesa sono, in primo luogo e per diritto divino, i Vescovi. “Gesù ne scelse dodici perché stessero con lui, per inviarli, e perché scacciassero i demoni nel suo Santo nome” (Mc 3, 14-15) – e, con loro, anche i sacerdoti che hanno ricevuto dal Vescovo il mandato esplicito di fare esorcismi. Essi devono essere uomini di pietà, di scienza, di prudenza e di integrità di vita (cf. Can. 1172 §1 e 2). I sacerdoti esorcisti possono accogliere le persone purché, nel limite del possibile, presentate dal proprio parroco o da altro sacerdote che conosce la storia della persona interessata e, sono chiamati ad agire seguendo le norme prescritte nei numeri 13-19 del nuovo Rito degli Esorcismi (De exorcismis et supplicationibus quibusdam). I sacerdoti, ai quali è affidato il ministero di esorcista, in modo stabile o «ad actum», devono esercitare tale ministero con prudenza e sempre sotto la guida del Vescovo diocesano, al quale riferiranno regolarmente con relazione scritta sull’esercizio del loro ministero. È vietato a chi è esorcista estendere la sua facoltà ad altre persone anche se sacerdoti, poiché il ministero di esorcista non è mai delegabile. È vietato ai sacerdoti non muniti dell’incarico di esercitare il ministero di esorcista e ai laici pronunciare preghiere di esorcismo contro le persone possedute. I sacerdoti “non esorcisti” possono pregare per la liberazione delle persone dal male e dal maligno, ma non possono esorcizzare. Le preghiere cosiddette di guarigione o di liberazione non devono mai sfociare nell’esorcismo. Per quanto riguarda lo svolgimento della preghiera di esorcismo sulle persone possedute e sugli oggetti contaminati dall’influsso demoniaco, si può utilizzare, sia nella forma invocativa, sia in quella imperativa, quindi l’esorcista dovrà seguire scrupolosamente il nuovo rituale, perché, con il diavolo e i suoi spiriti infernali non si gioca e non si scherza. I gesti che possono essere compiuti durante l’esorcismo devono essere caratterizzati da una grande sobrietà, in modo che l’esorcismo “manifesti la pienezza della fede della Chiesa e impedisca di essere interpretato come atto di magia o di superstizione” Il sacerdote esorcista procederà alla preparazione e alla celebrazione dell’esorcismo solo dopo aver raggiunto la certezza morale mediante il discernimento e la preghiera sulla reale possessione diabolica del soggetto, utilizzando i criteri tradizionalmente seguiti per individuare simili casi, e avvalendosi della consulenza di persone esperte in medicina e in psichiatria che, come consulenti, faranno parte integrante del Gruppo diocesano dei sacerdoti esorcisti. In presenza di comprovati disturbi psichici o fisici il sacerdote esorcista non procederà al Rito, ma accoglierà ugualmente le persone sofferenti con carità e le raccomanderà al Signore. In caso di persone minorenni va richiesta un’autorizzazione scritta dei genitori, i quali devono essere presenti per tutta la durata dell’esorcismo. Per tutti i fedeli provenienti da altre Diocesi possono far ricorso all’esorcista diocesano, previa presentazione e autorizzazione scritta dell’Ordinario di loro appartenenza. La Chiesa con prudenza permette ai laici di sostenere l’esorcista con la propria preghiera. Essi, però non potranno mai pronunciare preghiere dell’esorcismo, ma invece, sono esortati a pregare intensamente secondo quanto previsto dal Rito. Per la delicatezza della cosa e il rispetto delle persone è vietata la presenza e l’utilizzo di mezzi mediatici, telefonini, giornalisti, e quant’altro. Come dicevamo, dato che, l’esorcismo è una preghiera potente, solenne e pubblica fatta con l’autorità della Chiesa, le preghiere di guarigione e di liberazione hanno una forma privata. Esse possono essere recitate da chiunque intenda chiedere al Signore per sé o per gli altri la guarigione e la liberazione dal male, confidando sempre nella forza della Spirito Santo. Infatti, la Congregazione per la Dottrina della Fede a suo tempo è stata molto chiara: “ad ogni fedele è lecito elevare a Dio preghiere per ottenere la guarigione”. Però, tali preghiere vanno opportunamente formulate in un contesto di fedeltà in piena comunione alla dottrina cattolica e con l’attenzione a non scivolare mai verso forme che potrebbero generare equivoci e incomprensioni. Preferibilmente queste preghiere vanno fatte in ambiente privato e in piccole comunità. Quindi, la Chiesa fin dalle sue origini e pellegrina sulla terra, è sostenuta da questa consolante verità: “Il principe di questo mondo è stato giudicato” e “il Figlio di Dio è apparso per distruggere le opere del diavolo” (1Gv 3,8), (Gv 16,11). Il Cristo crocifisso morto e risorto si è rivelato essere più forte del diavolo. Alla vittoria di Cristo sul diavolo è associata la Chiesa, che ha ereditato da Cristo mediante i successori degli Apostoli il potere di cacciare i demoni (Mt 10,1 e ss.). La Chiesa medesima con la Potenza che viene da Dio esercita tale potere mediante la Fede in Gesù Cristo nostro Signore e la preghiera che si innalza unanime da tutti i suoi figli sparsi sulla terra (Mc 9,29; Mt 17,19s), che, in determinati casi specifici e vitali per tutte le anime, può assumere la forma dell’esorcismo. In questo momento storico della vittoria di Cristo sul, peccato, sulla morte e sul demonio, si traccia la prospettiva della Parusia, ossia, la seconda e definitiva venuta di Cristo, come Giudice dei vivi e dei morti alla conclusione della storia, verso la quale è proiettata la vita di ogni singolo cristiano. Anche se è reale che la storia di noi esseri umani continua a svolgersi sotto l’influsso di “quello spirito che, come dice san Paolo, ora opera negli uomini ribelli” (Ef 2,2), i credenti in Gesù Cristo sanno di essere chiamati a lottare con tutte le forze per il definitivo trionfo del Regno di Dio, e l’annientamento del diavolo e delle sue opere demoniache: “la nostra battaglia infatti non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i principati e le potestà inverse, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che si aggirano per il mondo a divorare le povere anime.
CAPITOLO VII
La Fede, la Preghiera, sconfigge il demonio e le sue legioni
La conoscenza solo intellettuale che l’uomo adopera costantemente nei confronti di Dio serve a poco. A Lui interessa nel corrispondere necessariamente una adeguata vita spirituale, la quale si esprime principalmente nella preghiera. Essa è la base e punto di partenza per una solida vita interiore è la Sacra Scrittura, che utilizziamo ha le formule di preghiera, che spesso fanno riferimento a quanto Dio stesso ci ha rivelato per mezzo dei Profeti, e suo Figlio Gesù Cristo. La preghiera dei salmi ci aiuta molto a capire il modus orandi dei figli di Dio, e ci mette in guardia dalle insidie del demonio. In queste preghiere che non sono solo composizioni poetiche più o meno elaborate, Dio stesso ci ha voluto insegnare come vuole essere lodato, ringraziato e richiesto. Servirsi di esse vuol dire entrare spiritualmente in un dialogo d’amore fraterno che Dio stesso ha voluto. Nella preghiera dei salmi troviamo tutti gli stati d'animo che caratterizzano la nostra vita, in questa valle di lacrime e, nel prolungamento del respiro della Trinità nell'uomo. L'anima di ognuno di noi è chiamata a diventare sposa della Santissima Trinità e per questo, si dedica assiduamente alla preghiera, che altro non è che un dialogo costante tra l’amante di Dio e l'oggetto del suo amore, che proprio perché è infinito necessita da parte dell'uomo sua creatura, un amore che tende all'infinito. Per questo in Dio l’anima sperimenta la sua pace, il suo amore, nel suo abbraccio c’è la sua piena realizzazione, in questo rapporto il fine della sua esistenza. Gesù stesso ci dice che verrà il tempo della consolazione. È quando lo Sposo non risponde e l'anima sembra annichilita dal peso della tristezza è quello il momento della fedeltà al nostro Creatore. È facile essere fedeli a Dio nel momento della gioia; è quando ci troviamo difronte il momento della privazione di qualcosa che noi desideriamo, si manifesta in ogni cuore e in ogni anima l'amore disinteressato, ed è proprio in questi momenti bui, che Dio ascolta le nostre preghiere e pretende la nostra fedeltà. Se non prendi la propria Croce e non mi segui, non sei degno di me. Possiamo ben dire che tutti coloro che si decidono per seguire una vita di autentica preghiera sperimentano insieme alle consolazioni (le gioie pure del Signore), anche un senso di smarrimento legato alla desolazione, alla tentazione, ai problemi che la vita giornalmente e puntualmente ci offre, l’anima sperimenta la prova della fede nella fedeltà al Signore. Prendiamo ad esempio Abramo, che fu condotto da Dio su un monte e lì doveva sacrificare il suo unico figlio Isacco. Quella sì che è un’autentica prova di fedeltà a Dio. Bene ora rispondiamo a questa semplice domanda. Cos'è la preghiera? La preghiera è il dialogo che si istaura tra l’uomo e Dio, è il respiro dell'anima. Se un uomo, una donna, un giovane, un bambino non pregano possiamo dire che è come morto alla vita spirituale. Poiché, l’anima è il motore del corpo possiamo dire che colui che non prega è un morto che mangia e cammina. La vita cristiana si sviluppa tutta in questo dinamismo, in questo rapporto intimo, personale e anche comunitario con il Signore. Coloro che non vivono questo rapporto sembrano orfani sballottati dalle tenebre fra le vicissitudini del mondo, che come un mare in tempesta non esenta nessuno dalle prove della vita. Abbiamo bisogno di riscoprire il senso della preghiera partendo dalle formule collaudate dal tempo ma anche sperimentando la perenne novità dello Spirito di Dio che Gesù ci ha donato a Pentecoste, che talvolta ci chiama a essere solo ascoltatori di quello che egli ci vuole dire. È così bello sentire in noi stessi la voce di Dio che ci parla, ci istruisce, ci illumina sulla via da seguire, ci difende dalle tentazioni del maligno, e ci coltiva per la vita eterna. Perché, noi come sue creature dobbiamo stare in comunione con il nostro Padre Celeste, per questo ci ha creati, per ubbidire sempre ai suoi comandi. Per orazione mentale, questo termine descrive la meditazione ossia, il dialogo con Dio attraverso sempre la preghiera, che porta la nostra anima a stadio più alto, verso la perfezione. Essa può essere svolta in molteplici modi: innanzitutto seguendo la via affettiva, cioè mettendo davanti al Signore tutti gli affetti del cuore e proporsi di amare lui soltanto. Si tratta di una preghiera che parte spontaneamente del cuore che tende a rafforzare la divina unione. Un’altra forma di meditazione può identificarsi con la via immaginativa tanto cara anche al grande Sant'Ignazio di Loyola e alla sua Scuola. In questo tipo di meditazione ci si raffigura agli occhi della mente quei misteri che si vanno meditando, ad esempio, la vita di Gesù, la sua passione, il suo ministero apostolico, e quant’altro. Il terzo modo di meditare si svolge nella via conoscitiva: dal testo sacro si parte per meditare su uno o più punti che da esso si possono estrarre. Ma anche in questo caso si tratta di una meditazione: le considerazioni che vengono astratte dal testo non devono avere un carattere puramente accademico ma devono essere lo sprone per considerazioni inerenti alla vita spirituale. Svolgere la propria orazione mentale dinanzi al Santissimo Sacramento senza pronunciare nulla ma tendendo alla unione con Dio Padre per mezzo del Figlio Gesù nello Spirito Santo è quanto di più bello e santo possiamo fare, in quanto questa via unitiva ci condurrà all'ascolto e alla adorazione del divino volere. Le divine ispirazioni, che sono frutto di questo dialogo di amore fra lo Sposo (Dio) e la sposa (l'anima), potranno poi essere presentate al direttore spirituale per un attento discernimento più approfondito. Come dicevamo precedentemente, la Preghiera di Lode è un’arma potentissima contro il diavolo e le sue schiere diaboliche. Si aggrega ad essa, la Preghiera di Guarigione e di Liberazione, che caccia via il diavolo con i suoi satelliti, tutti i credenti e a coloro che sono stati toccati da lui, la guarigione del corpo e dello spirito, ma, principalmente recuperano la Fede che hanno perduto. Per capire effettivamente quando una persona è vittima del male occulto, ci sono tre tappe fondamentali da seguire e da verificare:
- L’ossessione diabolica: non agisce dall’interno ma dall’esterno. Per esempio: la semplice tentazione è un’ossessione diabolica. Quante volte una tentazione; della carne, della gola, ci tormenta e non riusciamo a resistere fino a spingerci con tutti noi stessi a cadere nel peccato? Quella è una forma di ossessione diabolica. Questo tipo di ossessione diabolica (la tentazione) è la forma più comune di cui si serve il demonio e nessuno ne va esente, neppure i più grandi Santi. L’anima sperimenta i suoi assalti in tutte le tappe della vita spirituale e umana. Variano le forme, aumenta o diminuisce l’intensità, ma il fatto della tentazione rimane. Anche il Signore volle essere tentato per insegnarci come vincere il nemico delle nostre anime. A volte però il demonio non si accontenta della semplice tentazione. Contro le anime avanzate nel campo spirituale, dispiega tutto il suo potere infernale, dando forti tormenti. Nell’ossessione l’azione diabolica rimane estrinseca alla persona che la patisce Un esempio lampante e concreto di ossessione diabolica è: la disperazione! Infatti, ci opprime, ci mette nella mente pensieri disperati, pessimismo, tristezza, angoscia di ogni tipo… tutte forme di ossessioni per farci cadere nella disperazione, con lo scopo specifico di mancare di fede e fiducia verso Dio. Ci ossessiona con le sue manie di potere, di vana gloria, di lussuria, di ingordigia, di egoismo, invidia, sesso e quant’altro. L’ossessione diabolica si distingue in: Interna ed esterna;
L’ossessione interna: si distingue dalle tentazioni ordinarie soltanto per la sua violenza e durata. Non è facile determinare con esattezza fin dove giunga la semplice tentazione e dove incominci la vera ossessione. Tuttavia, quando il turbamento dell’anima è molto profondo e l’attrattiva verso il male molto violenta è lecito pensare ad una ossessione diabolica. L’ossessione interna può prendere gli aspetti più diversi. Alcune volte si manifesterà in forma di idea fissa sulla quale sembrano concentrarsi tutte le energie intellettuali; altre volte in forma di immagini e rappresentazioni tanto vive, che s’impongono con la forza delle più toccanti e assorbenti realtà; ora causa una ripugnanza quasi insuperabile per i doveri del proprio stato, ora fa desiderare con ardore ciò che è proibito, ecc… Il turbamento dello spirito, dato l’intimo nesso che lega le facoltà, si riflette nella vita affettiva. L’anima, suo malgrado, si sente ricolma di immagini importune, ossessionanti, che la spingono al dubbio, al risentimento, alla collera, all’antipatia, all’odio, alla disperazione, e talora anche a pericolose tenerezze e al richiamo seducente della passione. Il miglior rimedio contro tali assalti è l’orazione, l’umiltà di cuore, il disprezzo di sé, la fiducia in Dio e nella protezione della Vergine Maria, Colei che schiaccia il diavolo sotto i suoi piedi, e la frequenza ai Sacramenti della Confessione e Eucaristia.
- L’ossessione esterna: e sensibile è più appariscente e impressionante, ma in realtà meno pericolosa. Può estendersi a tutti i sensi esterni, come ci dimostrano le vite dei Santi. La vista è vittima di tutta una serie di apparizioni diaboliche. A volte si tratta di immagini abbaglianti, piacevoli. satana non esita a trasformarsi in angelo di luce per ingannare l’anima e ispirarle sentimenti di vanità, di compiacenza di sé, ecc.… Altre volte satana prende forme orribili e minacciose per intimorire i Servi di Dio e allontanarli dall’esercizio delle virtù, come si legge nella vita del Santo Curato d’Ars, di Santa Gemma Galgani, di San Pio da Petralcina e di altri. Altre volte ancora, si presenta in forme seduttrici per trascinare al male, come fece con Sant’Antonio Abate, con Santa Caterina da Siena… L’udito è tormentato con strepiti e rumori spaventosi (Curato d’Ars), con oscenità e bestemmie. L’olfatto percepisce alcune volte i profumi più soavi, altre volte un lezzo intollerabile. Anche il gusto è provato in vari modi. Talora il demonio cerca di eccitare sentimenti di gola producendo la sensazione di cibi succulenti o di liquori deliziosi. Più spesso produce nell’anima una forte sensazione di nausea per impedirle di prendere il sostentamento necessario, o fa apparire nel cibo cose ripugnanti (vermi, mosche… oppure spine, aghi, pietre, frammenti di vetro. Il tatto, diffuso per tutto il corpo, risente in mille maniere la nefasta influenza del demonio. Si avvertono percosse terribili come risulta dalla vita di Santa Caterina da Siena, di Santa Teresa, di San Francesco Saverio e di Santa Gemma Galgani; abbracci e carezze voluttuose, come racconta di sé stesso Sant’Alfonso Rodriguez. Altre volte l’azione diabolica diventa violenta come successe a San Pio da Petralcina.
- Vessazione diabolica: Si ha quando il demonio, senza entrare nel possesso della persona, le infligge i disturbi più vari. Prendiamo l’esempio di quando il demonio tormentava padre Pio o il Curato d’Ars, colpendoli con mali dolorosi e vari, ma senza che questi santi fossero mai posseduti. I fenomeni di vessazione sono di una varietà grandissima. Il demonio può colpire una persona nella salute, negli affetti, negli affari, nella carriera e sul lavoro, in qualunque forma. Si possono tradurre in vessazioni i postumi di divinazione attraverso le carte o attraverso i fondi di caffè, talvolta con disturbi lievi ma seccanti: eruttazioni ed emissioni di aria, per esempio. Se il medico non trova da dove derivano, possono essere dovuti a residui di forme di occultismo generazionale, vale a dire occultismo messo in pratica da nonni o da familiari defunti. Alle volte sono disturbi dolorosi, che una persona può offrire a Dio per la salvezza delle anime, ma che possono anche allontanare da Dio, immettendo nell’individuo sentimenti di ribellione.
- Possessione diabolica: La possessione si definisce come il fenomeno per il quale uno spirito maligno i demoni o le anime dei dannati albergano in un corpo riuscendo in determinati momenti detti di “crisi” a parlare e a muoversi attraverso di esso, senza che la vittima possa fare nulla per evitarlo (solo il corpo può essere posseduto, mai l’anima).
- Le motivazioni posso essere molteplici. Premettiamo che nulla può avvenire senza che Dio lo permetta: affinché il diavolo possa esercitare su di una persona la sua azione straordinaria, Dio deve permetterlo. Il motivo, poi, per il quale Dio possa permettere ciò, a noi non è dato di conoscerlo. Ci basti sapere che qualunque cosa Dio faccia o permetta che accada è comunque per la nostra santificazione: Dio è l’unico capace di ricavare il bene anche dal male stesso. Volendo semplificare, potremmo dire che in genere sono quattro i motivi per i quali si potrebbe rimanere posseduti dal diavolo. Vediamoli e analizziamoli insieme.
- Una maniera “classica” e frequente di rimanere vittime dell’azione straordinaria del demonio è a seguito di un tremendo maleficio. Fate attenzione: non solo chi lo riceve, ma anche chi lo fa spesso rimane vittima del demonio. Naturalmente colui che lo riceve in questo caso non ha colpe: qualcuno potrebbe volergli nuocere invocando l’intervento del diavolo, magari per odio, per risentimento, per invidia… Può trattarsi di fattura, malocchio, maledizioni, legature, macumba, voodoo, riti satanici, etc. In questi casi bisogna agire come segue: se si è vittime di disturbi diabolici e si scopre che questi sono dovuti a un Maleficio, bisogna pregare intensamente invocando le benedizioni e la protezione di Dio. Prima di tutto, se non si è in uno stato di grazia bisogna andarsi a confessare e purificarsi l’anima con l’Eucaristia. successivamente bisogna condurre una autentica vita cristiana e pregare perché Dio che ci conceda la liberazione e la guarigione del corpo e dello spirito. Qualunque preghiera va bene, ma si raccomanda nello specifico di andare frequentemente a Messa, di ricevere la Comunione Sacramentale, di recitare il Santo Rosario alla Vergine Maria e di meditare la Parola di Dio. È molto utile pregare per la persona che invocando il demonio ha desiderato e cercato il nostro male: perdonatela, chiedendo a Dio di benedire la sua vita, nella speranza, che ritorni sui suoi errori e si converta davanti all’Altissimo. Non dimenticate mai che il bene è più forte di qualunque male! Se si è autori di un Maleficio, invece, avendolo commissionato a un mago o avendolo desiderato nel proprio cuore con invocazioni al demonio, bisogna pentirsene immediatamente; bisogna ricorrere subito ad una confessione generale, poi fare la Comunione sacramentale, possibilmente durante la Santa Messa e pregare ardentemente, perché, Dio protegga e benedica la persona destinataria del maleficio. In entrambi i casi, per giungere alla cessazione dei disturbi satanici, bisogna “convertirsi” ad un’autentica vita di fede, preghiera e tanta penitenza.
- Un altro caso potrebbe ricondursi alla possibilità che Dio accorderebbe al diavolo di esercitare la sua azione straordinaria sui Santi, per i quali l’Onnipotente potrebbe permettere il tormento diabolico perfino la Possessione, al fine di sublimarne l’anima nell’esercizio delle Virtù. Qui quando abbiamo a che fare con un’azione del demonio volta a tentare quella persona, il fine ultimo e di farla rinunciare alle vie di Dio.
- Certamente, poi, il persistere di una persona in una situazione di peccato gravissima e protratta nel tempo è di certo un buon presupposto perché il male possa prendere piede nella sua anima mediante un’azione, appunto, straordinaria. Come faceva notare padre Amorth, esorcista italiano, di recente tornato alla Casa del Padre, in una delle sue tante interviste, si espresse che un esempio di questo atteggiamento lo possiamo ritrovare nel caso di Giuda Iscariota: chissà quanti tentativi deve aver fatto Gesù perché potesse vincere la sua cupidigia del denaro e della sua vana gloria.
- Infine, la frequenza di persone e luoghi malefici: è evidente che partecipando a sedute spiritiche o di magia, o consultando maghi e simili, o aderendo a sette sataniche, si aprano volontariamente le porte della propria anima a satana. Sappiate, a tal riguardo, che la Santa Chiesa Cattolica diffida chiunque dall’intrattenersi col diavolo, anche se non nega che ci si possa rivolgere a Dio perché ci liberi dal suo influsso demoniaco.
- Le lingue sconosciute. Uno degli eventi maggiormente riscontrabili nel caso di una possessione diabolica, è la capacità del posseduto di parlare lingue sconosciute. Durante gli esorcismi che determinano uno stato di “crisi” nel posseduto tanto da indurre lo spirito demoniaco ad uscire allo scoperto, gli indemoniati parlano lingue antiche e a loro sconosciute, come il greco, il latino, l’aramaico… Altre volte parlano lingue che sembrerebbero essere senza senso e del tutto ignote anche agli stessi esorcisti.
- La forza straordinaria. Altro fenomeno riscontrabile durante gli esorcismi, è la straordinaria forza dimostrata dal posseduto: non a caso si è spesso costretti, durante l’esecuzione del rito, ad immobilizzare gli indemoniati ricorrendo a cinte di costrizione o, più spesso, all’aiuto di persone in grado di tenere fermo il “paziente”: ciò, naturalmente, per evitare che il posseduto possa nuocere a sé stesso o agli altri.
- L’avversione al sacro. È risaputo che, spruzzando dell’acqua benedetta o esorcizzata sull’indemoniato, questi tenderà a contorcersi e a dimenarsi come se fosse stato costretto a subire un atroce supplizio; lo stesso accade per qualunque altro oggetto sacro o benedetto, come potrebbe essere una Bibbia o un crocifisso. Questo fenomeno, riscontrabile in pressoché tutti i casi di possessione, è estremamente indicativo della presenza di uno spirito malefico in un corpo umano, perché qualora fosse replicato con della semplice acqua non benedetta – senza che il posseduto ne sia a conoscenza – si avrebbe modo di constatare che la reazione non sarebbe né di sofferenza né di orrore. Nei casi più evidenti di possessione, questa avversione può arrivare a manifestarsi con degli eccessi di furia che si accompagnano a bestemmie e insulti nei confronti dell’oggetto sacro/religioso, il rendere note cose distanti oppure nascoste. E la levitazione.
Il potente Nome di Gesù, piega e sottomette ogni demone a dare piena obbedienza a Lui, con Lui, (Gesù), nessun demone, anche il più potente, ha vita facile. Per evitare gli attacchi del nostro nemico il diavolo, bisogna avere una Fede genuina, che si rafforza giorno per giorno con la Preghiera e la Vigilanza, caratterizzata da un fiducioso abbandono all’Amore paterno del Nostro Creatore. In questo mondo prigioniero e sottomesso dalla potenza malefica, bisogna lottare continuamente, per difendere la Legge di Dio, che viene violata ininterrottamente con scandali e peccati gravi. Soltanto il Nome di Gesù può dissipare le tenebre del peccato e far entrare la Sua Luce che illumina la notte eterna. Con Dio non si scherza, Lui è buono, pietoso e misericordioso, ma è anche giudice supremo del Tribunale Divino, è non si fa prendere in giro da nessuno, quando Lui castiga, lo fa per insegnarci l’educazione, come un Padre premuroso che rimprovera il proprio figlio, per aver commesso un errore. Per questo motivo è stato istituito da Cristo stesso il Sacramento della Riconciliazione, per chiedere perdono a Dio per i nostri errori e, riallacciare quel filo invisibile che ci lega a Lui fonte di ogni bene, spezzato a causa del peccato, così da poter entrare nuovamente in amicizia con Lui. Gesù, in tutti i Suoi discorsi ci dice: “Vigilate, perché, il diavolo è come un leone ruggente che va in giro a divorare le anime, resistetegli saldi nella Fede” “Io sono la Luce del mondo, chi segue Me non resta deluso” L’Apostolo Giovanni cita nel Suo Vangelo, che Gesù è la Luce vera che rischiara la tenebre del peccato, molti la videro e la rifiutarono, ma altri l’hanno accolta e, dopo averla accolta la manifestarono al mondo e, il mondo non accettandola in parte, li eliminarono. Bisogna capire un concetto fondamentale, fuggire dal peccato evitandolo come la peste nera e, non bisogna in nessun modo o caso dare confidenza al diavolo, quando si presenta con la più banale delle tentazioni, dobbiamo respingerlo con tutte le nostre forze. Mai, dico mai, acconsentire alle sue seduzioni, che poi ci porteranno sulla via che porta al peccato, e peccando volutamente facciamo la volontà del tentatore e non quella di Dio. Fratelli e Sorelle carissimi, bisogna essere coerenti con Dio, con la Fede e con sé stessi, per essere custodi fedeli del Suo Vangelo. Quando ed ogni volta che il demonio ci tenta e ci costringe con malizia a fare la sua volontà, prendiamo in mano la Corona del Santo Rosario e iniziamo a pregare la Madonna, Colei che l’ha sconfitto sotto la Croce con il suo dolore silenzioso, abbracciando in pieno la volontà di Dio, per il bene e la salvezza dell’intera umanità. Vedrete e constaterete che poco tempo dopo, il demonio scappa e vi lascia, perché non sopporta il Nome di Maria. Fate almeno una confessione sacramentale settimanale e Santa Messa Domenicale. Questa è la cura e la medicina efficace per allontanare il diavolo, da tutto ciò che ci circonda.
CONCLUSIONE
“Per questo il Figlio di Dio si è manifestato, per distruggere le opere del diavolo”. “Tutto il mondo giace nel potere del maligno” (1 Gv 5,19).
Fratelli e Sorelle carissimi, la Sacra Scrittura ci parla dei demoni come di esseri spirituali, dotati di intelligenza, volontà, libertà e potere. Essi, pur essendo angeli ribelli condannati per l’eternità, non hanno perduto la loro natura e, anzi, conservano il loro potere al pari delle loro gerarchie a cui appartenevano. L’accusatore satana e i suoi seguaci fanno uso di questo potere per rendere l’uomo schiavo del peccato e farlo camminare contro la Legge del Signore. Vale la pena di ricordare, a questo proposito, il pensiero di S. Agostino Vescovo quando parlava affermando che se satana avesse da Dio “mano libera” nessuno di noi rimarrebbe in vita, tutti saremmo condannati all’obblio. Il diavolo come ben sappiamo è “il padre della menzogna” (Gv 8,44), il suo modo di operare avviene principalmente attraverso la tentazione e l’inganno. Il diavolo è il più grande bugiardo per eccellenza, è astuto, è molto più intelligente di noi, e sa meglio di chiunque altro come indurci prima alla tentazione poi subentra il peccato. Egli ha un grandissimo potere di seduzione. Ci basti pensare a Adamo ed Eva e al subdolo inganno che ha teso loro convincendoli a disobbedire ai comandi di Dio. Senza considerare, poi, che ha cercato in tutti i modi di sedurre anche Cristo, e non solo in maniera diretta con le tentazioni nel deserto, ma anche per mezzo di Pietro. Così Gesù si riferiva al capo degli Apostoli: “Va’ via da me, Satana! Tu mi sei di inciampo, poiché i tuoi sentimenti non sono quelli di Dio, ma quelli degli uomini” (Mt 16,23).
In breve, potremmo dire che i poteri del demonio sono fondamentalmente questi:
- Può indurre l’uomo in tentazione (“azione ordinaria”); Può provocare sull’uomo, sugli animali e sulle cose, mali, influssi e disturbi Malefici (oppressione, vessazione, possessione, infestazione, etc. – “azione straordinaria”);
- “Allora, dopo il boccone, entrò in lui Satana” (Gv 13,27). Vi era una donna che da diciotto anni uno spirito maligno teneva inferma. Era curva e non poteva in nessun modo stare dritta” (Lc 13,11).
- Può compiere fenomeni strabilianti e prodigiosi; Or già da tempo c’era nella città un uomo di nome Simone che praticava l’arte magica e faceva strabiliare il popolo di Samaria spacciandosi per un personaggio straordinario” (At 8,9).
- “Allora il faraone convocò i sapienti e gli incantatori, e anche i maghi dell’Egitto, con le loro magie, operarono la stessa cosa. Gettarono ciascuno il suo bastone e i bastoni divennero serpenti” (Es 7,11-12).
Tutto il “potere” che il diavolo ha lo impiega per opporsi ai piani di Dio e per portare gli uomini alla dannazione eterna. Ad ogni modo, qualsiasi cosa possa fare, la fa sempre e solo nella misura in cui Dio gli permette di compierla. Iniziamo col dire che come ci insegnano la Sacra Scrittura e il Magistero della Chiesa Cattolica, Gesù crocifisso e risorto ha già sconfitto satana definitivamente. Nonostante questo, però, il capo degli angeli ribelli continua a combattere instancabilmente contro Cristo e i suoi seguaci. E questa lotta, oggi, è più attuale che mai: satana non solo ha la possibilità di tentare l’uomo, inducendolo al peccato con l’inganno, ma a volte può arrivare persino a possederne il corpo e a infestare luoghi e cose sempre che Dio glielo permetta, altrimenti se ne sta rinchiuso nel suo fetido e nauseante buco. Ma com’è possibile tutto ciò se i demoni sono già stati sconfitti definitivamente da Cristo con la sua morte e risurrezione e condannati al supplizio per l’eternità? Per rispondere a questa domanda dobbiamo entrare nell’ottica secondo la quale la nostra vita terrena altro non è che un passaggio e un tempo di prova. Dio consente a satana di “indurre l’uomo in tentazione” per metterne alla prova la fede. E il diavolo per odio contro Dio e gli uomini lo fa senza sosta, utilizzando al meglio tutte le sue “armi” e tutti i suoi inganni. In effetti bisogna riconoscere che i demoni che sono precipitati sulla terra e sono in attesa della loro condanna definitiva [non a caso si rivolgevano a Gesù dicendogli: “Sei venuto qui per tormentarci prima del tempo?” (Matteo 8,29), su permissione divina conservano ancora un grande potere. Essi mantengono intatta l’intelligenza propria della loro natura angelica e le loro “due potenze spirituali”, che sono la conoscenza e la volontà, anche se la loro volontà, è una volontà perennemente orientata al male e alla distruzione delle sue creature, create a sua immagine e somiglianza, coloro che trovati meritevoli occuperanno i posti a loro riservati, e che i demoni ne furono privati per sempre. I demoni, come puri spiriti, non sono soggetti né a spazio né a tempo, né a materia, né al bisogno di nutrirsi, né di riposarsi. satana e i suoi angeli ribelli non sono soggetti a nessuna delle condizioni umane, ed esercitano tutto il loro potere 24 ore su 24, 365 giorni all’anno senza tregua. Ma non c’è nulla da temere: Dio, permette che l’uomo sia sottoposto a “prova”, ma mai oltre le proprie forze. A questo punto verrebbe da chiedersi: ma allora ogni nostra tentazione è frutto dell’azione di un qualche demonio? No. In realtà affinché noi possiamo essere tentati bastano il “mondo” e la “concupiscenza”. Il mondo ormai contaminato ci manda degli input, che possono arrivarci dalla televisione, da internet, etc. Questi input, poi, facendo leva sulla nostra concupiscenza, si trasformano in tentazioni e successivamente in peccato. A dire il vero, basterebbe già da sola la nostra concupiscenza a indurci in tentazione. Tuttavia, può succedere che in determinati casi si possa subire una tentazione ad opera diretta del demonio. Eva nel Paradiso Terrestre ne fu vittima, e lo stesso Gesù nel deserto. Ad ogni modo per poter essere tentati non è necessario un intervento diretto del diavolo: se così non fosse, del resto, chi avrebbe tentato alla ribellione gli angeli decaduti quando ancora erano in Paradiso? Il Male che oggi circola nel mondo, come è espresso nei messaggi che la Santissima Vergine ci lascia come testimonianze autentiche, il demoni è più scatenato che mai: è una forza spaventosa. Sia chiaro però: questo non vuol dire che il Male ai giorni nostri trionfi imbattuto, quindi non bisogna per niente scoraggiarci, perché Cristo ha già vinto il peccato, ha già vinto il male in ogni sua forma e manifestazione nel momento stesso in cui è morto in Croce per poi risorgere gloriosamente il terzo giorno. “Abbiate coraggio: io ho vinto il mondo” ci dice in Gv 16,33. E ancora in Lc 11,21-22: Egli (Gesù) è il “più forte” che ha vinto “il forte”. Cristo è vincitore del male e noi che siamo battezzati nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo lo siamo con Lui! Il diavolo questo lo sa bene: sa perfettamente che per lui non c’è rimedio, non c’è redenzione, non c’è perdono, sa perfettamente che quando arriverà la fine dei tempi sarà scaraventato definitivamente negli Inferi e lì rinchiuso per l’eternità. Ed è per questo che in odio a Dio e agli uomini fa di tutto per portarsi quante più anime può sedurre all’inferno. Fa tutto ciò solo per odio e per invidia, perché lui in Paradiso non ci torna più. Come affermava San Paolo VI in un suo celebre discorso, il diavolo è un soggetto vivo e reale! Il male non è un concetto astratto, vago, genericamente inteso, no, il male è il diavolo hanno lo stesso obbiettivo quello di dividerci per sempre dalla grazia di Dio. “Il Male oggi non è più soltanto una deficienza, ma un’efficienza, un essere vivo, spirituale, pervertito e pervertitore…” (San Paolo VI Papa 1972). Noi non sappiamo perché delle volte Dio possa permettere che qualcuno venga tentato maggiormente dal diavolo, se non addirittura posseduto. Possiamo solo cercare di avanzare qualche pallida ipotesi: non dimentichiamo che anche grandi Santi subirono vessazioni diaboliche e perfino possessioni. Il motivo non ci è dato di saperlo. probabilmente in alcuni casi Dio ha voluto sublimare quell’anima purificandola con la prova/croce del tormento diabolico. O magari, Dio avrebbe permesso al male di tormentarla per indurla a tornare sulla retta via. Non dobbiamo mai dimenticare che Dio sa ricavare il bene anche dal male. In ogni caso una cosa è certa: Dio è Onnipotente, e il diavolo al confronto è un nulla, è una sua creatura con un certo potere (è pur sempre un angelo decaduto dal Paradiso), ma niente di più che una creatura. Quindi, il diavolo non può nulla se Dio non lo comanda espressamente. Dunque, non ci rimane altro da fare che con tanta umiltà di confidare nella sua Divina Misericordia, e affidarci in tutto nelle Sue mani: se cerchiamo in Dio la nostra forza e il nostro rifugio, nulla potrà turbarci. Ora per concludere riflettiamo su un altro argomento molto importante. Che cosa significa pentirsi? Davanti a te ho riconosciuto il mio peccato, non ho coperto la mia iniquità. Ho detto: Confesserò le mie trasgressioni all’Eterno», e tu hai perdonato l’iniquità del mio peccato. (Salmi 32:5) Il pentimento è la percezione del peccato nel quale noi uomini ci troviamo per natura. È il risveglio della coscienza che si volge verso Dio e chiede umilmente perdono per le proprie colpe. L’uomo che si pente prova un orrore sincero per il male che ha potuto fare, forse non per un peccato particolarmente grave, ma per l’insieme d’una vita nella quale Dio non ha avuto alcun posto nella sua anima. Nel pentimento, c’è un barlume di speranza, un richiamo più o meno articolato alla misericordia divina, che si manifesta in ogni anima, in cui ravveduto dal male fatto, trova pace e ristoro in Dio Creatore, e in Gesù Cristo suo Figlio e nostro Signore. “Chi copre le sue trasgressioni non prospererà, ma chi le confessa e le abbandona otterrà misericordia”. (Proverbi 28:13) Il pentimento si manifesta con un rammarico sincero, con la confessione sacramentale, anzitutto a Dio perché è lui il primo offeso, e poi a quelli ai quali abbiamo potuto causare un torto. Infine, con la riparazione, per quanto è possibile, e l’abbandono dei peccati che sono stati confessati, ci si può accostare all’Eucaristia. Così il pentimento prepara l’anima ad accettare la grazia di Dio. È un primo movimento verso Dio, perché chi si ravvede riconosce il diritto che Dio ha di essere ubbidito. C’è già nella fede nel vero pentimento, perché si confessano i propri peccati è si ha la speranza di ottenere il perdono. Il pentimento è come l’accesso che si apre sotto il bisturi del grande Chirurgo, Dio, e predispone la nostra anima ad accettare la salvezza operata da Gesù Cristo sulla croce. Questa è la vera arma potente, per sconfiggere il male e le sue tentazioni, essere sempre riconciliati con Dio. Il credente, se è caduto nel peccato, conserva il ricordo delle colpe che lo umiliano, ma nello stesso tempo si rallegra della grazia immeritata che gli è stata concessa mediante il pentimento sincero. “Perciò provo disgusto nei miei confronti e mi pento sulla polvere e sulla cenere”. (Giobbe 42:6). I nostri peccati ci rendono impuri, ossia indegni di ritornare a dimorare alla presenza del nostro Padre Celeste. Inoltre, essi producono angoscia nella nostra anima. Tramite l’espiazione di Gesù Cristo, Dio ci ha fornito l’unica via per essere perdonati delle nostre vili mancanze. Egli ha pagato con il suo Sangue sparso sulla Croce il prezzo per i nostri errori in modo che possiamo essere perdonati e riconciliati con Lui se ci mortifichiamo sinceramente nel profondo della nostra anima. Quando ci pentiamo e ci affidiamo alla Sua grazia salvifica, veniamo mondati dalla colpa del peccato commesso, ma perché questo avvenga, dobbiamo passare da un profondo dolore dell’anima a un forte desiderio di non commetterlo più. Non ci può mai essere perdono da parte di Dio, se prima non proviamo rimorso per le nostre colpe……...
Dato a Roma nella Sede Episcopale il 01 Maggio dell’Anno del Signore 2020
Festa di San Giuseppe Lavoratore
+ Salvatore Micalef
Vescovo Ordinario