Prelatura Cattolica SS. Pietro e Paolo

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Giudisdizione Sui Juris per l'Italia
Riconoscimento della Personalità Giuridica Prot. n° 1025/2014 Ufficio Territoriale del Governo di Roma.

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Benvenuti Fratelli e Sorelle in Cristo.

Vi diamo il Benvenuto sul nuovo Sito della Congregazione Religiosa " Santi Pietro e Paolo" in Roma. L'Ente Ecclesiastico, Iscritto nel Registro delle Persone Giudiche al n. 1025/2014 del 30 Ottobre 2014, concesso dalla Prefettura di Roma, con l'accordo del Ministero dell'Interno.
Accetta il Magistero della Chiesa e ne osserva la Sua Dottrina Ufficiale, in piena obbedienza a Gesù Cristo nostro Signore, accetta il Concilio Vaticano II e le Leggi Canoniche interne.
Affidiamo con amore il nostro Sacro Ministero sotto la protezione della Beata Vergine Maria, Madre di Dio e nostra, che ci assista ci guidi e ci protegga sempre da ogni male. Amen. Alleluia.
Cordialmente in Cristo
+ Salvatore Micalef
Vescovo Ordinario
Nuova lettera apostolica mariana image
+SALVATORE MICALEF
PER GRAZIA DI DIO E DELLA SANTA CHIESA
VESCOVO ORDINARIO

Prot. n. 199/2022 v-o

LETTERA APOSTOLICA

“Ave Maria, Virtus, contra insidias malorum”

“Maria vincitrice sul peccato, sul male e sulla morte eterna dell’anima,
investita della Grazia Divina, è il terrore dei demoni”

Eminenze, Eccellenze Reverendissime;
Venerati Diaconi e Sacerdoti;
Cari fratelli e sorelle;
la grazia di Dio nostro Padre e del Signore nostro Gesù Cristo sia con tutti voi. L’argomento di questa nuova Lettera Apostolica si sviluppa sulla potenza della Preghiera dell’Ave Maria, che ogni volta viene ripetuta nel Santo Rosario, schiaccia come un enorme macigno la testa orgogliosa di lucifero e di tutto il suo diabolico inferno. San Padre Pio, grande devoto della Madre di Dio, diceva sempre: “Gualiò, ogni Ave Maria è n’à mazzata in capo a quell’altro”. Questa bellissima, semplice, umile preghiera, fu introdotta come antifona nel Breviario Romano da Papa Pio V, in occasione della Festa dell’Annunciazione del Signore nel 1568. Gesù disse durante un colloquio d’amore a una veggente: “Figliola, prima di venire direttamente da me a chiedere le grazie, dovete passare da mia Madre, a Lei nulla posso rifiutare”. Ecco perché, la figura di Maria è importante per tutta l’umanità sparsa sulla terra, perché fa da mediatrice tra noi e il cielo, ci protegge continuamente dagli attacchi del nemico infernale, che desidera ardentemente la nostra distruzione. L’Ave Maria è composta da una prima parte da dei brani evangelici; tratti dal capitolo che parla dell’Annunciazione del Verbo Incarnato, nel Vangelo Secondo Luca, (Lc 1, 28), “Rallegrati piena di grazia, il Signore è con te”, e l’altro il versetto della Visitazione di Maria a Santa Elisabetta, (Lc 1, 42), “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo”. Soltanto nel XV secolo viene aggiunto alla parte finale il Santo Nome di Gesù, che fa tremare l’inferno fin sotto le sue fondamenta. Nel XII secolo, le comunità monastiche, predicatore, mendicanti, domenicani, francescani ecc. ecc., hanno completato la seconda parte dell’Ave Maria, che si diffuse nella vita e nella fede delle comunità cristiane fino ai nostri giorni. Bisogna aggiungere che la devozione a Maria Santissima nasce principalmente in occidente nel giorno di Natale dell’Anno del Signore 330. Diede spunto nelle loro riflessioni spirituali a grandi teologi come: Sant’Agostino nel 440, a Papa Leone Magno nel 461, componendo bellissime omelie, che nel corso dei secoli furono il punto di partenza di tutta la Teologia Mariana. Ora entreremo a fondo nel nostro argomento, illustrando la struttura di questa bellissima preghiera, che illumina con la Grazia divina, la nostra vita fisica e spirituale di ogni singolo fedele sparso in ogni angolo della terra. È arrivato il momento di porci una semplice e concreta domanda:
D: Qual è realmente il significato dell’Ave Maria?
R: Andiamo per ordine e grado e analizziamo i vari passaggi che la compongono.
  • Ave: È una lode con cui l’Angelo Gabriele inviato da Dio Altissimo durante l’Annunciazione, che porge all’umile fanciulla di Nazareth dicendogli di rallegrassi, e gioire, perché Dio ha scelto Lei prima della creazione degli Angeli e del mondo in tutto ciò che consiste, per attuare il Suo piano di salvezza dell’intera umanità, decaduta e devastata dal potere dell’inferno che l’ha resa schiava e priva di vita. Eravamo come dei morti viventi al servizio attivo del diavolo.
  • Maria piena di grazia: Il nome Maria significa, Colei che è amata da Dio, e gli viene concessa la pienezza della grazia santificante, dalle parole dell’Angelo. Questa umile Vergine che fu concepita senza peccato originale, quindi, rivestita dallo Spirito Santo come sua umile Sposa, divenne Primizia della Chiesa nascente e modello perfetto per ogni cristiano, che con umiltà e devozione si pose sotto la Sua protezione, schiacciando il potere delle tenebre.
  • Il Signore è con te: Questa espressione è riportata nella Sacra Bibbia, e si esprime con la vicinanza di Dio verso il suo popolo, sul piano di tutte le alleanze che ha voluto stabilire con l’uomo, di cui, l’Arca dell’Alleanza è il simbolo di questo Patto stipulato con Abramo, Isacco Giacobbe e Mosè e tutto il popolo eletto. Ora è la Vergine Maria che viene descritta come la vera Arca dell’Alleanza, dove lo Spirito Santo, suo dolcissimo Sposo, irradia la sua zione santificante. Le parole che le vengono riferite dall’Angelo danno a Maria un significato di grande consolazione, rassicurazione, amore filiale con il Signore, che ha scelto Lei, una povera e umile fanciulla come: Madre del Verbo di Dio che si fa carne, il Messia tanto atteso e desiderato dalle genti, che perdona e cancella tutti i peccati del mondo intero, consegnando la sua vita nelle mani dei peccatori, fino al supplizio della Croce.
  • Tu sei Benedetta fra tutte le donne: Queste bellissime parole furono pronunciate da Santa Elisabetta sua cugina, quando, dopo l’annuncio dell’Angelo andò da lei a far visita. In quel momento ha riconosciuto in Maria la Grazia di Dio, che è scesa su di lei, appellandogli il titolo di “Madre del Suo Signore venga a lei”. È un incontro tra due madri che hanno riconosciuto il dono della gravidanza senza contatto umano fisico, dove, la presenza dello Spirito Santo è talmente potente da far esultare di gioia il bimbo di Elisabetta, Giovanni il Battista, nel suo grembo. Dora in poi la Chiesa è chiamata in prima linea ad annunciare la lode di Dio con il canto di Maria, il Magnificat, che la proclama benedetta e beata fra tutte le donne, perché ha creduto pienamente nelle parole del Signore, e sono ricche di un messaggio teologico e antropologico non indifferente. È lo spirito Santo a muovere le labbra di Elisabetta, per dare amore a Maria, che è partita da Nazareth, dopo che l’Angelo gli rivelò che la sua parente aspettava un figlio che chiamerà Giovanni, denominato: il Precursore del Cristo, che in quell’istante ebbero il loro primo incontro nel grembo delle due madri.
  • È benedetto il frutto del tuo grembo: Elisabetta per mezzo di suo figlio riconosce Dio Incarnato in Maria, e benedice questo bambino che si sta formando, come Colui che porta la salvezza a tutta la terra, il tanto atteso Messia, profetizzato nell’Antico Testamento dal Profeta Isaia. Quante volte abbiamo ripetuto queste parole dell’Ave Maria nel Santo Rosario senza pensare, ad approfondire il loro significato, la loro potenza contro le insidie del diavolo. Infatti, la Chiesa festeggia la gravidanza e il parto più importante della storia dell’umanità, inaspettata, che cambia il destino di ogni singolo uomo. Si è fidata ciecamente di Dio, delle sue parole, delle sue promesse, è senza esitare nemmeno per un millesimo di secondo ha pronunciato il suo SI. In quel momento sublime per il Paradiso, dall’altra parte, ha distrutto tutti i piani dell’inferno, accogliendo nel suo grembo immacolato l’Increato, l’Unigenito di Dio Padre Onnipotente. Maria diventa la Madre del Suo Dio. Infatti, Sant’Agostino afferma che: la vergine Maria ha concepito prima nel proprio cuore e successivamente nel suo grembo, quindi prima la Fede e poi il Signore si è rivelato a Lei.
  • Gesù: con questo nome sublime entriamo pienamente nel cuore della preghiera mariana. Come avrete notato, l’Ave si apre con il nome di Maria e si conclude con il nome di Gesù, Colui che salva l’umanità corrotta dai peccati del mondo. In realtà, con Gesù arriva il punto di arrivo del piano di salvezza di Dio, centro vitale del cuore di ogni uomo. Grazie a un Decreto di Papa Urbano IV del 1264, venne scritto e aggiunto il nome di Gesù alla fine della prima parte dell’Ave Maria. È un autentico miracolo che, la Seconda persona della Santissima Trinità, si è fatto uomo rimanendo allo stesso tempo Dio, e fu il protagonista in prima persona sulla terra, dove dovunque andava, beneficava, annunciava la Venuta del Regno di Dio, guariva i malati e li liberava i posseduti dalle forze demoniche che li rendeva schiavi. Nonostante tutto il bene che ha compiuto, a noi uomini, accecati dalla furia del maligno, non lo abbiamo più riconosciuto come nostro Signore e Salvatore, gli abbiamo voltato le spalle considerandolo un pazzo e un esaltato e con le nostre mani, i nostri peccati, lo abbiamo condannato all’umiliazione morale e psicologica, alla tortura più crudele e sanguinaria e infine, lo abbiamo condotto con cattiveria disumana al Calvario e inchiodato su una Croce. Tradito da un suo apostolo, un amico che ha visto con i propri occhi, la Potenza di Dio sulla terra, che ha vissuto con lui, confermando la risposta di Pietro che lo definì “Figlio di Dio”, per trenta miseri denari d’argento, consegnò il Figlio dell’uomo in mano ai peccatori e suoi acerrimi nemici. Ma sorte che gli tocco successivamente, fu terribile e devastante.
  • Santa Maria: Con l’inizio di questa soave proclamazione della santità di Maria, ci introduciamo nella seconda parte della Preghiera. Anche se la santità va soltanto a Dio, la Chiesa nel corso del tempo e dei secoli ha voluto riconoscere a questa nostra Madre il titolo di Corredentrice, affidandole il compito di salvare l’umanità in pericolo, in quanto partecipa in prima persona alla beatitudine divina, essendo entrata in intima relazione con il Mistero di Dio.
  • Madre di Dio: Maria ha avuto un ruolo importante da parte di Dio, fu predestinata prima della creazione degli Angeli e del mondo, ad essere la Madre dell’Increato, che come ben sappiamo dalla Teologia Orientale e dalla sua spiritualità è chiamata: “Theotokos”. Il Verbo di Dio si è incarnato per opera dello Spirito Santo, senza essere stata profanata, o meglio definire, toccata da mano d’uomo. La fanciulla di Nazareth è stata così elevata ad avere un’alta dignità, per compiere il progetto di Dio, di salvare l’umanità, con il sacrificio estremo di suo Figlio Gesù sulla Croce. Questa Madre, sempre amorevole si è presa cura di questo Bambino Divino in tutto ciò che le accorreva. Gesù da parte sua obbediva ai suoi genitori, aiutando il suo Padre Putativo Giuseppe, nella gestione della bottega come falegname. All’età di dodici anni si recarono a Gerusalemme per festeggiare la Pasqua, e all’insaputa dei suoi genitori rimase nel Tempio ad insegnare ai Scribi e ai Sommi Sacerdoti. Quando lo ritrovarono dopo tre giorni di ricerche, Gesù disse ai genitori: Madre, Padre, perché mi cercavate? Non sapevate che devo occuparmi delle cose del Padre Mio? (Lc 2, 41-51). Queste parole Maria li custodiva nel suo cuore, sapendo che quel fanciullo è il suo Dio, fatto uomo. Sul Calvario questa Madre Addolorata divenne anche la nostra, perché ci ha adottati nel dolore e nello strazio del suo cuore e della sua anima, di vedere la cattiveria umana abbattersi come un ciclone su suo Figlio, immolato come vittima sacrificale innocente per noi miseri peccatori. O Maria, Madre di Dio e nostra, resta sempre al nostro fianco, proteggici sotto il tuo manto. Intercedi per noi presso tuo Figlio Gesù Cristo nostro Signore.
  • Prega per noi peccatori: con questa breve affermazione, noi chiediamo alla Madre di Dio di intercedere presso la SS.ma Trinità, per avere la possibilità di ottenere una grazia indispensabile per la nostra vita quotidiana, il lavoro, la salute, la riscoperta e il rafforzamento della nostra Fede perduta. Maria può intervenire in ogni nostro bisogno, soltanto se è per il bene della nostra anima, anche se siamo immeritevoli. La Madonna non ci abbandona mai al nostro misero destino, ma fa di tutto per condurci mano nella mano da suo Figlio Gesù. Questa umile Madre è il terrore dei demoni, ogni volta che noi peccatori invochiamo il suo Santo Nome, le forze del male mollano la presa e svaniscono, ritornando da dove sono venuti, dall’abisso infernale. Lei tutta pura e tutta santa, mai sfiorata dal peccato originale, ma preservata integra per portare alla luce del nostro mondo infetto, l’Increato, che combatte a nostro fianco satana e tutti i suoi angeli decaduti dalla grazia santificante, che ci vorrebbero portare con loro nell’eterna dannazione. Il suo dolce e amabile amore ci consola nei momenti bui della nostra vita, ci offre la possibilità di redimerci, di accogliere, di obbedire, e incarnare dentro la nostra anima Suo Figlio, Parola vivente del Padre che lo ha inviato nel mondo per salvarci. Maria, sempre in continua orazione nella gioia immensa del Paradiso, accanto a Suo Figlio, al Padre e allo Spirito Santo, dona a noi fiducia, ci difende dagli artigli del nostro più acerrimo nemico, e per sua intercessione, Gesù ci concede tutte le grazie che con la preghiera orante chiediamo, ma con determinate condizioni: fare la sua volontà, rinunciare definitivamente al peccato, abbandonandoci totalmente alla Sua Divina Misericordia, tenere a bada le nostre tentazioni quotidiane, essere sempre connessi a Dio con la Preghiera continua e silenziosa che parte dalla profondità della nostra anima e, infine, andare a Messa e accostarsi ai Sacramenti, cibo e bevanda del corpo e dello spirito. Se seguiamo fedelmente la via che Gesù ci ha indicato, accompagnati da Maria, nessuno mai avrà il potere di separarci, in nessun caso, dall’amore Trinitario.
  • Adesso: con il termine adesso si intende ora, in questo medesimo momento, ma che vale per tutto il cammino della nostra vita in questa valle di lacrime. La nostra preghiera continua e accorata verso Dio è necessaria per la nostra fragilità e precarietà umana, quindi, abbiamo il salutare bisogno di aversa assicurata in ogni istante, e Maria nostra Madre ci aiuta in questo delicato compito, per giungere incolumi alla gioia eterna del Regno dei cieli.
  • È nell’ora della nostra morte: questa è l’ultima fase della nostra vita mortale, quando giunge l’ora predestinata a consegnare la nostra anima al Padre per il giudizio temporaneo, che in base alle nostre colpe, possiamo ricevere una condanna di espiazione temporanea in Purgatorio, oppure, una condanna definitiva nelle profondità dell’inferno, dove il verme non muore e la fiamma non si estingue; ovvero, una sorte più bella, godere la gioia senza fine in Paradiso come anime beate al cospetto eterno della SS.ma Trinità, della Madonna, dei Santi e degli Angeli. La chiesa pellegrinante sulla terra invoca la Madre di Dio come nostra soccorritrice e dispensatrice di tutte le grazie divine, che sono depositate nelle mani di questa Grande Madre, che passano attraverso di Lei, l’umile fanciulla di Nazareth, che tiene testa da sola all’inferno e a tutti i suoi errori che sono sparsi sulla terra per colpire la cristianità. È Lei che intercede per noi peccatori incalliti, presso suo Figlio Gesù Cristo, in nostro soccorso. Purtroppo, la nostra via è una perenne tentazione, perché, viviamo senza regole, immersi nella cupidigia del peccato, e nell’orgoglio, credendo che da soli possiamo fare tutto, eh poveri noi come ci sbagliamo. Ma, quando giunge la nostra ora, di passare da questa terra di transito alla nostra vera vita, per alcuni è accettata con gioia, ma per gli altri, che si ritrovano in un istante in luoghi dove non credevano che esistessero, perché, nella loro vita non hanno dato importanza alle Leggi di Dio e non credevano nella sua esistenza, ora sono costretti a viverci in eterno, nel dolore, nella disperazione, e nella maledizione della loro esistenza. Maria è Colei che aiuta l’anima in questo dedicato passaggio, tenendo lontano i demoni che vorrebbero acchiappare quest’anima in agonia, ma, avendo al proprio capezzale il conforto di un sacerdote o di un vescovo che gli amministra gli ultimi Sacramenti, pentita da ogni male commesso nel corso della sua vita, viene condotto/a in Paradiso, o sistemato/a in un luogo dove subisce una pena temporanea in un luogo di purificazione, dove c’è la speranza che quando sarà purificata, vedrà il Volto di Dio e starà eternamente alla sua presenza. Senza una corazza celeste siamo destinati all’eterna perdizione. Questa protezione è la Madonna, baluardo, difesa, fortezza inespugnabile, muro di cinta, bunker che ci ama e ci custodisce, ci difende e ci salva da una brutta ed eterna fine.
  • Amen: questa splendida invocazione si conclude con Amen. È un’acclamazione ebraica che esprime sicurezza e verità. A tal proposito, Dio è chiamato “Amen” perché, è testimone della verità tutta intera. Dunque, questa parola conclusiva in tutte le preghiere e orazioni che preghiamo è un assenso a Dio, che promette ad ogni cristiano la vita eterna, ma, per arrivare alla tanto designata meta, noi miseri peccatori lo dobbiamo dimostrare con l’Atto di Fede quotidiano. Il suo significato si lega al concetto di affidamento, nel senso che: noi peccatori, recitando con vera ed autentica devozione l’Ave Maria o altre preghiere, accettiamo in todo tutte le verità di fede, in modo concreto e indissolubile, e dicendo amen, mettiamo il nostro imprimatur di vera ed autentica Fede. Dire Amen, è anche un gesto di amore verso Maria, ma soprattutto, verso Dio che ci ha affidato Lei come suoi figli.
Perciò, dopo aver riassunto il tutto in ogni dettaglio questa fantastica preghiera, ora siamo più predisposti a metterci alla sequela di Maria, l’unica creatura umana perfetta, per donare alla pienezza dei tempi, l’umanità a Gesù nostro Signore. La spiritualità di Maria è profondamente pasquale, nel senso che: in piena docilità allo Spirito Santo, di cui compie senza opporre resistenza alla volontà del Padre, sempre con l’accordo dell’Increato. Fedele collaboratrice all’opera di redenzione del mondo intero, rifondato dopo il Diluvio Universale, si associa nell’umiltà e nel doloroso silenzio al sacrificio della Croce, amorosamente consenziente alla vittima da Lei generata, che dopo il lungo spasimo della passione e morte di Gesù, ha vissuto in prima persona la gioia sconfinata della resurrezione, sconfiggendo per sempre, il peccato, il diavolo e la morte portata nel mondo dal primo peccato, commesso dai nostri progenitori, Adamo ed Eva, e dall’inferno, origine e causa di ogni male. Maria è la Donna che medita e contempla silenziosamente e con discernimento interiore la vita di suo Figlio Gesù, e lo porta a compimento sul Golgota, nel sacrifico supremo che un Dio possa mai fare, espiare tutti i peccati dell’intera umanità. È la Donna della speranza per eccellenza, che non si ripiega sulla sua persona, ma nella sua semplicità e umiltà, gioisce nell’avere la presenza continua di Dio accanto a Lei nella storia dell’uomo, specialmente nella liberazione dei poveri e degli oppressi. Donna profetica che con la preghiera del “Magnificat”, esalta gli umili, gli abbandonati, li perseguitati, quindi, come serva fedele di Dio, spodestando i ricchi e i potenti, conducendoli passo dopo passo, ad un’autentica conversione, nell’abbandonandosi totalmente nella fede a Dio, anche nei momenti di oscurità, e persevera fino alla fine, quando, si ricongiunge con il suo amato Figlio in Paradiso. Attende in preghiera orante nel Cenacolo con gli Undici, in attesa dello Spirito Santo Santificatore, che darà vita alla prima chiesa nascente, con la manifestazione gloriosa di Suo Figlio Gesù alla fine dei tempi, quando, verrà a giudicare i vivi e i morti e il suo regno non avrà fine. (Credo). Maria è una Madre che ama con amore puro ed incondizionato tutti i suoi figli, e li vuole tutti salvi, e che nessuno si perda. Avere Maria come nostra insegnante nella sua scuola della parola e dell’ascolto, è un dono prezioso che Dio nella sua profonda bontà poteva donarci. Ora sta a noi mettere in pratica quello che abbiamo appreso, non è facile, ma con il suo aiuto e la nostra costanza possiamo farcela, nonostante, il nostro crudele nemico che cerca giorno dopo giorno di ostacolarci. Però avere la presenza di Maria nel nostro quotidiano è fondamentale, perché, ci unisce in un legame d’amore con Cristo, che ci dispensa le grazie necessarie per la nostra vita in questa valle di lacrime, e noi come suoi figli, che siamo stati partoriti nel dolore sul Golgota, dobbiamo essere consapevoli che il suo affetto non ci abbandonerà mai, ma dobbiamo portarle rispetto, amarla come amiamo la nostra madre carnale, è dobbiamo obbedirla in tutto come bravi figli. Gesù stesso ci ricorda: “prima di venire da me, dovete passare per le mani di mia Madre, perché, a lei nulla mai posso rifiutarle”. Di fatti, ne abbiamo un esempio pratico alle Nozze di Cana di Galilea, quando Maria chiese cortesemente al Figlio di fare un miracolo, e così avvenne, trasformando l’acqua in vino di una qualità migliore del precedente, lasciando senza parole i commensali e gli stessi sposi. Maria è dotata di un potere talmente grande da distruggere e annientare l’intero inferno. Ogni volta che interviene sull’umanità ferita e perseguitata dal male, Lei è vittoriosa, e il nemico fugge sconfitto e annientato, essendosi consacrata totalmente a Dio, quando pronunciò il suo “Fiat”: “Sono la serva del Signore, avvenga in me tutto ciò che hai detto”. Quando si uniscono in battaglia Figlio e Madre nella lotta contro il male, e vengono in soccorso delle anime e di noi esorcisti, che lottiamo contro la bestia, il demonio è costretto da una Potenza Superiore ad abbandonare la presa, perché, non potrà mai sconfiggere Dio, e qualunque demone pensa di averla meglio, si sbaglia di grosso. Quando ci rivolgiamo a Maria per chiede qualunque grazia, dobbiamo usare un tono educato, umile e rispettoso, perché il suo cuore di Mamma possa ascoltarci nella nostra sofferenza, e Lei possa intervenire a consolarci, ha donarci la pace interiore come prima medicina, successivamente, chiediamo bene le grazie, Gesù per sua intercessione ce li fa ottenere con una vita sana e la preghiera costante. Dobbiamo smetterla di lamentarci sempre, di piangerci a dosso, non ne vale la pena, perché, grazie a questa Madre addolorata suo Figlio si è donato a noi sul supplizio della Croce, ed è ancora presente in mezzo a noi nella Santa Eucaristia, cibo e bevanda che risana da tutti i mali del corpo e dello spirito, rendendoci figli, nonostante le nostre gravi e a volte intolleranti colpe, la Madonna sta vicino a noi, e da noi vuole: ascolto, obbedienza, accoglienza di coloro che soffrono, riconoscenza che apparteniamo a Lei come suoi sudditi, a Dio come figli e a Gesù come fratelli, e dobbiamo amarli in modo incondizionato come ci amano a noi. Maria è considerata il primo Tabernacolo vivente che per nove mesi Gesù cresceva nel suo grembo inviolato e verginale, anticipando nel mistero dell’Incarnazione, la fede eucaristica della Chiesa, e si concede in adorazione di Santa Elisabetta ancora invisibile agli occhi di noi uomini, ma irradiando la sua luce attraverso gli occhi e la voce di Maria. Quale meraviglia e quale gioia poter rivivere questa scena di autentico amore, se solo ne avessimo la possibilità di come poter tornare indietro nel tempo ed assistere al miracolo all’interno del miracolo stesso. Come dicevamo in precedenza, Maria è Colei che tiene l’inferno sotto i suoi piedi e non lascia scampo a nessuno, e come si usa dire, non fa prigionieri. Con una semplice Ave Maria recitata con Fede, è un autentico supplizio e terrore per il nemico. Di fatti, nella Sacra Scrittura vi è scritto: “Lei ti schiaccerà la testa sotto i suoi piedi” (Gn 3, 15), e da Lei è nato Cristo, che ha vinto il diavolo e tutte le sue diaboliche schiere. Quante vittorie possiamo ottenere soltanto invocando il Nome di Maria: “Tremate inferi, quando pronuncio il Nome di Maria”, questo deve essere il nostro grido di battaglia contro l’inferno, e, posso dare dimostrazione che con l’aiuto di Maria nostra Madre e di Gesù nostro Fratello, ne usciremo vincitori. Il diavolo odia Maria per due motivi fondamentali:
  • la sua umiltà lo umilia essendo un superbo e un orgoglioso, perché, con il suo SI, l’Increato si è fatto Carne, sconfiggendo le forze del male con la sua Morte e Resurrezione.
  • Perché, Lei essendo una creatura umana è Immacolata e dal maligno è inattaccabile, e in Lei si racchiudono tutte le virtù nel loro massimo splendore.
Fratelli e Sorelle carissimi, il diavolo è continuamente beffeggiato da una donna, che è la Madre di Dio, fortezza inespugnabile, terrore dei demoni, che davanti a lei perdono il loro potere e la loro forza distruttiva, sono come dei cagnolini incapaci di farci del male. Affidandoci a cuore aperto alla Vergine Maria, chiedendo con umiltà la sua intercessione, non resteremo mai, e dico mai delusi. Recitando con devozione il Santo Rosario tutti i giorni, riviviamo in simbiosi la vita della Madonna e del Signore nostro Gesù Cristo, che sconfigge ogni eresia, peccato e cattiva condotta, riconquistando con la preghiera, i sacramenti, il legame con Dio, che abbiamo spezzato con la nostra infedeltà e fragilità umana. Noi uomini peccatori dobbiamo tenere per mano Maria, così possiamo camminare sicuri e senza ostacoli verso suo Figlio Gesù, perché, il potere oscuro del male non trionferà mai sul bene. Le promesse fatte da Gesù a noi indisciplinati sono eterne, e sono via, verità e vita. Maria Santissima in un messaggio dato il 16 giugno 2014 disse: “Quando il male crederà di dominare la terra, io mi presenterò davanti al popolo di mio Figlio e per volontà divina lo strapperò dai suoi sanguinari artigli e lo consegnerò a mio Figlio”. La totale sconfitta di satana e di tutto il suo inferno fu stabilita da quando Dio, arrabbiato con il serpente lanciò quella terribile maledizione: “porrò inimicizia tra te e la Donna, tra la tua stirpe e la stirpe di Lei”, e con la vittoria finale: “Essa ti schiaccerà il capo”.
Maria, vestita di sole e con la luna sotto i suoi piedi, è terribile come un esercito schierato e pronto per la battaglia, dove uscirà Lei vincitrice. La Vergine a Fatima rivelò ai tre pastorelli: “Il mio Cuore Immacolato Trionferà”, esso si compirà e nessuno lo potrà mai impedire, perché, il bene ha sempre la meglio sulle forze del male. In questo tempo di devastazione mondiale, la Chiesa Sposa di Cristo è sotto attacco dalle forze visibili e invisibili, e noi cristiani abbiamo il compito di pregare senza mai stancarci per indebolire le schiere infernali, il “dragone”, che avanza senza sosta. Ma quando la battaglia sarà conclusa e gli sconfitti abbandoneranno il campo di battaglia perché sono schiacciati dal calcagno di Maria. Una semplice e umile Donna vincerà l’inferno intero! Il termine Trionfo vuol significare, vittoria sul peccato e sulla morte corporale, ecco, perché dobbiamo essere pronti e preparati quando verrà a bussare alla nostra porta della vita, così non potrà farci del male, non potrà condurci dove noi non vogliamo andare, altrimenti, sarà la nostra fine, il nostro annientamento, vale a dire, la perdita di Dio per l’eternità. Nel Cuore di Maria il bene ha già trionfato. Tuttavia, il Trionfo del Suo Cuore Immacolato va oltre il suo trionfo personale. La vera Vittoria è quella sul male, con la collaborazione fedele del popolo santo di Dio, in Comunione con tutta la Chiesa, in cui, i nostri cuori alla fine diventeranno come il Suo. Finalmente, il male sarà legato per tutta l’eternità nel suo buco fetido e non nuocerà più a nessuno. Noi cristiani siamo chiamati in prima persona ad aiutare la Madonna nel Trionfo del Suo Cuore Immacolato che è già iniziato da tantissimo tempo da anime pie e devote il tutto il mondo, che hanno ascoltato i messaggi che questa Madre ha annunciato nelle sue apparizioni, e hanno eseguito alla lettera le scelte che Lei ha menzionato. Hanno detto SI al Signore e si sono unite nell’esercito di Maria, con la preghiera, i sacrifici e i digiuni, per portare nel mondo devastato dalla presenza continua del diavolo, fede, pace, amore, benevolenza, carità e tant’altro. Quindi, chi prega con il Santo Rosario in mano con Fede e profonda devozione e riconosce la Vergine Maria come Madre, non può essere ingannato dal demonio, che viene automaticamente sconfitto e ridotto in miseria. Recitando l’Ave Maria, sconvolgiamo l’inferno intero, come se una miriade di bombe atomiche deframmentano tutte insieme in quel luogo tetro e nauseabondo, sterminando ogni cosa. Le potenze tenebrose sono sconfitte, annientate da questa meravigliosa preghiera, che ci conduce per mezzo di Maria in cielo. Bisogna recitarla in ogni momento della nostra giornata e durante la notte prima di addormentarci. Quell’abbominio della natura angelica non può prevalere sui figli di Maria, perché, parte già sconfitto in partenza. Nonostante siamo peccatori, ma figli tuoi o Maria, confidiamo nella tua materna protezione, guidaci, proteggici da ogni insidia del male, dell’anima e del corpo, per essere fedeli a tuo Figlio Gesù Cristo nostro Signore. Amen.
Non ci dobbiamo scoraggiare mai, il nostro migliore esorcismo è avere in modo perpetuo e continuo la presenza della Madonna nel nostro cuore, nella mente, nella coscienza, nell’intelletto, e così facendo, saremo liberi dalle catene infuocate del demonio oppressore. Guai a noi se ci ostiniamo a compiere o seguire assiduamente le vie del male, non smetterò mai di ripeterlo: la nostra punizione sarà eterna, la vita e breve e bisogna impegnarla per la salvezza delle anime. Nemmeno noi membri del corpo ecclesiale della Chiesa saremo perdonati per le nostre colpe, per aver condotto le anime verso la perdizione, verso l’errore, l’eresia, il nostro peccato è ancora più grave, perché, sapendo la verità di Fede, abbiamo taciuto, e perseverato in continuazione nell’errore in modo volontario e non casuale, quindi, la nostra colpa rimane. Come successori degli Apostoli dobbiamo essere retti, aiutare le anime in pena e condurli verso Dio e il Paradiso. Nel momento del pericolo invochiamo con Fede l’aiuto di Maria Santissima, che viene in nostro soccorso tenendoci lontani da quel caprone infetto. San Giovanni Bosco raccomandava sempre ai suoi ragazzi e in tutte le sue omelie, che ci sono due Colonne portanti che salveranno la Chiesa dalla furia dell’anticristo devastatore: l’Eucaristia e Maria Ausiliatrice, protettrice di tutti gli autentici cristiani. Nel mio terzo libro “Maria. Madre nostra”, ci sono tutte le indicazioni che ci portano verso il Paradiso, affiancati dalla presenza viva di Maria, umile Serva del Signore, dove si è potuto realizzare il Progetto Salvifico di Dio Padre per il mondo intero. Grazie Madre Santa, che ti prendi cura dei tuoi figli, ci conforti, ci insegni ad essere delle brave persone, nonostante siamo peccatori, fragili, dei bamboccioni che danno tutto per oro colato, seguendo le cattive intenzioni che con astuzia il nostro acerrimo nemico ci suggerisce, ma che viene in continuazione legnato dalla tua continua presenza in mezzo a noi. Desidererei che le parole scritte dal Monfort, siano scolpite nel mio cuore a fuoco: “Totus Tuus ergo sunt et anima mea Tua sunt. Accipio Te in mea omnia. Praebe mihi Cor Tuum, Maria”. Tradotto vuole significare: “Sono tutto tuo, e tutto ciò che è mio è tuo. Ti accolgo in tutto me stesso, offrimi il cuore tuo, Maria”. Siamo giunti agli ultimi tempi, descritti nel Libro dell’Apocalisse e non solo; Maria SS.ma da quando appare a noi uomini, servendosi di umili servi devoti in ogni parte del mondo, ci esorta alla Fede, alla Preghiera e alle buone e sante azioni. È Lei che tiene fermo il braccio di suo Figlio Gesù che ha perso la pazienza con noi peccatori. Ma giungerà quel fatidico momento che Lei non potrà più fermare e placare la sua ira, quindi, ci dovremmo prendere le vostre responsabilità e dovremmo dare conto di tutte le vostre cattiverie e perversioni di tutta la vostra vita. Saremo puniti duramente, e di conseguenza condannati senza “remissionis peccatorum” all’eterna dannazione, se non facciamo di tutto per converticci. Pentiamoci con sincerità e ritorniamo a Dio con umiltà e penitenza, lasciandoci alle spalle la vecchia e corrotta vita, piena di scandali e cattiverie. Risorgiamo con Gesù a nuova vita, trasfigurati nella sua Luce e redenti con il suo Sangue, con l’aiuto indispensabile di Maria, dell’Arcangelo San Michele, Principe delle Celesti Milizie, e di tutti i Santi, abbiamo sconfitto il dragone infernale e tutte le sue schiere diaboliche. La Vergine Maria che ha vissuto nel nascondimento per tutta la sua vita, Dio l’ha resa sublime e potente, amandola più degli Angeli e degli uomini, rendendola: “un arma di distruzione di massa” di tutte le forze nemiche, e a sua volta, dopo averla Assunta in Cielo in Corpo e Anima, l’ha incoronata, Regina del Cielo e della Terra, ed è diventata la nostra Sovrana, che regna indisturbata insieme con il Figlio, il Padre e lo Spirito Santo, instancabilmente su tutto il creato e l’immensità dell’universo. Nessun’altra creatura pur quanto pura possa essere, è concesso entrarvi senza uno speciale privilegio, che si può ottenere su richiesta di Maria, di cui, il suo adorato Figlio non rifiuterà. La supremazia della Madonna è riconosciuta con vergogna e terrificante paura da satana e tutto il suo luogo infernale, che in tutto il corso dei secoli si è dovuto piegare e prostrare fino a terra e continuerà a piegarsi senza sosta alla Sua Grazia santificante per tutta l’eternità. Questa dolcissima Madre quando viene fedelmente invocata è presente fisicamente in tutti gli esorcismi, e qui si denota di come la Grazia Divina gli permette di trionfare sui vizi e peccati di ogni genere, e ogni qual volta, quell’infelice angelo ribelle si ritrova schiacciato sotto i suoi piedi, e impotente se ne torna strisciando come un insignificante verme nel suo fetido e logoro luogo di provenienza, liberando quella povera creatura dalla sua presenza disruttiva. Ogni singolo uomo che si pone a fianco della Madre di Dio, si allontana totalmente dal pericolo, che ci aspetta in aguato, sempre pronto a colpirci con ogni tentazione, anche banale, ma che porta la sua firma. La sua Luce bianchissima, più potente de sole, acceca il nemico e lo confonde, dando alla vittima un senso di pace profonda all’interno della sua anima. Il nemico contorcendosi nel suo corpo, provoca dei dolori lancinanti per il semplice motivo che non ha nessuna intenzione di lasciarla libera, ma con Maria non si scherza, trionfa sempre, trafiggendo con mille spade affilate il nemico, che urla con una voce proveniente dall’inferno che sulla terra non è mai esistita. Bastonato è costretto per volontà di Gesù a uscire, la posseduta ritorna in sé, benedicendo e glorificando Dio, che con assidua preghiera e sacrifici ritorna alla vita normale. Se non ci fosse Maria, l’uomo sarebbe rimasto condannato e incatenato dal demonio per sempre. Ma ringraziando Dio non è più così. Quando il Suo Cuore Immacolato Trionferà, l’inferno sarà definitivamente sconfitto, e non ci sarà più: dolore, morte, peccati e altre brutture, ma saremo felici in un mondo nuovo completamente cambiato rispetto al precedente. Quando tutti insieme in un’unica accorata voce, pronunceremo il nome di Maria, lucifero e tutte le sue gerarchie ribelli, tremano e si contorcono nel loro stesso dolore, urlando e bestemmiando e imprecando, perché, non possono resistere a tanta bellezza, umiltà e potenza. La migliore arma di difesa che noi uomini che dobbiamo utilizzare per allontanare e sconfiggere l’indesiderato è il Rosario. Maria libera, il nemico scappa con la coda tra le gambe, e corre così velocemente che non si vede neanche la fumata. Ella è il capolavoro di Dio, e nessuna mente umana potrà mai comprenderlo, ma soltanto, coloro che guardano con gli occhi dello spirito e della Fede la potranno vedere e ascoltare. Quando il sacerdote esorcista alla fine del Rito esclama: “In Nome di Maria Vergine Immacolata, ti ordino e ti comando di abbandonare questa anima che appartiene a Dio”, il demonio cede, si arrende e dice con grande rabbia e crudeltà: “Adesso bisogna che io me ne vada”, quindi, lascia il corpo della sua vittima e fa ritorno nel suo buco nauseabondo dove continuerà a soffrire duramente è torturato per l’eternità.
In conclusione, il Vecchio Simeone nel giorno della Presentazione di Gesù al Tempio, come prescriveva la Legge di Mosè, quando vide il Bambino tanto atteso, ringraziò Dio, e poi disse a sua Madre: “Egli è qui per la rovina e la resurrezione di molti in Israele, segno di contradizione, perché, siano svelati i pensieri di molti cuori. È anche a te una spada trafiggerà l’anima”. (Lc 2, 22-39). Maria di canto suo serbava tutte queste cose nel suo cuore, sia come Madre dell’Increato, sia come figlia dello stesso Dio. Ora la stessa Madre Addolorata era presente sotto la Croce di Suo Figlio sofferente, per espiare con la sua vita i nostri più vili peccati. Insultata senza vergogna e pietà dalla folla e dai Capi del Sinedrio senza Dio, che non avevano compreso il vero ed autentico messaggio di salvezza del Messia tanto atteso, Lei in assidua comunione spirituale con il Figlio, il Padre e lo Spirito Santo, ci ha presi come suoi figli, partorendoci nel dolore e nella sofferenza più atroce, nonostante tutte le cattiverie sataniche e comportamenti disumani che gli infliggevano. Questa Madre duramente provata perdona e intercede senza esitazione presso suo Figlio agonizzante di perdonarci, di non punirci severamente come meriteremmo, ma di avere tanta Misericordia accogliendoci nella Sua Grazia, che per la nostra salvezza Egli, l’Increato, si consegnò volontariamente alla morte di Croce. O Madre mia Addolorata, hai condiviso le sofferenze di Gesù nel tuo cuore di Mamma per salvarci dal male. Donaci non per i nostri meriti ma per il tuo adorato Gesù la vita immortale senza fine, dove la Luce del Paradiso spazza viale tenebre della sofferenza, e spezza ogni legame con il maligno. Ricorda San Bonaventura che: “nessuno può entrare in cielo, se non per mezzo di Maria”.
Data a Roma nella Sede Episcopale il 02 Febbraio AD 2022
Nella Solennità della Presentazione del Signore e VII Anno di Ministero Episcopale
+ Salvatore Micalef
Vescovo Ordinario
Nuova Lettera apostolica image
+SALVATORE MICALEF
PER GRAZIA DI DIO E DELLA SANTA CHIESA
VESCOVO ORDINARIO

LETTERA APOSTOLICA
Passio Domini et Gloriosae Resurrectionis

Prot. n. 190/2021 v-o

“Cristo Gesù, pur essendo di natura divina, non considera un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spoglio sé stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini, apparso in forma umana, umiliò sé stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sottoterra, ed ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre” (Fil 2,6-11).

Eminenze, Eccellenze Reverendissime;
Venerati Diaconi e Sacerdoti;
Carissimi Fratelli e Sorelle;

la grazia di Dio nostro Padre e del Signore nostro Gesù Cristo sia con tutti voi. Siamo entrati nel tempo di Quaresima, preparazione solenne, che ci conduce alla Santa Pasqua di Risurrezione del Signore. Il tema principale di questa nuova lettera Apostolica è la Passione del Signore che si è caricato del peso di tutti i nostri peccati, per donarci il premio futuro della vita eterna con la Sua Gloriosa Resurrezione. Iniziamo questo percorso di sofferenza e di dolore con l’animo contrito e penitente consolando il Divin Maestro lungo la via dolorosa che conduce al Calvario, dove si consuma volontariamente il suo martirio. Ora pian piano cominciamo a far un quadro su cui ci soffermiamo ad analizzare le prime fasi preliminari della passione di Gesù, vale a dire l’Ultima Cena, il tradimento di Giuda, l’agonia nel Getsemani, fino alla deposizione del suo martoriato corpo nel sepolcro, in attesa della sua Gloriosa Resurrezione. Il progetto del Signore è portare a termine il progetto di salvezza del Padre, per questa Pasqua sono venuto nel mondo, dare la mia vita in espiazione dei peccati dell’umanità. Gesù l’Agnello innocente senza macchia, viene giudicato e condannato da un Procuratore romano pur profano, perché, ai giudei era soltanto permesso di uccidere un agnello. Ora facciamo un altro passo a ritroso. Gesù dopo il Battesimo nel fiume Giordano ricevuto da Giovanni Battista i cieli si aprirono e discese su di lui lo Spirito Santo e si udì la voce del Padre che acclamava al mondo: “Questi è il mio Figlio prediletto, ascoltatelo”. Si mise in cammino verso il deserto dove rimase quaranta giorni a digiunare e pregare perché, possa portare a termine il suo compito. Il deserto in questione è quello di Giuda che si estendeva da fuori Gerusalemme fin a Gerico nella Valle del Giordano. È una zona arsa dal sole e brulla, dove vivono ragni, scorpioni e serpenti velenosi, inospitale per l’uomo senza viveri e acqua. Ora ci domandiamo: per quale motivo Gesù si recò nel deserto? Come abbiamo detto sopra solo per pregare, per mettersi in connessione con il Padre, come uomo, con volontà divina, per approfondire al meglio la missione di salvataggio dell’intera umanità, decaduta miseramente nel peccato, liberarla dalla tirannia del demonio e della morte stessa, che è una conseguenza del peccato dei nostri progenitori Adamo ed Eva. Dio è follemente innamorato di noi uomini e desidera che anche noi lo amiamo e stiamo un giorno insieme nella sua Gloria. Allora il maligno vedendo la debolezza fisica di Gesù stremato ed affamato cercava l’occasione per attaccarlo e farlo cadere nella tentazione. Gesù sapendo già in anticipo le sue mosse da perfetto perdente ed infamatore, non cedete alle sue provocazioni, e dopo averlo prima umiliato e poi sconfitto, lo lascio definitivamente, per tornare nel tempo opportuno, alla sua passione e morte, mettendo i capi del sinedrio, gli scribi, i farisei e il popolo d’Israele contro di lui, condannandolo ingiustamente. Gesù disse ai suoi discepoli; La gente che dice che io sia? Allora gli risposero: un profeta, altri Elia. Ma Pietro gli rispose: Tu sei il Messia, il Figlio di Dio. Allora prese con sé Pietro Giacomo e Giovanni e si recarono sul monte dove Gesù si trasfigurò e le sue vesti divennero candide come la neve. Allora si udì la voce del Padre: “Questi è il mio figlio prediletto, ascoltatelo”. Cristo è giunto alla sua gloria, nella sua trasfigurazione, e quindi ne anticipa la sua resurrezione, dalla morte temporanea, attraverso la piena sofferenza, inaugurando sé stesso, quella via stretta e angusta che porta alla vita immortale, e quindi stabilisce perennemente la nuova ed eterna alleanza tra Dio Padre e noi uomini, come fece Abramo nel momento in cui doveva sacrificare suo figlio Isacco, nella prima alleanza. Da lì in poi Dio, mediate Mosè sul Monte Sinai dopo l’uscita dall’Egitto, stabili nuovamente il Nuovo Patto dando il Decalogo, i Dieci Comandamenti che ogni uomo deve seguire per essere in piena comunione con Dio e la sua Chiesa. Questi dieci comandamenti sono stati il cardine principale della vita morale, prima del popolo ebraico ora lo sono per noi cristiani, per essere conformi alla vita di Cristo e della sua Santa Chiesa. Intanto dobbiamo fare una precisazione: “Dio è amore” (1 Giov.4.8) è un amore talmente grande e smisurato, che ha inviato suo Figlio, immagine perfetta del Padre a salvarci dalla morte eterna. L’amore di Dio è increato, trinitario, che nonostante le nostre imperfezioni continua ad amarci di un amore senza fine, e fa di tutto per portarci a sé, e strapparci dalle insidie del male, è la creazione di tutto ciò che sussiste, è la rivelazione di quest’amore nascosto che ha Dio per noi creature. Difatti, nella Sacra Scrittura sta scritto: “Dio ha tanto amato il mondo da dare per esso il suo Figlio unigenito!” Gesù è l’amore di Dio fatto carne, che ha mandato nel mondo per redimerci da tutte le nostre miserie umane. L’amore che Gesù ha per noi creature imperfette e, vivibile, tenerissimo, costante, attento a tutto, fino alla prova suprema consegnandosi ai peccatori fino alla morte in croce. L’amore costante di Dio che si è manifestato in Cristo, resta tra gli uomini e vivifica la Chiesa, attraverso l’azione dello Spirito Santo che riscalda anche il cuore più duro e lo rende malleabile come la creta, si fonde come la cera davanti al fuoco, e lo arricchisce di grazie, di amore e di misericordia. Ora poniamoci una semplice domanda: cosa è lo Spirito Santo? È quell’amore reciproco tra Padre e Figlio, che in seguito alla resurrezione, si è diffuso sui credenti, come profumo soave che si sprigiona dal vasetto di alabastro, quando Maria Maddalena unse il corpo di Gesù, prima della dolorosa passione. Da qui subentra la pianificazione del tradimento da parte di Giuda Iscariota. Gesù durante il suo viaggio verso Gerusalemme si fermo davanti la tomba del suo amico Lazzaro, morto ormai da quattro giorni. Però questo non fermò Gesù, fece aprire la tomba impregnata dai gas della decomposizione, e avvenne il miracolo; “Lazzaro vieni fuori”, e tornato in vita, uscì dal sepolcro ricoperto dalle bende. Anche qui il Signore manifestò la sua potenza come Figlio di Dio, ma non tutti lo compresero, (scribi, farisei e sommi sacerdoti), perché l’invidia e la gelosia avevano la meglio su di loro, e non lasciavano spazio al discernimento e all’opera di Dio che si stava manifestando davanti ai propri occhi, accecati dalla loro vanità, presunzione, amarezza. Il Cristo arrivo insieme ai dodici Apostoli nei pressi di Gerusalemme, e per adempiere le scritture, prese in prestito da un fattore un asino con il suo puledro, e entrò trionfante in città, osannato come Figlio di Davide, e Re dei Giudei, “Benedetto colui che viene nel nome del Signore, Osanna”. Il popolo lo accolse stendendo il proprio mantello e coi rami d’ulivo e palme. Ma nell’animo di Gesù è già cominciata la sua passione, che da lì a giorni si sarebbe manifestata e consumata. Dall’Osanna si conclude che lo stesso popolo comprato dai sommi sacerdoti, offuscato dall’insidie del diavolo, stabilisce la vita di Cristo con la Crocifissione. Gesù si è consegnato volontariamente alla sua passione: “Nessuno toglie la mia vita ma la offro da me stesso, perché come l’ho data, ho il potere di riprendermela” (Gv.10,18). Seguendo la volontà del Padre, ha compreso che è giunta la sua ora e l’ha accolta con obbedienza di un Figlio che vuole salvare l’umanità dalla tirannia e schiavitù del male, che odia fin dal principio l’opera di Dio. Dopo l’ingresso trionfante di Gesù a Gerusalemme, i capi del Sinedrio erano furiosi e cercavano a tutti i costi di realizzare il loro piano contro il Messia. Non accettavano che il figlio di un falegname potesse essere il Messia tanto atteso, nonostante hanno visto miracoli, guarigioni, liberazioni dei posseduti dal diavolo, e resurrezioni di persone morte. L’invidia e la gelosia predominavano su di essi. La goccia che fece traboccare il vaso, la rabbia dei Farisei e dei Sommi Sacerdoti, fu quando si recò al Tempio a predicare e vide la desolazione, mercanti e cambiavalute che facevano affari nella casa del Padre suo. Preso un bastone cacciò via tutti: Avete trasformato la casa del Padre mio in un sepolcro di ladri e di affaristi”. Dopo quest’episodio i complottisti si riunivano in segreto a cospirare contro di lui, per farlo morire ma avevano allo stesso tempo paura del popolo, che lo venerava e lo acclamava, e non volevano che ci fossero rivolte. Volevano trovare una soluzione indolore che non desse segno di guerriglia urbana. Si presentò da loro Giuda un suo discepolo ed insieme organizzarono il piano di cattura nei minimi dettagli per coinvolgere anche il popolo, così da farlo condannare a morte dai pagani romani. Gesù era a conoscenza di tutto, ma tacque, perché doveva essere rivelato al momento opportuno. Mentre Giuda in combutta con i sommi sacerdoti, assetato di denaro preparava il piano del tradimento, Gesù fa preparare da due suoi Apostoli la sala per la celebrazione della Pasqua con preparativi solenni ed accurati e, da questa sala ci ricordava che c’è una sola chiave di lettura per capire a fondo la sua dolorosa passione: l’Amore sconfinato di un Dio, che si fa uomo, per donarsi in espiazione per noi peccatori. Il suo Segno ci ha mondato tutte le nostre colpe. I due discepoli incaricati da Gesù a preparare per la sua ultima cena, hanno portato il compito magnificamente. La sera stessa si radunarono tutti, eccetto Giuda che giunse in ritardo tranquillo e in curante delle conseguenze future. Durante la cena il volto del Signore divenne triste, pallido e turbato e, rivolgendosi ai suoi Apostoli disse:” In verità vi dico: questa stessa sera, uno di voi mi tradirà”. Tutti rimasero senza parole, e si domandavano chi fosse. Gesù continuò dicendo:” Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui, ma guai a colui dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito; sarebbe meglio per quell’uomo che non fosse mai nato” (Mt 26,21-25). Giuda non si rende conto a cosa va incontro, non solo consegna il suo Maestro ai suoi nemici, ma vende per trenta sudici monete d’argento il Figlio di Dio, la Seconda Persona della SS.ma Trinità. L’atmosfera dell’interno del Cenacolo era cambiata, dalla felicità della Pasqua all’annuncio di un tradimento in corso e della sua morte. Ma Gesù li rassicurava che non li avrebbe lasciati più soli, che sarebbe rimasto con noi fino alla fine dei tempi. “E’ per questo momento che sono venuto al mondo, per compiere la volontà del Padre mio che mi ha mandato”. Prese quindi il pane, rese grazie, lo spezzo lo diede ai suoi discepoli dicendo: “Questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi”. Poi prese il calice dicendo:” Questo è il calice del mio sangue della Nuova Alleanza versato per voi e per molti in remissione dei peccati. Fate questo in memoria di me”. Facendo ciò Gesù spiega il senso fondamentale della sua dolorosa passione e morte, un dono di amore fedele al Padre per noi miseri peccatori. Lui volle che questo prezioso dono raggiunga gli Apostoli che sono fisicamente presenti nel Cenacolo, ma tutta l’umanità di ogni tempo e luogo di appartenenza. L’Eucaristia è il segno autentico della sua presenza in mezzo a noi, vero cibo e vera bevanda per la salute del corpo e dello spirito. Noi peccatori siamo continuamente invitati da Gesù a convertirci, ad apprezzare questo grande dono del suo amore e di arrivare alla Pasqua rinnovati, purificati da ogni macchia di peccato. Perciò, noi cristiani dobbiamo dare l’esempio, richiamare tutti coloro che peccano, con un atteggiamento di carità, aiutando coloro che sono provati dal dolore, dandogli sollievo e fiducia prima in Cristo poi in sé stessi, facendogli uscire dalla trappola del maligno, che vuole soltanto distruggere le opere di Dio. Uscito il traditore in gran fretta dal Cenacolo era già notte, una notte oscura e dolorosa si stava addentrando, perché era il momento delle tenebre a prendere il sopravento, sull’Agnello innocente e senza macchia, Gesù riprende a dare gli ultimi insegnamenti, di amare il prossimo e di predicare e vivere il Vangelo, in umiltà e carità fraterna verso il prossimo. Pietro, cercava di consolarlo come gli altri Apostoli, ma Gesù gli disse: “Prima che il gallo canti, tu mi rinnegherai tre volte”. Cantato l’Inno, uscirono da Cenacolo, e si recarono all’Orto degli Ulivi per pregare, dove ha inizio la sua passione. Il dramma di quel momento si fa realtà, egli si trova a sostenere una dura battaglia, tra il bene ed il male, per restare fedele alla volontà del Padre. Gesù si ritirò da solo in un luogo selvaggio, e portò con sé; Pietro Giacomo e Giovanni. “Restate qui e pregate per non cadere in tentazione”. Il Signore, rimasto da solo, comincia a provare sofferenza e dolore, intanto satana cerca di distoglierlo dalla sua missione di salvezza, con ogni mezzo e opera, dicendogli; “Vuoi morire veramente per i peccatori? Non si meritano la salvezza” Ma Lui rivolgendosi al Padre disse: Abba Padre, allontana da me questo calice amaro, ma sia fatta la tua ma non la mia volontà”. La sofferenza che provava era talmente forte, che il suo sudore divenne sangue. Tornato dagli Apostoli li vide che dormivano per la stanchezza, quindi, Gesù si sentiva ancora più solo ed abbandonato. “Non siete riusciti a vegliare con me neanche un’ora? Pregate per non cadere in tentazione”. Ritornato al suo posto, Gesù vide in una visione dolorosa tutti i peccati degli uomini, della sua chiesa, dalla sua nascita, fino alla fine dei tempi, guerre, pestilenze, ingiustizie di ogni genere invadere il mondo, e le sue sofferenze aumenteranno a dismisura. Solo l’intervento del Padre inviando il suo esercito celeste a consolarlo, lo ha salvato da morte certa per paura e sgomento. Gli angeli lo consolarono e gli fecero vedere tutto ciò che doveva subire per la salvezza dell’umanità. Gesù disse nuovamente: “Abba Padre, se è possibile allontana da me questo calice, ma sia fatta la tua volontà non la mia”. Scese dal cielo un Angelo con un calice, Gesù lo prese tra le mani e lo bevve. Da quel momento, accetto la sua dolorosa passione con la conseguenza della morte in Croce. Vide avvicinarsi un enorme serpente verso di lui, ma con il calcagno, gli stacco la testa. Da quel momento l’inferno metteva nel cuore degli uomini le peggior cattiverie contro Gesù, la sua addolorata Madre e tutti i suoi seguaci. Mentre terminava di pregare, Gesù è tornato dai suoi discepoli, e in lontananza vide un esercito di uomini, con corde, catene, bastoni per catturare il Maestro. Davanti a tutti stava il traditore, che aveva dato questo segnale:” Quello che bacerò è lui, arrestatelo e conducetelo via sotto buona scorta”. Gesù ormai rassegnato alla piena volontà del Padre andrò incontro a Giuda dicendogli: “Amico per questo sei qui? Il traditore disse: Salve Rabbi! lo abbraccio falsamente e lo baciò. Gesù disse: Giuda con questo bacio, tradisci il Figlio dell’Uomo”. C’è da notare una realtà oggettiva: tutti gli Apostoli chiamano Gesù, Signore, perché, lo riconoscono come Figlio di Dio, solo Giuda lo chiama Maestro, perché, per lui non è Figlio di Dio, ma un semplice Maestro, cosa che Gesù stesso aveva proibito di chiamarlo con il nome di Maestro. Gli sgherri lo afferrarono con la forza e lo catturarono, lo incatenarono come il peggiore dei criminali e lo condussero in città per il processo. Pietro cercò di difendere il Maestro e con una spada staccò l’orecchio di un servo di nome Malco. Ma Gesù rimproverò Pietro e compì l’ultimo miracolo della sua vita pubblica, attaccando l’orecchio amputato al suo posto. Quel servo si converti e non partecipò più ai supplizi del Signore, ma dopo la sua morte divenne un discepolo esemplare. Gesù non si consegnò semplicemente per motivi politici o per un errore giudiziario, ma per sanarci dei nostri peccati, per vincere una volta per tutto il potere nefasto del maligno. Mentre lo conducevano in città, lo percuotevano, lo insultavano e gli fecero ogni sorta di cattiveria e vessazione. Ma Egli non aprì bocca, neanche un lamento uscì dalla sua bocca, e questo suo comportamento, inferociva ed aizzava di cattiveria i suoi nemici che continuavano ad infierire su di lui selvaggiamente. Giunti in città, una parte del popolo cercava di ottenere la sua liberazione, un’altra parte si univa ai carnefici e partecipava attivamente alle sue sofferenze. Qui c’è da riflettere; cinque giorni prima, i festanti lo accolsero come Figlio di Davide, dopo, furono complici della morte del Figlio di Dio. Gli Angeli stavano a mezzaria, gioiosi ed addolorati, chiedendo al Padre di salvare suo Figlio con un miracolo così grande che i suoi nemici si convertissero all’istante; ma dall’altra parte doveva compiersi la Scrittura sul Servo Sofferente, colui che si caricò di tutti i peccati del mondo, salvandoli dalla dannazione eterna. Signore della Vita, supplicandoti ti chiediamo perdono per i nostri misfatti, e grazie alla tua morte e risurrezione siamo stati guariti e purificati dai nostri mali. Aiutaci a seguire la via della Croce, preservaci dalle insidie del male, e noi peccatori riconoscenti per il tuo enorme sacrificio della Croce, cerchiamo di non procurarti più dolore, ma di confortarti, di amarti come noi siamo, per raggiungere quando sarà il tempo il tuo Regno di amore senza fine. Giunto in città, stanco e sanguinante viene sottoposto a processo di carattere religioso davanti all’autorità religiosa suprema del popolo di Israele, il sinedrio riunito in fretta e in piena notte dal Sommo Sacerdote Caifa con il suo nefasto consiglio, scribi, farisei, falsi testimoni e una parte del popolo comprato dai nemici di Cristo, per far di tutto per condannarlo a morte, prima della Festa solenne della Pasqua. Prima lo conducono tra tormenti e percorse da Anna suocero di Caifa, che lo odia dal profondo del cuore, accusandolo di svariati capi d’accusa, inventati e senza fondamento. Ogni parola detta da Gesù fu falsamente modificata per invidia nei suoi confronti perché non accettavano la sua autorità di Maestro e di Figlio di Dio. Anna scrisse su di una pergamena tutti i capi d’accusa mossi nei confronti di Gesù, e lo condussero da Caifa per confermare la condanna a morte come: bestemmiatore, eretico, e sobillatore del popolo. Intanto Giuda era devastato dai sensi di colpa, dalla disperazione che ha tradito sangue innocente. Perseguitato dai demoni vagava nell’immondizia come il peggior dei criminali e pusillanime, che infatti lo era. Pentendosi, ritornò dai sommi sacerdoti dopo aver saputo che veniva condannato a morte. Volle restituire il prezzo del venduto ma i nemici di Cristo non ne vollero a che sapere. Gettate le trenta monete d’argento nel Tempio, scappò via. Le monete furono impiegate per comprare il campo del vasaio, per la sepoltura degli stranieri, perché erano sporchi del sangue di un innocente. Giuda perseguitato da satana lo condusse in un luogo deserto e lì mise fine alla sua vita impiccandosi, di cui la sua anima fu condannata e condotta da satana all’inferno, tra i tormenti senza fine, perché non volle consentire che la Misericordia di Dio entrasse in lui, e fu ripagato per sue azioni malvagie; ladro, opportunista, amante del potere terreno, perdita di fede verso il Cristo, tradimento, disperazione, suicidio, tutte armi a disposizione di satana che da tempo lo teneva in pugno. La Vergine Maria disse a tal proposito; “Povero Giuda, se si pentiva amaramente di quello che ha fatto, mio Figlio lo avrebbe perdonato, ed ora sarebbe un Apostolo nuovo e fedele del mio Gesù. Ma egli morì impenitente ed è giusta la sorte che lo attese”. Caifa spaventato dalla tranquillità di Gesù, nonostante veniva accusato ingiustamente, scese dal suo alto seggio, fecce azzittire tutti e si rivolse a Lui dicendo: “Ti scongiuro per il Dio Vero e Santo di dirmi: sei tu il Messia, il Figlio del Dio vivente?” Gesù illuminato di Gloria da Dio Padre disse: “Io lo Sono. Tu lo hai detto. E vedrete il Figlio dell’Uomo, sedere alla destra del Padre, e rivestito di tutta la sua gloria”. Allora Caifa, sormontato da una collera verso il Signore, si stracciò le sue vesti e disse: Ha bestemmiato, che bisogno abbiamo più dei testimoni, come lo giudichiamo? E tutti risposero: “È reo di morte”. Detto questo, fu circondato dal sinedrio, dalla folla, dalle guardie e e lo riempirono di sputi e botte da lasciarlo svenuto per terra. Rialzato dalle guardie fu condotto in catene nelle segrete, mentre il sinedrio preparava i documenti per condurlo da Pilato per farlo condannare a morte secondo la legge di Roma, la crocifissione. Intanto Simon Pietro stava nel cortile del Tempio a scaldarsi al fuoco, e una donna gli si avvicinò accusandolo di essere un discepolo del Maestro. Ma egli preso da paura negò dicendo di non conoscerlo per ben tre volte. Allora si udì il canto di un gallo e si ricordò delle parole di Gesù. Preso dal rimorso andò via e pianse amaramente. “Povero e addolorato mio Signore, schernito ,accerchiato, torturato ed umiliato da quella banda di scalmanati senza Dio e senza anima, nel più totale silenzio hai accettato il male per la salvezza di noi peccatori, sei stato condotto nelle segrete del Palazzo di Caifa e incatenato come un malfattore, in attesa del giorno solenne della tua immolazione di cui i tuoi carnefici non ti hanno dato requie, perdonaci per tutte le nostre vili mancanze, e concedici la tua Divina Misericordia, donaci la tua salvezza”. All’alba di quel fatidico Venerdì Santo, gli sgherri prelevano con violenza il Signore per condurlo davanti al Procuratore Romano Ponzio Pilato, perché emettesse la condanna a morte nei confronti del prigioniero Gesù, stanco e dolorante per i maltrattamenti subiti la notte precedente. Pilato appena vide Gesù così mal ridotto disse ai Sommi Sacerdoti: Vedo che avete cominciato di prima mattina a scorticare le vostre vittime sacrificali. I Sommi Sacerdoti, i Farisei e tutti i nemici del Signore con la complicità dei falsi testimoni, cominciarono ad elencare tutti i capi d’accusa contro Gesù. Pilato era scettico su tutto quello che quei strambi esaltati dicevano contro il Signore, perché, per condannare qualcuno, bisogna avere delle prove certe, e non delle semplici supposizioni. La conferma la ebbe dalla sua consorte Claudia Procula, che la notte precedente al suo arresto, fu turbata in sogno, ma allo stesso tempo venne a conoscenza della vita di Cristo, quindi, andò da Pilato e gli disse di non avere a che fare con quel giusto, perché è il Santo di Dio. Pilato le crebbe e interrogando Gesù, constatò di persona della sua innocenza. Sapeva infatti, che glielo avevano consegnato per invidia. Ora c’era una legge in Israele, che il procuratore romano nel giorno della Pasqua degli Ebrei, liberava un prigioniero condannato a morte su richiesta del popolo. Vi era in carcere un pericoloso malfattore, criminale di prima categoria di nome Barabba, che era stato condannato alla morte per i suoi crimini. I Sommi Sacerdoti, vedendo che Pilato aveva l’intenzione di liberare Gesù, ebbero un getto d’ira che nonostante tutto, riuscirono a contenere, in fin dei conti, Roma li comandava e dovevano sottostare al giudizio imperiale, per evitare ritorsioni contro il popolo d’Israele. A questo punto per dare una svolta a quest’infamante processo, il Procuratore decise di far flagellare Gesù alla maniera dei romani, e poi rimetterlo in libertà. Due soldati romani presero in consegna Gesù e lo condussero malmenandolo fino a una colonna bassa che si trovava a nord del Palazzo di Pilato, poco distante dal corpo di guardia. Giunsero dopo di lui i flagellatori, con fruste, verghe, e funi che li gettarono ai piedi della colonna. Il Signore appena vide la colonna ebbe un brivido di freddo su tutto il corpo, e pregava il Padre per i suoi persecutori, donando al mondo tutto il suo sangue per la redenzione di tutti i peccatori. Con modi selvaggi lo spogliavano dalle sue vesti e lo legarono alla colonna, intanto, i soldati ebbri di vino lo umiliarono e dicevano tra di loro: “facem musica in tergo sua”, che tradotto vuol significare: “facciamo musica sul suo corpo”. Frattanto il comandante del corpo di guardie, uomo sanguinario, spietato e senza scrupoli aspettava l’ordine scritto e firmato da Pilato per procedere alla flagellazione. Ottenuto il mandato diede ordine di incominciare il terribile supplizio. Iniziarono a percuoterlo con verghe con nodi, procurandogli severe e profonde contusioni, che con il passare del tempo diventavano di color viola scuro. Il Signore non emetteva nessun gemito di dolore ed i carnefici rinforzarono i colpi. Non soddisfatti, presero i flagelli, composti da strisce di cuoio attaccati ad un manico di legno, terminanti con sfere di ferro, uncini, e pezzetti di osso, che procuravano profonde lacerazioni, riducendo il corpo a brandelli e in un bagno di sangue. Infierirono sul corpo già provato e martoriato del Signore senza pietà, lacerando la carne ad ogni colpo, facendo vedere anche le ossa in alcuni punti. C’era sangue dappertutto. Anche gli stessi carnefici ne erano impregnati. Per volere del Padre, intervenne il braccio destro di Pilato, il centurione Abender e mise fine a tutta quella crudeltà. Gesù era accasciato senza forze nel suo sangue, quei malvagi crudeli lo alzarono di forza e lo fecero sedere su uno sgabello a forma di trono, e cominciarono a beffeggiarlo chiamandolo: salve o Re dei Giudei, e gli sputavano in faccia, lo percuotevano l’oltraggiavano con ogni tipo di cattiveria. Dato che, il motivo che ha indotto Pilato a farlo flagellare, era, che si era proclamato Re dei Giudei, i soldati offuscati dal potere dell’inferno, intrecciarono un casco di acutissime spine, e con disprezzo lo incoronarono re di burla. Le spine penetrarono di netto il capo del Signore, procurandogli un dolore acuto e atroce, e la perdita copiosa di sangue, continuando a schiaffeggiarlo ed oltraggiarlo in ogni modo conosciuto. Intanto, i Sommi Sacerdoti, inneggiavano la folla a chiedere la liberazione di Barabba ed invocare la morte di Gesù. Ora vorrei aprire una parentesi sul popolo complice di un delitto senza precedenti. A cosa è servito a quella gente di facile manipolazione, acclamare il Signore con rami di palme ed ulivi, stendere i loro mantelli lungo il cammino fino al suo ingresso trionfale a Gerusalemme? Di lì a pochi giorni la moltitudine sarebbe stata davanti a Pilato a chiedere ad unanimità; Crocifiggilo Crocifiggilo. Il popolo aspettava un re politico, che li avrebbe liberati dal giogo dei romani, e stabilito il Regno di Israele per le generazioni future. Ma Gesù è Re, ma non di un Regno temporale, come Saul, Davide, Salomone, ma il suo Regno è in Paradiso, dove non esiste più la morte, il pianto, la sofferenza e la persecuzione, ma soltanto gioia senza fine in Eterno. È questo che non hanno mai compreso gli ebrei, ma ancora lo attendono. Questa è la logica del male, dell’egoismo, dell’invidia e del peccato, perché, mai nessuno dei Padri d’Israele ha compiuto miracoli, guarigioni e conversioni, ma soltanto Gesù, perché, è il Figlio di Dio, il tanto atteso, a liberarci dal giogo del demonio, e donarci per l’eternità la vita senza fine. Accusato da coloro considerati i saggi d’Israele che dovevano riceverlo con tutti gli onori, di cui la comprensione, lascia il posto all’invidia e alla crudeltà più disumana, accusandolo di bestemmia, sommossa, falsa dottrina, e autoproclamarsi il Messia. Facendoci un profondo esame di coscienza, quante volte anche noi, con le nostre miserie umane, abbiamo trasformato quell’Osanna in Crocifiggilo? Anche noi, siamo complici insieme a quel popolo dalla dura cervice della morte del Redentore. Io sono il primo della classifica, e dopo di me un’infinità riempiono il mondo. Analizzando a fondo la Passione di Nostro Signore Gesù, non è difficile individuare la pietra di scandalo che i Giudei con un’astuta trappola, servendosi di Giuda Iscariota lo hanno condannato a morte, per due interessi importanti: la visione politica e la visione religiosa. Quest’ultima, quella vera, e perseguitata con odio di sterminio per tutti coloro che si professano Maestri e Messia, perché, la Legge di Mosè, non può essere contradetta e né cambiata. Ma non tutti i membri del Sinedrio erano concordi con Caifa ed i suoi scagnozzi che si distinguono per carità ed umiltà, Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo, che hanno condannato pubblicamente il comportamento ingiusto scorretto e crudele dei loro stessi confratelli. Il popolo voleva un re che potesse capovolgere le loro sorti, da sottomessi a liberi, non un re che perdonava i nemici, i loro peccati, faceva miracoli, e parlava di vita eterna. Appena hanno intuito che non serviva al loro scopo, lo hanno abbandonato miseramente al suo destino, ucciso per mano pagana, vittima della sua stessa missione e del sistema giudiziario di Israele e di Roma. Il Profeta Isaia aveva predetto quest’evento grandioso per la nostra salvezza, come vittime espiatorie: “Ho presentato il mio dorso ai flagellatori, le mie guance a coloro che mi strappavano la barba, non ho sottratto la mia faccia agli insulti e agli sputi” (Is 50,6). Gesù per il fatto di andare contro corrente, di ammonire il popolo per le sue deviazioni, e di indicare un cammino verso una morale sana, di acquisire una santità pura, ha dato volontariamente la sua vita per sconfiggere una volta per sempre, tutte le passioni sregolate dell’intera umanità. Scegliendo di entrare nella città di Gerusalemme in una fama modesta ed umile, come simbolo di contradizione per i sommi sacerdoti, arroganti e pieni di sé, in quanto voleva dimostrare che la sua regalità era autentica e senza contraddizioni. Dopo averlo flagellato ed incoronato di spine, umiliato e seviziato con ogni tortura fisica e psicologica, fu presentato a Pilato, che in cuor suo, voleva liberalo, ma i giudei avevano capito il suo punto debole, contraddire l’autorità di Tiberio Cesare significava la morte e la deportazione, quindi, i giudei avevano fatto di tutto per screditarlo, in realtà, lo hanno minacciato dicendogli: “se liberi costui, non sei amico di Cesare”, e da autorità massima, sarebbe diventato in brevissimo tempo nemico di Roma, con conseguenze terrificanti. Lo prese in disparte e lo interrogò nuovamente: “Chi sei, da dove vieni?” Gesù a voce spezzata dal dolore e dalla sofferenza rispose: “Il mio regno non è di questo mondo: se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fosse consegnato ai giudei, ma il mio regno non è di qua giù” (Gv.18,36). Il procuratore era perplesso e spaventato allo stesso tempo, la folla chiedeva ad unanimità che Gesù venisse crocifisso. Quindi chiese di nuovo;” Chi volete che vi liberi, Gesù il Re de Giudei, o Barabba un assassino, un criminale della peggior specie?” Il popolo rispose che voleva Barabba, e poi affermarono: “Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli”. Secondo la nostra legge deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio”. Pilato, ordinò ad un suo inserviente di portare dell’acqua e si lavò le mani di fronte alla folla dicendo: “Io sono innocente di questo sangue, vedetevela voi”. Dopo di che, letta la sentenza di condanna a morte per crocifissione, lo consegno ai soldati per eseguire la pena. Pilato fece scrivere la sentenza di condanna in triplice copia, descrivendo nel dettaglio, che secondo la sua coscienza Gesù di Nazaret era innocente, sono stati i Sommi Sacerdoti, gli scribi ed i Farisei a consegnarlo nelle sue mani per invidia, e con la complicità del popolo, messo da loro stessi in subbuglio, hanno chiesto ad unanimità la sua condanna a morte per crocifissione, perché, considerato nemico d’Israele e del popolo ebraico. La verità dei fatti diede molto fastidio alle autorità giudaiche, ma in fin dei conti era la verità, la realtà dei fatti accaduti. In seguito, diede ordine di incidere una tabella con il motivo della condanna, scritta in latino, ebraico, aramaico. “I.N.R.I”, che stava a significare: “Iesus Nazarenus Rex Iudeorum”, che procurò rabbia dei giudei, e chiesero a Pilato di cambiarla, ma egli rispose con tono deciso e scocciato: “Quello che ho scritto, ho scritto”. Riportarono Gesù nel pretorio lo spogliarono dal mantello derisorio e gli fecero indossare i suoi abiti, che alcune donne devotamente hanno lavato e profumato, per onorare il loro Signore. Gli schiavi imprecando e bestemmiando portarono la Croce, e Gesù con atto sublime l’abbraccio e la baciò, perché grazie ad essa, l’umanità peccatrice sarà redenta e purificata con il suo stesso sangue. Quando il triste corteo fu ben organizzato, il Signore si caricò la Croce sulle sue spalle lacerate dai flagelli e si mise in viaggio verso il Golgota. Per offenderlo maggiormente lo fecero passare dentro la Città di Gerusalemme, ricevendo le offese del popolo, lanciandogli addosso, pietre, spazzatura, fango ed acqua sporca. Egli in silenzio e in profonda rassegnazione proseguiva il suo doloroso cammino in silenzio pregando il Padre di perdonare i loro peccati. Povera Maria Madre addolorata, era consolata dalle Pie Donne e dal discepolo amato del Signore, seguiva il suo addolorato Figlio, e i tormenti fisici e le ingiurie li subiva nel suo cuore, e non gli lasciavano scampo, torturandola senza pietà. San Paolo nella sua lettera ai Filippesi, lo specifica bene,” Pur essendo Dio, assunse la condizione di un uomo mortale uguale a noi uomini eccetto il peccato, ed obbedì senza esitazione alla morte di Croce”. Ad un certo punto, Gesù cadde in maniera rovinosa sotto i pesi dei nostri peccati, e i soldati invece di aiutarlo, lo deridevano e lo fecero rialzare a colpi di frustate. Maria, presa dal sopravento corse incontro verso suo Figlio e lo abbracciò amorevolmente non curandosi di tutto ciò che stava vicino a Lei e a Sua Figlio, e Gesù gli disse: “Faccio cose grandi Madre”, e la pena dell’uno, s’immedesima con la pena dell’altro. Consideriamo ora quanto sia stato doloroso per Gesù vedere la Madre cara in circostanze tanto crudeli e spietate, e per Lei, vedere il suo Unigenito trascinato in maniera disumana da una banda di selvaggi, scellerati, e posseduti dai demoni. Il suo povero e sensibile cuore materno fu trafitto da mille spade e da ogni tipo di angoscia. Voleva avere quel potere per poterlo strappare dalle mani dei carnefici, che ci provavano gusto a tormentarlo. Ma sapeva bene che la nostra redenzione doveva passare da quel terribile dolore. Unendo il sacrificio del suo amore a quello del Figlio, questa Madre addolorata, partecipò a tutte le sue sofferenze, e si associa a Gesù fino al suo ultimo sospiro. I soldati si accorsero che Gesù non aveva più le forze, videro in mezzo alla folla un uomo robusto che veniva dalla campagna, il Cireno, e lo obbligarono a portare le Croce del Cristo. In un primo momento si era rifiutato, ma lui a malincuore e costretto con la forza dai soldati romani, si diressero verso la via del supplizio. Costatando di persona che quell’uomo condannato non era un criminale, ma un innocente condannato dalla sua stessa gente per aver detto la verità, il suo cuore da pagano si convertì. Il Signore, per dimostrare tutta la sua gratitudine lo perdonò di tutti i suoi peccati, e dopo la risurrezione si uni insieme alla sua famiglia, nella prima comunità degli Apostoli, diventando uno di loro. Questo gesto nel ridicolizzare il condannato, ravvisava nel popolo la paura di non commettere crimini, e di non sfidare l’autorità e il potere di Roma. “Se qualcuno vuole venire dietro di Me, rineghi sé stesso, prenda la sua Croce e mi segua”. Quel legno, simbolo dell’infamia e del ripudio di ogni bene e di ogni verità, divenne strumento di salvezza, trono di Dio e di grande trionfo sull’inferno, la più grande gloria per il mondo intero, scettro di potere che distingue il Figlio di Dio da un figlio delle tenebre. Povero Gesù, che dura e provata sofferenza hai patito per i nostri peccati, quante cadute sotto la croce hai subito, e noi, esseri irriconoscenti, abbiamo continuato ad umiliarti, e a schiaffeggiarti selvaggiamente per riprendere il cammino verso il Calvario. Perdonaci Signore, e abbi pietà di noi peccatori! Ad un certo punto del doloroso viaggio, una giovane donna la Veronica tua devota fedele, si fece avanti tra la folla assatanata e la crudeltà dei soldati, e con gesto di pietà, con un panno di lino, asciugò il tuo volto sanguinante e pieno di sputi, e per ringraziarla per il suo gesto, hai lasciato impressa l’immagine del tuo Santo Volto sofferente, che con il passar dei secoli, avvennero prodigiosi miracoli. Giunti sul luogo dell’immolazione, ti rinchiusero in una caverna poco distante, per preparare la Croce, dopo di che, a spintoni e bestemmie lo spogliarono delle sue vesti, con una tale brutalità che si riaprirono nuovamente tutte le ferite della flagellazione provocando un dolore lancinante e la fuoriuscita di sangue. Ti sdraiarono sul legno e con indifferenza ti inchiodarono prima le mani, poi con un unico chiodo più grosso, i tuoi santi piedi, che hanno percorso kilometri, per portare la buona novella. Questo è il nostro ringraziamento; ci hai fatto del bene, e noi ti abbiamo contraccambiato con il male. Povera Madre, che ad ogni colpo di martello dato a quei chiodi, nelle sue carni riecheggiava come un rombo spaventoso nel tuo cuore, inondandolo di dolore e sgomento. Terminata la tremenda inchiodatura, alzarono la Croce in posizione verticale, innalzandoti sul tuo trono di salvezza, perdonando i tuoi persecutori. Per umiliarti ancora di più, crocifissero anche due criminali, uno alla tua destra e l’altro alla tua sinistra. Uno di loro, vedendo la crudeltà contro l’innocente urlò contro i sommi sacerdoti, gli scribi, i farisei, presenti, accusandolo di aver ucciso il Santo d’Israele e di vergognarsi davanti a Dio dei loro meschini peccati. “Gesù ricordati di me, quando entrerai nel tuo Regno. Gesù rispose: in verità io ti dico, oggi stesso sarai con me in Paradiso”. L’altro condannato si univa aizzando la folla ad umiliarlo. Gesù piagato dalla testa ai piedi, pronto a rendere il suo spirito, i sinedriti continuavano a prendersi gioco di lui, commentando; “Ha salvato altri, non può salvare sé stesso! Il Messia, il Re d’Israele, che scenda ora dalla Croce, perché vediamo e crediamo”. San Bernardo di Chiaravalle dice a tal proposito afferma: “Oh lingua avvelenata che non sa trattenersi con un freno le parole di malizia, e con espressioni perverse! Che coerenza c’è a dover scendere dal suo sontuoso trono, se è Re d’Israele? Non è più logico che salga? O ancora, poiché è Re d’Israele, che non abbandoni il titolo del regno, non deponga lo scettro quel Signore il cui impero è sulle sue spalle”. Verso le tre del pomeriggio la natura manifestava dolore per l’imminente morte del Redentore, e cominciò a farsi buio su tutta la terra, gli accusatori ed il popolo inferocito avvertiva un senso di paura misto a terrore e, piano piano gli insulti, le vessazioni tacquero definitivamente, e la loro coscienza cominciava a dare segni d rimorso nel popolo, che dall’Osanna o Figlio di Davide, al suo ingresso trionfale a Gerusalemme dopo cinque giorni, gli stessi urlarono davanti a Pilato, Crocifiggilo, che scompaia dal mondo, attirando su loro stessi la maledizione. Il Golgota divenne silenzioso e desolato, erano presenti: le Pie Donne, Maria sua Madre, Giovanni l’Apostolo dell’amore e i soldati romani. Gesù sapendo che era giunta la sua ora di tornare dal Padre si rivolse a sua Madre dicendogli: Donna ecco tuo figlio, e a Giovanni, figlio ecco tua Madre, e da quel momento la prese in casa con lui. Non c’è gesto più grazioso di questo, Gesù nella sua infinita Misericordia ci consegna sua Madre a noi peccatori, che in quel momento sublime della storia del mondo siano stati partoriti dal dolore di Maria diventando suoi figli adottivi, quindi corredi di Cristo e figli legittimi del Padre Onnipotente. Alle tre del pomeriggio la natura mutava in un aspetto spaventoso, si era alzata la nebbia e cominciava a far freddo, il vento cominciava a soffiare sempre più vigoroso, e gli ultimi presenti lasciarono il Golgota con un’atmosfera di sofferenza interiore, la loro coscienza cominciava a demordere. Gesù, giunto al limite delle sue possibilità di sopravvivere, lanciò un forte grido e chinò il capo sul suo petto contuso, spirò. Il Signore è morto, versando fino all’ultima goccia del suo sangue, per tutti noi miseri peccatori. Dal cielo offuscato cadde una goccia di pioggia, e la terra fu sconvolta da un tremendo terremoto che squarcio il velo del Tempio, distruggendolo in parte, le case di tutti coloro che hanno voluto il Cristo morto, crollarono fin le fondamenta, i corpi dei Giusti d’Israele risorsero, rimproverando aspramente i vivi, inducendoli a chiedere il perdono a Colui che per invidia e cecità della verità, avevano ucciso. Caifa era nel tempio a celebrare i Riti solenni della Pasqua e si ustionò tremendamente la mano con il bracciere dell’incenso rovesciato. Ma quello che successe all’inferno, fu altrettanto sconvolgente: il diavolo, la morte sua alleata e il peccato furono scardinati dal potere e sconfitti per sempre. Ora a chi si rivolge a Colui che fu trafitto, ha la vita eterna. Il centurione, vedendo come è morto dichiarò pubblicamente: “Costui era realmente il Figlio di Dio”, e dal profondo della sua anima ci fu un’autentica conversione e profondo pentimento. Per constatare che era realmente morto, diede ordine al soldato Longino di constatarne la morte, e invece di rompergli le gambe come ai due ladroni, prese la sua lancia e gli trafisse il costato, da dove uscì sangue ed acqua fonte della sua Misericordia, di cui Longino guarì dal suo strabismo. Longino cadde in ginocchio e rimase in estasi a contemplare il crocifisso. Nel momento in cui fu trafitto il costato del Signore, anche sua Madre Maria fu trafitta in profondità nella sua anima da una spada invisibile e dal dolore lancinante, perse i sensi cadendo tra le braccia delle Pie Donne. Maria Maddalena dal dolore per la morte del suo Signore era stravolta e in un profondo stato confusionale. Vi era un uomo autorevole del Sinedrio che non fu d’accordo con il giudizio e la condanna dei suoi crudeli confratelli, andò da Pilato e chiese con autorità e coraggio il corpo martoriato di Gesù per darle una degna sepoltura. Pilato consegnò il documento a Giuseppe d’Arimatea, ed insieme con Nicodemo andarono al Golgota, per adempiere all’ultimo saluto al Santo de Santi. I soldati con delle scale, schiodarono il corpo di Gesù e lo calarono dalla croce e lo avvolsero in un lenzuolo, deponendolo nel seno della Vergine Sua Madre. Lo sgomento prese il sopravvento, e il suo Volto Immacolato si riempi di lacrime lanciando gemiti di dolore, che si commosse anche il paesaggio circostante. Quando tornò in sé, si fece portare dell’acqua e con delle spugne morbide si mise a lavare il corpo torturato ed esamine di quel Figlio, che venne dal Paradiso per la conversione e la redenzione dei peccatori, evidenziando tutte le ferite che i carnefici gli avevano inflitto in modo disumano. Tolse la corona di spine e con una pinza, levò tutte le spine dal Santo Capo. Lavò i capelli e la barba ingrumata di sangue, il suo Santo Volto pieno di sputi, rendendolo pulito e di bel aspetto, nonostante si vedevano le lividure. Terminato tutto il procedimento di pulitura, unsero il suo corpo e le sue ferite con olio, balsamo profumato e mira. Avvolto in un lenzuolo di lino di forma rettangolare cucito a spina di pesce di circa 4,41x1,11 cm denominato Sindone, lo misero su una barella improvvisata con una scala e, dopo una breve processione funebre, lo condussero deponendolo con delicatezza nel sepolcro nuovo scavato nella roccia appartenente allo stesso Giuseppe, dove non era stato sepolto nessuno, ed ultimarono gli ultimi preparativi per la sepoltura. Maria sua Madre, non aveva intenzione di lasciare suo Figlio da solo in quel sepolcro, e non voleva andare via. Alla fine, le Pie Donne e Giovanni la convinsero ad uscire, e alcuni uomini presenti, rotolarono una grossa pietra, e sigillarono il sepolcro. Condussero la Madre addolorata al Cenacolo, ma non volle stare. Voleva uscire e ripercorrere nuovamente il tragitto che fece suo Figlio dal Getsemani al Sepolcro, seguendo le tracce di sangue lasciate da Gesù. Giovani e le Pie Donne l’hanno accompagnata piangendo e battendosi il petto per i peccati degli uomini che hanno condotto Gesù alla morte, per la nostra liberazione dal maligno che ci teneva schiavi. Da qui è nata la Via Crucis e continua ad esistere fino ai nostri giorni. Tornate al Cenacolo per paura dei giudei e dei soldati romani, vegliavano in preghiera nell’attesa gloriosa della Resurrezione del Signore. Gli Apostoli che nel momento dell’arresto del Signore si dileguarono fecero ritorno in massa al Cenacolo e si presentarono alla Madre Maria che in un certo verso li riprese in maniera severa, e in modo particolare a Pietro, che per tre volte lo aveva rinnegato, fingendo di non conoscerlo. Tornarono tutti, escluso uno, l’ormai figlio della perdizione, che alcuni Apostoli andarono a cercare, e lo videro impiccato e in avanzato stato di decomposizione, come se fossero passati oltre due mesi, ma in realtà era trascorso soltanto un giorno dalla sua morte cruenta. Essendo ormai destinato alle tenebre eterne, i demoni attaccarono il suo corpo, riducendolo ad un ammasso di carne fetida, piena di vermi, gonfio, irriconoscibile e maleodorante, che si avvertiva da molta distanza. Maria la Madre del Signore e ora anche nostra, attendeva con trepidazione di vedere suo Figlio Risorto dalla morte con il suo vero corpo vivo e raggiante di gloria, la stessa che ne è ripieno da prima della creazione degli Angeli e del mondo, con tutto ciò che sussiste, e quest’evento grandioso che solo Dio poteva compiere la rendeva felice nell’intimo della sua anima, ma gli avvenimenti recenti che ha subito, era ancora avvolta da un immenso dolore che non le dava pace. A Gerusalemme tutto taceva in un silenzio surreale, le celebrazioni al Tempio furono soppresse per via dei danni provocati dal terremoto, i morti ancora apparivano ai vivi, provocando un senso di terrore. I Sommi Sacerdoti, gli scribi e i farisei, non sapevano dare una spiegazione plausibile al popolo che voleva delle risposte, ma in cuor loro sapevano che tutto ciò era stata provocato dopo la morte gloriosa del Cristo, solo che la loro arroganza e cecità non gli permetteva di accettarlo. Con il permesso di Pilato misero delle guardie armate davanti al sepolcro, per evitare che gli Apostoli trafugassero il corpo e annunciavano al mondo, che Gesù di Nazaret è risuscitato dai morti, come aveva annunciato durante la sua vita terrena, cosa che effettivamente avvenne. Quando Gesù emise il suo ultimo respiro, avvenne la separazione della sua anima dal corpo, come avviene per tutti gli uomini. Ma la divinità era così inscindibilmente unita all’uomo Cristo, che, nonostante l’avvenuta separazione dell’anima dal corpo, essa rimase sempre presente sia all’anima che al corpo, sicché il Figlio di Dio, mentre il suo corpo giaceva nel sepolcro, con la sua anima discese all’inferno. Ecco perché gli apostoli affermarono in tutto il corso della loro vita: “Discese agli inferi”. Ora domandiamoci per quale motivo Gesù discese agli inferi? Sussistono delle ragioni per spiegare perché Gesù scese con la sua anima giù nell’inferno. Come tutti gli esseri umani la pena dovuta al peccato non consisteva soltanto nella morte fisica del corpo, ma anche una sofferenza della sua anima, per i peccati commessi in vita, partendo prima della venuta di Cristo discendeva all’inferno. Cristo per liberare queste anime in pena, affrontò lui stesso la morte, e facendo ciò, per cui fu mandato dal Padre, li liberò dalla sofferenza salvandoli dalla seconda morte, quella eterna. Portò fuori da quel luogo i nostri progenitori, Adamo ed Eva, gli antichi Padri del Popolo d’Israele, i giusti, i Santi e tutti coloro che furono uccisi ingiustamente, e tutti i suoi amici. Annientò e sconfisse il diavolo, la morte il peccato, definitivamente rilegandoli con catene infocate, e precipitati nelle profondità più oscure e più profonde di quel luogo di dannazione eterna, da dove non usciranno per l’intera eternità, dove finiranno anche tutte quelle anime che rifiutano la salvezza eterna. Maria e gli Apostoli nel Cenacolo erano assorti nella preghiera unanime, ma ancora pieni di paura per le ripercussioni dei giudei nei loro confronti, ma non tutti rimasero ostili al Signore, molti di loro vedendolo morire in quel modo, nella più profonda rassegnazione, senza ripagare offesa contro offesa, subendo le più terribili e disumane torture ed umiliazioni, hanno realmente compreso che: Gesù era ed è realmente Figlio di Dio, il loro Salvatore, l’unico, che con la sua volontaria morte, perdonò i peccati di tutta l’umanità. Si convertirono, e dopo la resurrezione e ascensione al cielo sfidando l’autorità del sinedrio, si unirono alla prima comunità cristiana fondata dal suo Vicario in terra, l’apostolo Pietro, colui al quale Gesù diede le chiavi del suo Regno. Intanto le guardie romane e del Tempio, sorvegliavano attentamente il Sepolcro del Signore, Longino, il soldato che con la sua lancia trafisse il costato del Cristo, e mediante il suo sangue guarì dalla sua malattia agli occhi, era in estasi in contemplazione e preghiera, attendendo in cuor suo, che in quella notte, doveva succedere qualcosa di grandioso e allo stesso tempo meraviglioso. Verso mezzanotte, inizio del primo giorno dopo il sabato, vi fu una scossa di terremoto, i soldati sobbalzavano dalla paura, ed un senso di terrore li circondava. Presi dal terrore fuggirono via lasciando sul luogo dell’avvenuto prodigio, soltanto Longino svenuto. Si udì un tonfo enorme. La pietra circolare che chiudeva il sepolcro si ribaltò, e dal suo interno uscì Gesù, nel suo vero corpo avvolto da una luce gloriosa, che la notte divenne giorno, circondato da una moltitudine di Angeli, che cantavano in un unico coro: “Gloria in Excelsis Deo”. Il Signore è realmente Risorto. Alleluia. Maria Santissima uscì da sola dal Cenacolo chiamata da una forza interiore, si recò al sepolcro. Giunta, vide l’enorme pietra che chiudeva il suo ingresso totalmente ribaltata, non entrò, ma alzando gli occhi al cielo, vide sullo spentone di una roccia, un uomo dall’aspetto luminoso, con le mani, il costato e i piedi che furono trapassati dai chiodi. Quell’uomo è suo Figlio, l’Unigenito, il Risorto, che ha vinto la morte, ed ora è vivente di fronte a Lei, in tutto il suo splendore di Figlio di Dio. Oh!!! quale immensa gioia provava in quel momento Maria, rivedere suo Figlio nuovamente in mezzo al popolo, e la gioia dei suoi Apostoli quando avrebbero appreso la gioiosa notizia. Maria, dopo aver contemplato suo Figlio, tornò al Cenacolo e non fece parola con nessuno dei presenti, di quello che aveva visto. Giunse l’alba del nuovo giorno, e le donne piangenti si avviarono al sepolcro per compiere i riti di sepoltura del loro Signore, come prescriveva la Legge di Mose, portando con loro, oli e balsami profumati preparati il giorno prima. Con loro vi era anche Maria Maddalena, affranta e con gli occhi ingrossati e arrossati dalle tante lacrime versate. Strada facendo si domandavano tra di loro chi le avesse aiutate a spostare l’enorme pietra per entrare nel sepolcro. Giunte sul luogo, notarono che la gigantesca pietra circolare era stata ribaltata fuori dal suo binario, e videro due uomini in candide vesti, seduti sulla pietra sepolcrale, dove due giorni prima avevano posto il corpo di Gesù. Le bende ed il lenzuolo vuoti messi in bella vista, ma Gesù non c’era più. Le donne rimasero sconvolte e ammutolite. I due uomini dissero: “Perché cercate tra i morti Colui che è vivo? È risorto, non è più qui” Le donne dallo spavento ma allo stesso tempo dalla commozione e felicità, scapparono via. Solo la Maddalena rimase lì a cercare qualcuno per sapere dove hanno spostato il corpo del Signore e dove lo avevano posto. Piangendo intravide un uomo in splendenti vesti, venire verso di lei. Le corse incontro e gli disse: “Se hai preso tu il corpo del mio Signore, dimmi dove lo hai posto, che vado a riprenderlo”. Lei riconobbe all’istante la voce del Signore e gli disse “Rabbuni” che significa Maestro. Si inginocchiò per baciare i suoi piedi, ma Gesù gli disse: “Non mi toccare, perché ancora non sono salito al Padre mio e Padre vostro, ma vai dai miei fratelli e dirgli che sono Risorto, e che li precederò in Galilea”. Detto questo, sparì. La felicità era tanta che appena riusciva a contenerla, e tutta ad un fiato, corse dai suoi Apostoli a portare la buona novella. Gesù è vivo!!! Giunta al Cenacolo, bussò con energia, e gli Apostoli sobbalzavano dalla paura. Maria disse: Sono io apritemi. Gli Apostoli aprirono ed entrando disse: L’ho visto, ho visto Gesù, è vivo e mi ha parlato, mi ha parlato! È risorto dalla morte e vi precederà in Galilea. Gli Apostoli rimasero senza parole, e non la crebbero, gli dissero che lo spavento subito per tutto quello che è successo, le aveva provocato una seria di suggestioni, e le consigliarono di tornare a casa delle Pie Donne e di riposare. Maria si arrabbiò, che Colui che ha visto è Gesù. Voltandosi di scatto si diresse verso la porta e uscì sbattendola. Allora Pietro e Giovanni presero il mantello e corsero verso il sepolcro. Giovanni che era più giovane corse avanti, e subito dopo giunse anche Pietro e videro con i propri occhi i teli, la sindone e il resto delle bende nel sepolcro ma il suo corpo non c’era più, allora credettero alle parole di Maria Maddalena. Infatti, quando Gesù era ancora in vita li aveva avvertiti: “Il figlio dell’Uomo deve tanto soffrire, e messo a morte, ma il terzo giorno, sarebbe Risorto”. Tornarono al Cenacolo stupiti, ma allo stesso tempo felici, e che ben presto sarebbe andato da loro, come aveva detto alla Maddalena. Dopo questi fatti, otto giorni dopo la Resurrezione del Signore, gli Apostoli stavano al Cenacolo, escluso Tommaso. Gesù si presentò a loro a porte chiuse: “Pace a voi”, e mostrò loro le mani ed il costato. Loro che fino a quel momento erano presi dal dubbio e dalla tristezza, che non sono stati in grado di comprendere le parole del Signore e delle Scritture, si rallegrarono a vedere Gesù. Prese del pane e lo spezzò e lo diede loro. Mangiò e bevve con loro, spiegando gli eventi futuri e gli istruiva su come dovevano condurre la sua nuova Chiesa, lasciando la guida a Pietro, suo Vicario in terra, che inginocchiandosi ai piedi del Signore, chiese perdono per averLo rinnegato per ben tre volte. Detto ciò, scomparve. La gioia degli Apostoli era immensa incontenibile. La sera stessa ritornò al cenacolo anche Tommaso detto Didimo, e gli raccontarono che era venuto il Signore e che aveva mangiato con loro. Egli non crebbe ad una sola parola, e rivolgendosi ai suoi fratelli disse: “Se non metto il dito nelle piaghe delle sue mani, e nel suo costato, io, non ci credo”. Passarono otto giorni e Gesù tornò di nuovo a porte chiuse in mezzo a loro e disse a loro: “Pace a voi”, e poi rivolgendosi con amore verso Tommaso gli disse: “Metti le tue mani nelle mie piaghe ed il tuo dito nel mio costato, così crederai. E poi soggiunse: Beato tu Tommaso che mi hai visto e hai creduto, ma beati coloro, che pur non avendomi mai visto crederanno”. Allora Tommaso, si getto a terra ai piedi di Gesù, e con lacrime di gioia e di commozione chiese perdono per la sua mancanza di fede e di fiducia verso il suo Maestro e Signore. Gesù apparve diverse volte nei suoi quaranta giorni sulla terra, non solo agli Apostoli ma anche a sua Madre, alle Pie Donne e a Maria Maddalena, poi rivolgendosi agli Apostoli diede i suoi ultimi insegnamenti e promise che sarebbe giunto a loro lo Spirito Santo, il Consolatore, che li avrebbe guidati fino alla fine dei tempi. Detto questo li condusse su un monte, e pronunciate le sue ultime parole, fu elevato in alto sotto i loro occhi umani ed una nube lo sottrasse dal loro sguardo, dove tuttora risiede alla Destra del Padre. Dopo quest’evento, gli Apostoli fecero ritorno a Gerusalemme, passando dall’orto degli ulivi stesso luogo dove Gesù subì la sua dolorosa agonia prima di essere arrestato. Gli Apostoli chiusi nel Cenacolo per paura dei Giudei che li cercavano per arrestarli ed ucciderli, insieme a Maria Santissima, si misero a pregare fiduciosi di ricevere lo Spirito Santo, promesso da Cristo. Una settimana dopo la sua gloriosa Ascensione al cielo di Gesù, avvenne l’evento. Mentre erano assidui nella preghiera, giunse all’interno del Cenacolo un rombo di un vento impetuoso che riempì la stanza, comparvero sulle teste degli Apostoli e della Maddonna fiammelle di fuoco, che ardevano e non si consumavano, cominciarono a parlare lingue che non conoscevano, e chi li udiva dicevano che si erano ubbriacati di mosto. Sono stati infuocati dal fuoco purificatore dello Spirito Santo. Da quel momento in poi si formò la prima Chiesa e comunità cristiana, andando per il mondo a portare il Vangelo, le parole e gli insegnamenti del Cristo, morto e risorto per il perdono dei nostri peccati. Da allora fino ad oggi, nonostante le continue persecuzioni alla Chiesa, il Vangelo corre fino all’angolo più sconosciuto della Terra, grazie a noi successori degli Apostoli, e ai ferventi laici che uniti e compatti lavorano nella Vigna del Signore. Amen…..Alleluia……

Data nella Sede Episcopale il 11 Aprile dell’Anno del Signore 2021
Domenica In Albis o della Divina Misericordia

+ Salvatore Micalef
Vescovo Ordinario
Lettera Apostolica image
+SALVATORE MICALEF
PER GRAZIA DI DIO E DELLA SANTA CHIESA
VESCOVO ORDINARIO

Prot. n. 179/2021 v-o

LETTERA APOSTOLICA
“Sed solus Christus interpellat, Mariae salvet vero”


Eminenze, Eccellenze Reverendissime;
Venerati Diaconi e Sacerdoti;
Cari fratelli e sorelle;
la grazia di Dio nostro Padre e del Signore nostro Gesù Cristo sia con tutti voi. Con gioia intraprendo un nuovo argomento teologico sulla figura di Gesù Cristo, Figlio di Dio e, Seconda Persona della Santissima Trinità e di sua Madre, la Vergine Maria. Noi uomini siamo riconosciuti peccatori grazie al primo peccato commesso con deliberato consenso dai nostri progenitori Adamo ed Eva, per istigazione del maligno, l’accusatore che ci odia per il semplice fatto, che siamo fatti ad immagine e somiglianza di Dio Padre e considerati sue creature e suoi figli. Con la disobbedienza è entrata nel mondo la morte, conseguenza del peccato. Ma nonostante tutto, Dio Padre non ci ha abbandonato a noi stessi, ma introdusse nel mondo i Profeti, per metterci in guardia dalle insidie del demonio ed essere fedeli alle leggi di Dio. Egli scelse Abramo della città di Ur a farne un popolo che avrebbe reso numeroso più delle stelle del cielo a costituirla una Nazione a cui dava dei Re giusti e saggi a governare, ad osservare le Leggi e i suoi insegnamenti. Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe e così via fino a Mose, “salvato dalle acque” che lo inviò alla corte del Faraone Ramses II ha liberare il suo popolo reso schiavo. Dio per mezzo di Mose manifesto tutta la sua potenza mandando le dieci piaghe per far vedere al Faraone che il Dio venerato dagli Ebrei è più autorevole dei suoi dei di pietra e di metallo fuso. Alla fine, il Faraone cacciò via il popolo d’Israele dall’Egitto e cominciò il suo lungo viaggio verso la Terra Promessa, dove secondo le parole pronunciate da Dio, scorreva latte e miele. Tutto il popolo fece tappa verso il Monte Sinai dove Mose chiamato da Dio rimase quaranta giorni a digiuno, dove col suo dito scalfì le Tavole della Legge, i Dieci Comandamenti, per dare al popolo le Leggi da seguire per essere in piena comunione con Lui. A valle il popolo persuaso dall’accusatore si spazientì di aspettare Mose che scendesse dal Monte, dove Dio gli parlò attraverso il roveto ardente, e si costruì con l’oro recuperato in Egitto un nuovo dio, un vitello che adorarono come loro liberatore e salvatore. Il viso di Mose era tutto trasfigurato, si vedeva in lui la potenza dell’Altissimo. Quando vide l’abominio che il suo popolo stava compiendo con un falso dio, scagliò le tavole della legge sul vitello d’oro riducendolo in polvere e, perirono tutti coloro che ne furono gli artefici. Il pellegrinare del Popolo d’Israele durò quarant’anni mettendo alla prova Mose e sfidando Dio con le loro assidue lamentele. Infatti, Dio disse a Mose: È un popolo dalla dura cervice, e non è fedele al Patto dell’Alleanza fatto coi vostri Padri e lo punirò severamente da tutti gli abomini da loro commessi. Mose supplicò Dio di non punire il suo popolo, ma dopo la sua morte li castigò severamente, deportandoli a Babilonia, sotto il Re Nabucodonosor dove rimasero per cinquantotto anni. Gli Ebrei non ebbero mai pace, erano sempre in guerra con i popoli confinanti fino alla sottomissione di Roma. Durante tutto questo tempo molti Profeti profetizzarono la venuta di un Messia liberatore del loro popolo es. Isaia Michea e tanti altri, ma non tutti credevano alle loro profezie, finché non giunse la pienezza del tempo, in cui Dio Padre mandò suo Figlio l’Unigenito Gesù Cristo nel mondo per salvare le nostre anime dalle insidie del maligno, consegnandosi come agnello innocente in mano ai peccatori, uccidendolo sul patibolo della Croce. Il Figlio di Dio, vero Dio e vero Uomo, in tutto eccetto il peccato, nacque dal grembo verginale della Vergine Maria, Madre di Dio e Madre nostra nella più assoluta povertà, nel bisogno più completo, rifiutato da tutti nell’albergo e costretto a nascere in una misera grotta a Betlemme di Giudea. Gli unici a far visita alla grotta furono dei poveri pastori avvisati dagli Angeli, che è nato il Messia il Re d’Israele. Erode per paura di perdere il suo Regno come un fantoccio manovrato dal potere di Roma, escogitò un piano diabolico per eliminarlo. Con un suo ordine, fece uccidere tutti i neonati di Betlemme, dove scatenò un dolore tanto grande che fu riportato in tutta la storia del mondo. La Sacra Famiglia riuscì a scappare rifugiandosi in Egitto fino alla morte di Erode il Grande, poi, avvisati da un Angelo ripresero il viaggio di ritorno e tornarono in Patria nella Città di Nazareth da cui Gesù prese l’appellativo di Nazareno. Gesù passò la sua infanzia sottomesso ai suoi genitori, finché non giunse il momento di rivolgersi al mondo. In quel tempo vi era sulle rive del Fiume Giordano un uomo timorato di Dio ed il suo nome era Giovanni il Battista, che battezzava con acqua e spianava la via per il Messia, ammaestrava le genti a seguire la via di Dio e di pentirsi dei propri peccati. Ha rimproverato anche Erode perché aveva preso in moglie una donna ripudiata da suo fratello. Gesù guidato dallo Spirito Santo si recò al Giordano e si fece battezzare da Giovanni. I cieli si sono aperti e su Gesù scese lo Spirito Santo sotto forma di colomba e si udì la voce del Padre: “Questi è mio Figlio diletto di cui mi sono compiaciuto, ascoltatelo”. Da quel momento si recò nel deserto per quaranta giorni dove fu tentato da satana che fu sconfitto, ma che doveva tornare al momento opportuno. Si scelse dodici Apostoli a cui trasmise i suoi poteri, ammaestrandoli a guarire i malati, a predicare il Vangelo ed a liberare gli ossessi dai demoni. Si recava dovunque insegnando le leggi di Dio, compiendo miracoli, predicando che il Regno di Dio è vicino, di convertirsi e di credere nel Vangelo. Purtroppo, non tutti erano concordi coi suoi insegnamenti e miracoli, costoro erano, gli scribi ed i Sommi Sacerdoti del Tempio, che lo accusavano di bestemmia e di insegnare false dottrine non conformi alla legge di Mose. Giunse la pienezza del tempo in cui Gesù doveva compiere il progetto di salvezza, consegnandosi ai pagani e ai peccatori. Nel giorno in cui Gesù entrò trionfante a Gerusalemme su di un asinello, acclamato dalla folla come Figlio di Davide e Re dei Giudei, i Sommi Sacerdoti cercavano l’occasione propizia di farlo arrestare ed ucciderlo. Il Signore sapendo che era giunta la sua ora di tornare dal Padre, incarico gli Apostoli di preparare la sala dove avrebbe celebrato la sua ultima Pasqua sulla terra. Che sera memorabile, carica di amore e allo stesso tempo di dolore per il Signore, dichiarando ai suoi: che uno di loro, lo avrebbe tradito e consegnato ai peccatori, ma che sarebbe rimasto con loro fino alla fine del mondo, istituendo il più grande dei Sacramenti, la Santissima Eucaristia, cibo e bevanda per la salvezza dell’anima e potente viatico per il corpo. Tutti rimasero scandalizzati e colpiti dall’annuncio del tradimento e della sua imminente passione, tranne uno: “il traditore Giuda”, che con aria disinvolta si comportava normalmente come se quello che ha detto il Signore, non si realizzasse. L’accusatore, il diavolo, entrò nel cuore di Giuda colpendolo nel suo punto debole, la mancanza di Fede, fiducia verso il suo Maestro Gesù, nonostante egli stesso ha compiuto innumerevoli miracoli nel nome di Gesù, e il suo attaccamento morboso al denaro. Infatti, giorni prima si è accordato coi Sommi Sacerdoti per trenta monete d’argento, il prezzo del venduto, ed il piano ingegnoso di consegnarlo senza scontrarsi con i suoi Apostoli e con il popolo che seguiva i suoi insegnamenti. La stessa notte dopo aver cenato il Signore si ritirò in preghiera all’interno dell’orto degli ulivi, pregando il Padre, che quel calice amaro passasse senza berlo. “Padre allontana da me questo calice, ma sia fatta la tua e non la mia volontà”. Dopo il segnale dettato dal traditore, lo arrestarono e lo condussero prima da Anna e successivamente da Caifa, dove fu severamente torturato, picchiato, e annichilato sia come uomo, sia come Figlio di Dio. Il popolo a cui Gesù fece soltanto del bene gli volto le spalle, e lo consegnarono pubblicamente ai romani, attirando su di essi una terribile maledizione: “Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli” Dopo, lo condussero da Pilato che emise la sentenza di condanna a morte, conducendolo al monte Calvario carico della croce, che lo crocifissero insieme a due malviventi. Annoverato tra i malfattori, comincio per noi la vera ed autentica strada verso la salvezza eterna. Successivi tre giorni chiuso nel sepolcro, Gesù è il primo umano ad essere risorto con il suo vero corpo dai morti, e, nel momento stesso della sua morte sulla Croce, annientò il satana, il suo inferno, il peccato e la morte per sempre. Questo però non vuol dire che noi uomini siamo immuni dal peccato e dalle tentazioni, ma accostandoci a Gesù ai Sacramenti, alla Chiesa, la nostra Fede prende vigore e può combattere le astuzie del maligno, quindi, alla fine del nostro pellegrinare sulla terra, otterremo il riposo eterno nella Gloria del Paradiso. Per questo osserviamo che solo Cristo salva, perché è il Primogenito del Padre, è prima della creazione degli Angeli e di tutto ciò che sussiste, ha potere su tutto ciò che è visibile e invisibile, è vincitore del mondo. Il sacrificio di Cristo ci ha liberati dalla Legge per farci entrare in uno stato di grazie davanti al Padre. Ha effuso lo Spirito Santo sugli Apostoli e i suoi successori, per farci acquisire il coraggio di uscire allo scoperto, di non avere paura davanti al nemico della Fede, e lottare a costo della nostra vita, come hanno fatto i Martiri, che hanno testimoniato con la loro vita il Vangelo e la Fedeltà alla sua Chiesa. Avere fiducia in Cristo, vuol significare, credere pienamente alla sua parola di vita. Non ci accadrà niente di male, anzi, acquisiremo quella fratellanza con Gesù che ci salva dalla dannazione eterna. L’importante avere “Fede” non soltanto a parole, ma applicando i fatti. Come si possono applicare i fatti in questo mondo corrotto dal demonio e dalle sue illusioni?
  1. Accostarsi con animo contrito ai Sacramenti: Confessione e Eucaristia;
  2. Pregare senza mai stancarsi Dio Padre Onnipotente per tutto il popolo santo di Dio;
  3. Fare del bene, aiutare il prossimo, essere un vero punto di rifermento dei poveri, degli esclusi, degli emarginati;
  4. Chiedere la protezione della Madonna, terrore dei demoni.
Attuando queste quattro cose, aggiungendovi l’umiltà, segno dei veri testimoni attendibili di Cristo. In questo terzo millennio, la Chiesa di Cristo costruita su solide fondamenta è continuamente attaccata dalle forze del maligno che cerca in ogni modo con ogni mezzo di distruggerla, sia internamente che esternamente. Ma secondo le parole dette da Gesù: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno mai su di Essa”. L’uomo non può salvarsi da solo, sarebbe presunzione attestare questo, solo Cristo può salvare l’intera umanità, ma ad una sola condizione: essere fedeli alle sue parole di vita eterna. Il messaggio della croce è considerato follia per quelli che hanno scelto la via della perdizione, ma per noi cristiani che ogni giorno ci sforziamo di credere, siamo salvati dalla potenza di Dio, per mezzo di Gesù Cristo, e con lo Spirito Santo. Se i nostri cuori sono ottenebrati dalle tenebre del peccato, non potremo mai vedere la luce quella autentica, che spezza via l’oscurità assoluta. Questa luce abbagliante più del sole, è Cristo che ci libera dalla schiavitù del peccato, riportandoci allo stato originale, vale a dire, come se uscissimo dalle mani di Dio dopo l’avvenuta creazione, con il proposito di iniziare una nuova vita nella luminosità, fino al giorno in cui, terminando la nostra vita terrena, possiamo contemplare senza fine quella stessa luce, ma eternamente. Le opere senza l’ausilio dello Spirito Santo sono vuote. Le dispute che Gesù ebbè con i Sommi Sacerdoti, si basavano principalmente, sull’attuazione della legge di Mose, ma in cuor loro, non credevano affatto a quello che predicavano. Ecco perché Cristo li rimprovera aspramente, definendoli; “sepolcri imbiancati”. Cristo al contrario, tutto ciò che professava la metteva in pratica, con i miracoli, le resurrezioni dei morti, es: Lazzaro, la fanciulla di Cafarnao, le liberazioni dei posseduti e tant’altro. I Farisei nemici giurati del Signore, per invidia nei suoi confronti lo odiarono a tal punto da farlo condannare a morte a tutti i costi dai romani, istaurando temporaneamente una tregua. L’umanità decaduta nel peccato procurava al cospetto di Dio Padre un senso di ripudio, che fin dall’Antico Testamento voleva distruggerla, così incaricò un uomo di nome Noè, timorato di Dio a costruire un’enorme arca, per salvare una coppia di ogni specie animale e tutta la sua famiglia. Dopo il diluvio e aver sterminato il male che naufragava sul mondo, ricostruì nuovamente l’umanità. Ma di nuovo il seme del male penetrò nel mondo, quindi, l’unico modo di salvarlo è di inviare suo Figlio Gesù. Malauguratamente, l’uomo cieco ed offuscato dal male, non lo volle riconoscere, al punto di toglierlo di mezzo. Però, grazie al sacrificio di Cristo l’umanità ha acquistato il salvacondotto dell’immortalità senza fine, che si può raggiungere soltanto con la contrizione dei propri miseri peccati e la conversione del cuore, come successe a Paolo di Tarso sulla via di Damasco, che da feroce persecutore dei cristiani, divenne primo testimone della Fede, ed a causa di essa, subì il martirio a Roma per decapitazione. Cristo ricapitolò tutte le cose ingaggiando battaglia con il nostro più acerrimo nemico il diavolo, l’accusatore, colui che vuole la nostra rovina, che all’inizio della creazione ci ha resi schiavi per mezzo di Adamo, schiacciandogli la testa secondo quello che Dio disse al serpente. “Io porrò inimicizia tra te e la donna tra la tua stirpe e la sua stirpe, questa ti schiaccerà la testa e tu gli insidierai il calcagno” (Gn.3.13). Cristo il Nuovo Adamo, con la sua potenza toglie dalle mani dell’accusatore il mondo rendendolo privo di forza, ovverosia, con la sua morte ha dato all’uomo una seconda opportunità di salvarsi senza imporsi sul libero arbitrio. Ha dato all’uomo la possibilità di scelta, o Gesù che è Dio, o il diavolo che è male assoluto. Purtroppo, c’è tantissima gente nel mondo che si lascia offuscare la mente e il corpo dal tentatore con false speranze di successo, fama, denaro, lussuria, ma non sanno a cosa vanno incontro, prima o poi il diavolo gli presenta il conto e ahimè, la pagheranno a caro prezzo. Adamo divenne il primo uomo che portò il peccato nel mondo, invece l’ultimo Adamo, Gesù Cristo, divenne datore di vita immortale che realizzo nella pienezza del tempo: “il disegno di ricapitolare (anakefalaiosesthei) in Cristo tutte le cose quelle del cielo come quelle della terra” (Ef.1.9-10). Il Verbo di Dio, acquistando la natura umana, per mezzo di Maria Santissima, ha santificato tutta la famiglia umana, costituendoci suoi eredi di un Regno che non conosce la terminologia di fine. Ora che abbiamo analizzato la figura di Cristo, soffermiamoci su quella di Maria, sua Madre, Colei che con la sua umiltà ha sconfitto l’accusatore. La sua presenza nella storia dell’uomo è fondamentale, Dio si è servito di Lei perché suo Figlio prendesse la natura umana in tutto eccetto il peccato. È stata scelta prima della creazione di tutto, concepita senza peccato originale perché doveva dare al mondo il nostro Salvatore. È cresciuta in un ambiente povero, ma fedele osservante della Legge, perché, suo figlio nascesse sotto la Legge e insegnasse al mondo il Vangelo dell’amore verso il prossimo. La preghiera che ogni credente fa giornalmente alla Beata Vergine Maria è d’intercessione, affidando a Lei ogni segreto, tutte le necessità della vita, i propri cari, per ottenere da Dio la grazia santificante di cui noi uomini abbiamo bisogno. Infatti, Cristo disse; “Se volete ottenere le grazie passate attraverso mia Madre, perché a Lei non posso nulla rifiutare”. Si può comprendere il discorso alle nozze di Cana, di cui Gesù, sua Madre e gli Apostoli erano stati invitati. Durante il banchetto, il vino era terminato, allora un servitore disse: “È finito il vino”. La Madonna si rivolse al suo Gesù dicendogli: “hanno finito il vino” ma Gesù rispose; “Donna cosa vuoi da me, non è giunta la mia ora. Allora Maria disse ai servi: fate quello che vi dirà”. Riempirono le anfore di acqua e per miracolo si tramutarono in vino, di qualità superiore, e gli sposi e i commensali rimasero stupiti. Gesù nonostante è Figlio di Dio, è sottomesso per obbedienza ai genitori in questo caso sua madre, perché Giuseppe era già tornato alla Casa del Padre molto tempo prima del miracolo a Cana di Galilea, di fronte a centinaia di testimoni, di cui solo Maria sapeva da dove proveniva il vino buono. La Madonna, stando nel mezzo fra Gesù e gli sposi, mette in atto la sua intercessione, dando luogo ad un duplice dialogo, un duplice intervento. La sua intercessione interpella la coscienza di Gesù, e al tempo stesso esige l’obbedienza dell’uomo, che non si esaurisce in una semplice richiesta fatta da una donna qualsiasi, ma si adopera a mettere Gesù in relazione con l’uomo. Maria è la Madre di Gesù, del suo primogenito, del Figlio di Dio, mediante il suo “Fiat”, divenne uomo in mezzo agli uomini, che successivamente sotto la croce divenne la Madre di tutta l’umanità. Come il cuore amorevole di una madre non si dà pace se non vede la fraterna cordialità tra i suoi figli, così la Vergine Maria ci educa ad ascoltare la Parola di Vita di Gesù, e ci porta da lui per essere nuovamente rigenerati in lui. Durante l’attesa Giuseppe ormai rassicurato dall’Angelo, che il Figlio che aspettava era Dio, sposò Maria e divennero legittimamente una Famiglia. Ma non tutti accettarono ciò. Questa Madre e questo Padre erano sottoposti a sguardi indiscreti e critiche di ogni genere. Ma essi nella loro umiltà offrivano in silenzio al Padre, che li confortava e li assisteva in tutto ciò che facevano. Maria era sempre presente: nella folla, si confondeva tra i discepoli, stava in piedi sotto la Croce nel momento più doloroso della sua vita, sedeva tra gli Apostoli nel Cenacolo nell’attesa delle Pentecoste. Raramente era presente in primo piano, lascia spazio a suo Figlio che possa cerare ogni cosa, e possa sovrabbondare di grazia a coloro che con umiltà si mettono alla sua sequela, diffondendo la Parola che non tramonta mai. Nella preghiera della Salve Regina, c’è una frase che determina l’intervento di Maria a favore di noi peccatori: “A TE SUSPIRAMUS, GEMENTES ET FLENTES IN HAC LACRIMARUM VALLE”. Invocare e pregare Maria e i Santi perché possano intercedere presso Dio, è considerata verità di fede, sancita dai Concili, che si sono celebrati in tutta la Storia della Chiesa, contro gli eretici, i quali la condannarono come ingiuria a Gesù Cristo, considerato nostro Primo Mediatore, tra noi uomini e il Padre .Quindi Maria Santissima, obbedendo con umiltà alla piena e feconda volontà di Dio, ha saputo cerare una degna dimora per il Salvatore del mondo, prima dentro il suo cuore e poi nel suo grembo verginale. A tal modo ella è stata quell’aurora che ha preceduto il Sole di giustizia, Gesù. A questo punto Maria si è resa conto che non era più necessario precedere il suo adorato Figlio, perché, soltanto a lui spettava il compito di stare davanti, come un faro luminoso, per indicare la nuova strada da seguire, intraprendere la via faticosa che si dirigeva liberamente verso la sua destinazione finale, la Croce, e che voleva stare con lui. Conosceva il suo posto, dietro, mettendo i propri passi dentro le orme lasciate vuote dal Maestro. Maria era una vera ed assidua discepola, pur mantenendo la sua condizione di “Madre”, stava in mezzo alla folla che ascoltava le parole del Figlio, attraversava gioiosa le strade della Palestina e incrociava i sofferenti risanati, che gioivano ringraziando e benedicendo Dio. La Vergine Maria spinge ad ognuno di noi ad entrare in questo cammino di vera obbedienza come veri discepoli di Cristo che intercede e ci protegge dagli assalti del maligno. Durante l’annunciazione, Maria giovane ragazza dalla bellezza soave, con umiltà si definisce: “Ecco sono la Serva del Signore”. Ora andiamo per gradi: il Servo di Dio Altissimo per eccellenza è Gesù, che fedelmente ha compiuto la volontà del Padre, affinché portasse a compimento il progetto di salvezza dell’intera umanità. Gesù nella sua obbedienza non disse mai di no, ma soltanto sì, non si è tirato indietro davanti alla tortura, all’umiliazione fisica, morale e alla Croce. Anche noi uomini siamo chiamati a servire e partecipare alla vera missione di Cristo portata avanti dalla Chiesa, Una, Santa, Cattolica ed Apostolica, e dobbiamo continuare a cooperare alla salvezza dell’intera umanità. Il modo migliore per collaborare è, come afferma San Paolo: “completare nella nostra carne ciò che manca ai patimenti di Cristo”, offrire giorno dopo giorno le nostre sofferenze e croci in unione al sacrificio di Cristo per la libertà e la salvezza del mondo intero. Questo fu la missione di Maria, come lo aveva predetto il Vecchio Simeone: “anche te una spada trafiggerà la tua anima”. Il cuore della Vergine Maria che accolse senza esitare e senza ombra di dubbio il Verbo di Dio fatto carne è diventato: Tempio dello Spirito Santo e, continua ad essere la sua prima culla, dopo quella di Betlemme. L’Immacolata e resa immune da ogni macchia di peccato per volere dell’Altissimo, perché, interpretando gli eventi alla luce della Parola di Dio, serbava tutto nel suo cuore, ogni segreto rivelato dal Figlio, che riguardavano il mistero della salvezza, che in quei tempi per una donna non era possibile, perché, resa in un certo senso inferiore rispetto ad un uomo. Dio volle che una donna, aprisse la strada ad un mondo nuovo, tenendo testa alle forze del male, che contro di Lei non possono avere vittoria. Questa Madre sempre attenta ad ogni parola, fatto, evento, che riguardava il suo Gesù, sempre con umiltà e semplicità donava sé stessa alla volontà di Dio fatto uomo, ricolma di Spirito Santo, capace di vedere Dio in ogni cosa del creato come fonte di benedizione per ogni singolo uomo, sempre pronta e disponibile ad abbracciare con tutta sé stessa la volontà divina, anche quando incombe il pericolo al figlioletto Gesù a causa della cattiveria e la crudeltà di Erode il Grande. Però alla fine, nel completo dolore di Madre, del Figlio di Dio che portò in grembo per nove mesi, vigilante, offesa ed umiliata sotto la Croce dalle iniquità dell’uomo, al sepolcro, custodiva con gli apostoli in attesa della resurrezione. Maria ormai assisa in Cielo alla Destra del Figlio, incoronata Regina del Cielo e della terra, continua senza sosta la sua missione materna, di intercessione, di protezione, di grazia, di riconciliazione e di pace, aiutando noi peccatori a ritrovare la via verso Dio, a volte smarrita e confusa dal nemico. È meraviglioso pensare che Gesù viene sempre in nostro aiuto nel momento del bisogno, per darci una mano, trasformando il nostro cuore di pietra dura come il granito, in un cuore di carne pulsante che sa amare il prossimo, senza ricevere nulla in cambio. Gesù sta davanti alla porta del nostro cuore e bussa, sta a noi che siamo chiusi dentro a girare la maniglia e permettere che entri e ci guarisca, ci conforti, ci difenda dal demonio. Infatti, non è nel suo stile buttare giù la porta del nostro cuore a spallate ed entrare con la forza. Lui non ci obbliga ad amarlo forzandoci, sta a noi scegliere da quale parte stare: con Lui fonte di ogni bene, o con il diavolo, fonte della nostra dannazione eterna. Come una Madre premurosa non abbandona nessuno dei suoi figli che gli furono affidati da suo Figlio Gesù dalla Croce, e con il cuore lacerato dal dolore accoglie tutti noi come un’eredità che va protetta e salvaguardata. Maria è considerata Madre Universale di tutto il genere umano, e fin dal suo primo istante della sua esistenza sulla terra si è unita all’opera redentrice di suo Figlio, vero Dio e vero Uomo. Ella partorì il suo primo genito, adombrata dallo Spirito Santo, senza dolore come tutte le donne. Suo Figlio gli risparmiò i tipici dolori del parto per il giorno della sua crocifissione e morte sulla croce, a cui dovette assistere con dolore, ma con compostezza, sapendo che quel dolore acuto e lancinante sarebbe finito, e con gioia nel cuore attendeva la risurrezione. Ecco che le parole dette da Simeone al Tempio si sono concretizzate, perché tutto fu stabilito da Dio con il pieno consenso del Figlio prima della creazione di tutto ciò che consiste. Maria Santissima, la tutta piena, la tutta Santa, desidera che noi peccatori impariamo ogni giorno della nostra vita a rivolgerci a Cristo anche con umiltà e supplicarlo. Non ci dobbiamo dimenticare che il momento più idoneo, importante e bello, è quando celebriamo la Santa Eucaristia, di cui Maria SS.ma è presente sull’altare, nella quale Cristo è vivo in Corpo, Sangue, Anima e Divinità, in carne ed ossa, che a causa dei nostri peccati ha sofferto la passione e la morte, tanto che ci nutriamo di lui come cibo della vita eterna. Dal cielo questa dolce mamma continua il suo lavoro di intercessione, ostacolando i piani dell’avversario, strappandogli le anime dai suoi artigli, restituendoli purificati a suo Figlio Gesù. La migliore medicina per la nostra difesa è la recita quotidiana del Santo Rosario, dove viene descritta la vita di Cristo e di Maria sua Madre. Come diceva testualmente Padre Pio “Ogni Ave Maria n’ammazzata in capo a quell’altro”, questo vuol significare, che è un’arma potente che va bene per la nostra protezione, e danneggia in maniera irreversibile le forze nemiche. L’intercessione di Maria, ci offre quell’unica possibilità della salvezza eterna, che da soli con le nostre deboli forze umane non potremmo mai ottenere, ma facilmente saremmo vittime dell’accusatore. Avendo Maria dalla nostra parte, non solo saremmo sempre protetti e custoditi, ma è la porta che ci conduce da Gesù, Colui che ci concede le grazie che il nostro misero cuore desidera. La via della nostra vita non è facile, ma tortuosa, tutta in salita, con le spine, sassi e ogni genere di difficoltà. Però alla fine della salita, con animo contrito e purificato dalla sofferenza, avremo la consolazione di essere stati salvati e redenti da quel Sangue versato sul Golgota a causa dei nostri peccati, e il diavolo non ci avrà mai in suo possesso. La Vergine Maria non solo possiede il cuore più santo ed Immacolato di tutto l’universo creato, in esso vi è lo Spirito Santo che intercede verso il Padre, e attraverso Gesù vero Dio e vero uomo, deve la stessa obbedienza al suo Padre Celeste. Quando Maria chiede a Gesù una grazia per i suoi figli, Lui sempre l’ascolta, e con amore ci concede tutto quello che umilmente gli abbiamo chiesto. “Chiedete e vi sarà dato, bussate e vi sarà aperto” Quando ci raccomandiamo a questa grande mamma chiediamo qualcosa di veramente vitale, di essenziale. Ella che continuamente veglia su di noi, prega per la nostra conversione e, senza il suo aiuto materno siamo in balia delle forze del male, del suo inferno e della dannazione eterna. Quando nell’uomo s’instaura il peccato, la sua anima s’impoverisce, e la priva della sua luce. Maria diviene per noi, la stella luminosa, la nostra mediatrice, un’ancora di salvezza, Colei che porta nel nostro cuore la Misericordia di suo Figlio Gesù, una potente alleata di implorazione di perdono. Senza questa Madre, saremmo figli dell’inferno. Ella, nonostante tutto ci accoglie, ci difende, si interpone e chiede per noi, quello che noi non avremmo mai avuto il coraggio di chiedere. Lei è la fonte di ogni speranza di salvezza, nella conversione del cuore e della mente. Il perdono segue il pentimento, è frutto di un ritorno verso Dio, e Maria è Colei che intercede per noi. Se Maria non ci soccorresse, non apparirebbe in ogni parte del mondo, lasciandoci i suoi messaggi e insegnamenti, dicendoci ripetutamente, che suo Figlio Gesù è molto adirato con noi, a stento riesce a trattenere il suo braccio potente, pronto per inviarci una seria punizione e, che quando presto ritornerà nella Gloria, sarà un Giudice severo. Convertitevi e non fate più il male. La Vergine Maria a Fatima è stata chiara, verso i tre pastorelli, Giacinta, Francesco e Lucia e tutto il popolo santo di Dio. Le sue richieste riguardano: la preghiera, la riparazione agli oltraggi verso di Lei e suo Figlio Gesù, la penitenza, il sacrificio, e l’abbandono totale del peccato. In tutto questo contesto dottrinale, l’evento importante che sconfiggerà il diavolo una volta per sempre, è il Trionfo del suo Cuore Immacolato sull’umanità intera. Le vittime predilette dell’accusatore sono i consacrati di ogni grado e stato, perché sa che in questo modo si può accaparrare più facilmente del popolo santo di Dio, mandandolo nella confusione e nella deriva. Le forze del male che hanno offuscato il mondo con i suoi errori, sta preparando la battaglia finale, ma non avrà scampo, satana e il suo esercito sarà precipitato all’inferno e legato per l’intera eternità. Dobbiamo semplicemente decidere da quale parte stare, Dio o mammona. Per salvare la nostra anima finché siamo ancora presenti in questa valle di lacrime, due sono le strade da seguire: il Santo Rosario e la Devozione al Cuore Immacolato di Maria, altre vie non ci sono. Sciaguratamente, il mondo in cui viviamo, regna la legge dell’IO, e niente DIO, egoismo, individualismo e materialismo, sono la morte apparente di ogni uomo, credere che dopo la morte non esiste più niente, è un autentico errore. Il nostro peggior nemico, il diavolo, ogni giorno ci vaglia come il grano, seducendoci con le sue sottigliezze ad entrare nella spirale che conduce al peccato, alla morte eterna, alla sofferenza senza fine, dove il fuoco non si estingue ed il verme non muore mai. Gesù è stato chiaro e molto persuasivo; “due sono le vie, una stretta e angusta che porta alla vita eterna, e pochi sono quelli che la prendono, l’altra larga, spaziosa addobbata da ogni ricchezza, che porta alla perdizione, e molti sono quelli che vi s’incamminano” (Mt 7,13-14). Figlioli cari, cercando i piaceri della carne, della lussuria, del denaro crediamo di vivere, ma in realtà scegliamo una vita fatta di bugie e falsità. In poche semplici parole, ci auto-releghiamo all’inferno, ci auto-condanniamo a passare l’eternità in compagnia del demonio. L’amore smisurato che Dio nutre per noi e talmente infinito che non ci sono parole adatte a descriverlo, così come è infinita la sua Misericordia. Anche il peccatore più incallito, che si è macchiato dei peggiori crimini, può confidare, se è realmente pentito nel perdono di Dio. Ricordate il buon ladrone? “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo Regno! In verità ti dico: Oggi sarai con me in Paradiso”. ( Lc 23,42-43) Non dobbiamo mai ascoltare la voce assidua del serpente, che con lusinghe, o altre strategie infernali, cerca di allontanarci da Dio, ma quando si improvvisa psicologo al contrario facendoci cadere nella depressione, conducendoci alla confusione e all’eresia, che non c’è via di scampo, che la nostra anima è dannata, oppure: che non raggiungeremo mai la salvezza, non è assolutamente vero, è mentitore per eccellenza, dobbiamo pensare al contrattacco, prendere in mano il Rosario e cacciarlo via dalla nostra vita per sempre. Dio non è un giudice severo, (lo sarà quando dovrà esserlo), pronto a castigare, ma infin dei conti, è un Padre amorevole, sempre disposto a perdonare, ma fino ad un certo punto, non dobbiamo mai abusare della Misericordia di Dio, altrimenti al lungo andare si ripercuote contro di noi. Naturalmente noi miseri peccatori dobbiamo con tutto noi stessi desiderare il suo perdono, dobbiamo essere disposti ad accettarlo, essere sinceramente pentiti con il proposito di non trasgredire più. Al Signore non importa quante volte cadiamo vittime del nemico, quello che conta è che siamo sempre pronti a rialzarci a testa alta, a gettare le nostre braccia in quelle di Dio, sempre pronto ad abbracciarci come figli, e di aiutarci a non cadere nel burrone e nella palude dei nostri errori. Ecco perché oggi più che mai, ci dobbiamo rivolgere a cuore aperto alla Beata Vergine Maria, chiedendole con amore, umiltà e tanta semplicità, di intercedere per noi presso il Padre Celeste. Così Maria come nostra Madre ascolta le preghiere, le nostre lacrime di dolore e le presenta davanti alla Maestà Divina, perché, vengano esaudite. Preghiamo con amore e rispetto Maria a guidarci verso Gesù; “Ad Jesum per Mariam”, scriveva il Montfort. La Madonna ci aiuta e ci guida verso Cristo e la SS.ma Trinità, principio e fine di ogni cosa. La forza della preghiera di intercessione si appoggia sul Cuore di Gesù, il Figlio Unigenito di Dio, Verbo Incarnato fatto Carne, l’unico mediatore tra il cielo e la terra, che per causa nostra fu umiliato, torturato, seviziato, coronato di spine, flagellato, condotto al Calvario come uno dei peggiori criminali del tempo, inchiodato ed infine trafitto sulla Croce. San Paolo afferma nei suoi scritti: “Uno solo è Dio e uno solo è il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, che ha dato sé stesso in riscatto per tutti” (1Tm.2,5-6). La stessa verità è proclamata da Pietro Principe degli Apostoli: “In nessun’altro c’è salvezza, non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati” (At 4,12). La Chiesa sposa di Cristo nostro Signore, e unita indissolubilmente a Lui, e collaborando pienamente con Gesù per la salvifica redenzione di ogni uomo. I tesori inesauribili di Gesù Redentore sono infiniti per il merito di ogni sua azione che compie per la sua Chiesa e per l’intera umanità devastata da malattie, persecuzioni, paure, ed ogni sorta di male provocato dall’avversario. Gesù è l’unica medicina che non ha controindicazioni, e guaisce ogni infermità sia fisica che spirituale. L’unica cosa che ci chiede è il nostro Si, perché, lui possa compiere il miracolo tanto atteso e desiderato. Ora possiamo pienamente comprendere perché nel giorno del Venerdì Santo la Santa Chiesa, abbracciando il suo adorato Sposo Crocifisso, esercita l’intercessione con la Preghiera Universale e con umiltà e devozione si rivolge al Padre presentando le necessità di tutto il mondo, giorno solenne e importante perché nel dolore per la morte del Signore, festeggiamo la sconfitta del demonio, del peccato e della morte. La Chiesa pellegrina sulla terra, esordito questo ministero tramite la Comunione dei Santi, unita e feconda e, allo stesso tempo, misteriosa in unione gioiosa e spirituale di tutti gli eletti in Cristo, di coloro che durante la loro vita terrena, hanno portato frutto in abbondanza, sono morti martiri per non rinnegare il Vangelo di salvezza, hanno ottenuto la Palma della Vittoria. La prima è Maria Santissima, che i Padri della Chiesa chiamano:” Onnipotenza supplice”. Dio Padre ascolta sempre la sua prediletta, la mediatrice di tutte le grazie, perché è la Madre di Dio, Gesù Cristo nostro Signore.” O Maria concepita senza peccato, prega per noi che ricorriamo a te”. Con questa breve preghiera, noi peccatori esprimiamo tutta la nostra fiducia e il nostro amore a Maria, per arrivare salvi ed incolumi al Paradiso. Però vi è una vitale e fondamentale regola: “C’è lo dobbiamo meritare”, mai dare niente per scontato, come se ci spettasse di diritto. Bisogna stare molto attenti ai tranelli nefasti che il nemico ci tende in agguato per la nostra rovina eterna. Essere vigilanti e sempre pronti, perché lo Sposo potrebbe tornare da un momento all’altro, e dobbiamo accoglierlo sveglio e con la lucerna accesa, e far festa in sua compagnia per l’intera eternità. “Quale voce è così prontamente ascoltata da tuo figlio Gesù? Solo la tua, o Madre Santa, tutto ottieni dal Signore, perché, nessuna Creatura lo ha amato di un amore tanto grande e tanto puro. Ti chiediamo dunque, o Maria di pregare e di intercedere per noi peccatori, di insistere davanti al Trono dell’Altissimo in forza del tuo Cuore Immacolato, per tutti noi pellegrini sulla terra e per i purganti nel fuoco purificatore del Purgatorio. Prega per noi Maria, adesso e nell’ora della nostra morte. Amen”. Noi possiamo vivere senza le cose futili del mondo, ma, non potremo mai vivere senza l’amore Misericordioso del Signore e avere il suo perdono per i nostri delitti. Se la Beata Vergine Maria non ci avesse mostrato il cammino da seguire che ci porta da Gesù, nessun uomo sarebbe divenuto spirituale, non avrebbe adorato Dio come nostro Padre, e non saremmo dimora dello Spirito Santo. Senza Maria la nostra vita sarebbe un inferno vivente, vuoto, privo di fecondità, privo di Fede, in continua balia delle forze delle tenebre. Per questo motivo, Dio Padre Onnipotente con il Figlio Gesù la fece diventare la Madre del Re dei Re, che la Chiesa onora con il titolo glorioso di Regina del Cielo e della terra, e le fu risparmiato la corruzione del corpo, come avviene per tutti i mortali. Scrive San Alfonso Maria de Liquori, che Maria rivelò a Santa Brigida di Svezia di essere Madre non solo dei giusti e degli innocenti, ma anche dei peccatori, se avranno intenzione seria di emendare i propri peccati. Quando un peccatore è quasi arrivato a toccare il fondo dell’inferno, e si rende conto che non può vivere in quello stato da decaduto, e si getta davanti ai piedi di questa Madre Misericordiosa e Santa, avviene in lui una autentica trasformazione interiore ed esteriore, mettendo fine alla volontà di peccare e di ritornare sulla retta via. Se ognuno di noi porta il Rosario in tasca, il demonio ha mal di testa. Quando lo si usa, crolla. Quando vede pregare in tanti, perde totalmente la forza, si arrende a scappa via, ritornando nel fondo del suo inferno fetido. Per essere veri figli di questa Madre, si deve prima di ogni cosa rinunciare al peccato, e pregare molto per essere nuovamente accettato come figlio. Una volta che l’anima immortale lascia il proprio involucro di carne, ed essa è in peccato mortale, non esiste la salvezza, ma è condannata alle pene eterne. Per tua intercessione o Maria Santissima, continua ad intervenire per noi peccatori, allontana da noi satana e le sue tentazioni, per seguire la vera Fede in tuo Figlio Gesù, nostro Salvatore. Dio maledice chi con la sua vita malvagia e con la sua ostinazione e cattiveria affligge il cuore santo di questa Madre, che fu la prima sotto la Croce a soffrire di persona la morte di suo Figlio Gesù. Se il peccatore, ancora prigioniero delle catene di satana, con il peccato, si sforza con tutta l’anima di uscirne dalla sua prigionia, Maria non esiterà un istante a soccorrerlo e farlo tornare in Grazia di Dio. Se il peccatore è ostinato, la Vergine non può aiutarlo, rimane incatenato e schiavo eternamente dell’inferno, solo la preghiera fatta col cuor sincero e pentito può ottenere l’aiuto, liberandolo dal potere infernale, riportandolo al porto sicuro, dove ricomincerà una nuova vita in Dio. Non c’è cosa più bella quando la nostra anima è purificata da ogni macchia utilizzando la medicina che Gesù ci ha lasciato, “il Sacramento della Riconciliazione”, dove satana e il suo inferno non ha potere, dove la Grazia di Dio, arriva in abbondanza. Ma attenzione, l’inferno è sempre in agguato, pronto ad attaccarci nuovamente, restiamo fedeli alla Trinità, a Maria, e a tutti i Santi, per essere tutelati dal nemico invisibile. Gesù nella sua infinita Misericordia mai dirà di no a sua Madre, ecco perché nell’Ave Maria, bellissima preghiera, è considerata “Madre del Cielo” la “Piena di Grazia”, perché in essa contiene quell’amore smisurato per tutti noi peccatori, affinché l’uomo non abbandoni mai la Fede ma deve crescere e fortificarsi per ereditare il Regno dei Cieli. Quante anime finiscono all’inferno per loro volontà, perché non hanno reagito al peccato, ma hanno assecondato tutto ciò che è contrario alla vita eterna in Cristo, e tuttora stanno all’inferno dove non avranno più la speranza di uscire, La colpa non è di Dio ma del loro distacco dalla vera via, assecondando tutto ciò che il nemico le presentava come bene, ma era il male puro. Ecco perché l’inferno non vincerà mai Maria, perché Lei è umile, obbediente, sottomessa e disponibile sempre a fare la Volontà di Dio, nei nostri confronti, anche se talvolta non ci meritiamo la salvezza per la nostra continua slealtà. Se l’uomo sapesse a cosa va incontro, a che tipo di dolore inestinguibile subisce la propria anima dopo la morte, nelle profondità dell’inferno, cambierebbe vita all’istante. Nonostante ci sono prove reali, testimonianze autentiche, testimoni, che per volere di Dio hanno varcato le porte dell’inferno da vivi e, hanno visto con i loro occhi i terribili tormenti, che subiscono le anime dannate, e, dopodiché, sono tornati indietro a raccontarlo, cambierebbero repentinamente la loro squallida condotta. L’uomo che è stato concepito dalla mente di Dio e fatto a sua immagine e somiglianza, continua a perseverare nell’orrore del peccato, causando volontariamente il distacco da Dio, assecondando il tentatore, destinandosi con le proprie azioni all’inferno. Nella bellissima preghiera dell’Ave Maria, terrore di ogni demonio, la Madonna prega per noi peccatori adesso e nell’ora della nostra morte, quando siamo più vulnerabili, e il demonio potrebbe portarci via con lui, ma Lei la Madre di tutte le madri, non lo permetterà mai, perché, siamo destinati fin dalle nostre origini, ad appartenere a Dio nostro Creatore. Dopo il peccato che ha distrutto la fiducia tra noi e Dio, siamo bersagli facili del male. Soltanto la preghiera, la meditazione, il digiuno, la vera autentica conversione, può salvarci dal nostro peggior nemico che ha avuto la sfacciataggine di essere lui stesso Dio, il creatore di tutto ciò che sussiste. Ha fatto i conti senza l’oste, ribellandosi fu precipitato dal Paradiso come una folgore, e ha formato il suo regno di tormento e morte eterna, dove finiscono tutti coloro che hanno voluto disubbidire ai Comandamenti di Dio. Maria è l’unica persona umana che ha il potere di intromettersi personalmente per noi poveri peccatori, presso suo Figlio Gesù. Fu infatti per grazia che lei accettò l’Immacolata Concezione del Salvatore, in maniera che tutti gli uomini siano debitori nei confronti di Maria, che per causa nostra, si è caricato tutti i nostri vili peccati, e noi abbiamo condotto alla morte in Croce la Seconda Persona della SS.ma Trinità, per darci un’altra possibilità di redimerci, di tornare sulla via stretta, e proclamare con Fede il suo Vangelo, lasciando definitivamente gli insegnamenti nefasti del diavolo, che ci vorrebbe tutti rovinati. S. Bernardo di Chiaravalle dice; “Tale è la volontà di Dio di salvare gli uomini, che volle che tutto sia ottenibile mediante Maria. Se però non siamo meritevoli otteniamo una speranza, una grazia, un dono nella salute, si sappia che ciò viene direttamente dalle sue mani”. Nessuna nostra preghiera è soddisfatta senza l’appoggio dell’intercessione di Maria. Per capire bene il concetto di “intercessione” presso Dio, ci sono della ragione per affermare la funzione di Maria come intermediatrice d’ogni grazia:
  1. questa funzione corrisponde alla dignità di Madre di Dio, piena di grazia e Regina della nuova creazione. Come scrisse San Tommaso nei suoi scritti; “Tutti i meriti e grazie di Maria provengono dall’essere stata Lei sola insieme a Dio Padre in grado di poter dire a Gesù Cristo: mio Figlio”.
  2. Maria è mediatrice in relazione al dono di ogni grazia per mezzo di Gesù Cristo. Lei ha consentito l’incarnazione, concependo e dando alla luce in piena libertà senza alcuna costrizione il Figlio unico di Dio. A tale scopo, tutto ciò indica che Maria è destinata da Dio a comunicare costantemente ed universalmente le effusioni della fonte divina quale canale di grazia.
  3. Maria fu la prima collaboratrice del Redentore, acquisendo tutte le grazie mediante alla piena partecipazione al supremo sacrificio della Croce. Come abbiamo detto precedentemente, Lei questa grande Mamma è rimasta ai piedi della Croce, offrendo nel completo del cuor suo e del suo animo, il proprio Figlio innocente al Padre, in beneficio di tutta l’umanità, d’ogni tempo fino ai nostri giorni.
  4. Maria nel Cenacolo insieme agli Apostoli, con le sue preghiere, ottenne l’effusione dello Spirito Santo a favore della sua Chiesa, per liberare il mondo dal demonio, e dalle sue false seduzioni.
  5. La Chiesa depositaria della Fede grazie all’effusione dello Spirito Santo, si unisce alle preghiere di Maria per la salvezza di tutte le anime, per aiutare i sofferenti, e per dispensare i Sacramenti della vita eterna.
Dio nella sua potenza avrebbe potuto far incarnare il suo Verbo nel grembo verginale di Maria anche senza chiedere il suo permesso, invece, chiede alla donna il suo consenso, nonostante, questa fanciulla ha avuto i suoi dubbi iniziali. Dio manda l’Angelo, Gabriele e di insistere per ottenere il suo SI. Grazie a quel SI detto con fede ed obbedienza alla parola di Dio, è iniziato il processo di redenzione, e di salvezza dell’interra umanità perduta. Da quel momento, il demonio ha scatenato tutta la sua opposizione contro l’uomo e contro Dio. Ma egli, con Gesù non ha nessun potere, anzi, ne esce sempre sconfitto, privo di forza, ricacciato nuovamente nel suo luogo di tenebre. Attenzione uomini di poca fede, non va sottovalutato, perché, su questa terra, ha ancora un gran potere per permissione di Dio, ma quando tutto questo finirà, sarà rilegato con catene infuocate per l’eternità nel suo inferno. Ma fino a quel momento, stiano vigilanti, perché come dice San Paolo: “va in giro per il mondo come leone ruggente, cercando di divorare le anime. Resistetegli saldi nella fede”. Questa Madre Santa, vuole bene ai suoi figli, difatti, quale madre odierebbe i propri figli. Quale gioia hanno tutte quelle anime che sono assistite da Maria nella loro vita terrena, e in modo particolare quando giunge quell’ora sublime, di tornare alla casa del Padre. Anche se sono schiave della tirannia del demonio, lei con la sua umiltà e potenza spezza tutte le catene, e otterrà i benefici della loro conversione. Starà accanto al nostro capezzale, dissipando tutte le nostre angosce, curando i nostri dolori esteriori ma soprattutto interiori, prendendo la nostra difesa dagli attacchi del maligno, per strapparci dalla perdizione senza fine. Quando giunge la nostra ora, devoti della Madonna, ci esorta San Bonaventura, questa buona Madre ci invia un esercito di spiriti angelici che sono ai suoi ordini, insieme a San Michele Arcangelo, a difenderci da tutto ciò che ostacola la nostra salvezza. Quando Maria è con noi, l’avversario non ha potere, infatti, è definita dagli stessi demoni, durante un esorcismo, “Colei che è flagello dell’inferno”. Gesù ce l’ha messa a fianco per difenderci dall’odio del serpente infernale, dall’eterno e micidiale nemico dell’intera umanità. Lei da sola per il demonio è più terribile di un esercito in battaglia, e un servo di Maria non può perire, ma, se siamo meritevoli ci porta in cielo, nella gioia eterna senza fine. Ogni Ave Maria detta con fede e amore verso nostra Madre, non ci abbandonerà nell’ultima ora, questa preghiera è vittoriosa, e potente distruttrice dell’esercito delle tenebre. Per salvarci dalle grinfie dell’inferno, la devozione più potente di noi cristiani, è la recita del Santo Rosario alla Vergine Maria. Per oltre cinque secoli la Chiesa Sposa di Cristo ci ha insegnato a pregare con fede e con cuore ardente questa catena d’amore, formata da venti misteri, per fissare nella nostra mente ma soprattutto nel nostro semplice cuore, la gioia, il dolore, la luce e la gloria della Madonna e di Cristo Signore, interpretando cosi con il loro esempio nella nostra vita: la vita nascosta, i suoi tre anni di vita apostolica impiegati nella predicazione dell’annuncio del Regno di Dio, la sua dolorosa passione, morte, risurrezione del Verbo di Dio fatto carne, la sua ascensione al cielo e la discesa dello Spirito Santo a Pentecoste. La Chiesa pellegrina sulla terra ci esorta a fare questa pia pratica e di vivere quello che preghiamo, in umiltà e semplicità. Il Rosario è una potentissima arma contro l’insidia dell’inferno preparandoci la via sicura per il Paradiso, con essa si ottengono straordinarie conversioni e tante vocazioni, di cui la Chiesa in questo ultimo periodo storico ne ha tanto bisogno. Tiene lontano tutte le tentazioni, in modo particolare quelle della carne e del desiderio. Se tutti i sacerdoti e i vescovi recitassero ogni giorno con fede il Santo Rosario pregando la Madonna a difendergli dalle tentazioni, non lascerebbero il loro sacro ministero per le miserie del mondo, ma rimarrebbero fedeli e saldi al loro solenne giuramento davanti a Dio, alla Chiesa e al loro Vescovo. Ma bisogna aggiungere, che questo è il piano ben escogitato del demonio ad allontanare il Pastore dalla sua Chiesa, così il gregge si disperde ed è facile preda dei lupi rapaci. I laici facciano i laici, il clero faccia il clero rimanendo fedele al Magistero della Chiesa. La Madonna durante le apparizioni in tutto il mondo disse ai veggenti; “Se sapeste quanto vi amo, piangereste di gioia”. Essere amati dalla Madonna è una cosa stupenda, non ha paragone con tutte le cose terrene. Esse si deteriorano, ma l’amore di Maria verso di noi peccatori, dura in eterno. La maternità universale di Maria Santissima è anzitutto una logica e teologica conseguenza della maternità divina: “perché siamo figli del Figlio che è Dio, fratelli in Cristo che siamo anche noi suoi figli, quindi, abbiamo la stessa Madre, ed un unico fratello che si estende per tutta l’umanità, che è strettamente legata alla storia della salvezza” Nella Vergine Maria tutto è relativo a Cristo e tutto da Lui dipende: in vista di lui Dio Padre da tutta l’umanità, la scelse come Madre tutta Santa e la ornò di doni dello Spirito, a nessun altro essere mortale concessi” (San Paolo V1 Papa). In quest’anno dedicato al Giubileo Mariano, mettiamoci sotto la protezione di Maria seguendo gli insegnamenti di suo Figlio Gesù, e del Magistero della Chiesa. Essi sono i veri pilastri della nostra Fede costruiti sulla salda roccia inespugnabile, dove nessun nemico la potrà mai occupare o distruggerla. Le preghiere della Madre di Cristo aiutano a noi peccatori ad accettare e realizzare i frutti della Redenzione, in modo che il dono di Dio si realizzi nella vita di ogni singolo uomo mediante il concorso della sua libera volontà a ricevere le grazie che il suo cuore ambisce. Se vogliamo essere degli autentici cristiani, dobbiamo essere innamorati della Madonna, che ci offre la via che ci conduce a Cristo suo Unigenito Figlio, per essere completi nel suo Regno che non conosce il tramonto. Cristo domina il pensiero, domina la storia, domina la concezione dell’uomo, domina la questione capitale dell’umana salvezza, e Maria sua Madre ne è parte integrante ed essenziale. Nei momenti di sconforto e di grandi turbamenti interiori e esteriori, non esitiamo un solo istante ad invocare la nostra dolcissima Madre Maria, Lei ascolterà il nostro grido di aiuto e ci soccorrerà con affetto immediato, liberandoci dal male devastante che vuole deviare la nostra vita da Cristo Gesù nostro Signore, e dalla sua Santa Chiesa, Una, Santa, Cattolica e Apostolica. Vivere in pieno regime una spiritualità mariana autentica vuol significare, seguire a cuore umile, aperto e fedele la “Via Mariae”, per dare un senso concreto alla nostra misera esistenza in questa valle di lacrime, è poter avere l’unica possibilità di essere ammessi alla vita eterna nella gioia infinita del Paradiso. Maria è maestra di vita spirituale di ogni cristiano. La santità deve essere considerata una perfezione che ogni uomo deve acquisire, per essere santi in Cristo, che è espressione della perfetta carità che in Dio diviene piena comunione relazionale tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Maria è nostra Madre spirituale nella quale la grazia santificante del Salvatore, accolta in pieno, divenne il SÌ generoso della Fede fatta fedeltà al mistero di Cristo con la collaborazione silenziosa dello Spirito Santo. Maria è il modello perfetto dell’umiltà, della vergine saggia che vegliando nell’intimità della preghiera si prepara gioiosa all’arrivo dello Sposo che dovrà soggiornare nel suo cuore, nel suo grembo, e nella sua anima, attraendo lo sguardo benevolo della SS.ma Trinità, che con il suo devoto consenso, realizza il mirabile evento dell’Incarnazione, per opera dello Spirito Santo, la introduce in modo mirabile e santo nella gloria del Padre, alle sorgenti della generazione eterna, divenendo la Madre del Figlio di Dio, Gesù Cristo nostro Signore. L’essere Madre di questo Dio che è prima della creazione di tutto ciò che sussiste, è l’onore più grande che la fanciulla di Nazareth potesse ricevere, che, per volere di Dio fu preservata nella sua verginità prima, durante e dopo il parto, rapita nell’estasi contemplativa, ha dato alla luce in modo mirabile, senza i dolori tipici di ogni partoriente il Figlio formato nel suo corpo e della sua anima. Associata alla Sua opera di redenzione dell’intera umanità decaduta del peccato e dell’opera nefasta del diavolo, ne ha condiviso i dolori, sopportando con dignità il martirio del cuore ai piedi della Croce, e successivamente fu premiata con la gloria della Resurrezione del suo adorato Figlio, pertanto, nel passaggio tranquillo e conclusivo della sua vita terrena, come un dolce fiume verso l’unione tanto desiderata e attesa della sua anima con la divina bontà, mentre, il suo corpo che nulla doveva alla morte non è distrutto dalla corruzione, ma posto in una dimora migliore e divina, alla Destra di suo Figlio Gesù. Chiediamo con cuore sincero e umile la protezione di Maria perché, con il suo aiuto ed il suo materno amore ci difenda dagli assalti del nemico, che vuole la nostra distruzione e rovina eterna. Concludendo questa Lettera Apostolica, vorrei portare alla vostra attenzione, la Lode Divina, dal latino Laudem Divinam, chiamata come “Dio sia Benedetto”, è una preghiera espiatoria formulata nel XVIII secolo della Chiesa cattolica. È tradizionalmente recitata durante la Benedizione del Santissimo Sacramento, oppure, dopo aver sentito, visto o inavvertitamente pronunciato parolacce o bestemmie. Questa meravigliosa preghiera si divide in due parti, una parte riferita al nostro Signore Gesù Cristo, la seconda parte alla Madonna, esattamente ai suoi dogmi proclamati dalla Chiesa. Essi sono quattro, ma come vedremo in realtà sono cinque, tutto predisposto dall'Altissimo, che fa parte dell'infinita misericordia di Dio per l'umanità decaduta. È conosciuta ma non sempre recitata, mentre in realtà dovrebbe essere considerata fondamentale per la fede vista che è stata predisposta è voluta dal cielo, per l’avvento del Regno di Dio.
Dio sia benedetto.
Benedetto il suo Santo Nome.
Benedetto Gesù Cristo vero Dio e vero Uomo.
Benedetto il Nome di Gesù.
Benedetto il suo Sacratissimo Cuore.
Benedetto il suo Preziosissimo Sangue.
Benedetto Gesù nel Santissimo Sacramento dell’altare.
Benedetto lo Spirito Santo Paraclito.
Benedetta la gran Madre di Dio Maria Santissima.
Benedetta la sua Santa e Immacolata Concezione.
Benedetta la sua gloriosa Assunzione.
Benedetto il Nome di Maria Vergine e Madre.
Benedetto San Giuseppe, suo castissimo sposo.
Benedetto Dio nei suoi Angeli e nei suoi Santi.

Esaminando la seconda parte riscontriamo:
Benedetta la gran Madre di Dio Maria Santissima, primo Dogma.
Benedetta la sua Santa e Immacolata Concezione, terzo Dogma.
Benedetta la sua gloriosa Assunzione, quarto Dogma.
Benedetto: il Nome di Maria Vergine, secondo Dogma e Madre, quinto Dogma.

Alla luce delle conoscenze mariane, della certezza dei primi quattro Dogmi come verità di fede per l'eternità, in questo tempo travagliato dalla malattia, dalla sofferenza, dalla mancanza di lavoro, dalla guerra che imperversa per il mondo, considerando il ruolo crescente della Madre di Dio nel ritorno nella fede, appare evidente che la richiesta fatta ripetutamente nelle apparizioni in tutto il mondo, dove Lei, chiede il quinto Dogma mariano come "Signora di tutti i popoli" o "Madre di tutti i popoli", trova conferma nella preghiera sopra citata. Precisamente nel riferimento "e Madre", sempre per volontà divina, attraverso la Santa Madre Chiesa, per rendere la preghiera universale, rivolta totalmente a tutta l’umanità, minacciata quotidianamente dalle forze del male, per essere compresa e meditata anche per chi la legge o la ascolta per la prima volta, è da intendersi come: "Benedetto il nome di Maria Vergine e Madre di tutti i popoli ", perché, solo Lei ha il potere di intercessione presso suo Figlio Gesù Cristo nostro Signore. Amen.
Data a Roma nella Sede Episcopale il 17 febbraio dell’Anno del Signore 2021, V1 di Ministero Episcopale.
Cordialmente in Cristo

+ Salvatore Micalef
 Vescovo Ordinario 
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SUA ECC.ZA REV.MA MONS. SALVATORE MICALEF

VESCOVO ORDINARIO

DOCUMENTO TEOLOGICO PASTORALE

Incarnatus Est
Et Verbum caro factum Est



“Salvatore, Vescovo Ordinario, Successore degli Apostoli, e, Servo di nostro Signore Gesù Cristo”.

PROEMIO

“Nel sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazareth, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te». A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto. L'angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine». Allora Maria disse all'angelo: «Come è possibile? Non conosco uomo». Le rispose l'angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio. Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: nulla è impossibile a Dio». Allora Maria disse: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto». E l'angelo partì da lei”. (Lc 1, 26 -38).
“In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta. Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce. Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure, il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità. Giovanni gli dà testimonianza e proclama: «Era di lui che io dissi: Colui che viene dopo di me è avanti a me, perché era prima di me». Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia. Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato”. (Gv. 1, 1- 18).


Breve Introduzione

Eminenze, Eccellenze Reverendissime;
Venerati Diaconi e Sacerdoti;
Carissimi Fratelli e Sorelle,
la grazia e la pace di Dio Nostro Padre e del Signore Nostro Gesù Cristo sia con tutti voi. In questo Documento Teologico Pastorale siamo chiamati a vivere e riflettere il messaggio fondamentale del Natale, quello che ci ricorda che il Verbo di Dio " venne ad abitare in mezzo a noi."; il Figlio di Dio, uno col Padre da sempre e per sempre, entra nel tempo e scende nel mondo, facendosi uomo tra gli uomini eccetto il peccato. La divisione posta da diversi studiosi individua nel prologo giovanneo quattro unità che corrispondono a quattro aspetti della riflessione teologica, individuabili come quattro cerchi concentrici, dal più grande al più piccolo: - vv. 1-5: l’esistenza del Logos prima che tutto fosse, la sua relazione con Dio, la sua funzione di mediazione nella creazione; - vv. 6-8: l’introduzione della figura di Giovanni Battista come «testimone della luce» e precursore della fede, colui che spiana la strada al Messia; - vv. 9-13: il tema della luce che illumina l’universo e l’umanità posta di fronte ad una scelta: accogliere o rifiutare la luce, che implica l’accoglienza e il rifiuto della vita; - vv. 14-18: l’incarnazione del Logos nel seno verginale di Maria è vita e luce per gli uomini, la testimonianza del Battista e la nascita del Battesimo e l’orientamento escatologico della missione del Figlio. - L’intera visione teologica, descritta con immagini dell’Antico Testamento serve a presentare il ruolo unico della mediazione del Logos (sapienza), che indica la personalità del Figlio, Verbo incarnato, similmente in 1Gv 1,1 e Ap 19,13 si indica con il termine Parola la persona del Figlio di Dio, l’unigenito. Il Logos è la persona divina che si è rivelato come fonte della vita eterna, ha rivestito la carne umana ed è stato toccato dalle mani degli Apostoli. È ancora precisato come la divinità del Verbo è eternamente rivolta verso Dio, il Padre (v. 18) e allo stesso tempo ne rivela la perfetta comunione di amore tra tutta la Santissima Trinità. Il Verbo è quindi la fonte della vita, inserito esplicitamente nella storia della salvezza, che supera e completa la legge mosaica. Il Verbo è la luce degli uomini (v. 4), fonte di rivelazione che illumina la notte del mondo e smaschera ogni ostilità e ogni ombra del maligno. Il centro del quadro descritto dal prologo è nel v. 14: «il verbo si è fatto carne». La testimonianza del Battista (1,7s) presuppone che il Verbo, ossia, la luce del mondo sia già presente come persona che vive, lavora tra la gente. Con l’affermazione di 1,14 si comprendono le espressioni enigmatiche circa la presenza della persona divina nella storia umana: il Logos è vita, perché manifesta e comunica la vita divina con la sua persona. Nei vv. 16-18 si accentua la rivelazione escatologica che non avviene per mezzo della legge mosaica, bensì per mezzo del Figlio unigenito Gesù Cristo nostro Signore. La legge fu data da Dio per mezzo di Mosè sul Monte Sinai all’uscita dall’Egitto, ma la grazia della verità è possibile unicamente nella mediazione salvifica di Gesù Cristo. La prima grande verità è data dalla scoperta che Gesù, Verbo incarnato è divenuto per noi «luogo dell’incontro con Dio», «presenza personale» di Dio sulla terra. Dall’istante dell’incarnazione del Figlio per ciascun uomo la vita acquista una prospettiva ermeneutica radicalmente diversa, che porta alla salvezza eterna. Anzitutto dobbiamo dire che l’incarnazione di Dio pone il fondamento storico di un’uguaglianza tra gli uomini che non potrà mai essere superata. In secondo luogo, dal fatto che Gesù è diventato autenticamente uomo dentro la storia, l’atteggiamento verso la vita e la morte è messo in questione in un modo radicale, in quanto la morte ha perso il suo contrassegno distruttivo in funzione della prospettiva della «vita nuova». L’incarnazione è la manifestazione concreta e credibile dell’amore di Dio in quanto rivela la centralità della carità divina e determina il nuovo modello antropologico che deve governare i rapporti umani sull’amore reciproco e sulla fondamentale uguaglianza e fraternità tra le genti. Esiste quindi una chiara indicazione del metodo spirituale e pastorale che nasce dal saper annunciare Dio partendo dalla condizione umana e dalla sua dimensione incarnata: «Chiunque voglia fare all’uomo d’oggi un discorso efficace su Dio, deve muovere dai problemi umani e tenerli sempre presenti nell’esporre i messaggi. È questa, del resto, l’esigenza estrinseca per ogni discorso cristiano su Dio. Il Dio della rivelazione, infatti, è «l’Emmanuele il Dio con noi», quel Dio che chiama, che salva e che dà un senso logico e spirituale alla nostra vita; e la sua parola è destinata a irrompere come un uragano nella storia dell’umanità, offuscata dall’ombra nefasta del maligno, e, per rivelare ad ogni uomo la sua vera vocazione e dargli modo di realizzarla per il bene della sua anima immortale. La totalità espressa nell’evento dell’incarnazione apre una prospettiva antropologica nuova che implica come essere autentici cristiani, come realizzare essenzialmente il proprio progetto vocazionale nella pienezza del «dono di sé» corpo, mente e anima. Da questa consapevolezza si comprende come «vivere» un percorso di identità ed implica una scelta orientata alla definitività della propria esistenza. L’incarnazione del Figlio implica così una vocazione inscritta nell’essere creato: l’elevazione della natura umana alla dignità sublime di Dio. Così recita il noto testo conciliare: «Egli Gesù è l’uomo perfetto, che ha restituito ai figli di Adamo la somiglianza con Dio, resa deforme già subito agli inizi a causa del peccato dei nostri progenitori. Poiché in lui la natura umana è stata assunta in tutto e per tutto, senza per questo venire annientata, per ciò stesso essa è resa anche per conto di noi innalzata a una dignità sublime, il Paradiso, tappa fondamentale della nostra esistenza. Con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo. Ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con mente d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo. Nascendo da Maria vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché nel peccato» (GS, n. 22). Leggiamo nel prologo di Giovanni un inno di bellezza insuperabile e di alta riflessione teologica, che racchiude in sé la verità che salva e descrive, anch'esso, l'itinerario di Dio verso l'uomo, la sua discesa nel tempo e nella Storia, la sua spoliazione, nel farsi carne e nell'assumere la fragilità umana, per fare dell'uomo un figlio di Dio. "In principio era il Verbo - recita il testo - e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini… venne fra la sua gente, ma i suoi non l'hanno accolto. A quanti però l'hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi". È la sintesi stupenda del dono di Dio nel Figlio, Gesù di Nazareth, figlio di Maria Vergine che contempliamo nell'immagine tenera di un bimbo appena nato in un umile e poverissima stalla. A questo dono ineffabile, il cui valore non è misurabile con metri umani, l'uomo deve rispondere prima di tutto, con l'accoglienza totale e sincera di un cuore fedele e aperto all’Amore, e, di conseguenza, iniziando nell’umiltà un cammino verso Dio, sui passi del Cristo redentore; il Natale, infatti, non è solo la grotta col Bambino, ma ha già in sé il dramma della passione e morte del Figlio di Dio, che è venuto nel mondo per salvarci a prezzo della sua stessa vita, con il suo Sangue sparso, con quella obbedienza che lo ha condotto alla morte ignominiosa della croce. La vera celebrazione della Natività del Figlio di Dio non si esaurisce, dunque, in un solo giorno di festa, ma deve essere impegno costante e perpetuo che dà forma a tutta l'esistenza, un'esistenza fatta di conoscenza sempre più profonda del Mistero grande di Dio, che si rivela per mezzo di Cristo, come augura Paolo: "il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione, per una più profonda conoscenza di lui. Possa egli davvero illuminare gli occhi della vostra mente per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità...". Questa conoscenza, illuminata dalla fede, dalla preghiera, si trasforma in opere d'amore verso quel prossimo che Dio ci mette quotidianamente sul nostro cammino e col quale Gesù si è identificato quando ha detto: "Avevo fame e mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dato da bere, ero pellegrino e mi avete ospitato, nudo e mi avete coperto, ero infermo e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi; perché, in verità, tutto quello che avete fatto ad uno dei più piccoli di questi miei fratelli, l'avete fatto a me" (Mt 25,35-40). - " Venite, benedetti dal Padre mio..." (Mt 25,34) è l'invito ufficiale che viene dal Bambino di Betlemme, un invito che è un progetto di vita, di un futuro migliore; un invito carico di luce, di amore e di speranza; quella stessa e identica speranza che rende la vita degna di esser vissuta, perché destinata alla piena comunione con la vita stessa di Dio, in Cristo Gesù, nostro fratello, nostro compagno, nostro salvatore. L’assunzione della natura umana di Cristo da parte della Persona del Verbo è opera delle tre Persone Divine, quindi, l’Incarnazione di Dio è la Personificazione del Figlio, non del Padre, né dello Spirito Santo, ma fu l’opera voluta e prestabilita da tutta la SS. Trinità. Proprio per questo nella Sacra Scrittura a volte la si attribuisce a Dio Padre (Eb 10, 5; Gal 4, 4), al Figlio stesso (Fil 2, 7) o allo Spirito Santo (Lc 1, 35; Mt 1, 20). Si sottolinea così che l’opera dell’Incarnazione fu un unico atto d’amore, comune alle tre Persone Divine. Sant’Agostino spiegava che «il fatto che Maria concepisse e desse alla luce è opera della Trinità, giacché le opere della Trinità sono inseparabili». Si tratta infatti di un’azione divina ad extra, di cui gli effetti si trovano fuori di Dio, nelle creature, pertanto sono considerate opera comune delle tre Persone, in quanto uno e unico è l’Essere divino, unico il potere infinito di Dio, che inizia così il progetto di salvezza di tutta l’umanità. Nell’incarnazione del Verbo Eterno, Dio Padre agisce con libertà; avrebbe potuto decidere che non ci fosse l’incarnazione del Verbo o che s’incarnasse un’altra delle Persone divine. Tuttavia, dire che Dio è infinitamente libero non significa che le sue decisioni siano arbitrarie o negare che l’amore sia il motivo del suo agire. Per questo noi teologi cerchiamo di conseguenza le ragioni di convenienza che si possono scorgere nelle decisioni divine, così come si manifestano nell’attuale economia della salvezza. Cerchiamo, quindi, soltanto di mettere in evidenza la meravigliosa sapienza e coerenza esistente in tutta l’opera di Dio, e non una eventuale necessità di Dio. Infatti, la Vergine Maria è stata predestinata da Dio stesso ad essere la Madre di Dio da tutta l’eternità così come l’Incarnazione del Verbo: «Nel mistero di Cristo ella è presente già “prima della creazione del mondo”, come colei che il Padre ‘ha scelto’ come Madre del suo Figlio nell’Incarnazione, ed insieme al Padre l’ha scelta il Figlio, affidandola eternamente allo Spirito di santità». La scelta divina rispetta la libertà di Maria, perché, «volle il Padre delle misericordie che l’accettazione di colei che era predestinata a essere la Madre precedesse l’Incarnazione, perché così, come la donna aveva contribuito a dare la morte, la donna contribuisse a dare la vita (LG 56; cfr. 61)» (Catechismo ,488). Perciò, fin dall’antichità, i Padri della Chiesa hanno identificato in Maria la Nuova Eva, colei che avrebbe generato il Figlio di Dio e attuare il piano salvifico dell’intera umanità. Per essere la Madre del Salvatore, Maria è stata arricchita da Dio di doni degni di una così grande carica. L’Arcangelo Gabriele, al momento dell’Annunciazione, la saluta come «piena di grazia» (Lc 1, 28). Prima che il Verbo si incarnasse nel grembo verginale di Maria era già, per la sua corrispondenza ai doni divini, piena di grazia. La grazia ricevuta da Maria la rende gradita a Dio e la prepara a essere la Madre del Salvatore del mondo. Totalmente invasa dalla grazia di Dio, poté dare il proprio libero assenso all’annunzio della sua vocazione, alla Parola di Dio che divenne Carne, Maria è diventata Madre di Gesù e, abbracciando con tutto l’animo e senza essere minimamente toccata da nessun peccato, si è offerta totalmente alla Persona e all’opera del Figlio suo, mettendosi al servizio del Mistero della Redenzione, sotto di lui e con lui, con la grazia di Dio onnipotente. I Padri della Tradizione orientale sono soliti chiamare la Madre di Dio “la Tutta Santa, la tutta pura” e la onorano come: Colei che fu immune da ogni macchia di peccato, prima della creazione degli Angeli e del mondo, dallo Spirito Santo plasmata e resa una nuova creatura. Maria, per la grazia di Dio, è rimasta pura da ogni peccato personale durante tutta la sua vita vissuta sulla terra. Maria è stata redenta sin dal suo concepimento: «È quanto afferma il dogma dell’Immacolata Concezione, proclamato da papa Pio IX nel 1854: “La beatissima Vergine Maria nel primo istante della sua concezione, per una grazia ed un privilegio singolare di Dio onnipotente, in previsione dei meriti di Gesù Cristo Salvatore del genere umano, è stata preservata intatta da ogni macchia del peccato originale” (DS 2803). L’Immacolata Concezione manifesta l’amore gratuito di Dio, perché è stata un’iniziativa di Dio e non un merito di Maria ma di Cristo. Infatti, questi “splendori di una santità del tutto singolari” di cui Maria è “adornata fin dal primo istante della sua concezione”, le vengono interamente da Cristo: ella è “redenta in modo così eccelsa in vista dei meriti del Figlio suo. È la Madre di Dio, Maria ha concepito come uomo per opera dello Spirito Santo e che è diventato veramente suo Figlio secondo la carne, è il Figlio dell’Eterno Padre, quindi, la seconda Persona della Santissima Trinità. La Chiesa stessa ammette che Maria è veramente la Madre di Dio. Sicuramente non ha generato la divinità, ma il corpo umano del Verbo, al quale si unì immediatamente la sua anima razionale, creata da Dio come tutte le altre, dando così origine alla natura umana che in quello stesso istante fu assunta dal Verbo. Sin dai primi tempi la Chiesa confessa nel Credo e nella sua liturgia; Maria come la “sempre Vergine”. Questa fede della Chiesa si riflette nell’antichissima formula: «Vergine prima del parto, nel parto e dopo il parto», quindi la Santa Chiesa ha riconosciuto che: Gesù chiamato il Cristo, è stato concepito nel seno della Vergine Maria per la sola potenza dello Spirito Santo, quindi, senza l’intervento umano, ed ha affermato anche l’aspetto corporeo di tale avvenimento: Gesù è stato concepito “senza seme, ma soltanto ed esclusivamente per opera dello Spirito Santo” (Concilio Lateranense 649). Maria è considerata vergine anche durante parto, senza dolore, perché «lo partorì rimanendo intatta nella sua verginità, così, con intatta verginità, quindi, concepì Gesù Cristo, con una nascita mirabile». Infatti la nascita di Cristo “non ha diminuito la sua verginale integrità, ma l’ha consacrata a Dio per essere il mezzo della redenzione. I Padri della Chiesa, nelle loro spiegazioni dei Vangeli e nelle loro risposte alle diverse obiezioni, hanno sempre affermato questa realtà, che dimostra la sua totale disponibilità e la donazione assoluta al disegno salvifico di Dio. Lo riassumeva San Basilio quando scrisse che: «gli amanti di Cristo non vogliono sentir dire che la Madre di Dio, a un dato momento, non sia stata più vergine». L’immacolata Vergine Maria, totalmente immune da ogni macchia di colpa originale, finito il corso della sua vita terrena, fu assunta alla celeste gloria di Dio col suo corpo umano e con la sua anima, e dal Signore incoronata Regina dell’universo, perché fosse più pienamente conformata al Figlio suo, il Signore dei dominanti e il vincitore del peccato e della morte. L’Assunzione della Santissima Vergine costituisce un’anticipazione della risurrezione di tutti cristiani. La regalità di Maria si fonda sulla sua maternità divina e sulla sua associazione all’opera della Redenzione. Il 1° novembre dell’Anno del Signore 1954 Papa Pio XII istituì la festa di Santa Maria Regina, per omaggiarla in terra, come Gesù l’ha omaggiata in cielo il giorno della sua dipartita. Per questo motivo la sua maternità divina comporta anche la sua cooperazione alla salvezza degli uomini: «Maria, figlia di Adamo, acconsentendo alla parola divina, è diventata Madre di Gesù e, abbracciando con tutto l’animo e senza alcun peccato, il progetto divino di salvezza, si è offerta totalmente come umilissima la serva del Signore alla persona e all’opera del Figlio suo, mettendosi al pieno servizio del mistero della Redenzione sotto di Lui e con Lui, con la grazia di Dio Onnipotente. Giustamente quindi i santi Padri della Chiesa ritengono senza nessuna perplessità che Maria non fu strumento passivo nelle mani di Dio, ma che cooperò in pieno alla salvezza dell’uomo con libera fede e obbedienza al suo Creatore. Questa cooperazione si manifesta perfettamente nella sua maternità spirituale. Maria, la nuova Eva per eccellenza, è la vera madre degli uomini nell’ordine della grazia, perché coopera attivamente alla nascita, alla vita della grazia e, allo sviluppo spirituale dei fedeli: Ha cooperato in modo tutto speciale all’opera del Salvatore, con l’obbedienza, la fede, la speranza e l’ardente carità, per restaurare la vita soprannaturale delle anime che sono offuscate dal potere del male. Per questo è per noi la Madre nell’ordine della grazia. È anche mediatrice tra Dio e l’uomo, sempre subordinata all’unica intercessione di Cristo, che è cominciata con il “Fiat” dell’Annunciazione e perdura eternamente nel cielo, poiché, assunta, ella non ha deposto questa missione di salvezza, ma con la sua molteplice intercessione continua ad ottenerci i doni della salvezza eterna. Per questo la Beata Vergine è invocata nella Chiesa con i titoli di avvocata, ausiliatrice, soccorritrice, mediatrice. La Vergine è il modello della fede e della carità per la Chiesa. Per questo singolare motivo è riconosciuta quale sovreminente e del tutto singolare membro della Chiesa. San Paolo VI Papa, il 21 novembre 1964, proclamò solennemente Maria Madre della Chiesa, per sottolineare esplicitamente la funzione materna e protettrice che la Vergine esercita sul popolo cristiano in tutto il mondo, anche l’ha dove non è apprezzata e né riconosciuta. In base a tutto ciò che abbiamo esposto, si capisce che il culto della Chiesa per la Santissima Vergine Maria è parte integrante del culto cristiano. La Santissima Vergine viene dalla Chiesa giustamente onorata con culto dedicato a Lei. In verità dai tempi più antichi è venerata col titolo di “Madre di Dio”, sotto il cui presidio i fedeli pregandola si rifugiano in tutti i loro pericoli e le loro necessità che la vita quotidiana presenta giorno dopo giorno. Questo culto, sebbene del tutto singolare, differisce essenzialmente dal culto di adorazione, prestato al Verbo incarnato come al Padre e allo Spirito Santo, e particolarmente lo promuove. Il culto verso Maria Santissima trova la sua espressione nelle feste liturgiche e nella preghiera mariana come il Santo Rosario. Ora ritorniamo per un momento indietro nell’Antico Testamento dove possiamo riscontrare che, dopo il peccato dei nostri progenitori Adamo ed Eva, per colpa del serpente tentatore, Dio non abbandonò a sé stesso l’uomo ma gli promise un Salvatore e un Redentore, che annienterà definitivamente il potere del diavolo, della morte e del peccato. Quindi, dopo la consumazione del peccato originale e la promessa del Redentore, Dio stesso prende ancora una volta l’iniziativa, stabilendo con gli uomini un’Alleanza: con Noè dopo il diluvio (Gn 9-10) e in seguito con Abramo (Gn 15-17), al quale promise una grande discendenza come le stelle del cielo, della quale avrebbe fatto un grande popolo, gli ebrei, concedendogli una nuova terra e nel quale sarebbero state benedette tutte le nazioni della terra. Quest’Alleanza si rinnovò poi con Isacco (Gn 26, 2-5) e con Giacobbe (Gn 28, 12-15; 35, 9-12), è quest’Alleanza raggiunge la sua espressione più completa con Mosè (Es 6, 2-8; 19-34). Un momento importante nella storia delle relazioni fra Dio e Israele fu la profezia di Natan (2 Sam 7, 7-15), che annuncia che il Messia verrà dalla stirpe di Davide e regnerà su tutti i popoli, e non solo su Israele. Del Messia si parlerà successivamente in altri testi profetici, è che la sua nascita avrà luogo a Betlemme (Mic 5, 1), che apparterrà alla stirpe di Davide (Is 11, 1; Ger 23, 5), che gli sarà imposto il nome di «Emmanuele», ossia, Dio con noi (Is 7, 14), che sarà chiamato «Dio potente, Padre per sempre, Principe della Pace» (Is 9, 5), ecc. Oltre a questi testi che descrivono il Messia come Re e discendente di Davide, ve ne sono altri che raccontano, in modo profetico, la missione redentrice del Messia, chiamandolo Servo di Jahvéh, servo dei dolori, il quale assumerà nel suo corpo la riconciliazione e la pace (Ef 2, 14-18): Is 42, 1-7; 49, 1-9; 50, 4-9; 52, 13-15; 53, 10-12. In un tale contesto è importante il passo di (Dn 7, 13-14) sul Figlio dell’uomo, che misteriosamente, attraverso l’umiltà e l’abbassamento, supera la condizione umana e restaura il regno messianico nella sua fase definitiva. Le principali figure del Redentore nell’Antico Testamento sono l’innocente Abele, il Sommo Sacerdote Melchidesech, il sacrificio di Isacco, per mano di suo padre Abramo, Giuseppe venduto dai fratelli, l’agnello pasquale nella notte dell’Esodo, il serpente di bronzo innalzato da Mosè nel deserto e il profeta Giona, rimasto tre giorni all’interno del ventre della balena. Sono molti i nomi e i titoli attribuiti a Cristo nel corso dei secoli dai teologi e dai vari autori spirituali. Alcuni sono presi dall’Antico Testamento; altri dal Nuovo. Alcuni sono utilizzati o accettati da Gesù stesso; altri gli sono stati applicati dalla Chiesa nel corso dei secoli. Gesù, che in ebraico significa «Dio salva»: Al momento dell’Annunciazione, l’Angelo Gabriele rivela a Maria che il suo nome proprio sarà Gesù, nome che esprime ad un tempo la sua identità e la sua missione, vale a dire, Egli è il Figlio di Dio fatto uomo per salvare il suo popolo dai suoi peccati (Mt 1, 21). Il nome di Gesù significa che è Dio stesso presente nella persona del Figlio suo (At 5, 41; 3 Gv 7), fatto uomo per l’universale e definitiva Redenzione dell’uomo dai peccati. È il nome divino che reca la salvezza (Gv 3, 18; At 2, 21), e può essere invocato da tutti perché, mediante l’Incarnazione, Egli si è unito a tutti gli uomini. Cristo viene dalla traduzione greca del termine ebraico «Messia», che significa «unto del Signore». Diventa il nome proprio di Gesù, perché, Egli compie perfettamente la missione divina da esso portata avanti con determinazione. Infatti, in Israele erano unti nel nome di Dio coloro che erano a lui consacrati per una missione che Egli aveva loro affidato. Questo era il caso dei sacerdoti, dei re e, eccezionalmente, dei profeti. Questo doveva essere per eccellenza il caso del Messia che Dio avrebbe inviato per instaurare definitivamente il suo Regno. Gesù ha realizzato la speranza messianica di Israele nella sua triplice funzione di sacerdote, profeta e re. Infatti, Gesù ha accettato il titolo di Messia cui aveva diritto Gv 4, 25-26; 11, 27), ma non senza riserve, perché una parte dei suoi contemporanei lo intendevano secondo una concezione umana e non di provenienza divina (Mt 22, 41-46), ma essenzialmente politica Gv 6, 15; Lc 24, 21). Pertanto, Gesù Cristo è l’Unigenito Figlio di Dio. La filiazione di Gesù rispetto a suo Padre non è una filiazione adottiva come la nostra, ma una filiazione divina naturale, ossia, la relazione unica ed eterna di Gesù Cristo con Dio suo Padre: egli è il Figlio unigenito del Padre (Gv 1, 14.18; 3, 16.18) ed è presente prima della creazione degli Angeli e di tutto ciò che sussiste. Per essere veri ed autentici cristiani si deve credere ciecamente che Gesù Cristo è il Figlio di Dio, e non ci sono scuse o dubbi che possono distrarci da questa affermazione. I Vangeli riferiscono di due momenti solenni ed importanti per la nostra Fede: il battesimo e la trasfigurazione di Cristo sul Monte Tabor, la voce del Padre che lo indica come il suo “Figlio prediletto” (Mt 3, 17; 17, 5). Gesù, a questo punto, presenta se stesso come “il Figlio Unigenito di Dio, della stessa sostanza del Padre” (Gv 3, 16) e con questo titolo afferma la sua preesistenza eterna. Un altro nome che appartiene a Gesù è: Signore. Nella traduzione greca dei Libri dell’Antico Testamento, il nome ineffabile sotto il quale Dio si è rivelato a Mosè (Es 3, 14), YHWH, è reso con “Kyrios” “Signore”. Da allora Signore diventa il nome abituale con il quale viene indicato il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe. Il Nuovo Testamento utilizza il titolo di “Signore” per il Padre, ma, ed è questa la novità, perché, anche per Gesù, è riconosciuto così per il semplice motivo che, egli stesso è Dio (1 Cor 2, 8). Infatti, attribuendo a Gesù il titolo divino di Signore, le prime confessioni di fede della Chiesa affermano, fin dall’inizio (At 2, 34-36), che la potenza, l’onore e la gloria dovuti a Dio Padre convengono anche al Figlio Gesù Cristo (Rm 9, 5; Tt 2, 13; Ap 5, 13), per il semplice fatto che, Egli è di “natura divina” (Fil 2, 6) e che il Padre ha manifestato questa signoria di Gesù risuscitandolo dai morti ed esaltandolo nella sua gloria, come rivela: (Rm 10, 9; 1 Cor 12, 3; Fil 2, 9-11). Perciò, Cristo Gesù è l’unico Mediatore perfetto tra Dio e noi uomini peccatori. È Maestro, Sacerdote e Re di tutte le cose, quelle visibili e quelle invisibili. È vero Dio e vero uomo, nella unità della sua Persona divina; per questo motivo è l’unico Conciliatore tra Dio e gli uomini. L’espressione più profonda del Nuovo Testamento circa l’intervento di Cristo si trova nella prima lettera a Timoteo: «Uno solo è Dio e uno solo il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, che ha dato sé stesso in riscatto per tutti» (1 Tm 2, 5-6). Qui sono presentate la persona del Mediatore e l’azione salvifica del Mediatore. Nella lettera agli Ebrei, Cristo è presentato come il Signore di una Nuova e Eterna Alleanza (Eb 8, 6; 9, 15; 12, 24). Gesù Cristo è perfetto Dio e perfetto uomo, ma è intermediario mediante la propria umanità. I testi del Nuovo Testamento presentano Gesù Cristo come profeta e rivelatore, come Sommo Sacerdote e Signore di tutta la creazione. Non si tratta di tre ministeri diversi, ma di tre aspetti diversi della funzione salvifica dell’unico Salvatore del mondo. È il profeta annunciato nel Libro del Deuteronomio (18, 18). La gente considerava Gesù non solo un profeta ma Colui che viene nel nome del Signore (Mt 16, 14; Mc 6, 14-16; Lc 24, 19). Lo stesso inizio della lettera agli Ebrei appare paradigmatico a tal proposito. Ma Cristo è più grande di un profeta: Egli è il Maestro, vale a dire, colui che insegna con l’autorità che gli è propria, con un’autorità sconosciuta fino ad allora, che lasciava sorpresi quelli che lo ascoltavano, infatti, aveva potere sui demoni che gli ubbidivano senza esitazione. Il carattere supremo degli insegnamenti di Gesù si fonda nel fatto che è Dio e nello stesso medesimo tempo anche un uomo come tutti. Gesù non solo insegna la verità, ma Egli stesso è la Verità Suprema resa visibile nella carne. Cristo, Verbo sempre Eterno del Padre, «è la Parola unica, perfetta e definitiva di Dio, il quale in Lui non ci sarà altra parola che quella. L’insegnamento donatoci gradualmente da Cristo è definitivo, nel senso che, con esso, la Rivelazione di Dio agli uomini nella storia ha avuto il suo ultimo compimento. Cristo è sacerdote. Nella lettera agli Ebrei, che ha come tema centrale il Sacerdozio di Cristo, è presentato come Sommo Sacerdote della Nuova Alleanza, per sempre alla maniera di Melchidesech (Eb 5, 10; 6, 20), santo, innocente, senza macchia di peccato (Eb 7, 26), il quale, “con un’unica oblazione: ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati (Eb 10, 14), con un unico sacrificio, quello della sua Croce. Come il sacrificio di Cristo la sua morte sulla Croce è unico per l’unità esistente fra il sacerdote e la vittima di cui assume un valore infinito, così come il suo sacerdozio è unico. Egli è l’unica vittima per riparare tutti i peccati degli uomini. I sacrifici che venivano celebrati nell’Antico Testamento erano figura di quello di Cristo e prendevano valore proprio in quanto ordinati a quello che Cristo subirà alla fine della sua via terrena. Il sacerdozio di Cristo, è eterno, è pertanto, partecipato dal sacerdozio ministeriale e dal sacerdozio comune di tutti i fedeli laici, che né si sommano né succedono a quello di Cristo è Re di tutto ciò che sussiste. Lo è non solo in quanto Vero Dio, ma anche in quanto Vero Uomo. La sua sovranità è un aspetto fondamentale del suo intervento salvifico. Cristo salva perché ha il potere effettivo per poterlo fare. La fede della Chiesa afferma la regalità di Gesù e professa nel Credo che «il suo regno non avrà fine», ripetendo così ciò che l’Arcangelo Gabriele ha confermato a Maria durante l’Annunciazione (Lc 1, 32-33). La dignità regale di Gesù Cristo era già stata annunciata nell’Antico Testamento (Sal 2, 6; Is 7, 6; 11.1-9; Dn 7, 14). Egli, però, non ha parlato molto della propria regalità, perché fra gli israeliti del suo tempo era molto diffuso un concetto esclusivamente materiale e terreno del Regno messianico. Lo riconobbe in un momento particolarmente solenne quando, rispondendo a una domanda di Ponzio Pilato, rispose: «Tu lo dici; io sono Re» (Gv 18, 37), ma aggiunse, che il suo Regno non è di questo mondo, perché si riferiva all’Eternità. La regalità di Cristo non è metaforica, ma reale e comporta il potere di legiferare e di giudicare, si fonda sul fatto che è il Verbo incarnato è il nostro Redentore. Il suo regno è totalmente spirituale ed eterno, di conseguenza, non può avere una fine. Questo mondo in cui noi viviamo ha una fine, perché non è eterno, ma soltanto di passaggio, non è qui che dovremo vivere per sempre. Cristo istruisce la sua regalità attirando a sé tutti gli uomini mediante la sua Passione, Morte e Risurrezione (Gv 12, 32), dimostrando al mondo che lo ha condannato che Lui e Eterno. Re e Signore dell’Universo, si è fatto il servo di tutti, non essendo venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti ( Mt 20, 28). In conclusione, di questa breve e sostanziale introduzione devo aggiungere che: tutta la vita di Cristo è un mistero di Redenzione, che porta noi uomini in un traguardo finale molto importante, il Paradiso, l’incontro definitivo con la Santissima Trinità, Maria Santissima e tutti i Santi e Angeli, che contemplano eternamente il Volto di Dio. Per tutto ciò che si riferisce alla vita di Cristo, lo troviamo impresso nel Simbolo della fede dove sono impressi tutti i misteri dell’Incarnazione, concezione, nascita e Pasqua, quindi, passione, crocifissione, morte, sepoltura, discesa agli inferi, risurrezione e ascensione al cielo. Non dice nulla, in modo esplicito, dei misteri della vita nascosta e della vita pubblica di Gesù, ma gli articoli della fede concernenti l’Incarnazione e la Pasqua illuminano tutta la vita terrena di Cristo, che ci confermano in pieno che è Vero Dio e Vero Uomo. Tutta la sua vita è redentrice e qualunque suo atto umano che ha svolto per la redenzione dell’umanità possiede un valore trascendente di salvezza. Anche negli atti più semplici e apparentemente meno importanti di Gesù c’è un efficace esercizio della sua intercessione fra Dio e gli uomini, perché sono sempre azioni svolte e concretizzate dal Verbo incarnato. Giunge la pienezza dei tempi e per compiere questa missione nasce un bambino a Betlemme. È il Redentore del mondo; e ancor prima di parlare ama con le opere. Non ha nessuna formula magica, perché è ha conoscenza che la salvezza che offre deve passare attraverso il cuore dell’uomo, per poterla attuare, devi dare il tuo consenso. E affinché noi uomini peccatori ci innamorassimo di Lui e imparassimo ad accoglierlo nelle nostre braccia, le sue prime azioni sono il sorriso e il pianto di un bambino indifeso deposto in una semplice mangiatoia costruita da Giuseppe, il sonno inerme di un Dio incarnato per la nostra salvezza eterna. Gli anni della vita nascosta che ha vissuto insieme con Giuseppe che gli ha insegnato l’umile arte del falegname e Maria la sua Vergine Madre, non sono una semplice preparazione al suo ministero pubblico, ma autentici atti redentivi, orientati verso la consumazione del Mistero Pasquale. Ha una grande rilevanza teologica il fatto che per la maggior parte della sua vita Gesù abbia condiviso la condizione dell’immensa maggioranza degli uomini: la vita quotidiana di famiglia e di lavoro a Nazaret. Così Nazaret costituisce una lezione di vita familiare, una lezione di lavoro. Gesù compie la nostra redenzione durante tutti gli anni passati nel nascondimento, dando così un senso divino nella storia della salvezza, al lavoro quotidiano del cristiano e di milioni di uomini di buona volontà: Gesù, cresce e vive come uno di noi, ci rivela che l’esistenza umana, con le sue situazioni più semplici e più comuni, ha un senso divino.

CAPITOLO I
Significato Teologico – Spirituale: In principio era il Verbo,
il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio

Il prologo del Vangelo di Giovanni (Gv 1,1-18), è uno dei testi più ricchi e profondi del Nuovo Testamento, mette in dettaglio l’Incarnazione del Verbo: «Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi». Per questo motivo lo leggiamo nella Messa del giorno di Natale. Esso anticipa i temi principali descritti nel Vangelo: Cristo è la vita e la luce degli uomini; coloro che lo accolgono diventano figli di Dio, mediante il Sacramento del Battesimo. Il prologo è la chiave di lettura di tutto il racconto evangelico: il Figlio unigenito, che nell’eternità è accanto al Padre, ha vissuto una storia umana come Gesù di Nazaret, figlio di Maria e Giuseppe il falegname. Solamente chi riconosce la realtà più profonda, intima e nascosta di Gesù è in grado di comprendere la sua vicenda terrena, e capirne il vero significato. Il protagonista per eccellenza del prologo è il Verbo in greco Lógos; letteralmente tradotta con il termine, “parola”, un essere divino che si deve identificare con la Sapienza (Prv 8,23ss; Sap 7,22ss; Sir 24): immagine perfetta di Dio Padre, nella quale risplende la sua gloria eterna (Col 1,15; Eb 1,3). È il Figlio unigenito» del Padre (v. 14), che da tutta l’eternità «in principio» è presso Dio ed è Dio. Comincia a profilarsi il mistero della Divina Trinità. Un giorno, parlando dello Spirito Santo, Gesù dirà che anch’esso procede dal Padre (15,27). Prima ancora che nascesse il tempo, i secoli e la storia, il Verbo-Figlio-Sapienza di Dio è lo strumento della futura creazione: «Tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste» (v. 3); «il mondo è stato fatto per mezzo di lui» (v. 10). Dio Padre ha creato il mondo con la sua parola (Gn 1), e questa Parola Vivente è il Verbo eterno. Quando creò il cielo e la terra dice di sé la Sapienza; «io ero con lui come artefice ed ero la sua delizia ogni giorno: giocavo davanti a lui in ogni istante, ponendo le mie delizie tra i figli dell’uomo» (Prv 8,30s). Nel Verbo di Dio «era e continua tuttora ad essere la vita». Che cosa voleva intendere l’evangelista con la parola “vita”? Appare chiaramente dalle parole pronunciate da Gesù nel c. 6: «Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. (Gv 6,57). Nell’AT il Dio Padre diceva al suo popolo per mezzo di Mosè e dei Profeti che si susseguirono: «Ecco, io pongo davanti a te la vita e il bene, la morte e il male... la benedizione e la maledizione. Scegli dunque la vita, amando il Signore, tuo Dio, obbedendo alla sua voce, ai suoi Comandamenti e tenendoti unito a lui, poiché è lui la tua vita» (Dt 30,15-20). La parola di Dio, la sua Sapienza, che diventa “carne” in Gesù di Nazaret, che è “vita” in quanto dà la vita, quella divina ed eterna, a ogni essere umano che l’accoglie e ne fa il principio della sua esistenza e delle sue Leggi. «E la vita era la luce degli uomini»: luce che guida nel cammino dell’esistenza e della salvezza senza fine. Da sempre nel mondo, più precisamente nell’umanità, tra la luce e tenebre c’è un forte contrasto di dura lotta: tuttavia la luce continua a splendere nelle fitte tenebre del peccato e della morte, pertanto, di conseguenza, le tenebre, paragonabili con la falsità e il male, cercano in tutti i modi di sopraffare la luce del Verbo Divino, «la luce vera, quella che illumina ogni uomo» (v. 9). L’evangelista Giovanni suggerisce che questa luce non illuminava solamente il popolo della prima alleanza, al quale Dio si rivelò per mezzo dei Patriarchi, di Mosè e dei Profeti. Il Verbo Divino illuminava e illumina ogni uomo, è sempre presente nella razionalità e nelle culture di ogni popolo sparso sulla terra. Nonostante gli errori che il male semina nel cuore degli uomini, «le tenebre non hanno vinto» o soffocato del tutto la luce del Verbo (v. 5).
È venuto nel mondo... tra i suoi...per testimoniare la Verità e la Sapienza di Dio.
La «Luce vera» è il Verbo di Dio, che come abbiamo anticipato in precedenza, viene nel mondo per illuminare tutta l’umanità. Nella sua andatura, il testo del prologo appare ripetitivo e di non facile lettura, ma vi distinguiamo chiaramente due affermazioni importanti e fondamentali. Prima: pur venendo nel mondo, storicamente il Verbo venne fra i suoi, facendosi Carne e abitando in mezzo a noi, vale a dire, tra quelli che gli appartenevano in modo del tutto speciale, il popolo di Israele. Seconda: «il mondo non lo ha riconosciuto» e «i suoi non lo hanno accolto». È abbastanza evidente che qui l’evangelista anticipa il bilancio dell’intera missione di Gesù (12,37-41). Notiamo la progressione: «la luce splende nelle tenebre»; «veniva nel mondo la luce vera»; «venne fra i suoi»; «si fece carne» Tutto ciò che si ribadisce in modo chiaro che il Verbo di Dio, che è luce e vita, tende all’evento dell’Incarnazione nel grembo verginale di Maria, riguarda la Seconda Persona della SS.ma Trinità, Gesù nostro Signore.
Non lo hanno accolto, lo hanno catturato, torturato e condannato alla morte di Croce.
Precisamente in riferimento a Gesù e alla sua missione, l’evangelista mette subito a fuoco la duplice risposta che la sua venuta ha ricevuto e, tuttora riceve da parte degli uomini. Molti, a cominciare dai suoi, «non lo hanno accolto». Questa amara constatazione ritorna più volte e in diverse forme nel seguito del Vangelo, con un crescendo:
  • domanda provocatoria: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?» (2,18);
  • atteggiamento scettico: «Neppure i suoi fratelli credevano in lui» (7,5);
  • obiezione critica: «costui sappiamo di dov’è e chi è, è figlio di Maria e Giuseppe il Falegname e vivono a Nazareth; il Cristo, invece, quando verrà, nessuno saprà di dove sia» (7,27);
  • contestazione (vedi il lungo dialogo dei cc. 7-8);
  • giudizio negativo e dura opposizione: «Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore!»: «un samaritano e un demonio»; 10,19: «è indemoniato ed è fuori di sé»;
  • l’aggressione fisica: «Allora raccolsero delle pietre per gettarle contro di lui»; di nuovo gli viene imputata l’accusa di bestemmia: «Non ti lapidiamo per un’opera buona, ma per una bestemmia, perché tu, che sei uomo, ti fai Dio» (10,33);
  • la decisione di eliminarlo: «Allora i capi dei sacerdoti e i farisei riunirono il sinedrio. Caifa, che era sommo sacerdote, disse: “è conveniente che un solo uomo muoia per il popolo, e non vada in rovina la nazione intera” (1,50). A questo punto si mette in moto la macchina del tradimento per mezzo di un capo espiatorio, Giuda Iscariota, del processo burla, fino alla condanna capitale, la Croce.
  • Merita ancora rilevare la reazione scettica di Pilato, che ha valore emblematico: quando Gesù dichiara di essere venuto nel mondo «per dare testimonianza alla verità», il governatore romano replica: «Che cos’è la verità?» (18,37s).
Questa carrellata di informazioni e dettagli ci fa comprendere che il rifiuto di Gesù da parte delle guide religiose del suo popolo è un rifiuto “teologico”, nel senso preciso del termine: colui che viene respinto e condannato non è solamente un profeta, la cui predicazione infastidisce i leaders della nazione; è il Verbo incarnato, che pretende di venire da Dio e di essere Dio stesso fatto uomo. Si può osservare che il dato evangelico riceve conferma dagli scritti dei primi apologeti, per es. il Contra Celsum di Origene, dove il filosofo pagano riprende pari le obiezioni e le accuse dei Giudei. Se poi facciamo un salto fino al secolo dei lumi e al razionalismo moderno, il problema rimane identico: non si vuole accettare la divinità di Cristo. Tutt’al più lo si accetta come un maestro di saggezza, un tragico eroe religioso, il personaggio che più di ogni altro ha inciso nella storia e nella cultura dell’Occidente, colui che senza sua intenzione è diventato oggetto di culto in una delle religioni oggi più diffuse nel mondo.
A quanti lo hanno accolto... ha dato potere di diventare figli di Dio.
In questo particolare il rovescio della medaglia è positivo: «quanti lo hanno accolto», «quelli che credono nel suo nome». Accogliere vuol dire credere. La Fede è tra i temi principali del Vangelo di Giovanni, che afferma di aver scritto «perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché credendo abbiate la vita nel suo nome». «Credere nel suo nome» equivale a riconoscere la sua vera identità di Figlio di Dio e affidarsi a lui in anima e corpo come unico salvatore dell’intera umanità. Vi do un esempio: a Marta Gesù dice: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno»; poi chiede: «Credi tu a tutto questo?». Marta risponde: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo» (11,25-27). Nel prologo l’evangelista riassume il tema della salvezza mediante la Fede con queste parole: «A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati» (vv. 12-13). Si tratta di una nuova rinascita, grazie alla quale si diventa figli di Dio e coeredi di Cristo. L’idea non è esclusiva di Giovanni, perché si trova anche nella Prima lettera di Pietro e in quella di Giacomo (1 Pt 1,1.23; Gc 1,18). Secondo l’insegnamento di Paolo i credenti sono diventati figli di Dio (Gal 1,26; 4,5; Rm 8,14s) e sono considerati «nuove creature» (Gal 6,15; 2 Cor 5,17): si ha dunque l’equivalente della dottrina giovannea. Il tema ritorna nel dialogo con Nicodemo all’interno dell’Orto degli Ulivi. Gesù afferma che per entrare nel regno di Dio è necessario «nascere dall’alto» o «di nuovo» e, spiega al maestro fariseo che si tratta di nascere «da acqua e Spirito Santo» (Gv 3,3.5). Dunque, la vita nuova, per la quale siamo chiamati ad essere figli di Dio, è opera dello Spirito Santo, che sarà donato da Cristo Risorto durante la Pentecoste (7,39).
Essere figli di Dio e non figli del mondo.
La Prima lettera di Giovanni riprende il tema e lo sviluppa in modo più concreto e dettagliato. Cristo è «il Verbo della vita» (1 Gv 1,1); il suo sangue «ci purifica da ogni peccato» (1,7); Egli è apparso «con il mandato di togliere i peccati dal mondo» (3,5). Ma tutto questo non è senza un riflesso nell’esistenza dei credenti: «Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è. Chiunque ha questa speranza in lui, purifica sé stesso, come egli è puro» (3,2s). Continuando: «Chiunque è stato generato da Dio non commette peccato, perché un germe divino rimane in lui, e non può peccare perché è stato generato da Dio» (3,9). Più avanti: «Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio: chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio» (4,7). «Chiunque crede che Gesù è il Cristo, è stato generato da Dio; e chi ama colui che ha generato, ama anche chi da lui è stato generato. Chiunque è stato generato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede» (5,1.4). In altri termini: essere figli di Dio non è un semplice titolo onorifico, ma è una realtà ora nascosta, che un giorno si manifesterà pienamente quando saremo nella Gloria del Paradiso. In secondo luogo, la nuova rinascita introduce nel credente un dinamismo che si manifesta in due direzioni: purificarsi dal peccato e «amare i fratelli».
Il Verbo si è fatto carne e venne ad abitare in mezzo a noi.
Centro determinante del Prologo è l’affermazione: «il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (v. 14). Dopo quanto sappiamo circa il Logos Divino, restiamo stupiti per l’audacia e la paradossalità del “Credo” che anche noi cristiani credenti professiamo ogni domenica e festa prima della Liturgia eucaristica. Il Verbo-Sapienza-Figlio Eterno di Dio, Dio egli stesso in tutto e per tutto, è diventato “carne”, ossia ha acquisito l’umanità fragile e limitata, contingente, storicamente e culturalmente condizionata da una mentalità ebraica considerata di dura cervice. Non si tratta unicamente di “natura” umana, ipostaticamente unita alla divinità: si tratta anche di giudaicità, di appartenenza a un ambiente e a un’epoca, di corporeità e mortalità, di affettività e socialità. La Lettera agli Ebrei lo dice con estrema chiarezza: «eccetto il peccato, si è fatto in tutto simile ai fratelli» (Eb 2,17; 4,15). «… e venne ad abitare in mezzo a noi». Si può speculare se nel verbo gr. eskénosen c’è un’eco del verbo ebraico (e aram.) shakan, da cui la tenda della presenza di Dio in mezzo al suo popolo nel deserto (mishkan) e la sua presenza salvifica nel tempio di Gerusalemme (shekinà). Possiamo limitarci al senso ovvio: ha preso dimora, ha dimorato, è vissuto, oppure, come si legge negli Atti degli Apostoli, «è entrato e uscito in mezzo a noi» (At 1,21), «passò beneficando e risanando tutti coloro che erano malati, indemoniati, rendendoli figli di Dio» (At 10,38)... Si tratta del Gesù della storia, quello che raggiungiamo attraverso i Vangeli e la cui traccia non è scomparsa, ma è ancora presente in mezzo a noi dopo 2000 anni. L’“incarnazione” del Verbo non va limitata al momento della sua nascita «secondo la carne» (Rm 1,3; Gal 4,4): ma abbraccia la totalità della sua esistenza terrena che, in un certo senso, si estende nel tempo e nello spazio, portando compimento che Cristo Risorto è «il vivente» (Lc 24,5), e che è presente oggi nel mondo perché; la Chiesa è il suo corpo e noi siamo le sue membra vitali (1 Cor 12,12ss). Un altro elemento sottolineato negli scritti di Sant’Agostino in favore del carattere autenticamente umano della carne di Cristo e, quindi, del suo aver assunto una carne del tutto simile a quella di noi uomini mortali lo troviamo espresso, stando sempre ai testi citati, nel fatto che pure Lui, alla stregua di ogni uomo, tante mani, a partire dai suoi discepoli, lo hanno potuto toccare e mostrare così che, la carne trasmessagli dalla Vergine Maria nell’attimo dell’Incarnazione e successivamente, al momento della nascita è carne vera, assolutamente reale. Sant’Agostino si sofferma poi su un’ulteriore riflessione, tratta dall’istituto matrimoniale e ritenuta da lui molto idonea per segnalare come: nell’utero di Maria la carne da Lei data al Verbo di Dio si sia unita a quest’ultimo non in modo superficiale né, tanto meno, finto, bensì a mo’ di sposa a sposo, vale a dire, nel contesto di due realtà finalizzate, di loro natura, a trasformarsi, come dichiara la Sacra Scrittura dell’Antico e del Nuovo Testamento, in una sola entità carnale che è, a un tempo, realtà invisibile e realtà visibile, realtà divina e realtà umana, realtà celeste e realtà terrena, realtà trascendente e realtà sottoposta a tutte le vicissitudini proprie del vivere in questo mondo. E che si tratti di vera entità carnale, Sant’Agostino lo dichiara, senza mezzi termini, piuttosto di frequente nei suoi scritti. In genere, nei casi in cui attribuisce alla persona di Cristo l’assunzione di una carne del tutto identica, sul piano fisico, a quella di ogni altro essere umano e la ritiene, con l’anima razionale, uno dei due elementi costitutivi dell’uomo in quanto tale, anche se, come diremo in seguito, in Lui l’essere umano coesiste con il suo essere di Verbo Divino e di seconda Persona della Santissima Trinità. Al riguardo, ci son altri documenti in cui questa sua presa di posizione è esposta in modo forte e deciso unitamente ad alcuni richiami dai quali si apprende come sia stato proprio l’aver assunto, da parte di Cristo, un reale corpo umano a imprimere valore redentivo tanto alle sue sofferenze che alla sua morte in croce e alla sua successiva risurrezione.
Abbiamo contemplato la sua Gloria
Nella “carne” del Verbo continua l’evangelista, «noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio Unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità». Anche qui si coglie un’eco dell’AT: la «gloria, doxa» (eb. kabôd) di Dio risplende negli eventi salvifici (Es 16,7 ecc.) ed è come una luce che manifesta la sua presenza (Es 24,16), prima nel santuario che fu eretto nel deserto durante il lungo Esodo dall’Egitto alla Terra Promessa (Es 40,34s), poi nel tempio di Gerusalemme edificato per volere di Dio da Re Salomone figlio di Re Davide (1 Re 8,10s). Per il quarto evangelista la gloria del Verbo incarnato si manifesta in particolare nei “segni” (2,11), che a loro volta simboleggiano la sua attività salvifica come Risorto (1,50s; 13,31s). A nome degli altri discepoli, Giovanni qui afferma: «abbiamo contemplato la sua gloria»; che nella Prima Lettera dice in modo equivalente: «abbiamo contemplato e le nostre mani hanno toccato il Verbo della vita» (1 Gv 1,1). La gloria di Cristo è quella «del Figlio Unigenito del Padre, pieno di Grazia, di Misericordia e di Verità». L’espressione «grazia e verità, kháris kaì alétheia» viene da Es 34,6. Si tratta dell’amore misericordioso (eb. hesed) e della fedeltà (emet) di Dio nei riguardi del popolo di Israele. Il Verbo incarnato è la manifestazione più alta, piena e definitiva dell’amore del Padre. Lo dirà più avanti l’evangelista: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui» (3,16s). Il tema è ripreso nella Prima lettera di Giovanni, dopo aver affermato la più alta ed eccelsa verità che, «Dio è amore», quell’amore che dovrebbe regnare in ogni cuore di ogni singolo uomo, perciò, l’apostolo chiarisce: «In questo si è manifestato l’amore di Dio in noi: Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio unigenito, perché noi avessimo la vita per mezzo di lui. In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi fin dalla nostra creazione e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati» (1 Gv 4,9s). Anche san Paolo riconduce la missione salvifica di Cristo all’amore del Padre per noi uomini, miseri peccatori (Rm 58; 8,32).
Grazia su grazia, ci ha salvato dalla dannazione eterna.
Dopo la seconda digressione, viene ripreso il tema della kháris: «Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia» (v. 16), una “corrente ininterrotta di grazia” (Segalla) che dalla pienezza del Verbo incarnato scorre verso di «noi peccatori» i credenti. L’evangelista istituisce un confronto tra Antico e il Nuovo Testamento: «la Legge fu data da Dio Padre per mezzo di Mosè, sul Monte Sinai, la grazia santificante e la verità tutta intera vennero per mezzo di Gesù Cristo» (v. 17). Allo stesso modo san Paolo contrappone la Grazia alla Legge, la «vetustà della lettera» alla «novità dello Spirito Santo» (Rm 7,6). Ciò che il prologo afferma in modo sintetico, Gesù lo spiega più attentamente e apertamente nel corpo del Vangelo; per esempio; nell’ultimo giorno della festa delle Capanne, quando grida: «Se qualcuno ha sete, venga a me, e beva chi crede in me. Come afferma la Sacra Scrittura: “Dal suo grembo sgorgheranno fiumi di acqua viva”». L’evangelista commenta: «Questo egli disse dello Spirito Santo che avrebbero ricevuto i credenti in lui: infatti non vi era ancora lo Spirito >Santo, perché Gesù non era ancora stato glorificato», egli viene glorificato dal Padre mediante la sua dolorosa Passione, Morte e Resurrezione (7,38-39). L’acqua e il sangue che escono dal costato di Gesù crocifisso (19,34) simboleggiano appunto il fiume di grazia che scaturisce da lui, ed infonde la sua Divina Misericordia al mondo intero. Questo è un Vangelo immenso, che ci vieta ad avere pensieri di poco conto. “In principio era il Verbo, e il Verbo era Dio. E il Verbo si fece carne. E ha dato a ciascuno il potere di diventare figli di Dio”. Colui che nella sua infinita Misericordia ha riempito il cielo con miliardi di galassie, l’inventore dell’universo, nella pienezza del tempo si fa piccolo e ricomincia la sua vita da uomo dalla Città di Betlemme. È Colui che ha separato la luce dalle tenebre, il firmamento dalla terra, si fa inchiodare su di una croce per espiare tutti i peccati di noi uomini infedeli. A Betlemme non c’è nessuna illusione, nessun raggiro, nessuna menzogna, ma è evidente l’inizio della redenzione. Lo garantiscono una mangiatoia e una croce. Dio è là dove la ragione si scandalizza, dove la natura si ribella, dove Dio mette al primo posto la salvezza dell’uomo Ma il miracolo grande è che Dio non plasma più l’uomo nuovo con polvere del suolo, come in principio, nel Giardino dell’Eden, come fece per Adamo e Eva, ma lui stesso si fa bambino per nascere a Betlemme, come fu scritto nel Profeta di Isaia. E se io dovrò piangere, anche lui imparerà a piangere. E se io devo morire, anche lui ha gustato l’orrore della morte. Solo un Dio poteva imboccare queste strade. E solo gli umili gli credono, lieti che Dio sia così libero e così stupefacente, da preferire ciò che l’uomo emargina. Il prodigio più grande è che Dio ama ciò che è umile e semplice. Dio nell’umiltà: ecco la parola rivoluzionaria, l’appassionata parola che determina il senso autentico del Natale. Quando Gesù è nato, la grande ruota della storia per un attimo si è fermata per contemplare questa immensa Gloria che viene da Dio stesso che si fece carne. Poi qualcosa ha cominciato a girare al contrario; o meglio, nel senso vero della storia. «Viene nel mondo la luce vera» (Gv 1,9): da Dio verso l’uomo, dal grande verso il piccolo, da una città verso la stalla, i re Magi verso il Bambino, il forte a servizio del debole. Il Verbo di Dio è l’inizio del capovolgimento totale, di un nuovo ordinamento di tutte le cose, è il giudizio del mondo. E la sua redenzione. Dice che la storia non appartiene a chi fa sfoggio di forza o di denaro. Quella è considerata soltanto una storia perdente. La storia vera e autentica è l’opera di chi si colloca là dove nessuno vorrebbe essere, nell’umiltà del servizio verso i poveri, nell’insignificanza solo apparente della bontà, nel silenzio degli uomini di buona volontà. Maria, incinta di Gesù, l’aveva anticipato nel suo canto: «Ha rovesciato i violenti, ha innalzato i deboli. Chi si fida della ricchezza terrena sarà a mani vuote e possiederà un cuore vuoto, senza anima. Chi si fida della bontà che viene da Dio stesso possederà la terra». È il bambino Gesù dentro la mangiatoia a compiere il giudizio e da piena libertà alla redenzione del mondo. A chi accetta di avvicinarsi a lui con cuore puro e sincero, accade qualcosa di meraviglioso che difficilmente si riesce a spiegare con le proprie parole. Recarci davanti a quella che non è neppure una culla, ma una semplice mangiatoia, ci trasforma in esseri nuovi, fatti di luce, ripieni di Grazia santificante del Figlio di Dio. Chi di noi celebrerà bene il Natale? Chi depone davanti a quel Bambino ogni arroganza, ogni distanza, e riscopre la volontà d’amore. Chi non esporta morte ma comunione, chi accoglie Dio nella sua carne e diventa un tutt’uno nel suo amore. Perché Dio viene nella vita, accade nella concretezza dei nostri gesti, deve abitare nei nostri cuori. E il nostro sguardo verso questo Dio che dal Paradiso scende sulla terra e si fa carne, allora si fa tenero, attento a tutte le nostre necessità. Vera grandezza è essere abitati da Dio. E se Dio ha voluto nascere in una stalla, non si scandalizzerà di me, dello sporco che è in me, abiterà le mie miserie il nodo di povertà, e che egli trasformerà con la sua Grazia. Cristo nasce perché noi nasciamo insieme con lui, e desidera che io e tutta l’umanità nasciamo diversi e nuovi, dallo Spirito di Dio, piccoli e liberi da essere incapaci di aggredire, di odiare, di minacciare i nostri stessi simili, ma, dobbiamo nascere umili da pensare con il cuore e non con la mente.
Conseguenze dell’incarnazione
  • “In quanto Verbum caro factum est……”, Gesù è la Parola definitiva mandata da Dio Padre di Dio agli uomini per la loro salvezza (Eb 1,1-4) L’incarnazione è la porta o via della rivelazione del mistero supremo di Dio, unico nelle Tre Persone uguali e distinte, ed essa è, nello stesso tempo, il cardine insopprimibile della redenzione dell’uomo operata nella passione e nella croce di Cristo”.
  • Perennità dell’incarnazione: “perdura l’unione della Persona divina con la natura umana, che di conseguenza permane l’umanità assunta come centro di tutte le relazioni tra Dio e gli uomini. Una mediazione piena, che si orienta in due direzioni ben definite: da Dio verso l’uomo e dell’uomo verso Dio. Il Cristo che oggi ci guarda ed agisce e al quale noi parliamo e rivolgiamo preghiere, è lo stesso che visse in terra duemila anni fa, di uguale struttura e ugualmente operante”
  • Dichiara il Concilio Vaticano II: “In realtà, solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo” (GS 22). L’umanizzazione di Dio culmina nella piena umanizzazione dell’uomo, anzi nella sua ‘divinizzazione’, secondo i Padri Greci. “Mediante la dottrina dell’incarnazione il cristianesimo ha sottolineato la dignità eminente della natura umana, la sua collaborazione attiva alla salvezza, la sua partecipazione alla vita divina trinitaria, l’efficacia del suo impegno nella trasformazione del mondo e nel miglioramento della storia”.
  • “Tutti gli uomini, anche quelli che non hanno conosciuto il Vangelo, rientrano nel piano di salvezza, distinto da quello che avevano prima dell’incarnazione. Rientrano nell’economia della salvezza, coloro che sono credenti, ma anche in non credenti, perché Cristo, è venuto nel mondo a salvare tutti, senza distinzione di alcuno”.
  • Tutta la natura profuma di Cristo. “Il Cristo si ammanta organicamente nella maestà della sua creazione. È, per questo motivo, che l’uomo si rivela, senza metafora, capace di subire e di scoprire il suo Dio mediante tutta la lunghezza, tutto lo spessore, tutta la profondità del mondo in movimento. Poter dire letteralmente a Dio che lo si ama, non soltanto con tutto il corpo, con il cuore, con tutta l’anima, ma con tutto l’universo in via di unificazione, ecco una preghiera valida e concreta che si può recitare solo nello spazio-tempo di questo mondo”.
  • L’Eucaristia è incarnazione che continua fino alla fine del tempo. Scrive Papa Francesco: “l’Eucaristia è sempre celebrata, in certo senso, sull’altare del mondo. Essa unisce il cielo e la terra. Comprende e pervade tutto il creato. Il Figlio di Dio si è fatto uomo, per restituire tutto il creato, in un supremo atto di lode, a Colui che lo ha fatto dal nulla. Il mondo uscito dalle mani di Dio creatore torna a lui redento da Cristo”.
  • Il Verbo incarnato dimora in noi: “Se infatti ‘il Verbo si è fatto carne è veramente noi riceviamo il Verbo incarnato mediante il cibo eucaristico, come non credere che egli dimora naturalmente in noi? Lui che, per la sua nascita come uomo, ha preso la natura della nostra carne ormai inseparabile da lui e ha congiunto la natura della sua carne con la natura divina nel sacramento con cui ci comunica la sua carne? Per questa via tutti siamo una cosa sola, perché in Cristo è il Padre e nello stesso tempo Cristo è in noi” (La Trinità).
  • L’incarnazione del verbo di Dio “è motivo di un atteggiamento peculiare di fronte alle realtà terrene.” “Per opera della Creazione, e soprattutto dell’Incarnazione, niente è profano, quaggiù, per chi sa vedere e sa apprezzare. Anzi, tutto è considerato sacro per chi distingue, in ogni creatura, la particella sottoposta all’attrazione di Cristo in via di consumazione. Mai, in nessun caso, «sia che mangiate, sia che beviate», acconsentite a fare alcuna cosa senza averne riconosciuto prima, e senza ricercarne poi, fino in fondo, il significato e il valore costruttivo in Cristo Gesù. Dalle mani che la impastano fino a quelle che la consacrano, la grande Ostia universale dovrebbe essere preparata e maneggiata solo con adorazione e senso di rispetto. Il cristiano cerca Dio, e Dio cerca senza sosta tutte le sue creature sparse in ogni angolo della terra. Ci troviamo talmente avvolti e pervasi dalla Divina presenza, che non ci rimane neppure un posto libero per cadere in ginocchio fosse anche in fondo a noi stessi. Per mezzo di tutte le creature, nessuna esclusa, il Divino ci assedia, ci invade, ci impasta e ci modella secondo il suo progetto primario, salvaci dalla dannazione eterna”
  • “Per il cristiano le realtà mondane continuano ad essere non impedimenti, ma tramiti efficaci e insostituibili all’unione con Dio. Si afferma così una spiritualità dell’incarnazione per cui anche la famiglia, il lavoro, l’apostolato diventano luoghi di santificazione e di esperienza mistica, sorgente di impegno per la liberazione, la giustizia, la solidarietà, l’accoglienza del diverso, in modo particolare i poveri e gli abbandonati, offrire un servizio d’amore e rispetto all’emarginato.” Il Cristianesimo è un’anima possente che conferisce un significato, un fascino e una leggerezza nuova a ciò che già facevamo. Il cristiano riconosce come sua funzione specifica la divinizzazione del Mondo in Gesù Cristo, mediante la sua Chiesa”
  • L’incarnazione è il punto fondamentale di partenza e il modello prescelto della Chiesa nelle sue funzioni, con rappresentazioni, immagini, ma soprattutto con i sacramenti della vita cristiana. È l’assoluto punto di partenza della teologia. “Il fatto che nell’affermazione sta al centro il corpo caro cardo salutis (la carne è la via maestra della salvezza) è il nucleo centrale di tutta la verità della “cristologia del Logos-sarx” del cristianesimo primitivo che resta sempre attuale e non tramonta mai”.
  • La chiesa per essere in grado di offrire a tutti i misteri della salvezza e la vita che Dio ha portato all’uomo, deve cercare di inserirsi in tutti questi raggruppamenti con lo stesso metodo, con cui Cristo stesso, attraverso la sua incarnazione, si legò al quel certo ambiente socio-culturale degli uomini, in mezzo ai quali visse, patì, morì e il terzo giorno risuscito dai morti, per portare compimento al progetto primario di Dio, la salvezza dell’intera umanità” (AG 10).
Il Figlio lo ha rivelato, ma non tutti gli uomini lo hanno accettato.
La conclusione del prologo si riallaccia al suo inizio e lo completa: «Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato» (v. 18). Durante l’Ultima Cena prima dell’avvento del tradimento da parte di Giuda iscariota, uno dei discepoli chiederà a Gesù: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Gesù gli risponde: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: “Mostraci il Padre”? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso, ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere. Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse» (14,7-11). Il miglior commento è quello riportato nella costituzione dogmatica Dei Verbum: «Dopo aver Iddio, a più riprese e in più modi, parlato per mezzo dei profeti, “alla fine, nei giorni nostri, ha parlato a noi per mezzo del Figlio” (Eb 1,1-2). Mandò, infatti, il suo Figlio, il Verbo Eterno esistente prima che ogni cosa fosse creata, che illumina tutti gli uomini, affinché dimorasse tra gli uomini e ad essi spiegasse i segreti di Dio (Gv 1,1-18), Gesù Cristo, dunque, Verbo fatto carne, mandato come “uomo agli uomini” (Diogneto, 7,4), “parla le parole di Dio” (Gv 3,34) e porta a compimento l’opera e il progetto di salvezza affidatagli dal Padre (Gv 5,36; 17,4). Perciò egli, vedendo il quale si vede anche il Padre (Gv 14,9), col fatto stesso della sua presenza e con la manifestazione di sé, con i miracoli, e specialmente con la sua morte e la sua risurrezione di tra i morti, e infine con l’invio dello Spirito santo, compie e completa la rivelazione e la corrobora con la testimonianza divina, che vale a dire, Dio è con noi per liberarci dalle tenebre del peccato e della morte e risuscitarci per la vita eterna» (DV 4). Pertanto, il prologo di Giovanni, che la Liturgia della Chiesa ci propone come Vangelo del giorno di Natale, deve condurci a celebrare questa festa in modo più pieno e profondo, superando quella riduzione folcloristica e sentimentale, alla quale si indulge facilmente, ma che non lascia una grande traccia nella fede e nella vita dei fedeli, anche nella nostra. Natale vuol dire soltanto “incarnazione” del Verbo di Dio: ma, il Figlio di Dio viene a rivelarci il Padre e il suo amore che salva nell’umiltà e la povertà di una stalla. Accogliere, amare, pregare il Verbo incarnato è credere pienamente in lui per avere la vita, una vita abbondante, “grazia su grazia”. Questo è il grande dono che riceviamo e che, a nostra volta, possiamo trasmettere fedelmente a tutti gli uomini di buona volontà. La luce del Verbo di Dio fatto carne per la nostra salvezza splende con tutta la sua potenza in mezzo alle tenebre provocate dal male, dalla morte e dal peccato. Purtroppo, oggi nel nostro tempo, il Verbo incarnato non viene accolto nel mondo, e non deve stupirci, anzi, noi che ci consideriamo credenti dobbiamo essere fiaccole lucenti che illuminano le tenebre del peccato e portano a tutti gli uomini la Buona Novella, per essere tutti salvati e condotti alla Vera Patria di appartenenza, il Paradiso.

CAPITOLO II
L’incarnazione del Verbo di Dio nel grembo verginale di Maria Santissima.

“Nel sesto mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: “Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te”. A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto. L’angelo le disse: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine”. Allora Maria disse all’angelo: “Come è possibile? Non conosco uomo”. Le rispose l’angelo: “Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio. Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: nulla è impossibile a Dio”. Allora Maria disse: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto”. E l’angelo partì da lei.” (Lc, 28 – 38). L'annunciazione per mezzo dell’Angelo Gabriele e il concepimento verginale di Maria nel medesimo momento del ricevimento della notizia, costituiscono il vertice teologico del racconto dell’Evangelista Luca sull'infanzia di Gesù. In esso vi è un concentrato di riferimenti biblici testamentari, che, riportati in questo determinato contesto, sottolineano come non solo l'Antico Testamento già conteneva in sé il Nuovo Testamento, ma come proprio nel suo insieme trova il suo pieno compimento e la sua piena realizzazione del Piano Salvifico concepito dalla mente di Dio Padre, prima della creazione di tutto ciò che esiste. Maria viene presentata avvolta da un alone divino (Lc 1,28), che richiama il cantico del terzo Isaia e in cui vibra l'intonazione del “Magnificat Anima mea Dominum” (Lc 1,46-47) : "Io gioisco pienamente nel Signore, la mia anima esulta nel mio Dio Salvatore, perché mi ha rivestito delle vesti di salvezza, mi ha avvolto con il manto della giustizia, come un sposo che si cinge il diadema e come una sposa che si adorna di gioielli" (Is 61,10). Maria, dunque, è la sposa del Signore e rivestita della sua luce. La figura di Gesù è fin da subito viene inquadrata in duplice modo: da un lato, egli è definito "Figlio dell'Altissimo", pertanto, le sue origini sono divine e nel suo sangue scorre, per così dire, il DNA di Dio. Perciò, egli condivide la stessa Natura Divina del Padre, di cui è il Figlio Unigenito; generato e non creato dal Padre ancor prima che da Maria si fosse incarnato. Dall'altro, in Gesù, Luca legge la realizzazione della profezia di Natan, fatta al re Davide (2Sam 7,8-16). Questo connubio trascendentale e storico, definisce Gesù come Uomo-Dio. Ma l'habitat naturale di cui tutto ciò si compie e in cui tutto viene avvolto è lo Spirito Santo; è lui il motore di ogni nuova creazione, che inietta nel creato la vita stessa di Dio, accorpando a Lui ogni creatura che infuoca con i suoi raggi di amore. Tale azione rigeneratrice dello Spirito Santo ha il suo principio e il suo inizio storico in Gesù e si esprime tramite lui in diverse tappe della sua vita terrena. Gesù, è dunque l'uomo nuovo, nato dal connubio tra Dio e l'uomo, e da cui discende una nuova umanità rigenerata dallo Spirito Santo. In Gesù Cristo, cioè in Gesù risorto, Dio e l'uomo hanno fatto pace e si sono riconciliati per mezzo della sua offerta volontaria alla morte di Croce. I due, quindi, parafrasando San Paolo, sono diventati in Cristo una sola nuova realtà spirituale, che troverà la sua piena realizzazione e il suo pieno splendore nella risurrezione del Cristo. Maria è una giovane vergine promessa sposa di Giuseppe, di Nazareth, uno sconosciuto villaggio della Galilea. Inconcepibile, per la mentalità del tempo, che il Messia potesse nascere in Galilea e non in Giudea e, soprattutto, a Gerusalemme, considerata fin dalla sua edificazione la Città Santa, dove pellegrinarono Profeti e Messaggeri di Dio; ma ancora più assurdo è che un Angelo del Signore rivolga la parola ad un’umile donna, cui neanche i rabbini potevano rivolgere la parola (si rammenti la sorpresa della donna e dei discepoli nell’episodio di Gesù e la samaritana raccontato in Gv 4, 1-42). Anche a Maria, come a Zaccaria, viene detto da Gabriele che concepirà e partorirà un bambino, il figlio delle profezie, il precursore del messia davidico, ovvero il figlio di Dio (vv. 28-33). Il Testo di Luca 1, 26 – 38 si presenta letterariamente ben strutturato: inizia con l'ingresso dell'Angelo presso la vergine (v. 28) e termina con la partenza dell'Angelo dalla medesima (v. 38). Abbiamo un'introduzione con la presentazione della situazione dettagliata di ciò che dovrà avvenire e dei personaggi che sono gli attori principali della redenzione dell’uomo. Troviamo un unico verbo: fu mandato, passivo che ha come soggetto logico Dio stesso. Viene presentata una situazione temporale (sesto mese) e luogo preciso e ben definito (una città della Galilea); sono dati i nomi dei personaggi: Gabriele, il nome dello sposo Giuseppe e della vergine Maria. Per Tre volte troviamo il termine: Nazareth, Giuseppe, Maria. Ora analizzeremo il testo di Luca:
Ti saluto. È il saluto usato dai Greci fin dai tempi antichi e per questo è stato tradotto “ti saluto”, lo troviamo anche Mc.15, 18; Atti 15, 23; 23, 26 anche se si evidenzia con “Rallegrati” sembra essere una traduzione più appropriata in quanto rende meglio il senso del saluto greco. Certamente possiamo dire che Luca ha voluto esprimere: un saluto; la gioia (messianica) che circonda tale saluto e che precede un annuncio di gioia, una gioia che in Luca è presente là dove si manifesta la salvezza (1, 14); l’avverarsi degli oracoli profetici.
Piena di grazia. Dal greco Kecharitoméne. Qui per grazia s’intende non tanto la grazia santificante come concetto teologico posteriore, ma di «favore, benevolenza» adesso, nello stato attuale, ossia, Maria è favorita, prescelta, ben voluta, amata da Dio, perché scelta prima della creazione del mondo per essere la Madre senza ombra di macchia del Verbo di Dio fatto carne. Il termine “Kecharitoméne” ha un significato non facile da rendere in italiano con una sola parola. Potremmo tradurlo come “tu che sei stata e sei perennemente in stato di grazia”. Si tratta di uno stato permanente. Ma il volto di Maria non è mai quello dell’ostentazione, ma bensì sempre quello di una povertà ricolmata dalla grazia santificante di Dio. È, e rimarrà sempre, il ritratto dell’amore gratuito di Dio per la salvezza dell’intera progenie umana.
Il Signore è con te. È una promessa totale di assistenza da parte del Signore; la ritroviamo spesso nei racconti di vocazione dell’A.T. (Gen. 26, 3-24; Es. 3,12; Gs 1,5; Gdc. 6,12; Ger. 1,8-19), ed è una promessa di assistenza fatta nel momento in cui Dio affida a qualcuno una missione importante. Supera il valore di un semplice saluto o di un generico augurio. Indica invece il motivo di quella gioia messianica, e contiene in sintesi la realtà promessa, cioè la realtà di Dio – salvatore. Maria diviene il segno della presenza salvifica di Dio in mezzo al Suo Popolo. Iddio è con Lei che sarà la Madre del Dio con noi. In questo senso si può intendere anche come «il Signore è in mezzo a te»: attraverso la sua maternità, Dio sarà tra il suo popolo, per recargli la salvezza.
A queste parole ella rimase turbata. È un turbamento che di solito è presente nei racconti di vocazione, originato dalle parole dell’Angelo Gabriele, ciò significa che, quelle parole non sono risuonate, a Maria, pienamente comprensibili, oppure, forse è proprio perché le ha comprese che si è turbata? Ma risuonavano dentro di lei alquanto misteriose, profetiche.
E si domandava che senso avesse un tale saluto. Ella cerca, inutilmente, di misurare dentro di sé il peso e la portata di quelle parole che venivano dall’alto, proprio da Dio stesso. L’Angelo precede la sua domanda. La reazione di Maria è comprensibile. Questo misterioso visitatore le rivolge un saluto pieno di significato per un israelita; tante volte ella avrà udito nella sinagoga proclamare e interpretare il significato di quelle parole. Ma rivolte a lei la gettano in uno stato di disagio, si trova interiormente sconvolta. È poi per un Giudeo è impensabile che l'Angelo, che sta di fronte al trono di Dio, possa essere inviato a una ragazza umile e povera, per di più nella città galelaica di Nazareth. Secondo il costume giudaico del tempo, a una donna non si porgeva saluto alcuno. Questo contesto religioso e culturale spiega il turbamento di Maria all'ascolto delle parole dell'Angelo.
L’angelo le disse: “non temere…”. La formula è quella d’uso nei racconti di una chiamata vocazionale. Spesso precede la Parola di Dio (Gen. 15,1; 26,24; Gdc. 6, 23; ecc.) ed il senso è chiaro: davanti ad un compito arduo questa formula rassicura, calma, dà fiducia a colui che non si sente all’altezza della vocazione ricevuta, a causa della sproporzione abissale che percepisce esserci tra Dio e l’uomo, tra il Santo e il peccatore, tra la potenza e la debolezza. È interessante sapere che questa piccola frase nella Bibbia è ripetuta ben 365 volte, come i giorni dell’anno. È come dire: ogni giorno Dio ti rassicura; Dio è con noi, infatti, è il senso del nome Emmanuele, chi sarà contro di noi?
Ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Questo concetto ha una connotazione temporale molto intensa. Indica quasi una contemporaneità all’annuncio, perché è propria della dinamica di Dio: quando Egli parla allo stesso tempo fa, compie, opera. Ma in questo caso non prima di aver avuto il libero consenso della sua creatura a cui ha proposto questa meraviglioso evento. Il Signore è sempre il primo a rispettare la nostra libertà. Il nome del Figlio di Maria sarà Gesù; l’evangelista Matteo nel suo annuncio a Giuseppe ci aiuta a comprendere il senso di questo nome perché spiega “Egli, infatti, salverà il suo popolo dai suoi peccati”. La parola “Iesus” è la forma latina del greco “Ἰησοῦς” [Iesoys], che a sua volta è la traslitterazione dell’ebraico “ע ְיהשֹו” [Jeshua o Joshua, o ancora Jehoshua], che significa: «Il Signore è la salvezza». Il Catechismo della Chiesa Cattolica in proposito dice: “Gesù” vuol dire in ebraico: «Dio salva». All’Annunciazione, l’angelo Gabriele gli dà il nome di Gesù, esprimendo insieme la sua identità e la sua missione (CCC 430). Il nome Gesù era un nome corrente nell’Antico Testamento e tantomeno all’epoca della nascita di Gesù. Era strettamente legato al nome di Giosuè. Per questa ragione la figura di Giosuè, nell’Antico Testamento specie nel libro dei Numeri, è spesso considerata una prefigurazione di Gesù, che condurrà il Popolo di Dio nella terra promessa. Secondo alcune fonti antiche, il nome greco sarebbe legato al verbo ιἆσθαι [iasthai], che significa “guarire”. Non fa dunque sorpresa che certi Padri greci antichi abbiano associato il nome di Gesù a questa medesima radice. Il nome di Gesù è dunque un nome potente, che manifesta da un lato chi è Gesù e dall’altra qual è la sua missione sulla terra. Gesù vuol dire: JHWH, Colui che salva e redime.
Sarà grande e chiamato figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine. Abbiamo qui una serie di titoli messianici: Sarà grande, lo si dice anche del Battista (1, 15). Figlio dell’Altissimo, non viene espressa chiaramente la figliolanza divina perché questo titolo nell’ Antico Testamento è dato a tutti coloro che sono in un rapporto di speciale intimità con Dio (Sal.29,1; Sap.18,13; Os.11,1; 2 Sam.7 14). Tuttavia, qui si prepara quel significato teologicamente più pregnante che l’espressione “Figlio di Dio” avrà nel v.35. Del Battista si dice solo che sarà “profeta dell’Altissimo”, colui che spiana la strada al Messia.
Gli darà il trono di Davide. Secondo una tradizione largamente testimoniata dall’A.T. (2 Sam.7, 12; Sal.89,36ss ; Mic.4,7 ; Dn.7,14) il Messia verrà dalla Casa di Davide e da Davide erediterà il Regno. Da notare che tutto questo arriva a Gesù non per trasmissione di sangue, in quanto San Giuseppe non è suo padre secondo la carne ma per la fedeltà di Dio alle sue promesse.
Allora Maria disse: “eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto. Una donna sterile che diventa madre. Maria crede, non dopo aver visto Elisabetta, ma prima, anzi subito, appena apprese la bellissima notizia dall’Angelo.
Avvenga a me secondo la tua parola. Rassegnazione o gioia di essere la Madre di Dio? Nel primo caso, si deve ritenere che Maria non abbia capito un granché di quanto le andava accadendo e che, ciò nonostante, si sia resa disponibile a un progetto in un primo momento incompreso. L'idea di Luca e protocristiana è invece di raccontare l'esplosiva gioia di Maria per aver capito di essere stata assunta al ruolo di collaboratrice di Dio, in questa vicenda, carica di senso, Maria appare credente e serva ubbidiente alla volontà di Dio Creatore.
Serva del Signore. La formula è usata nel Nuovo Testamento solo per Maria; bel titolo protocristiano, che scelgono Luca e la sua comunità. È una formula di tradizione biblica che indica chi ha ricevuto un incarico dal Signore e contemporaneamente dà prova di docilità, fede e disponibilità. Maria è la serva del Signore perché accetta il Suo Progetto di redenzione dell’umanità che passa proprio per la sua umile persona, pur senza capirne tutta la portata e le conseguenze che ne derivano “la Pellegrina nella e della fede!”. Maria è una donna vera che risponde a una vocazione immensa e incomparabile “senza proteste d’indegnità e senza lirica d’esultanza”, umile e disponibile al volere di Dio.
E l’angelo partì da lei. La scena che si era aperta con l’arrivo dell’Angelo si chiude ora con la sua partenza. È posta come un’affermazione lapidaria: non c’è più, egli è tornato in cielo ha continuare a contemplare il volto di Dio. Maria rimane sola con il Suo Mistero che c’è ma ancora non si vede, sola con la sua fede, con il suo amore per dio, con la sua umiltà, ma fisicamente sola!
Ora dopo aver esaminato passo dopo passo come avvenne l’Annunciazione del Signore, passiamo a analizzare la meditazione. La meditatio è la ricerca del messaggio profondo del testo della sacra scrittura. Dopo aver studiato il testo e dopo averne assorbito nel nostro cuore il messaggio divino, meditiamo con le riflessioni di Sant’Agostino con il Sermone 72/A, 7. “Ecco, fratelli miei, ponete attenzione, ve ne scongiuro, a ciò che dice Cristo Signore stendendo la mano verso i suoi discepoli: Sono questi mia madre e i miei fratelli. E se uno farà la volontà del Padre mio che mi ha inviato, egli è mio fratello, mia sorella e mia madre (Mt 12,49-50). Non fece forse la volontà del Padre la vergine Maria, la quale per la fede credette, per la fede concepì, fu scelta perché da lei la salvezza nascesse per noi tra gli uomini, e fu creata da Cristo prima che Cristo fosse creato nel suo seno? Santa Maria fece la volontà del Padre e la fece interamente; e perciò vale di più per Maria essere stata discepola di Cristo anziché madre di Cristo; vale di più, è una prerogativa felice essere stata discepola anziché madre di Cristo. Maria era felice poiché, prima di darlo alla luce, portò nel ventre il Maestro. Vedi se non è come dico. Mentre il Signore passava seguito dalle folle e compiva miracoli propri di Dio, una donna esclamò: Beato il ventre che ti ha portato! (Lc 11,27). Il Signore però, perché non si cercasse la felicità nella carne, che cosa rispose? Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica (Lc 11,28). È per questo, dunque, che anche Maria fu beata, poiché ascoltò la parola di Dio e la mise in pratica. Custodì la verità nella mente più che la carne nel ventre. La verità è Cristo, la carne è Cristo: Cristo verità nella mente di Maria, Cristo carne nel ventre di Maria; vale più ciò che è nella mente anziché ciò che si porta nel ventre. Santa è Maria, beata è Maria, ma più importante è la Chiesa che non la vergine Maria. Perché? Maria è una parte della Chiesa, un membro santo, eccellente, superiore a tutti gli altri, ma tuttavia un membro di tutto il corpo. Se è un membro di tutto il corpo, senza dubbio più importante di un membro è il corpo. Il capo è il Signore, e capo e corpo formano il Cristo totale. Che dire? Abbiamo un capo divino, abbiamo Dio per capo”.
  • Nel brano dell’Annunciazione si ripete il motivo della vocazione. La vocazione di Maria è un invito alla gioia profetica perfetta che si compie nel progetto di Dio per la salvezza dell’umanità.
  • La Vergine sente le parole dell’Angelo come volontà di Dio e non pone resistenza al suo piano di redenzione.
  • Nel progetto di Dio scopriamo anche il nostro progetto di felicità in qualità di suoi figli, creati a sua immagine e somiglianza.
E ‘questo il momento in cui durante la preghiera meditativa che parte dall’intimo del nostro cuore si dialoga con Dio. La mia/nostra preghiera, che è colloquio con Dio, risponde sulla stessa lunghezza d’onda del messaggio che nel momento della Lectio ci è giunta. Dal cielo viene la preghiera che fluisce a noi dalla Parola di Dio che ci è data di conoscere e comprendere nella Lectio e nella Meditatio della Sacra Pagina e che sgorga in noi per la grazia dello Spirito Santo, che viene in aiuto alla nostra debolezza e provata fragilità. É lo Spirito Santo che suscita in noi la preghiera vera, a noi il compito di prestare le labbra e il cuore riconoscente e ripetere ciò che lo Spirito Santo ci suggerisce e dà la forza di dire al nostro Signore cosa abbiamo nel nostro cuore, le nostre mancanze, avversità con tutto che quotidianamente ci circonda. Quanto questa preghiera è presente attivamente nel nostro cuore, essa, si trasforma in preghiera rivolta a Dio. La contemplatio è elevarsi a Dio e guardare le cose come lui le guarda. È immergersi nella Parola di Dio che nella Lectio ci ha parlato, è, che nella meditatio approfondiamo, di cui, si trasforma in preghiera/dialogo con Dio, e ci spinge come ha fatto con Maria a non fare nulla se non a guardare con gli occhi della fede a Dio, che ci parla e ci conforta nei momenti di grave avversità e fragilità umana. Noi nella contemplazione non vediamo Dio con i nostri occhi fisici: ma si vive un atteggiamento di fede per cui lo sappiamo soltanto noi. A questo punto il silenzio è la forma più opportuna, più adatta per avvertire la presenza di Dio nella nostra anima. Un silenzio lo possiamo iniziare con l’ultimo versetto del brano che abbiamo fatto oggetto della nostra Lectio Divina: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto” (Luca 1,38). Quindi possiamo definire la contemplazione, il continuo desiderio dell’anima per lo sposo amato. Un grande ed immenso desiderio, che é amore insaziabile irreprensibile, che coinvolge tutto il nostro intimo. La contemplazione è dono della grazia divina e mai il solo sforzo del singolo. L’actio richiede il nostro impegno concreto nel mondo che vogliamo attuare nella nostra vita quotidiana al termine di questo cammino fatto con la Lectio Divina non è il risultato di una nostra scelta, ma la maturazione concreta di quanto Dio ci chiede. Actio è fare pienamente la volontà di Dio che è Grazia e salvezza per tutti, e per noi è il dono della vita ai fratelli. Prendiamo ora in considerazione il pensiero del filosofo J. Maritain, di cui auspicava che la contemplazione venisse portata per le strade. In tal modo si avvera il realismo della contemplazione, che è amore concreto e non speculazione: “É meglio amare Dio che conoscerlo speculativamente. E ‘meglio amare i fratelli recanti in sé l’immagine di Dio anziché conoscerli astrattamente”. Al termine della Lectio Divina siamo invitati dunque in quest’ultimo passo a individuare concretamente un modo di applicare quanto la Parola di Dio ci ha suggerito nel cuore nella vita di ogni giorno, per dare un aiuto concreto ai poveri, agli afflitti e a coloro che sono emarginati e non accettati dalla società consumistica e materialista.
Tornando al discorso dell’Annunciazione bisogna aggiungere che, con la riforma del calendario del 1969 il nome di questa festa venne cambiato da “Annunciazione alla Vergine Maria” in “Annunciazione del Signore”. L’annuncio, comunque, fu rivolto alla Vergine Maria e costituisce una parte vitale e fondamentale del suo ruolo nella storia della salvezza dell’intera umanità, infangata dalle seduzioni del male che non dorme mai, ma è sempre attivo a fare danni al mondo intero, insieme alle altre feste ricordate dalla Chiesa. Questa celebrazione non esisteva nei primi secoli della Chiesa, quando nella liturgia venivano ricordati solo i martiri che hanno dato la propria vita per propagare il Vangelo. Tuttavia, come per altre feste ricordate dalle basiliche della Terra Santa, da quando l’imperatrice Elena costruì una chiesa sulla casa di Nazareth nel IV secolo, una festa locale prese campo e i pellegrini di ritorno dalla Palestina la diffusero nel resto del mondo cristiano. Nel II secolo Tertulliano riporta la tradizione secondo la quale la morte di Cristo avvenne il 25 marzo e S. Agostino la riprende aggiungendo, probabilmente in conformità a una credenza comunemente accettata in Africa, che la morte di Cristo ebbe luogo nello stesso giorno del suo divino concepimento. Anche in Spagna vi sono tracce della teoria che Cristo sia stato concepito il 25 marzo, ma la celebrazione della festa liturgica a ricordo dell’Annunciazione sembra dipendere piuttosto dalla definizione, un po’ prima della metà del IV secolo, del 25 dicembre come festa della nascita del Signore e dalla conseguente sottrazione di nove mesi che servono a una donna per portare il bimbo nel proprio grembo. Con la fine del VII secolo, si era ormai diffusa la data del 25 marzo come ricorrenza dell’Annunciazione, anche se non tutti la osservavano a causa del timore di alcuni vescovi di interferire nella liturgia di Quaresima e Pasqua. Essi consideravano l’Avvento il periodo più adatto per inserire la festa, e proposero il 18 dicembre. La liturgia d’Avvento, infatti, da sempre ha mantenuto e ancora mantiene tracce del ricordo dell’Annunciazione e le omelie di S. Bernardo ne sono una testimonianza importante. Il Vangelo cosa dice a proposito; il racconto di Luca si fonda su echi e citazioni dell’Antico Testamento, usando frasi consacrate da secoli all’attesa messianica. Egli scrisse il suo Vangelo tra i settanta e i novant’anni dopo gli eventi narrati, dopo aver attentamente esaminato i fatti e le eventuali prove a riguardo. Se Maria raccontò i fatti che aveva meditato in cuor suo riguardo il concepimento e la nascita di Cristo, lo deve aver fatto all’apostolo Giovanni, attraverso il quale sono arrivati fino alla Chiesa nascente. La gioia alla quale Maria, come figlia di Sion, è invitata, è fondata sulla venuta della Seconda Persona della SS.ma Trinità Gesù Cristo nostro Signore per la salvezza del mondo. Maria è il primo membro del nuovo Israele, la prima di una moltitudine a venire favorita nella nuova Era di Grazia «perché la legge venne per mezzo di Mose ma la grazia e la verità per mezzo di Gesù Cristo» (Gv 1, 17). Maria è consapevole, che il saluto dell’angelo implica un intervento divino che la riguarda, che la riempie di timore ma anche di attesa trepidante. Maria sarà consacrata come nuovo tempio vivente che custodirà la presenza di Dio. Matteo è più esplicito e nel suo Vangelo riporta, come profezia della nascita di Cristo, il capitolo 7 di Isaia: «La vergine concepirà e partorirà un figlio, che sarà chiamato Emmanuele, che significa Dio - con noi» (Mt 1, 23). Anche Giuseppe lo sposo verginale di Maria deve partecipare del mistero. Non sposata e incinta, rischiava per la Legge di quel tempo di essere bollata come adultera e punita di conseguenza con la lapidazione. La nascita di Giovanni da Elisabetta, che era sterile, è il segno che queste cose si avvereranno, perché testimoniano, come era accaduto a Sara e Abramo, che nulla è impossibile a Dio. Offrendo sé stessa quasi come una schiava, Maria esprime la sua volontà di cooperare con il progetto salvifico di Dio: «Sono la serva del Signore», e poi esclama: «Avvenga di me quello che hai detto» (Lc 1, 38). L’accettazione da parte di Maria segna il momento meraviglioso del concepimento. Il concilio di Calcedonia nel 451 dichiara: «Confessiamo che Maria Vergine è la madre di Dio perché il Verbo si fece carne e divenne uomo e, dal momento del concepimento, ha unito a sé stesso il tempio della carne che ha preso da lei»; in un’epistola sinodale ai suoi compagni vescovi, S. Sofronio dichiara la sua fede: «Fu fatto uomo nell’attimo del suo concepimento nella tutta Santa Vergine Maria». I temi che questo brano, e la relativa festa liturgica che ogni anno viene solennemente celebrata, ci insegnano e tramandano, la continuità tra il Nuovo Testamento e l'Antico, senza alcuna rottura o discrepanza. Infatti, insieme all'episodio dell'annuncio a Zaccaria utilizza lo stesso genere letterario dell'annuncio dell'intervento divino per una maternità inaspettata. Inoltre, permette di introdurre il lettore del nuovo testamento al monoteismo rigido giudeo-cristiano. Si parla di Dio senza dare nome, si parla di Angelo, figura già nota nell'antico testamento, e lo si nomina con un nome veterotestamentario. Si pongono in luce la stirpe davidica non dimenticata e il desiderio di liberazione di Israele nato già con l'evento fondatore della religione ebraica, la fuga d'Egitto.
  • La verginità di Maria “non conosco uomo” e la proposta della verginità come forma di consacrazione totale al modo di Maria.
  • L'ubbidienza fedele di Maria e la proposta della fede di Maria come esempio di fede dei semplici, perfetta, completa, esistenziale.
  • Lo stesso tema dell'esistenza dello Spirito Santo, marginalmente trattato nell'antico testamento da una chiara descrizione del rapporto cristiano tra Dio e l'uomo, “servo” ma non “schiavo”, liberamente scelta e assunta, mai scevro da gioie e paure.
Anche il Vangelo definito apocrifo o Protovangelo di Giacomo scritto presumibilmente verso la metà II secolo, contiene una narrazione dell’annunciazione: «[Maria] presa la brocca, uscì ad attingere acqua. Ed ecco una voce che diceva: “Gioisci, piena di grazia, il Signore è con te, benedetta tu tra le donne “. Essa guardava intorno, a destra e a sinistra, donde venisse la voce. Tutta tremante se ne andò a casa, posò la brocca e, presa la porpora, si sedette sul suo scanno e filava. Ed ecco un angelo del Signore si presentò dinanzi a lei, dicendo: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia davanti al Padrone di tutte le cose, e concepirai per la sua parola “. Ma essa, all’udire ciò rimase perplessa, pensando: “Dovrò io concepire per opera del Signore Iddio vivente, e partorire poi come ogni donna partorisce?” L’angelo del Signore disse: “Non così, Maria! Ti coprirà, infatti, con la sua ombra, la potenza del Signore. Perciò l’essere santo che nascerà da te sarà chiamato Figlio dell’Altissimo. Gli imporrai il nome Gesù, poiché salverà il suo popolo dai suoi peccati”. Maria rispose: “Ecco l’ancella del Signore davanti a lui. Mi avvenga secondo la tua parola”» Dove è avvenuta l’Annunciazione del Signore? Una tradizione antichissima identifica la casa di Maria, con la grotta che oggi si trova nella cripta della Basilica dell’Annunciazione a Nazaret. La casa era costituita da una parte scavata nella roccia (la grotta) e una parte costruita in muratura. Quest’ultima rimase a Nazaret fino alla fine del XIII secolo, quindi, venne trasferita prima a Tersatto (Trsat, Croazia) e dopo a Loreto, nelle Marche, in quanto la rioccupazione della Terrasanta da parte dei musulmani faceva temere per la sua conservazione. Secondo la tradizione, essa fu miracolosamente portata in volo da alcuni angeli (perciò la Madonna di Loreto è venerata come patrona degli aviatori). Una teoria dell’epoca moderna dice che avvenuto il trasporto per nave tra il 1291 e il 1294, per opera della famiglia Angeli Comneno, un ramo della famiglia imperiale bizantina. Riportiamo alcune testimonianze di alcuni Santi Mistici, descritta dagli Angeli del Signore:
  • SANTA GEMMA GALGANI:
La descrizione dell’Annunciazione della Vergine fatta dal suo Angelo custode. La mattina del 25 marzo L’angelo custode le dice: «ti parlerò di Maria Santissima, di una giovinetta tanto umile dinanzi al mondo, ma d’infinita grandezza davanti a Dio; ti parlerò della più bella, della più santa di tutte le creature; della figlia prediletta dell’Altissimo, di colei che veniva destinata all’impareggiabile dignità di madre di Dio» Era già notte inoltrata, e Maria Santissima se ne stava sola nella sua camera: pregava, era tutta rapita in Dio. All’improvviso si fa una gran luce in quella misera stanza, e l’arcangelo, prendendo umane sembianze e circondato da un numero infinito di angeli, va vicino a Maria, riverente e insieme maestoso. La inchina come Signora, le sorride come annunziatore di una lieta notizia, e con dolci parole così le dice: “Ave, o Maria, il Signore è con te. La benedetta tu sei fra tutte le donne “». O bello, o grande e sublime saluto, che in terra non s’era mai udito, né; si udirà mai! «Appena l’arcangelo celeste ebbe pronunziate queste parole, tacque, quasi aspettando il cenno di lei per spiegare la sua divina ambasciata. Maria però, udito il sorprendente saluto, si turbò; taceva e pensava. Ma forse credi, o figlia mia, che a Maria non fossero mai discesi gli angeli del paradiso? Essa ogni momento ne godeva la visita e i loro dolci colloqui… Essa non va ad investigare nella sua mente il senso misterioso, ma si turba perché; si crede indegna dell’Angelico saluto. Ah! figlia mia», mi ripeteva, «se Maria avesse saputo quanto la sua umiltà fosse piaciuta al Signore, non si sarebbe stimata indegna dell’ossequio di un angelo. “Come mai “, diceva tra sé, “un angelo di Dio mi chiama piena di grazia, mentre io mi riconosco immeritevole di ogni divino favore? Come mai “, ragionava tra sé Maria, “un angelo del paradiso mi chiama benedetta fra le donne, mentre sono tra le femmine la più inutile, la più vile, la più abbietta? Qual mistero mai si nasconde sotto il velo di sì eccelso saluto?” «Sappi, – qui mi disse l‘angelo mio, – che Maria Santissima, con un esempio non mai udito, fino dà suoi teneri anni aveva consacrato al celeste sposo delle anime caste il verginale suo fiore e, sebbene non fosse soggetta al senso della concupiscenza ribelle, non aveva però mancato di custodire i suoi gigli tra le spine della mortificazione.» «Spiegato l’arcano, rassicurata pienamente la vergine, il messaggero divino taceva, ansioso aspettando la risposta di lei, cioè il consenso di Maria all’incarnazione del Verbo eterno… e risponde: “Ecco l’ancella del Signore, si faccia di me secondo la tua parola “. Il grande accento è proferito, Maria è la madre del Figlio dell’Altissimo. A queste parole esulta il cielo, si consola il mondo intero. L’angelo riverente si prostra innanzi alla sua signora, e poi spiega il volo e se ne ritorna in paradiso. «Accettando Maria l’incomparabile dignità di madre di Dio, accettava intanto il generoso ufficio di madre dell’umano genere. Rallegriamoci: Maria, prestando all’angelo il verecondo suo assenso, vi ha adottati per figli, divenuta la madre di tutti».
2. BEATA ANNA KATHARINA EMMERICK:
«Dal soffitto della stanza scese una tale quantità di luce che io mi sentii indotta a rifugiarmi contro la parete dove era la porta, e in quella luce vidi un giovane splendente dai lunghi capelli biondi librarsi davanti a lei. Era l’arcangelo Gabriele. «Egli le parlò, muovendo leggermente le braccia davanti a sé. Vidi le parole sotto forma di lettere luminose uscire dalla sua bocca, le lessi e le udii. Maria volse il capo piegato un po’ verso destra, però non la vidi intimidita. L’angelo continuò a parlare e Maria, come per suo ordine, sollevò il viso, alzò un po’ il velo e rispose. L’angelo parlò ancora e Maria sollevò completamente il velo, guardò l’angelo e rispose le sacre parole: “Ecco l’ancella del Signore, avvenga di me secondo la tua parola”. «La santa Vergine era in profonda estasi. La stanza era piena di splendore; io non vedevo più la luce della lampada e nemmeno il soffitto. Il cielo sembrava aperto, un raggio di luce mi consentiva di vedere l’angelo, e nel punto da cui questa luce si dipartiva vidi la figura della Santa Trinità sotto forma di luce triangolare luminosissima, e riconobbi ciò che si può soltanto implorare nella preghiera ma non interpellare: Dio onnipotente, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo e tuttavia soltanto Dio onnipotente. «Quando però la santa Vergine ebbe detto: “Avvenga di me secondo la tua parola”, vidi una manifestazione alata dello Spirito Santo, non però così come viene in genere rappresentata sotto forma di una colomba. La testa era di uomo, e la luce che si dipartiva dalla figura aveva forma di ali; dalle sue mani e dal suo petto furono emanate tre sorgenti di luce che raggiunsero la santa Vergine sul fianco destro, formando con lei un tutto unico. «La santa Vergine ne fu tutta illuminata e divenne come trasparente: in lei non vi era più nulla di oscuro, di nascosto, ella risplendeva e tutta la sua figura era compenetrata di luce. «Subito dopo vidi l’angelo scomparire, il raggio di luce da cui era emerso si ritirò, come se fosse stato aspirato dal cielo, e da questo raggio di luce vidi cadere sulla Vergine tanti boccioli bianchi di rosa, ognuno con una fogliolina verde. «Dopo che l’angelo fu scomparso, vidi la santa Vergine in profonda estasi, tutta raccolta in sé stessa; e vidi che essa riconosceva l’incarnazione del Messia promesso dentro di sé come una piccola figura luminosa perfettamente formata con tutte le membra, le minuscole dita comprese. «Era circa mezzanotte quando vidi questo mistero. Dopo qualche tempo, Anna accompagnata dalle altre donne [le ancelle che abitavano con lei], entrò nella stanza di Maria. Un movimento meraviglioso nella natura le aveva destate dal sonno: sulla casa era apparsa una nuvola di luce. Quando videro la santa Vergine in ginocchio sotto la lampada, immersa in profonda ed estatica preghiera, si allontanarono subito piene di rispetto. «Dopo qualche tempo, vidi la santa Vergine alzarsi in piedi e dirigersi verso il piccolo altare collocato contro la parete. Accese la lampada appesa alla parete e pregò. La vidi andare a letto solo verso mattina»
3. SECONDO MARIA VALTORTA:
Anche Maria Valtorta nel suo “L’Evangelo come mi è stato rivelato” parla di questo misterioso e altrettanto emozionante incontro di Maria con L’arcangelo Gabriele: “Ciò che vedo. Maria, fanciulla giovanissima, quindici anni al massimo all’aspetto, è in una piccola stanza rettangolare. Una vera stanza di fanciulla. Contro una delle due pareti più lunghe è il giaciglio: un basso lettuccio senza sponde, coperto di alte stuoie o tappeti. […] Vi è molto silenzio nella casetta e nell’orto. Vi è molta pace tanto sul viso di Maria quanto nell’ambiente che la circonda. […] Maria si mette a cantare sottovoce e poi alza lievemente la voce. Non va al gran canto. Ma è già una voce che vibra nella stanzetta e nella quale si sente una vibrazione d’anima. Non capisco le parole, dette certo in ebraico. Ma, dato che ripete ogni tanto lo stesso termine, intuisco che sia qualche canto sacro, forse un salmo. Forse Maria ricorda i canti del Tempio. E deve essere un dolce ricordo, perché posa sul grembo le mani sorreggenti il filo e il fuso e alza il capo appoggiandolo indietro alla parete, accesa da un bel rossore nel viso, con gli occhi persi dietro a chissà quale soave pensiero, fatti lucidi da un’onda di pianto che non trabocca ma che li fa più grandi. Eppure, quegli occhi ridono, sorridono al pensiero che vedono e che l’astrae dal sensibile. Il viso di Maria, emergente dalla veste bianca e semplicissima, così rosato e cinto dalle trecce che porta avvolte come corona intorno al capo, pare un bel fiore. Il canto si muta in preghiera: «Signore Iddio Altissimo, non tardare oltre a mandare il tuo Servo per portare la pace sulla Terra. Suscita il tempo propizio e la vergine pura e feconda per l’avvento del tuo Cristo. Padre, Padre santo, concedi alla tua serva di offrire la sua vita a questo scopo. Concedimi di morire dopo aver visto la tua Luce e la tua Giustizia sulla Terra e di aver conosciuto che la Redenzione è compiuta. O Padre santo, manda alla Terra il Sospiro dei Profeti. Manda alla tua serva il Redentore. Che nell’ora in cui cessi il mio giorno, si apra per me la tua Dimora, perché le sue porte sono state già aperte dal tuo Cristo per tutti coloro che hanno sperato in Te. Vieni, vieni, o Spirito del Signore. Vieni ai tuoi fedeli che ti attendono. Vieni, Principe della Pace!». Maria resta assorta così… La tenda palpita più forte, come se qualcuno dietro ad essa ventilasse con qualcosa o la scuotesse per scostarla. E una luce bianca di perla fusa ad argento puro fa più chiare le pareti lievemente gialline, più vivi i colori delle stoffe, più spirituale il volto sollevato di Maria. Nella luce, e senza che la tenda sia scostata sul mistero che si compie – anzi non palpita più, pende ben rigida contro gli stipiti, come fosse parete che isola l’interno dall’esterno – si prosterna l’Arcangelo. «Non per opera di uomo sarai Madre, o Maria. Tu sei l’eterna Vergine, la Santa di Dio. Lo Spirito Santo scenderà in te e la potenza dell’Altissimo ti adombrerà. Perciò Santo si chiamerà Colui che nascerà da te, e Figlio di Dio. Tutto può il Signore Iddio nostro. Elisabetta, la sterile, nella sua vecchiaia ha concepito un figlio che sarà il Profeta del tuo Figlio, colui che ne prepara le vie. Il Signore ha levato a questa il suo obbrobrio, e la sua memoria resterà nelle genti congiunta al nome tuo, come il nome della sua creatura a quello del tuo Santo, e fino alla fine dei secoli le genti vi chiameranno beate per la Grazia del Signore venuta a voi ed a te specialmente, venuta alle genti per mezzo tuo. Elisabetta è nel suo sesto mese ed il suo peso la solleva al gaudio, e più la solleverà quando conoscerà la tua gioia. Nulla è impossibile a Dio, Maria, piena di Grazia. Che devo dire al mio Signore? Non ti turbi pensiero di sorta. Egli tutelerà gli interessi tuoi se a Lui ti affidi. Il mondo, il Cielo, l’Eterno attendono la tua parola!». Maria, incrociando a sua volta le mani sul petto e curvandosi in un profondo inchino, dice: «Ecco l’ancella di Dio. Si faccia di me secondo la sua parola». L’Angelo sfavilla nella gioia. Adora, poiché certo egli vede lo Spirito di Dio abbassarsi sulla Vergine curva nell’adesione, e poi scompare senza muover tenda, ma lasciandola ben tirata sul Mistero santo. Io sola, senza macchia e che non avevo avuto coniugio umano, fui esente dal generare con dolore. La tristezza e il dolore sono i frutti della colpa. Io, che ero l’Incolpevole, dovetti conoscere anche il dolore e la tristezza, perché ero la Corredentrice della nuova umanità nascente.

CAPITOLO III
Il Canto del Magnificat nella Teologia e Spiritualità Mariana

“L’anima mia magnifica il Signore
e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,
perché ha guardato l’umiltà della sua serva.
D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.
Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente
e Santo è il suo nome:
di generazione in generazione la sua misericordia
si stende su quelli che lo temono.
Ha spiegato la potenza del suo braccio,
ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;
ha rovesciato i potenti dai troni,
ha innalzato gli umili;
ha ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato i ricchi a mani vuote.
Ha soccorso Israele, suo servo,
ricordandosi della sua misericordia,
come aveva promesso ai nostri padri,
ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre”.

Il Magnificat o comunemente chiamato Cantico di Maria è, una preghiera cristiana contenuta nel primo capitolo del Vangelo secondo Luca con il quale Maria encomia e pone i ringraziamenti Dio perché ha liberato il suo popolo dal terribile oppressore del mondo. Il suo nome deriva dall’incipit latino “Magnificat anima mea Dominum” che la Vergine Maria pronuncia in occasione dell’incontro con la cugina Elisabetta, dopo essersi verificato l’evento grandioso dell’Annunciazione del Verbo Incarnato nel suo grembo verginale, parte da sola da Nazaret per aiutare la cugina anch’essa incinta di Giovanni, il Percussore del Cristo che abitava nel villaggio di Ain Karem a pochi chilometri da Gerusalemme. Il Cantico di Maria può essere suddiviso in tre fasi e parti:
  • nella prima parte (vv. 48-50), Magnificat esalta la bontà dell’Onnipotente
  • nella seconda parte (vv. 51-53) la fedeltà del Salvatore, non è una speranza utopica
  • nella terza parte (vv. 54-55) si prende coscienza che le promesse fatte a Israele stanno trovando il loro dovuto compimento e la figura di Cristo rappresenta il compimento della salvezza promessa.
È fondamentale comprendere l’interpretazione ed il significato del Cantico della Vergine: la sua lettura deve essere integrale e deve essere interpretato in una doppia luce e dimensione: una prima interpretazione del Cantico deve legarsi ad una dimensione etica e storica, alla luce dell’Esodo. Una seconda dimensione e la chiave di interpretazione che è legata alla festività della Pasqua e della liberazione messianica. Il Magnificat è un canto messianico aperto che vanta una dimensione sociale ed etica che la Chiesa ed ogni fedele deve riscoprire, nella sua integrità e potenza spirituale che marchia nell’animo di ognuno di noi con la preghiera e la meditazione. Come canto di ringraziamento suole essere una sintesi tra fede e vita e si distingue tra tutte le preghiere per il suo gradito carattere “sinfonico e poetico”. La recitazione simboleggia e deve essere interpretato come un punto di incontro tra diverse categorie di persone: cattolici e protestanti, cristiani e non cristiani, liberali e carismatici, credenti e no, uomini e donne. In esso riecheggiano tanti temi già presenti nell’Antico Testamento: temi di encomio e di gratitudine verso l’Onnipotente e l’attribuzione ai ricchi di una nuova dignità: “Rovesciando i potenti, Dio li libera dalle loro vane illusioni e li promuove alla dignità dei poveri”. Infatti, il Magnificat dal punto di vista del suo significato e interpretazione vanta stretti legami con l’Antico Testamento; pertanto, può essere considerato fonte della tradizione giudeo-cristiana. In realtà, viene attribuito da molti studiosi e teologi, alla figlia di Sion e, solo successivamente, è stato attribuito a Maria. Sin dalle sue origini, questa magnifica ed elegante preghiera è diventato il Cantico della Chiesa e fa parte della Liturgia delle ore, come cantico dei vespri. Gli studiosi hanno proposto un’interpretazione: a partire da qualche frase di encomio pronunciata da Maria stessa nella Visitazione, la Chiesa giudeo-cristiana, avrebbe ampliato la breve dossologia in un salmo vero e proprio. L’Evangelista Luca avrebbe ripreso questo cantico attribuendolo alla Serva del Signore, ovvero a Maria Madre di Gesù, che lo avrebbe “trasformato” in un inno dei perseguitati e dei martiri. La stessa Vergine è l’emblema dei poveri ed è perseguitata come suo Figlio: per questo evidente motivo la chiesa e tutta la tradizione e comunità dei fedeli cristiani hanno sentito la necessità di attribuire a Maria la recitazione ed il canto del Magnificat. Maria con questo Inno si eleva a rappresentare e ad essere la portavoce privilegiata di tutti gli indigenti: ella è la personificazione del popolo santo di Dio di tutti i tempi, passati, presenti e futuri. Ancora oggi tutti i cristiani sono chiamati a cantare, lodare il Magnificat e riviverlo nella fede cattolica trasmessa dagli Apostoli; anche la Chiesa Ortodossa utilizza il Cantico della Vergine nella celebrazione quotidiana del mattutino. Impressionante è anche quante volte la musica gregoriana ha cantato il Magnificat. Il solo Orlando di Lasso, nel XVI secolo, ne ha composti ben 101 Magnificat che vanno da 4 a 6 voci. A partire dalla fine del XIX secolo è diventato oggetto di profonde ricerche critico – esegetiche che hanno portato a feconde attualizzazioni. Oggi presenta la concretezza e la coralità degli antichi canti di liberazione del popolo santo di Dio, intonati spesso dai cori parrocchiali, e guidati da grandi Maestri, come Mons. Francesco Frisina La riscoperta della valenza antropologica e sociopolitico del Magnificat, ha conferito notevole impulso alla rivalutazione della donna, sia nella società sia all’interno della Chiesa Santa di Dio, di cui Maria, si rivela la privilegiata in assoluto. Perché dobbiamo fare tanta attenzione al Magnificat? Perché in esso ci sono elementi concreti che sottolineano:
  • la misericordia di Dio verso i poveri:
  • l’energico suo intervento contro gli oppressori;
  • Maria come serva e povera del Signore, modello di identificazione di ogni credente;
  • Maria come portavoce della comunità, come donna fedele e obbediente alla Parola;
  • L’unità del canto nella glorificazione di Dio e nella lode a Colei che ha creduto che si adempisse in pieno il progetto salvifico dell’umanità.
Per questi elementi sopra indicati, possiamo essere certi che questo meraviglioso canto di Lode del è per eccellenza la preghiera della Chiesa di tutti i Tempi. Ora è strettamente necessario leggere il Magnificat, prima di tutto, nell’attuale contesto che è la pericope della Visitazione, importante collegamento tra le annunciazioni e le nascite; di Giovanni Battista e del Figlio di Dio. In questo contesto il Magnificat viene attribuito a Maria che è la protagonista della scena primaria: è lei il soggetto immediato della benedizione, la serva umile e obbediente alla quale Dio ha rivolto la sua benevolenza, il suo amore, il suo patrocinio. Il cantico va posto, pertanto, su uno sfondo di salvezza di cui l’Esodo, la Pasqua di Cristo e la liberazione escatologica, sono le tappe fondamentali della storia della salvezza. Il linguaggio del Magnificat è proprio quello dell’Esodo e ripropone i motivi del Canto del mare (Es 15,1-18), sfondo anche di molti salmi e canti di liberazione. Questa prospettiva è confermata dal passaggio dalla povertà della serva a quella del Servo di Jahwé. Tuttavia, per quanto i termini e le tematiche siano antichi, lo spirito del canto è neotestamentario, perché con la venuta di Cristo si sono inaugurati i tempi nuovi, l’Avvento del regno di Dio. La voce di Maria inaugura qui il canto del nuovo popolo che risorgerà dalle ceneri del peccato grazie al Sacrificio di Cristo sulla Croce a nuova vita, alla nascita della Sua Chiesa sparsa per il mondo, è di conseguenza, un canto che celebra la gioia di una salvezza che ha trasformato la storia del mondo. Il Cantico è pertanto:
  • Canto di Maria, perché l’evangelista le dedica particolare attenzione;
  • Canto della Chiesa la cui gioia si manifesta anzitutto nella Madre di Gesù e Madre nostra, che si propaga poi verso tutta la compagine In Maria converge il canto di Israele che si trasforma in Chiesa e diventa canto della medesima. Lei incarna il destino di tutta la comunità e ne esprime la voce.
Il Magnificat è un canto che ora lo studiamo sotto molteplici volti:
  • è un canto antico per il materiale arcaico utilizzato per cui molti studiosi lo reputano un canto veterotestamentario;
  • è un canto nuovo perché loda il compimento delle promesse di Dio in favore di noi uomini;
  • è un canto escatologico perché esprime il realizzarsi della promessa messianica, una speranza ormai completata con l’avvento di Cristo sulla terra come Vero Dio e Vero Uomo, ma che attende ancora gli ultimi tempi, quelli del suo gloriosissimo ritorno nella Gloria che porranno la fine del mondo presente marchiato dalla corruzione, dal peccato e dalla morte.
A questo punto come possiamo considerare il Magnificat, un canto liturgico o un inno di liberazione politico – sociale? I due aspetti non sono affatto alternativi ma complementari e reciproci. La Liturgia, infatti, che celebra gli eventi salvifici, contiene anche un elemento episodico – pasquale e ovverosia, celebrare la Liturgia, significa che la salvezza si è veramente realizzata per mezzo di Gesù Cristo. Il Magnificat proclama Dio salvatore potente che depone i grandi ed innalza gli umili. Questo protagonismo di Dio e la condizione di povertà nella quale interviene, non possono essere scissi tra loro, perché, il Magnificat perderebbe tutto il suo significato. Maria non è un’eroina o una creatura superiore, ma una persona umile, liberata dalla sua povertà, che collabora con Dio e proclama la sua salvezza. Il Magnificat celebra la venuta di Cristo al mondo o la sua nascita gloriosa alla Resurrezione? Secondo il contesto reale in cui è inserito, tra le annunciazioni e le nascite, non può non evocare anzitutto che è impostato in un clima del tutto natalizio. Ma ci si rende subito conto che esso ha molte cose in comune con salmi e inni. Il Cantico di Maria celebra l’evento-Cristo, compreso al partire dalla Pasqua dell’Antico Testamento e che si prolunga fino alla sua nascita terrena nella misera grotta di Betlemme. Tutti i racconti dell’infanzia sono testi pasquali che proiettano la Gloria del Risorto sugli eventi vissuti dalle sue origini terrene. È sintomatico che Maria non nomini mai il bambino e non parli della sua prossima maternità. Per questo suo sottofondo pasquale, il canto di Maria va letto alla luce del Canto del mare di Esodo 15 che celebra anch’esso la liberazione pasquale del popolo dalla schiavitù egizia. In queste prospettive si può affermare che è memoria degli eventi passati; è celebrazione attuale della definitiva salvezza operata da Cristo; è profezia di un futuro in cui la vittoria di Dio e del Cuore Immacolato di Maria trionferà sul mondo. Rispondiamo ora a questa semplice domanda: Come possiamo identificare il Magnificat, un canto teologico o mariano? Anche qui non c’è divergenza, ma convergenza totale tra i due aspetti. È un canto mariano perché teologico in quanto la vicenda della fanciulla di Nazaret è tutta opera di Dio; è teologico perché mariano, in quanto l’azione di Dio si manifesta per mezza dei Maria allo stato puro, senza compromessi con gli uomini o le logiche perverse dei potenti del mondo. Esso racconta la storia di una povera ancella di Jahwé. Pertanto, Maria scompare quasi nell’intero popolo di Dio e si confonde con esso. In risposta agli elogi evocati da Elisabetta nel momento del loro incontro, Maria benedice il Signore, appare la realizzazione dell’antico adagio: Maria è l’eco di Dio: tu parli Maria, ella ripete Dio. È un Cantico mariano e teologico, perciò: la Vergine di Nazaret è la prima destinataria della salvezza operata da Dio in Cristo, la sua prima testimone attendibile, Colei che proclama senza fine la benedizione, la misericordia e la liberazione del popolo di Dio. Alcuni autori attribuiscono direttamente a Maria la composizione del Magnificat, altri la riconducono a una posizione preconciliare. Altri ancora lo attribuiscono all’Evangelista Luca, come l’autore del Magnificat e del contesto in prosa. La maggior parte lo ritiene un salmo precedente che Luca, con opportuni ritocchi, lo ha incastonato nel racconto. Questo può essere affermato in base alla lingua utilizzata, alla struttura e alla teologia del Cantico.
Si può quindi affermare in maniera essenziale che il Magnificat si manifesta come una composizione pre – lucana sorta in ambiente liturgico, in una comunità giudeo cristiana delle origini. La lingua originale sarebbe quindi l’ebraico o addirittura l’aramaico. Le posizioni degli autori non sono unanimi: alcuni, come Gunkel, Spitta, Winter ed altri ancora, affermano che il Magnificat è solo un salmo giudaico e non contiene nulla che ci aiuti a classificarlo come cristiano e appropriato ad una nascita. Questa tesi non può essere accolta per il semplice fatto che, sebbene alcune parti del Magnificat si spiegherebbero bene in ambiente giudaico, i cantici lucani esprimono una salvezza compiuta, concetto questo che non si ritrova in nessuna situazione giudaica nei due secoli che precedettero la venuta di Gesù Cristo. Diversi autori, come Weiss, Schurmann, Von der Glotz, ritengono il Magnificat un cantico giudeo – cristiano. Se i cantici lucani esprimono infatti una mentalità giudaica, essi celebrano tuttavia un evento salvifico straordinario nel quale si compiono le Scritture. Sotto le vesti dell’AT, nel testo del Magnificat si rivela la straordinaria novità del Vangelo, un modo di cantare la salvezza dell’uomo collegato con ambienti liturgici dei primi giudeo-cristiani. Questa proposta sembra essere la più accettabile se però si tengono in dovuto conto le problematiche collegate con il cristianesimo primitivo e la primitiva liturgica adoperata dagli Apostoli dopo la Pentecoste: Il cristianesimo primitivo non si presenta conforme o omogeneo nei diversi ambienti culturali e geografici. Ci sono almeno tre grandi blocchi:
  • I giudeo- cristiani palestinesi
  • I giudeo – cristiani ellenistici
  • I cristiani provenienti dal paganesimo.
I cristiani provenienti dal paganesimo sono sicuramente estranei per mentalità alla nascita del Magnificat. Le comunità giudeo-cristiane ellenistiche sono l’anello di congiunzione tra la comunità palestinese e i cristiani provenienti dal paganesimo. Queste comunità sono anche una chiave interpretativa delle comunità giudeo-cristiane palestinesi, perché proprio da queste esse prelevarono formule liturgiche, preghiere e continuarono ad usare come lingua l’aramaico. I giudeo cristiani di Gerusalemme e Palestina hanno esercitato un enorme influsso sul cristianesimo delle origini. Il cristianesimo diffusosi sul bacino del Mediterraneo è di struttura giudaica ed ha dominato queste comunità almeno fino al 70 d.C., proprio nel periodo in cui si formava il Cristianesimo così che molta letteratura cristiana primitiva porta l’impronta del pensiero giudaico. Si deve al cristianesimo giudaico tutto il sostrato del pensiero cristiano primitivo, per cui anche i cantici lucani portano queste impronte inconfondibili. Il primo cristianesimo nasce nel contesto del Tempio e della Sinagoga, ma al tempo stesso presenta elementi di novità. I cristiani, infatti, si radunano anche nelle case private, (Chiesa Domestica), per spezzare il pane e partecipavano assiduamente alle istruzioni degli Apostoli, alla vita comunitaria, alle preghiere di lode e benedizione. Tuttavia, è un tempo in cui non esiste ancora uniformità nei gruppi, né tanto meno un ordinamento liturgico uguale per tutti.  A quale di questi gruppi può essere ascritto il Magnificat. Secondo alcuni autori sarebbe quello dei "poveri", dei quali i primi cristiani condividevano la religiosità. Luca potrebbe aver preso i cantici da una comunità di Anawin, probabilmente pagani o giudei stessi convertiti al cristianesimo e, ponendoli nel contesto delle annunciazioni e delle nascite, ne fa espressione di gioia per la concezione e la nascita di Giovanni Battista e di Gesù. D’altra parte, Maria, serva fedele e umile del Signore, incarna pienamente la spiritualità dei poveri e li ricolma di grazie e di benedizioni del Signore. Stabilito il contesto liturgico del Magnificat da un gruppo della comunità giudeo-cristiana palestinese, è chiaro che la lingua d’origine non può non essere che l’ebraico, confermata questa ipotesi anche dal fatto che i salmi di Salomone e i poemi di Qumran, sono stati scritti in ebraico e aramaico. A questo proposito si può aggiungere:
  • l’antichità del Magnificat e la sua cristologia poco sviluppata impongono la collocazione nello stadio iniziale del Cristianesimo primitivo;
  • l’importanza unica della Chiesa di Gerusalemme e il suo influsso sulla vita, la letteratura delle origini;
  • la diffusione della lingua ebraica nel culto di allora, anche fuori dai confini della Palestina.
Si può allora concludere che l’origine letteraria del Magnificat è quella di un Cantico preludano inserito dall’Evangelista nel racconto. Considerando la struttura, il linguaggio, i temi, il Magnificat è una composizione sorta in ambiente liturgico in una comunità giudeo- cristiana palestinese delle origini. Di conseguenza la lingua parlata e scritta in quel determinato periodo storico non può non essere che l’ebraico. Pur presentando molteplici interpelli con la salmodia giudaica, il Magnificat presenta anche con essa non trascurabili differenze. Notiamo in particolare: Presenta maggiori affinità con i salmi canonici per lo stile e il clima che si respira che con i testi di Qumran, i salmi e le odi di Salomone. La terminologia del Magnificat non contiene elementi sapienziali o sviluppi di detti, frequenti nella poesia del tempo, privilegiando invece la storia della salvezza. Ha un’esplosione tipica di gioia, già presente nei racconti dell’infanzia, che manca totalmente nei cantici giudaici segnati invece da tribolazioni e angustie di tempi difficili. La struttura del Magnificat ripropone, anche se non rigidamente, la forma della salmodia veterotestamentaria. Conserva perciò una struttura letteraria fedele alla poesia biblica. In essa è facile scorgervi tre parti:
  • L’introduzione: i versetti 46 e 47 in stretto parallelismo tra loro e che danno il senso a tutto il cantico. Soggetto è l’anima che celebra ed esulta in Dio datore di salvezza.
  • Il corpo centrale introdotto da "poiché" e abbraccia i versetti 48 – 53. Essi hanno per soggetto Dio, autore di salvezza. Questa centralità di Dio è sottolineata anche dai verbi che esprimono la sua superiorità sulla serva e su quanti lo temono.
  • La conclusione composta dai versetti 54 e 55, anomala rispetto agli altri cantici vetero–testamentari che, in genere, ripropongono il contenuto del corpo centrale e la formula di introduzione. Il Magnificat invece ripresenta il rapporto serva – Dio, questa volta in chiave comunitaria, ovverosia, Dio – Israele servo.
Se studiato alla luce dei generi letterari il Magnificat presenta questa struttura appena chiarita, ma riletto alla luce di strutture e approcci letterari recenti, presenta dimensioni e aspetti nuovi. Nonostante le articolazioni interne appena viste, il cantico mostra una sostanziale unità sorretta da una serie di verbi con Dio per soggetto e che costituiscono la struttura portante del testo, dunque:
  • c’è una unità articolata ma non monolitica e statica;
  • il gruppo semantico della grandezza percorre tutta la composizione;
  • la gioia pervade egualmente fin dall’inizio la composizione e domina con la grandezza tutto il cantico che celebra la salvezza e la fede dei redenti, cosa questa tipica di Luca: la salvezza in lui è premessa e condizione della gioia che è segno dell’esperienza salvifica del Padre, per mezzo del Figlio e di sua madre Maria. Grandezza e gioia sono la chiave interpretativa di tutto il contesto del Magnificat.
  • un altro elemento coagulante è l’asse grandezza – bassezza che delinea nella prima parte gli interventi di Dio Salvatore del mondo nei confronti della serva umile e di tutti coloro che lo temono, mentre nella seconda parte, passando da un rapporto bipolare ad una dimensione triadica, presenta un Dio forte che contro i potenti, ribadisce i diritti dei piccoli e degli oppressi, dandogli il giusto posta da occupare.
È il canto di Maria e della Comunità dell’Alleanza aperta ormai a tutte le genti chiamate "tutte le generazioni", "quelli che lo temono", "Abramo e la sua discendenza", esso appartiene a un genere misto che può essere diviso in due parti:
Prima Parte: 46-50
Contiene anche l’introduzione dello schema tripartito legate dalla serva che proclama il cantico ed è destinataria dell’intervento divino. La costellazione della grandezza che avvolge tutto il cantico racchiude la prima parte dove il Signore è proclamato grande (46) a causa delle sue grandi opere (49), come la creazione di tutto ciò che sussiste. L’unità della prima parte è data dai titoli diversi dati a Dio: è Misericordioso, è sollecito verso la sua serva e il suo popolo, lo sguardo che lui rivolge è un coinvolgimento diretto e attivo che si trasformerà in un’esperienza di gioia e di libertà incondizionata.
Seconda Parte: 51-55
Anche questa è in rapporto più o meno immediato con l’introduzione. Quello che Dio compie per la serva, vale anche per i piccoli, i poveri, gli esclusi e gli affamati, sottratti al dominio dei potenti oppressori (52-53), e concede a loro una vita dignitosa nella Fede e nell’Amore. I verbi di 51-54, sono anch’essi in continuità con quelli della prima parte: "Fece grandi cose il potente"(49), "fece potenza con il suo braccio"(51), anche se gli effetti nel primo caso sono a vantaggio della serva, mentre nel secondo a danno dei superbi e dei potenti. Continuità c’è anche tra la serva (48) e "Israele suo servo"(54) e ancora tra la potenza di Dio che si estende di "generazione in generazione su quelli che lo temono"(50) e "Abramo e la sua discendenza"(54b e 55b). Al 52-53 questo rapporto entra in crisi a causa della presenza, accanto alla grandezza di Dio, di una grandezza ambigua e abusiva che tende a insidiare il primato di Dio a scapito dei poveri. Una situazione intollerabile da parte di Dio che interviene in difesa dei poveri e dei deboli tiranneggiati dai potenti che usurpano una signoria che appartiene solo ed esclusivamente a Dio. Questo cambiamento di scena parla delle opere di Dio contrassegnate da una forza sconvolgente, tanto che il cantico assume un tono marziale pieno di potenza. Alla coincidenza che domina la prima parte, succede nel cuore della seconda, una cascata di chiasmi e contrapposizioni che hanno l’unico scopo di celebrare la potenza salvifica di Dio e la liberazione dei poveri da coloro che li opprimono. Dopo i vigorosi contrasti di 52-53, il canto si placa e si sofferma su Israele servo di Jaweh, liberato secondo la promessa fatta ad Abramo.
Il Magnificat ha numerosi contatti con la letteratura biblica e giudaica. Questo permette di collocarlo sulla scia di molti salmi che ricordano le grandi opere di Dio a favore del suo popolo e che nell’Esodo e nel ritorno dall’esilio in Babilonia, hanno le loro espressioni fondamentali. Questo memoriale storico – salvifico che veniva cantato da tutta la comunità dell’Alleanza nelle importanti celebrazioni liturgiche, qui è cantato da una persona sola, dalla serva del Signore che però parla anche a nome di tutto il popolo, come emerge dal riferimento a Israele suo servo. Non è quindi un semplice salmo, ma il Magnificat è il canto di tutta la comunità, intonato da una persona, una Donna che Dio ha affidato il compito di portare nel suo grembo verginale suo Figlio Gesù. Si colloca quindi sulla scia dei celebri canti di liberazione intonati da donne straordinarie e ripetuti coralmente dal popolo festante, dopo gli eccellenti interventi salvifici di Dio a favore sempre di noi uomini. Per spiegare questo termine: la bassezza della sua Serva, molti autori ricorrono all’espressione di Anna in 1Sam 1,11 ed è questo uno dei motivi per cui il Magnificat viene attribuito ad Elisabetta. Questa attribuzione non tiene tuttavia conto che il Magnificat echeggia anche testi biblici diversi, senza limitarsi a un passo particolare e che questa espressione non è poi così rara nelle Scritture anzi, secondo Spitte, è una delle più ricorrenti in tutto l’Antico Testamento. Per ben comprendere il senso dell’espressione bisogna tenere conto di tutto lo sfondo veterotestamentario giudaico al quale il Cantico è legato. In ogni caso il termine "bassezza" sembra a molti autori applicabile alla Madre del Signore:
  • Secondo Gelen ritiene che debba essere tradotto con il termine “povertà”, nozione eminentemente biblica che pienamente si addice alla Vergine Maria la quale riceve ogni dono da parte di Dio.
  • Lyonnet parla anche della possibile volontà di Maria di tenere nascosto sotto la sua verginità, la sua maternità verginale presentandosi quindi, davanti a Dio come donna senza macchia fin dal suo concepimento. Da questa situazione Dio la libera con il dono della straordinaria maternità. Come detto il Magnificat si ispira a testi diversi e non può essere legato ad uno solo in particolare.
  • Mussner collega il termine con la frase seguente: "Tutte le generazioni mi chiameranno beata" per cui il termine si può intendere così: da sconosciuta ragazza i un semplice villaggio povero, Maria diviene colei che tutte le generazioni loderanno e il suo nome sarà così alto e importante da costituire l’emblema della lode delle generazioni. Ritorna quindi nel Magnificat il principio biblico di Dio che sceglie i poveri come strumenti delle sue opere e li innalza dalla loro bassezza.
Per comprendere la positiva condizione di "bassezza" bisogna dunque penetrare nella mentalità e spiritualità di Israele e nel suo atteggiamento di umiltà davanti a Dio. La concezione greca e quella biblica sono diametralmente opposte. Centrato sulla concezione dell’uomo nella sua autonomia e libertà, lo spirito greco non può che qualificare negativamente il termine e i suoi derivati. In Israele, al contrario, soprattutto nel giudaismo postesilico, l’uomo sperimenta la propria fragilità e si pone davanti a Dio in un atteggiamento di umile e confidente dipendenza. L’umiltà occupa un posto di primo piano, anzi è la più ragionevole di tutte le virtù. Questo è il clima in cui sorge il Nuovo Testamento La spiritualità biblica dell’epoca e imbevuta di umiltà, piccolezza, mansuetudine, atteggiamenti dei quali Dio si compiace e ricolma di grazie tutti coloro che si abbassano e si umiliano alla volontà di Dio. Questo è il contesto dentro il quale bisogna spiegare il termine "bassezza", dato che il canto proviene, come già detto, da una comunità giudeo-cristiana alimentata da queste idee e dunque dalla spiritualità dei poveri che è fondamentale in tutto il Nuovo Testamento, tanto che essi sono considerati gli eredi del regno. Il termine non indica, quindi chiaramente una situazione reale sociopolitica di Maria ma descrive la povertà e inadeguatezza della serva del Signore di fronte all’onnipotenza di Dio che la invita a collaborare ai suoi misteriosi e grandiosi disegni. Maria è liberata e innalzata dalla sua umiltà e dopo la sua Assunzione in cielo in Corpo e Anima, viene incoronata Regina del Cielo e della terra, terrore dei demoni, e distruttrice dei piani del maligno. I superbi non sono un gruppo particolare all’interno del popolo di Dio, opposto ad altri gruppi, ma piuttosto i nemici di Israele che il Signore disperde ed umilia. Sono quindi le nazioni che ignorano o ingiuriano Dio e combattono Israele e le sue Leggi. Così i potenti sono i dominatori, quindi i pagani che hanno oppresso il popolo di Dio I piccoli sono, di conseguenza, gli Israeliti, il popolo di Dio liberato dall’oppressione delle nazioni pagane e dei loro capi, restituendogli la libertà e la dignità di veri figli di Dio. I ricchi e gli affamati in questo determinato contesto non indicano una connotazione sociologica, né gruppi particolari, ma Israele come nazione oppressa e depauperata dalle nazioni pagane dominatrici e fruttatrici. Per alcuni autori "affamati" è un richiamo agli ebrei miracolosamente nutriti nel deserto e "ricchi" sono gli egiziani spogliati da Israele per ordine di Dio, prima della partenza dall’Egitto. Il Magnificat è perciò un canto di liberazione che celebra la salvezza del popolo di Dio, la cui umiliazione è stata definitivamente rimarginata dalla venuta del Messia Gesù Cristo nostro Signore. Maria non è una figura dell’Antico Testamento, ma sta al confine delle due alleanze portando a compimento l’esperienza dell’Antica e anticipando con la sua fede il cammino del popolo della Nuova Alleanza. Il Magnificat è il canto dei tempi messianici nel quale confluisce il tripudio di Abramo che presentiva il Messia e risuona profeticamente anticipata la voce della Chiesa. Il canto di Maria non è più un canto di speranza ma l’annuncio di un evento grandioso, importante, compiuto di decisiva importanza per l’esistenza della serva, di Israele e della Chiesa. L’intervento di Dio che ha spezzato il potere del male ed invertito i rapporti di forza imperanti nel mondo, si è ormai realizzato nella pienezza dei tempi. Questa potenza salvifica di Dio è più forte delle violenze e ingiustizie del mondo. È Cristo con la sua nascita, vita apostolica, passione, morte e resurrezione ha sconfitto il principe di questo mondo, e tutto il suo inferno. In effetti con la sua venuta e la sua opera culminata nella Pasqua, Dio ha visitato e redento il suo popolo. Cristo è il SÌ delle promesse fatte da Dio ai Profeti, alcune delle quali si sono realizzate ed altre si compiranno al suo ritorno nella Gloria, dove verrà a giudicare i vivi e i morti, e il suo Regno non avrà mai fine. Alla prima venuta di Cristo che ha redento la storia degli uomini, ne seguirà un’altra nella quale l’umanità e il mondo entreranno nella piena libertà dei Figli di Dio. Come deve cantare il Magnificat la Chiesa che procede tra le tribolazioni, fatiche, disaggi di ogni tipo e le consolazioni di Dio? Deve recuperare un atteggiamento di Fede nell’evento salvifico del Cristo già compiuto, e nell’evento di Cristo come centro vitale della nostra storia. La salvezza definitiva non si è ancora realizzata fino a quando non ci saranno cieli nuovi e terra nuova in regnerà per sempre la giustizi, la pace la Misericordia e l’amore. Il Magnificat a questo punto diventa il canto della redenzione e della speranza: la salvezza si compie in noi come veri credenti attendiamo che Dio manifesti la sua gloria e potenza in noi e in tutto il creato. È un canto di impegno e di responsabilità collettiva perché si affretti il giorno e l’ora in cui la giustizia di Dio regni sulla terra e la salvezza abbracci tutte le dimensioni del tempo e dello spazio. È la sconfitta totale e radicale del regno del peccato, del male, annientato dall’opera redentrice del Salvatore del mondo e ormai reso immune e senza futuro, anche se attualmente il male continua a minare i progetti di Dio e il cammino del suo popolo.
In conclusione, il Magnificat è il canto della potenza e della Misericordia di Dio verso noi uomini peccatori considerato un potente intervento di Jahwé nella storia, rovesciando i potenti, e ricolmando di Misericordia tutti coloro che sono fedeli a Dio e al suo progetto di amore. Nelle parole del Magnificat la “rivelazione” si afferma come “rivoluzione”, come capovolgimento, come antinomia tra il modo di pensare dei potenti nei progetti iniqui del loro cuore e la logica salvifica e misericordiosa di Dio. Sul piano spirituale e pastorale il Magnificat indica la via maestra della santità che tutta l’umanità deve seguire, di cui la figura della Vergine Maria è segno preferenziale, una garanzia per ottenere il nostro posto nel Paradiso. Infatti, il canto al Dio “liberatore” presente nel testo di Luca è da rileggere e meditare attentamente per incontrare il mistero di Cristo all’interno dei nostri cuori. Conoscendo Gesù, scopriamo che quei verbi che descrivono le azioni di Dio rivelano anche il mistero della Vergine Maria, in quanto non è possibile disgiungere la persona del Figlio da quella della Madre.

CAPITOLO IV
La Nascita del Verbo di Dio Incarnato a Betlemme

Con i mezzi che abbiamo oggi giorno a nostra piena volontà e disposizione, possiamo prendere una copia di un quotidiano nazionale e leggere del giorno di nascita di una persona qualunque e sapere cosa sia accaduto d’importante quel giorno. Se i giornali fossero stati prodotti ai tempi dell'Impero Romano, sapremmo con esattezza il giorno in cui Gesù è nato nella misera grotta di Betlemme, e avremmo notizie riguardanti Maria e Giuseppe. Ma duemila anni fa abbiamo soltanto notizie riguardo l’imperatore di Roma Cesare Augusto e del suo l'Impero Romano, comunicati della pace gloriosa, che allora esisteva in tutto il mondo romano (Pax Romana) e non certamente di Gesù, perché nessuno lo conosceva. Eppure, fu la più grande nascita nella storia dell’umanità, quella di Gesù Cristo a Betlemme duemila anni fa. Certo ogni nascita di un bambino che viene al mondo è un evento meraviglioso, ma non come quella di Gesù Cristo, perché solo Lui ci fa conoscere realmente Dio ed essere salvati dai peccati e dall’inferno eterno. Vediamo ora storicamente tutte le circostanze: la città della nascita e la condizione in cui è nato Gesù Cristo Figlio di Dio. Nella I circostanza vediamo che c’è stato un decreto imperiale per tutto l’impero, letteralmente è su tutta la “terra-oikoumenēn”, per indicare la vastità dell’Impero Romano, Atti 11:28; 17:6; 19:27). Il v.1 dice: “In quel tempo uscì un decreto da parte di Cesare Augusto, che ordinava il censimento di tutto l'impero”. Questo si riferisce al periodo che segue la nascita di Giovanni Battista (Luca 1:80). Il termine decreto oppure, possiamo definirlo “dogma” è un atto formale del Senato Romano che una volta emesso veniva sigillato dall’Imperatore e subito diventava legge di stato, qui l’Evangelista Luca usa il termine per riferirsi ad azioni formali di vario tipo (Atti 17:7; 16:4). Prima di tutto vediamo:
  • La persona del decreto imperiale è Cesare Augusto Imperatore di Roma.
  • Al momento della nascita di Gesù, la Giudea era sotto la dominazione romana, l’imperatore era colui che aveva il dominio assoluto di tutte le terre assoggettate a Roma.
  • Figlio di Gaio Ottavio e di Azia (nipote di Cesare), Cesare Augusto nacque a Roma nel settembre del 63 a. C. e fu adottato da Cesare nel 45 a.C.
  • Cesare Augusto, non era il suo vero nome, si chiamava Gaio Ottavio, o Ottaviano, dopo l’adozione di Cesare divenne Gaio Giulio Cesare Ottaviano.
  • Divenne noto per la sua organizzazione amministrativa dell'impero dopo un'interessante ascesa al potere.
  • Dopo l'assassinio di Giulio Cesare, fu nominato capo erede e governò in un triumvirato con Marco Antonio e Lepido.
  • Lepido perse il potere nel 36 a.C. e il coinvolgimento di Antonio con Cleopatra d'Egitto lo portò in conflitto con Ottaviano.
  • Dopo aver vinto su Antonio ad Azio nel 31 a.C., fu riconosciuto come Cesare Augusto dal Senato nel 27 a.C. quando gli fu dato il nome greco onorato “Sebastos” (latino Augustus).
  • Fu il primo imperatore romano dal 31 a.C. al 14 d.C.
Il nome di “Cesare" è stato applicato anche agli imperatori romani che sono venuti dopo di lui; nel Nuovo Testamento troviamo applicato a Tiberio (Luca 3:1), a Claudio (Atti 17:7), e Nerone che fu il peggior imperatore di tutta la storia romana, crudele, sanguinario e assassino (Atti 25:8; 26:32). Cesare Augusto era considerata una persona orgogliosa, arrogante e pieno di sé. Sotto Augusto vi fu la riorganizzazione della religione imperiale, anche se non ha mai appoggiato la sua venerazione come dio durante la sua vita, ribadì la divinità del suo padre adottivo, Giulio Cesare, e si lasciò chiamare "figlio di dio", spianando la strada per la sua divinizzazione dopo la sua morte. Quando quest'uomo (Ottaviano) divenne imperatore, la questione è stata oggetto di forte discussione in tutto il senato su come doveva essere chiamato. Rifiutò di essere chiamato dittatore, perché suggeriva un ufficio temporaneo, re in quanto non significava abbastanza. Dopo una lunga consultazione con il Senato romano, prese il nome di Augusto, quindi, ha aggiunto un significato fortemente religioso e ha suggerito qualità divine, infatti, veniva esaltato come un dio in terra, venerato, di grande dignità, maestosità e grandezza di Roma. Nel suo regno fu conosciuto per il suo cambiamento di carattere, divenne pacifico e morì nel 14 d.C., fu sostituito da Tiberio Cesare, come nuovo Imperatore di Roma durante il ministero apostolico di Gesù. Tornando ad Augusto una volta insediato il suo potere divenne un amministratore famoso e saggio, in particolare riguardo l’organizzazione precisa delle sue forze militari, della sua guardia del corpo personale, i pretoriani, scegliendo con cura i suoi generali nelle varie legioni sparse per l’Impero e usando la saggezza e la strategia di guerra vinse molte battaglie, allargando sempre di più il suo impero. Mostrò una superba delicatezza nel trattare con i suoi sudditi, e permise alle province conquistate di conservare una certa misura di autogoverno. Rispettò i loro costumi, le convinzioni religiose, e anche le loro leggi, nella misura in cui essi non interferivano e non creavano ostacolo con Roma. Stimolò le arti e la letteratura, era un grande costruttore e definito un sovrano benevolo, un salvatore e il padre supremo della patria. Benché, nella prima parte della sua scalata al potere Augusto fu spietato e sanguinario, ora è conosciuto come l'imperatore che ha iniziato la pax romana, adesso il suo impero divenne noto come un regno dedito alla pace, alla giustizia e alla fratellanza dei generi. Il progetto fondamentale di Augusto era il censimento della terra come leggiamo nel v.1: “In quel tempo uscì un decreto da parte di Cesare Augusto, che ordinava il censimento di tutto l'impero”. Ora, qual era lo scopo definitivo del censimento? A che cosa serviva? Nell’Impero Romano, vi erano dei censimenti periodici con un doppio scopo: sia per il servizio militare sia per le tasse che ogni nazione conquistata da Roma, doveva versare nelle casse dell’Impero, però a chi non voleva pagare, veniva usata tutta la persuasione di stile romana. Gli studiosi che hanno approfondito la storia di Roma ribadiscono che gli ebrei erano esentati dal servizio militare, e, di conseguenza il loro scopo era quello della riscossione delle tasse. Oltretutto, il censimento era il ricordo inquietante e infangante di tutti gli ebrei durante il dominio straniero di Roma, erano segni evidenti di sottomissione e fedeltà all’imperatore. La menzione del censimento della terra serve a posizionare la nascita di Gesù nel contesto della storia del mondo e, per mostrare che Dio regna sulla terra e guida la storia, portando i suoi progetti importanti a compimento. Nel v.2 è riportato: “Questo fu il primo censimento fatto quando Quirinio quando era governatore della Siria”. Questo versetto è interpretato che Quirinio fece questo primo censimento, quindi come primo assoluto, nel senso che, non ce ne furono altri simili prima in Giudea, che ha avuto luogo in quel determinato tempo della storia. L'imperatore ha ordinato un regolare sistema di censimenti come abbiamo detto sopra che si verificavano a intervalli uguali, questo è stato il primo il più importante, perché, coinvolgeva tutta le persone che vivevano all’interno dell’Impero. Si distingue dal censimento che ebbe luogo nel 6 d.C. ma fu menzionato in Atti 5:37 dieci anni dopo. Quirino era un soldato e un amministratore capace di amministrare la Giudea. È stato vittorioso sugli Homanadensiani nel sud Galazia e nominato dall’Imperatore governatore della Siria, dopo che il figlio di Erode Archelao fu deposto come Re con l’incarico di organizzare la Giudea. Nei vv.3-5 leggiamo: “Tutti andavano a farsi registrare, ciascuno alla sua città. Dalla Galilea, dalla città di Nazaret, anche Giuseppe salì in Giudea, alla città di Davide chiamata Betlemme, perché era della casa e famiglia di Davide, per farsi registrare con Maria, sua sposa, che era incinta”. Anche Giuseppe e Maria nella piena difficoltà si spostano da Nazaret per andare a Betlemme. Maria viveva con lui come moglie fedele e devota, secondo le tradizioni ebraiche, anche se il matrimonio non era ancora stato consumato (Matteo 1:24-25). Non era necessario che Maria partisse con Giuseppe per Betlemme, a maggior ragione se era incinta, la sua gravidanza era al termine, perché lo fece? Probabilmente perché era necessario che Maria si registrasse, essendo sposa di Giuseppe. Di fatti, lasciarla da sola a casa avrebbe significato esporla con maggior facilità alla calunnia e al mormorio della gente di Nazareth. Plausibilmente Giuseppe e Maria mentre stavano preparando la casa e gli arredi per vivere insieme come una normalissima famiglia avevano già affrontato dolorosi pettegolezzi a causa della sua gravidanza.  Ossia, Maria e Giuseppe desideravano stare insieme al momento del parto perché entrambi sapevano l’evento meraviglioso che si doveva verificare, e quindi, tanto atteso dal popolo di Israele sulla nascita di questo bambino, che avrebbe cambiato il mondo. Entrambi videro l’opera di Dio compiersi e sono andati con tanti sacrifici a Betlemme dove il bambino promesso e tanto atteso doveva nascere (Michea 5:2). Dio li voleva in questa città, perché, si compisse la Scrittura.
Vediamo come tutto questo avvenne:
Il nome della città: Betlemme. "Betlemme" significa Casa del pane! il luogo dove è nato Gesù: "Il pane della vita" (Giovanni 6:35). “Tutti andavano a farsi registrare, ciascuno alla sua città” si riferisce che in Palestina, tutte le persone interessate, e secondo le usanze ebraiche, ritornavano per il censimento alla città di origine, Giuseppe ritornò nella città del suo più importante antenato: Re Davide. Giuseppe obbedisce ed è sottomesso alle autorità romana andando a Betlemme. Da Nazaret suo luogo di residenza e di vita, dovettero affrontare un viaggio lungo e faticoso senza avere i mezzi che abbiamo oggi! Hanno utilizzato un asinello come unico mezzo di trasporto. Il viaggio era di circa lungo dai 120 ai 145 chilometri, con strade polverosi e difficili, a 700 metri sul livello del mare, quindi anche una parte di strada in salita, ma Giuseppe e Maria non si tirano indietro. Con coraggio affrontarono il viaggio nella bontà misericordiosa di Dio.
Ci sono due lezioni importanti per noi che vogliamo seguire le sue vie:
  • A volte dove il Signore vuole che noi siamo nel disagio, difficoltà e spese impreviste da affrontare. Era per quel periodo un viaggio difficile, ma il Signore li voleva a Betlemme.
  • Nonostante c’è un costo, noi dobbiamo obbedire se lo richiede Dio, e fare la sua volontà.
Giuseppe e Maria hanno obbedito senza esitazione, anche se non era facile obbedire sia per motivi logistici di viaggio, sia perché pagare le tasse non piace a nessuno, sia perché questo censimento non era gradevole per un ebreo, visto come un sacrilegio, perché, secondo la loro tradizione millenaria, soltanto Dio solo poteva numerare il suo popolo e dettarne le sue Leggi. Quando Re Davide nell’Antico testamento organizzò un censimento per contare tutte le persone del Regno d'Israele, di conseguenza, portò una grande calamità sulla nazione (2 Samuele 24; 1 Cronache 21). Così Giuseppe aveva tutto il diritto di essere arrabbiato e rifiutarsi di partire per farsi censire, ma non lo fece, obbedì senza indugio.
La natura della famiglia di Giuseppe: il re Davide.
Secondo la Scrittura e i Profeti, Gesù definito il Cristo, come discendente di Davide e Messia, doveva nascere a Betlemme (Michea 5:1-2). Giuseppe, discendente del re Davide, era di Betlemme, dove Davide era nato e cresciuto (1 Samuele 16; 17:12; 20:6), ma non dove ha vissuto e governato da re, perché regnò a Gerusalemme (2 Samuele 5:7,9, 6:10, 12, 16). I documenti che riguardavano la famiglia di Giuseppe erano stati conservati in un archivio di stato, a Betlemme. I Profeti dell'Antico Testamento predissero più volte che il Messia, il Re d’Israele sarebbe nato dalla stirpe reale di Davide; Isaia 11:1; Geremia 33:15; Ezechiele 37:24; Osea 3:5. Riguardo alla regalità che fu destinata a Gesù, l’Evangelista Matteo autore del I Vangelo, mette in luce il conflitto tra re Erode e il bambino annunciato con gioia dai Magi venuti apposta da Oriente seguendo una stella per onorarlo come il Re potente che è nato in quel determinato periodo (Matteo 2:1-12). I vangeli sottolineano che Gesù è considerato “re dei Giudei”; Matteo 27:11, 29, 37; Marco 15: 2, 9, 12, 18, 26; Luca 23:3,37-38; Giovanni 18:33,39; 19:3, 19, 21, oppure, “Figlio di Davide” Matteo 9:27; 12:23; 15:22; 20:30-31; 21:9,15; 22:42, anche se l'uso del titolo di Re si ritrova anche negli altri vangeli, in particolare nei racconti dettagliati della sua passione e morte. Infine, vediamo in che condizioni è nato Gesù. Si è verificata la provvidenza di Dio su questa Santa Famiglia. Nel v.6 leggiamo: “Mentre erano là, si compì per lei il tempo del parto”. Dopo un lungo viaggio, Giuseppe e Maria arrivarono finalmente a Betlemme, e Maria diede alla luce suo figlio primogenito dove aveva profetizzato anni prima Michea (Michea 5:1-2). Quindi Dio fu con loro durante il viaggio, li ha protetti e sostenuti nella fatica e nel dolore, e fece in modo che Maria partorì senza problemi di salute. Dio è stato con loro, li ha accompagnati fino alla Città di Betlemme! Ciò che Dio progetta la porta a compimento! Giobbe 42:2; Isaia 14:27; 46:9-10). Ciò che profetizza lo realizza! Niente è troppo difficile, o impossibile per Lui, quello che progetta lo attua, nei tempi e nei modi da lui stabiliti, prima della creazione degli Angeli e del mondo con tutto ciò che sussiste. Genesi 18:14; Geremia 32:17; Matteo 19:26; Luca 1:37. A volte può sembrare in ritardo sui tempi e sugli eventi, ma in realtà non è così. Arriva sempre al momento giusto, per dimostrare la sua potenza e la sua Grandezza! La nascita di Gesù si è verificata "nella pienezza del tempo", cioè al momento giusto come Lui aveva preparato prima che esistesse ogni cosa! (Galati 4:4). Gesù: è il primogenito di tutto. Nel v.7 è scritto: “Ed ella diede alla luce il suo figlio primogenito”. Il termine descritto nel Vangelo di “Primogenito”, Prototokos è interpretato in vari modi:
  • Egli è chiamato primogenito per indicare che Maria ha avuto soltanto Gesù:
  • Il riferimento al primogenito commenta Luca 2:23-24, in riferimento che il primogenito doveva essere consacrato a Dio (Esodo 13:2; Numeri 3:13; 8:17).
  • Il termine equivale a chiamare Gesù "unigenito".
  • Al diritto di Gesù di ereditare il trono di Davide come il primo figlio della sua famiglia.
  • Il diritto di Gesù come il figlio primogenito di avere i vantaggi dell'ereditarietà che proviene da Davide.
  • Primogenito si può riferire a primo come rango, importanza, superiorità (Romani 8:29; Colossesi 1:15,18; Ebrei 1: 6; Apocalisse 1: 5).
Nel v. 7 leggiamo ancora: “Lo fasciò, e lo depose in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo”. Maria si assume la sua responsabilità e cura come madre di fasciare il bambino com’era in uso tra gli ebrei, ed era considerata una prassi normale (Ezechiele 16:4). Le fasce usate da Maria erano lunghe strisce di stoffa che venivano avvolte ripetutamente attorno al bambino per costringerli a tenere gli arti diritti, oppure, venivano impiegate per mantenere il bambino caldo e dargli un senso di sicurezza. Questi panni si pensava che proteggessero i suoi organi interni. Nonostante le popolari cartoline di Natale, l’ambiente dove nacque il Re dei giudei doveva essere buio, sporco e puzzolente. Ma Giuseppe e Maria non avevano altra scelta, dove andare? Questo è il luogo dove il Re dei Re, il Figlio di Dio fatto carne è venuto nel mondo, per redimerci dai nostri miseri peccati! La “mangiatoia” (phatnē) può significare una specie di vasca, o scatola rettangolare in una stalla, o granaio progettata per contenere alimenti, ad esempio il fieno, per gli animali dove mangiavano, ma può anche significare l'intero ambiente di una stalla, dove Gesù fu deposto per l’adorazione dei pastori e dei magi. Il motivo fondamentale per cui fu messo in una mangiatoia era perché non vi era posto per loro in albergo, perché, nessuno li ha voluti accogliere. “Che non c'era posto nell'albergo era il simbolo di ciò che stava per accadere a Gesù in età adulta. L'unico posto dove c'era spazio per lui era su una croce”. Non è sorprendente che non ci fosse posto per loro nell'albergo considerando il numero dei viaggiatori pervenuti a Betlemme che affollavano diverse città vicine durante il tempo di questo censimento.  Il termine, “Albergo” (katalumati) si può riferire a una stanza di locanda, oppure a una specie di caravanserraglio, o piuttosto, un edificio costituito in genere da un muro che racchiude un ampio cortile e un porticato, che veniva usato per la sosta delle carovane durante i pellegrinaggi e per la Pasqua.  Molto più probabile “albergo” si può riferire a una stanza in una casa privata, la stessa parola è usata per la stanza, dove Gesù mangerà la Pasqua con i discepoli (Luca 22:11). Per indicare un albergo vero e proprio Luca usa un altro termine nel caso del buon samaritano che ha soccorso e portato in una locanda (pandocheion) colui che fu malmenato e derubato durante il suo viaggio verso Gerusalemme (Luca 10:34).
In conclusione, possiamo definire che, Gesù nostro Signore è la vera pace. Luca menziona Cesare Augusto, quindi la Pax Augustea, o Pax Augusta nel tempo della nascita di Gesù per ricordare e proclamare chi è veramente Colui che porta la vera pace nel mondo: Il vero imperatore della pace è Gesù, non Ottaviano. A causa del peccato la pace è stata persa, naufragata, ma grazie a Gesù, il Principe della pace (Isaia 9:6) possiamo avere pace con Dio (Romani 5:1-2; Colossesi 1:20; Efesini 2:14, 17), la pace tra le persone (Marco 9:50; 1 Corinzi 7:15; Efesini 2: 14-17; 4:3); la pace interiore (Romani 8:6; 15:13; Galati 5:22; Filippesi 4:7; Colossesi 3:15; Giovanni 14:27).
In secondo luogo, Dio controlla la storia del mondo e dell’intera umanità. Il decreto voluto dall’imperatore Augusto uscì in perfetto tempismo di Dio e secondo il Suo piano perfetto per portare suo Figlio nel mondo. Poiché Dio è il Signore di tutta la terra, non c'è potere che non sia sotto la sua autorità (Proverbi 21:1), i poteri forti sono sotto il controllo di Dio e non nell’uomo! Come il Re Nabucodonosor e Ciro, Cesare Augusto è stato uno strumento inconsapevole di Dio per realizzare il Suo piano di redenzione, il cui decreto porta al compimento la profezia di Michea 5:1-2, riguardo al Messia che sarebbe nato a Betlemme, fatta circa 700 anni prima della sua nascita, (Matteo 2:5-6; Giovanni 7:42). Gli uomini potenti pensano che loro dirigano gli eventi, ma non è così! In ogni cosa c’è lo zampino di Dio. Egli ha usato l'autorità di un uomo che credeva e credevano di essere un dio per portare sulla scena, il vero ed autentico Figlio di Dio. Usa anche i pagani vale a dire, adoratori di idoli inanimati e senza vita, per portare a buon fine i suoi piani salvifici! Dio Onnipotente opera per mezzo di ogni genere di persona per realizzare i suoi progetti! Dio stava usando questo il decreto di un imperatore pagano per la realizzazione il proprio progetto riguardo l’incarnazione, il ministero e l’opera di Gesù Cristo per la salvezza del suo popolo! Egli è all’opera nella storia degli uomini per realizzare la Sua storia, i Suoi progetti, i suoi piani che nessuna creatura potrà mai scalfire o ridicolizzare, perché è il creatore di tutto ciò che sussiste (Romani 8:28; Efesini 1:11). Dio controlla la storia, è il Signore della storia! Quindi non siamo nelle mani degli uomini, ma di Dio! Questo è un grande conforto! Una grandissima consolazione. Dio che è nostro Padre in tutto, guida la nostra vita, come per Cesare Augusto, guidava l’impero di Roma, come per Giuseppe e Maria, accudivano il Cristo Figlio di Dio! Inoltre, Dio, nella sua saggezza imperscrutabile, ha usato Cesare Augusto per l'avanzamento del Regno di Dio. Grazie alla Pax Romana la religione cristiana, in un tempo molto breve, si diffuse in tutto il Mediterraneo e nel mondo intero, e sulla Chiesa fondata da Cristo, le forze degli inferi non prevarranno. Questo passo ci ricorda anche: la piena obbedienza di Giuseppe e Maria all’autorità di Roma, e ci ricorda la sottomissione di Giuseppe e Maria alle autorità che tutti i cristiani devono avere perché le autorità sono preposte da Dio (Romani 13:1-2). Dare a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio (Matteo 22:21). Ma Gesù vuole un posto nel tuo cuore di ogni uomo. Però quando è venuto al mondo nel freddo e nel gelo, non c'era posto per loro nell'albergo! Era sovraffollato per il censimento, ma anche per il menefreghismo della gente, prendevano solo coloro che potevano offrigli del denaro. Molti uomini sparsi sulla terra oggi non hanno posto per Gesù nei loro cuori! Sono impegnati a venerare il dio denaro, lussuria, e vita mondana, questo perché i loro cuori che dovrebbero essere di carne, sono di pietra, sovraffollati di pensieri di ricchezza, di onore, di peccati di ogni tipo, di prestigio, di affari, pieni di sé stessi, del proprio orgoglio, del proprio egoismo, del proprio io! Molte persone hanno chiuso e chiudono le porte del proprio cuore a Gesù, e pensano come derubare il povero, e come prendere beni che non gli spettano (Giovanni 1:11-12). Gesù ha mostrato la sua grazia e la sua potenza: era ricco e si è fatto povero affinché noi potessimo diventare ricchi, nella Fede e nella Carità verso il prossimo (2 Corinzi 8:9). Questo è un principio importante da seguire: bisogna dimostrare amore, sacrificio per gli altri, rinuncia, servizio, verso Dio e della Sua Chiesa, ma principalmente essere m misericordiosi con i poveri e gli oppressi, (Filippesi 2:5-11). Gesù nacque in umili condizioni per dimostrarci che Dio, da ricco può diventare povero, eppure, oggi giorno in questo III Millennio, troviamo una contraddizione verso il Natale, caratterizzato soltanto dal materialismo, dall’appariscenza e dallo sfarzo. Oggi molti pensano che i valori fondamentali della vita sia nell’avere, che si misura nelle ricchezze materiali, come: vestiti firmati, lauree, successo, eccetera. Gesù ci insegna che i veri valori della vita non sono questi! Non dobbiamo ricercare le comodità. Come Discepoli e Apostoli di Gesù Cristo non dobbiamo ricercare le comodità di questo mondo, ma le comodità del Regno di Dio. Fin dalla nascita Gesù non ebbe una vita comoda, in seguito dirà cosa significa essere suoi Discepoli e Apostoli. In Luca 9:57-58 leggiamo: “Mentre camminavano per la via, qualcuno gli disse: ‘Io ti seguirò dovunque andrai’. E Gesù gli rispose: ‘Le volpi hanno delle tane e gli uccelli del cielo dei nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo”. Servire il Signore significa seguire con Fede e animo contrito un destino senza comodità come quello di Gesù durante il suo ministero apostolico. Il Figlio dell’uomo (Gesù) sperimenta il rifiuto della gente ed è senza fissa dimora, e i suoi Apostoli devono essere preparati ad vivere ed affrontare la stessa esperienza insegnata dal Maestro. Servire il Signore, significa essere disposti a rinunciare alle comodità e avere la prontezza incondizionata di seguire Gesù ovunque Lui voglia, senza ma e ne però, ma dall’ascolta della sua parola di vita, con rettitudine e obbedienza figliare, anche a costo della propria vita. Un altro elemento fondamentale che riguarda la nascita di Gesù a Betlemme, si basa sulla tradizione cristiana del Presepe. Come dicevamo è una tradizione natalizia, che consiste in una rappresentazione figurata della nascita di Gesù risalente all’epoca medioevale. È nata nel nostro Paese e poi si diffuse in tutto il mondo cattolico. Le principali fonti del presepe sono evidenziate nei Vangeli di Matteo e di Luca che, come abbiamo già visto, descrivono gli eventi della nascita di Gesù a Betlemme, una piccola località della Giudea, ma famosa per aver dato i natali al re Davide. Numerosi elementi del presepe, però, traggono spunto dai Vangeli apocrifi, soprattutto dal protovangelo di Giacomo. L’origine etimologica del termine “presepe” ha dato vita a vari dibattiti nel corso del tempo e della storia. Per la maggior parte degli esegeti, deriverebbe dal latino “praesepe”, che vuol dire sia mangiatoia, sia recinto dove erano custoditi ovini e caprini. Un’altra ricostruzione si riferisce al verbo latino “praesepire”, che significa recingere. È curioso osservare che il termine “presepe”, oltre che in Italia, è utilizzato in Ungheria, perché arrivò a Napoli nel XIV secolo, quando un nobile della casata degli Angioini, diventò sovrano di quelle regioni. Invece, nelle prime vulgate evangeliche medioevali tale rappresentazione era indicata con il termine latino “cripia”, traducibile in italiano “greppia”, con poche varianti negli altri idiomi europei: creche, in francese, crib, in inglese, krippe, in tedesco. Gli studiosi, tuttavia, fanno risalire l’evoluzione storica del presepe alle prime rappresentazioni artistiche della sacra famiglia, come la raffigurazione della Vergine con Gesù nelle catacombe di Santa Priscilla sulla via Salaria a Roma, opera di un anonimo artista del III secolo d.C. E nell’Umanesimo del quindicesimo secolo fiorirono i dipinti dei grandi maestri, come l’Adorazione dei Magi del Botticelli esposto agli Uffizi, Firenze, la Natività della Cappella degli Scrovegni a Padova, per mano di Giotto, la Natività di Lippi che si trova al Museo Diocesano di Milano etc. Il passo dalla raffigurazione pittorica a quella tridimensionale fu breve, anche se il primo ad attuarla fu San Francesco d’Assisi nel 1223 a Greccio, dopo aver ricevuto l’autorizzazione da parte di Papa Onorio. San Francesco aveva compiuto un viaggio in Palestina ed era rimasto colpito dalla visita a Betlemme. Nella grotta di Greccio si celebrò la Messa con un altare posticcio posto sopra una mangiatoia, con la presenza dei due animali della tradizione, il bue e l’asinello, e tutti i personaggi decritti dai Vangeli; la Sacra famiglia, i Pastori, i Maggi, e gli Angeli del cielo. Il presepe, comunque, come rappresentazione plastica, iniziò a diffondersi nelle regioni dell’Italia centrale nel Quattrocento, entrando nel regno di Napoli il secolo successivo. Il grande salto fu compiuto nel Settecento, con le grandi scuole genovese, bolognese, ma soprattutto napoletana. In questo secolo, nella città di Napoli, allora in piena fioritura culturale, al punto da colpire Stendhal che l’annoverò tra i tre più vivaci centri europei, insieme a Parigi e a Londra, i nobili scatenarono una vera e propria competizione, su chi potesse vantare il presepe più ricco e sontuoso. Nella seconda metà del diciottesimo secolo, si diffuse anche l’abitudine di allestire il presepe nelle chiese durante le festività natalizie. Nei secoli successivi, il presepe diventò un simbolo per tutti, arrivando anche nelle case borghesi e popolari, nonché, rappresentando un’icona di sacra devozione. Il bambino che Maria presenta avvolto in fasce e depone nel presepio, apre le braccia ad accogliere chi guarda e a dire già ora, appena nato, l’offerta di sé per la salvezza dell’intera umanità, depredata dal diavolo e dal suo inferno. È il mistero della manifestazione del Signore: Dio che si manifesta pienamente in Gesù, in un bambino, nel nostro linguaggio comune, da poter capire tutto il suo mistero. È il dono infinito di Dio alla nostra esistenza. Sembra un sogno vedere Dio in un bambino piccolo e tenero, comprensibile, visibile e palpabile. Dio sa fare i doni a coloro che se li meritano. Ci parla nella nostra lingua, si manifesta e ci salva dal peccato e dalla morte. Il gesto del Bambino raffigurato con le braccia aperte in forma di croce, esattamente come nell’icona centrale della Crocifissione, ripete e insieme anticipa il mistero della Pasqua (Gv 12,24-32). È un gesto molto significativo proprio in rapporto alla spiritualità del Cuore di Gesù donato a noi uomini. Tutte le narrazioni dell’infanzia, come ben sappiamo, sono narrate in prospettiva pasquale, perché come dice il Salmo 40 (7-9) e poi lo esplicita la Lettera agli Ebrei (10,5-7), “entrando nel mondo Cristo disse: – Ecco io vengo, come è scritto nel Salmo, a compiere la tua volontà”. E l’autore della Lettera commenta che Cristo dice questo, si dispone a questo, per sostituire il vecchio genere di sacrifici, incapaci di salvare, con un nuovo sacrificio, l’offerta di sé stesso per la salvezza dell’umanità corrotta dal peccato. A questo “Ecce venio” di Gesù, fa eco “Ecce ancilla” di Maria, che è una componente, indica un contenuto fondamentale nella spiritualità del Cuore di Gesù, perché l’aver creduto all’ “Ecce venio” di Gesù si esprime in questa risposta dell’“Ecce ancilla” di Maria durante l’Annunciazione. Gesù, entrando nel modo, disse “Ecce venio”; coloro che hanno creduto e rispondono dicono “Ecce venio”; come il suo entrare nel mondo in questo modo, significa l’offerta della propria vita, di tutto se stesso, così anche la risposta del credente indica questa consegna totale, e non ci sarebbe possibilità vera di credere e di dare una risposta seria a questo “Ecce venio”, se non in questo modo. Come per Gesù la strada, il modo, è l’unica possibilità di vivere il suo “Ecce venio” è di fare la volontà di Dio, seguire le indicazioni del Padre fino in fondo, così per noi seguire le indicazioni del Padre diventa il sacrificio di salvezza. Quando noi accogliamo la volontà di Dio espressa nei suoi comandamenti, noi diventiamo collaboratori di Dio per la salvezza dell’umanità. Ciò avviene, perché la volontà di Dio che ci riguarda e che noi purtroppo spesso siamo portati a depauperarla restringendola sulle cose che dobbiamo fare, è che Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati (1Tim 2, 4), è il suo progetto che guida tutta la Storia di Salvezza dall’inizio fino alla fine. Allora chi fa la sua volontà dicendogli di sì, collabora alla sua opera di salvezza. E allora che comprendiamo come queste tematiche ci introducono nel vero significato della missione e dell’apostolato. Maria, che ha presentato Gesù ai pastori e ai magi, lo presenta anche a noi che guardiamo. Ella è la donna associata all’ “Ecce venio” del suo bambino, è la donna che ha detto di SI e rimane nel suo SI e lo vive con tutta se stessa fino al SI supremo stando ai piedi della croce del Figlio. Dietro il Bambino e Maria c’è la figura di Giuseppe avvolto nel suo silenzio. È l’uomo giusto, testimone e custode, nella posizione umile e grande di colui che ha creduto e, nel silenzio, è diventato pure lui protagonista del mistero della salvezza. Nella narrazione della spiritualità del Cuore di Gesù, Giuseppe emerge come una stupenda figura di uomo credente che, posto improvvisamente di fronte ad una imprevedibile chiamata di Dio, è combattuto fra le giuste esigenze umane e la richiesta pressante di Dio. In questa tensione, egli fa un salto nella propria fede e pronuncia anch’egli il suo “sì”, consegnandosi a Dio che lo chiama per un compito inaudito e in un modo che non può immaginare e che richiede tutta la sua fede, tutto il suo coraggio e tutto il suo amore. Per lungo tempo la sua figura è rimasta in ombra. Noi abbiamo imparato a chiamare Giuseppe con una parola assolutamente insufficiente: padre putativo di Gesù. Ma in realtà Gesù divenne uomo in casa di Giuseppe, la sua umanità è segnata in profondità dalla presenza di questo “uomo giusto”. È più logico, per tanto, pensarlo come il custode del mistero nell’esercizio di una paternità spirituale nei riguardi di Gesù, che è estremamente concreta. Noi sappiamo, infatti, come la maternità e la paternità dei genitori non si esaurisce nella generazione biologica, ma raggiunge la sua pienezza solo dopo, nel come la funzione della paternità e della maternità si realizza in tutto ciò che è chiesto per la formazione integrale del figlio. Sappiamo anche come questa paternità e maternità di ordine spirituale non è solo dei coniugi, ma è di ogni persona e di ogni cristiano che si prende cura degli altri. Giuseppe va visto in questa prospettiva e molto di più. In effetti, i Vangeli di Luca e di Giovanni lo chiamano «padre di Gesù». Giuseppe, in realtà, anche se, come confessa la Chiesa, non è padre naturale di Gesù, è stato però padre di Gesù secondo la Legge di Mosè, avendolo riconosciuto come figlio suo e di Maria, sua sposa. Giuseppe, «il padre di Gesù», è quel padre che ha vegliato su di Lui nel grembo della madre, che è stato testimone della sua nascita nella grotta di Betlemme (Lc 2, 16), che lo ha circonciso e gli ha dato il nome secondo la Legge di Mosè (Lc 2, 21), che lo ha inserito nella discendenza davidica (Mt 1,20), che lo ha riscattato quale primogenito (Lc 2, 22-24), che lo ha fatto crescere procurandogli con il suo lavoro il cibo, il vestito, la casa, e lo ha inserito nella storia. A partire dalla presenza di Gesù nel seno di Maria fino al giorno in cui se ne andò da casa rivendicando il suo dover «stare presso il Padre» (Lc 2, 49), Gesù ha trovato in Giuseppe un padre che gli ha permesso e lo ha aiutato «a crescere in statura e sapienza, in età e grazia davanti a Dio e davanti agli uomini» (Lc 2, 40.52. È, per tanto, un dato evangelico non di poco conto che Gesù non ha avuto un padre prima del concepimento, ma dopo la sua nascita. Negli anni di Nazareth Maria e Giuseppe appaiono come «i suoi genitori» (Lc 2, 43): Gesù chiama Giuseppe Abba, «papà», e Giuseppe lo chiama «figlio mio». In questa relazione, Giuseppe è il padre che a poco a poco ha rivelato a Gesù l’obbedienza a Dio e la forza dell’amore. L’amore di Giuseppe influì sull’amore filiale di Gesù e certamente le figure di Giuseppe e Maria non sono state estranee alla decisione di Gesù di farsi eunuco in vista del regno di Dio (Mt 19, 12). L’umanità di Gesù è certamente rimasta impregnata in profondità dalla figura di Giuseppe, dalle sue parole, dai suoi sguardi e dal suo silenzio, e così Giuseppe, che non ha generato Gesù secondo la carne, l’ha generato come uomo e l’ha fatto passare dalla relazione di paternità umana a quella di Dio. Sì, Gesù, «il figlio del carpentiere» (Mt 13, 55), è in verità il Verbo di Dio fatto carne che ha abitato fra noi: questo è il miracolo a cui Giuseppe ha acconsentito, e acconsentendo si è realizzato penienamente. Dopo l’episodio del ritrovamento di Gesù al Tempio dove insegnava e interrogava i Dottori della Legge, l’evangelista annota che i suoi genitori non compresero le sue parole (Lc 2, 50) e lo riportarono a Nazareth, dove visse sottomesso dai suoi genitori. Non sappiamo quanto tempo Gesù trascorse a Nazareth dopo i dodici anni. Comunque, Giuseppe svolge il suo compito pienamente e per lui giunge l’ora di eclissarsi di fronte alla presenza del Padre di Gesù, davanti a Dio. Ormai, adempiuta la sua missione, egli scompare, ritorna nella Casa del Padre. Non sappiamo né come né quando sia morto, ma l’unica morte che conta è quella che egli ha dato a sé stesso con la piena obbedienza con cui ha accolto Maria e Gesù in seguito alle parole del Signore ricevute dall’Angelo in sogno. Così, prima che si completasse il mistero di suo Figlio, e prima ancora che Gesù consumasse la sua missione nella croce, Giuseppe aveva già preso su di sé il peso di un destino e di una missione simile a quella di Gesù. Il segreto della consegna eroica di Giuseppe al piano di Dio su di lui ci viene rivelato da Matteo, quando ce lo presenta come “uomo giusto” (1,19) che cercava sinceramente di conoscere e compiere la volontà di Dio; e come uomo dei “sogni” (1,20; 2,13; 2,219-20), definito uomo di preghiera, e contemplativo. La spiegazione di questi sogni la troviamo già nella teologia del cristianesimo primitivo: nella meditazione, ovverosia, in “sogno”, realtà così profonda in cui la vita raggiunge gli ultimi confini dell’universo, può divenire sensibile e visibile l’angelo nunziante, il destino eterno dello stesso uomo, la sua vocazione nel servire il signore. Mentre meditava nel silenzio della notte, Giuseppe ha potuto penetrare nel destino di Maria. tormentato dal dubbio e dall’incertezza, mettendosi in profonda preghiera, ha potuto presentire il mistero dell’incarnazione del verbo di dio fatto carne. È stato allora che accettò di buon animo il messaggio dell’angelo, perché ha riscontrato in Dio la vera concretezza del messaggio e la sua attuazione per il bene del popolo santo di Dio. Questa consegna di Giuseppe profondamente segnata dal travaglio della ricerca del piano di Dio su di lui e dalla conseguente rinuncia a sé stesso, è descritta da sant’Efrem il Siro. Egli negli Inni della natività presenta Giuseppe come “il giusto in pena che l’angelo tranquillizzò” (Mt 1,19-21) e nell’Inno V mette sulle sue labbra queste parole rivolte a Gesù: «Chi mi ha dato/che tu diventassi mio figlio, /o figlio dell’Altissimo? /Mi ero indignato con la madre tua/e volevo licenziarla in secreto. /Non sapevo che nel suo utero/c’era un gran tesoro, /che avrebbe arricchito in un istante/la mia povertà» (strofa 7). L’espressione “Mi ero indignato con la madre tua” evoca probabilmente Mt 1,19, tuttavia la descrizione dell’indignazione di Giuseppe non ha riscontri diretti nel Vangelo, che lascia anzi la porta aperta a varie interpretazioni del dramma interiore del “giusto”, tra cui quella che gli attribuisce l’intenzione di ritirarsi di fronte alla grandezza di un mistero che lo supera. Ma c’è un Inno antichissimo, attribuito a Efrem il Siro, in cui si descrive in un modo molto commovente, profondo e concreto come Giuseppe è arrivato a capire il mistero della su sposa e ha detto il suo “sì” coraggioso e deciso al volere di Dio su di lui. È un lungo inno impostato intorno al dialogo tra Giuseppe e Maria. Quando Giuseppe si accorge che la sua sposa è incinta, è da immaginare quale sconcerto, quali interrogativi siano sorti nel suo animo. Maria certamente fu interrogata da lui, e lei si è spiegata, gli ha dato la spiegazione di che cosa era successo. Ma possiamo immaginare come per Giuseppe sia stato difficile capire, quando Maria si spiega nei termini che emergono dal Vangelo. Era già stato difficile per Maria capire le parole dell’angelo, ancor più lo è per Giuseppe. Per lui è una spiegazione improbabile, quasi impossibile ad una concreta compressione. L’Inno ricordato interpreta così la prima reazione di Giuseppe, che dice in tono concitato: Sono sbalordito di ciò che mi dici! Come posso dar credito a queste tue parole? Le vergini semplicemente non rimangono incinte senza aver rapporti o sposarsi, e tu che cosa mi vieni a raccontare? Giuseppe sta vivendo in quel momento della sua vita una specie di irata incredulità, dice l’Inno; però rimane sempre più colpito dalla pazienza di Maria, dal fatto che lei non rimane turbata, rimane nella pace e continua a parlare con Giuseppe, a spiegargli come stanno le cose. Colpito da quest’atteggiamento di Maria, egli comincia a fare una mezza concessione, dice il testo, ammette cioè che potrebbe esserci qualcosa di vero, potrebbe essere anche vero quello che sta dicendo la sua sposa. Però rimane di fronte ad un evento troppo più grande delle sue possibilità di comprensione ed inaccettabile e quindi dice: Ci sono qui due possibilità ed entrambe mi sconcertano, non riesco ad accettarle: se ciò che dici è vero, è troppo spaventoso per me: come posso portare il peso di un mistero così grande? Ma se ciò che dici non è vero, è un dolore troppo grande per me: come vorrei poter sfuggire ad entrambe queste risposte! Sembra che Giuseppe non riesca ad entrare nell’evento e a capire. Allora Maria gli replica: Bene! Ora darò sfogo alle mie parole e mi rivolgerò a mio figlio nascosto nel mio grembo, perché sia Lui a farti capire; non solo, ma ti faccia capire anche che tu devi rimanere con me. Si conclude così questo dialogo che ha quest’aggiunta: Giuseppe dormì e l’Angelo arrivò, rivelandogli come il mistero aveva avuto luogo, ed è ciò che abbiamo letto in Matteo e commentato. Giuseppe si alzò e si inginocchiò in venerazione davanti a Maria, piena di una meraviglia che non mentisce. Un aspetto molto importante che viene sottolineato, è che Giuseppe arriva ad ammettere una possibilità del genere solo in un secondo momento attraverso il suo dubbio, la sua tribolazione, il suo interrogarsi, la sua sofferenza interiore, il dialogo con Maria; soltanto allora, una volta che si è come predisposto attraverso il crogiolo di questa sofferenza, è accaduto il suo aprirsi al mistero: Dio adesso può intervenire e dirgli la parola che chiarisce tutto. Non avrebbe potuto farlo prima, ma ogni cosa era programmata sistematicamente. Questa è una legge costante nella vita spirituale. Anche se noi abbiamo paura della lotta, della fatica, della tribolazione, del dubbio e dell’oscurità, per arrivare al momento conclusivo dell’accoglienza del dono di Dio, perché possa entrare nella nostra vita, bisogna accettare un camino di preparazione che inevitabilmente è anche di tribolazione fisica e spirituale. La prova di ciò la portiamo dentro di noi stessi; se guardiamo nella nostra esperienza, ci accorgiamo che, quando qualcosa d’importante accade nella vostra vita spirituale, è perché un lungo cammino è intervenuto prima. Le cose di Dio non accadono mai all’improvviso. Dio non interviene con logiche umane o di potenza, ma rispetta la nostra libertà, il nostro libero arbitrio, quindi, l’esigenza è intrinseca al nostro essere creature, fatte in modo da poter entrare negli eventi della vita solo un po' alla volta, facendo uso delle nostre facoltà di intendere e di volere. La logica dei piccoli passi nella vita spirituale è fondamentale, per capire una parte del mistero di dio che ci circonda. La nostra preghiera allora si arricchisce, trova forma in noi stessi, contemplando anche questa figura di Giuseppe, l’uomo del silenzio, giusto, del sì, il custode del mistero di Dio fatto carne, ma non da fuori come se fosse un semplice funzionario, ma coinvolto profondamente, consegnato con tutto il suo essere a Gesù e a Maria. Le parole di Maria a Giuseppe riportate nell’inno: Lo dirò al mio bambino che ti faccia capire e ti faccia anche capire che tu devi rimanere con me, ci fanno intuire anche quale rapporto di affettività, di amore legava lui a Maria e Maria a lui. Quest’aspetto ci dà motivo di implorare da lui, dalla sua intercessione e da quella di Maria, che ci sia dato a noi consacrati di crescere nella verginità del cuore, di imparare ad amare senza dare mai per scontato di esserci arrivati; di imparare che l’amore è stampato nella nostra carne mortale concreta e va costantemente orientato al sì pronunciato da chi per primo, lo ha fatto. L’amore nella verginità, difatti, coinvolge l’affettività in tutta la sua dimensione e profondità, e non può essere ridotto a qualche cosa di spiritualistico, di evanescente, o contenuto semplicemente nelle prestazioni che offriamo agli altri, che a volte sono proprio quelle che ci servono per tenere gli altri fuori della nostra vita. Creature come Giuseppe e Maria, i più insigni tra i nostri padri e madri nella fede, sono modelli, che ci fanno vedere che è possibile arrivare alla verginità del cuore, ad un amore totale nella verginità, un amore come quello di Maria e di Giuseppe. Manteniamo lo sguardo fisso sulla Madre e suo Figlio che si offrono per noi; e poi Giuseppe, attento alla voce divina, è il primo ad entrare nel mistero del Cuore di Gesù e del Cuore della Madre di Dio e Madre nostra e ora ci fa da guida per entrare in questi Santuari della salvezza; lì a terra ci sono i nostri doni, risposta al dono della vocazione con la stessa generosità dei tre Magi; il lembo del mantello dei Magi che partono, indica la sollecitudine e la gioia della condivisione con tutti della nostra esperienza di salvezza in Cristo Gesù nostro Signore.

CONCLUSIONE

Per superbia lucifero l’Angelo più luminoso del Paradiso da creatura volle farsi Dio, per un atto di orgoglio, superbia nei confronti di Gesù, Figlio Unigenito del Padre. Un terzo di angeli del cielo si lasciò ingannare da questa sua falsità e anche loro disobbedirono, e da luce divennero tenebra e furono precipitati nelle tenebre eterne dell’inferno, dove vi è pianto e stridore di denti per l’eternità. Avendo perso lui la luce, per stoltezza, insipienza, grande alterigia, per invidia tenta ogni uomo affinché anche lui la perda, e vada con lui all’inferno: “Sì, Dio ha creato l’uomo per l’incorruttibilità, lo ha fatto immagine della propria natura. Ma per l’invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo e ne fanno esperienza coloro che le appartengono” (Sap 2,23-24). Oggi satana ha scatenato una delle sue più sanguinose battaglie non contro l’uomo che è già in suo potere, ma contro la Chiesa Una, Santa, Cattolica, Apostolica non può prevalere la sua vittoria. Sembra vivere quanto rivela il Libro dell’Apocalisse ci rivela: “Un segno grandioso apparve nel cielo: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e, sul capo, una corona di dodici stelle. Era incinta, e gridava per le doglie e il travaglio del parto. Allora apparve un altro segno nel cielo: un enorme drago rosso, con sette teste e dieci corna e sulle teste sette diademi; la sua coda trascinava un terzo delle stelle del cielo e le precipitava sulla terra. Il drago si pose davanti alla donna, che stava per partorire, in modo da divorare il bambino appena lo avesse partorito. Essa partorì un figlio maschio, destinato a governare tutte le nazioni con scettro di ferro, e suo figlio fu rapito verso Dio e verso il suo trono. La donna invece fuggì nel deserto, dove Dio le aveva preparato un rifugio perché vi fosse nutrita per milleduecentosessanta giorni” (Ap 12,1-6). Un terzo delle stelle del cielo non sono solo gli angeli di Dio, sono anche gli angeli delle Chiese. Solo il Padre sa fino a quando questa battaglia così cruenta durerà. A noi uomini la responsabilità di non cadere nelle falsità di satana e nelle sue menzogne, tentazioni contro Cristo, contro Dio, contro la stessa Chiesa. Oggi sono gli stessi figli della Chiesa che si proclamano dèi e salvatori. Dio, il Padre celeste, ha dato ad ogni uomo una sola via per elevarsi a dignità divina, per divenire partecipe della natura divina, per essere vero figlio di Dio. Questa via è il suo Verbo fattosi carne. Il Verbo si è fatto vero uomo, perché in Lui l’uomo divenisse Dio. Fosse divinizzato, elevato a dignità altissima. La via di satana è di superbia. La via iniziata dal Verbo è di umiltà, obbedienza. Il Verbo incarnato si fece obbediente al Padre fino alla morte e morte di croce e fu innanzato a Signore del cielo e della terra, Giudice dei vivi e dei morti. Chi vuole seguire Dio ha questa sola via: umiliarsi in Cristo fino alla morte di croce, divenire con Lui un solo sacrificio e olocausto di obbedienza. Ma satana non vuole questa via. Lui vuole condurci sulla via della superbia con ogni tentazione, a separarsi dalla purissima verità di Cristo Gesù, consegnandosi all’idolatria e all’immoralità, proclamando Dio ogni uomo.
“Vi annunzio una grande gioia: oggi vi è nato un Salvatore”. Ecco la buona nuova, quella che è venuta a cambiare la storia dell’umanità riempiendola di luce e di senso e aprendola al suo vero futuro. All'umanità affondata nel sonno e nel freddo appare la luce di Dio ed è subito l’annunzio del dono della gioia («vi annunzio una grande gioia»), è l’ingresso della pace nel mondo («pace in terra agli uomini che Dio ama»), ma è soprattutto la nascita di un bambino. È in questo bimbo la radice della speranza perché i suoi nomi sono straordinari: «Salvatore, Cristo, Signore». E i primi che hanno orecchi aperti per ascoltare questa «buona notizia», questo Vangelo, i primi che hanno occhi puri per vedere in quel bimbo, nato come un nomade, la sorgente della nostra salvezza, sono i pastori, gli ultimi della terra. Essi cercano e trovano, divenendo missionari del Cristo. Infatti - annota più avanti Luca - «tutti quelli che udirono si stupirono delle cose che i pastori dicevano». Per tutti quelli che sono semplici e puri come i pastori si apre, così, un’esistenza diversa, una vera e propria nascita interiore. In questa prospettiva il Natale richiede di essere spogliato da tutte quelle cose che lo convertono in un evento di mercato per essere riscoperto come la grande nascita. Nascita del Figlio di Dio fatto carne all’interno della nostra storia e delle nostre case; nascita di ogni suo fratello nella carne; nascita di ogni credente alla luce, alla gioia, alla pace, ad essere figlio di Dio. La nascita di Cristo è l’esaltazione della grazia, «della bontà di Dio e del suo amore per gli uomini», come scrive Paolo a Tito. Nella mangiatoia di Betlemme inizia la nostra salvezza che si attuerà in pienezza nel sepolcro di Gerusalemme. Per questo la liturgia orientale chiama questa solennità natalizia «la Pasqua del Natale». La luce di questa notte è già un bagliore di quella del mattino di Pasqua, il giorno della redenzione. Allora diventa più comprensibile perché la nascita di questo bimbo riempie il mondo di luce, che è gioia e che porta pace, così come aveva annunciato Isaia e così come lo vide Luca realizzarsi nel natale di Gesù: se Dio ha tanto amato l’uomo da dare il suo unico figlio per lui, se il Figlio ha tanto amato l’uomo da dare la propria vita perché avesse vita in abbondanza, anche noi dobbiamo amare l’uomo e difendere fino in fondo la sua dignità, là specialmente dove questa viene oltraggiata; i suoi diritti, tutti i suoi diritti, là specialmente dove questi vengono ignorati o calpestati; la sua vocazione e missione, là specialmente dove la si vuol ridurre a quella di un perfetto consumatore, di uno spettatore o di un agnostico installato perfettamente nella sua immanenza senza prospettive di futuro. Se Dio ha voluto che la nascita di questo bambino e il suo annuncio fossero accompagnati da un esercito celeste che lodava Dio e diceva: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama» (Lc 2,13b-14), pure noi dobbiamo essere costruttori di pace, di riconciliazione e di giustizia e non fabbricanti di armi o di muri che continuano a stroncare vite e separare i popoli. Se Dio ha voluto presentare la nascita di questo bambino come “l’annunzio di una grande gioia” per tutti, dobbiamo diventare entusiasti e convinti testimoni ed messaggeri della ‘gioia del Vangelo’ e non lasciarci rubare questo dono immenso che ci fa essere attenti a scoprire quanto c’è di buono, di vero e di bello in noi, in quelli che vivono accanto a noi, nei nostri ambienti, nella Chiesa, nel mondo. È la forma di ringraziare Dio per i suoi doni. È la forma di riempire di felicità il mondo. È la forma di imparare a vivere per gli altri. È quanto don Bosco additò ai suoi ragazzi come strada di santificazione. Tutto ciò richiede di noi il recupero dell’infanzia spirituale, quella che ci porta a essere ripieni di stupore dinanzi al miracolo della vita, colmi di gratitudine davanti alla novità, pieni di gioia di fronte alla speranza. Ecco tutto quanto rappresenta il Bambino Gesù: il nuovo uomo, la nuova umanità, che fa di ogni persona figli e figlie di Dio, che con essa crea comunione e comunità, che costruisce la pace, che si dona agli altri e porta il mondo alla sua totalità. Non possiamo dimenticare che questo bambino troverà la sua pienezza sulla morte in croce e nella sua risurrezione, come espressione suprema dell’amore. 2. E il Verbo si fece carne Mentre nella Messa della notte del Natale si evidenzia, come dev’essere, l’evento della nascita di Gesù, appunto perché si tratta di un avvenimento, sostanza della nostra fede e della nostra speranza, e non di un mito, o di un sogno o di un desiderio, o di una ideologia, l’eucaristia del giorno, attraverso la Parola, ci invita 3 ad approfondire il mistero celebrato con una meditazione ricchissima sull’evento, passando dalla gioia alla contemplazione. Lo “stupore” del mistero della nascita del Signore che ci trasmettono i testi biblici, offerti alla nostra meditazione, è come riassunto in quel versetto del Vangelo di Giovanni che esprime in forma magistrale l’immenso ed assoluto ‘sì’ di Dio all’Uomo: «Il Verbo si è fatto carne e ha posto la sua dimora in mezzo a noi» (Gv 1,14). Vi si affermano due cose, egualmente stupefacenti perché sembrano contraddittorie fra di loro: la prima è che il “Verbo”, cioè il Figlio stesso di Dio, “sua perfetta immagine e somiglianza”, si è “fatto carne” vale a dire debolezza umana, fragilità, essere deperibile e mortale; la seconda è che, proprio per questo suo farsi uomo, egli ha voluto prendere “dimora”, cioè domicilio, sua casa, in mezzo agli uomini, per dimostrare loro che non è soltanto “Emmanuel” “Dio-con noi” ma “Uomo-come-noi”, e che quindi conosce dall’interno la loro vicenda umana, i loro problemi, le loro sofferenze, le loro aspirazioni di bene e anche i fermenti di male e le paure che lacerano i loro cuori. Nel mistero dell’incarnazione che celebriamo in queste Feste, dobbiamo trovare la chiave della soluzione per le sfide gigantesche che stiamo vivendo, non solo e non tanto a livello economico e finanziario ma soprattutto antropologico e sociale, come la seppe trovare la prima comunità cristiana, che contemplando il mistero dell’incarnazione di Dio seppe decifrare il disegno salvifico di Dio. Questo è proprio il contenuto del Prologo del Vangelo di Giovanni che c’è viene offerto: una meditazione sul Verbo di Dio che, in Gesù di Nazareth, si è fatto abitante di questo mondo; Parola di Dio prima del tempo, creatrice di vita, che si converte in tempo e vita d’uomo; fatta carne, rese possibile la contemplazione della gloria di Dio. Agendo così, incarnandosi, Dio è rimasto finalmente a disposizione del credente; accampato nel mondo, ha assunto fino in fondo la natura umana, la creazione e la storia degli uomini. Dio è uscito all’incontro nostro attraverso il Verbo, e chi lo riconosce e accoglie riceve il potere di arrivare ad essere figlio di Dio. Solo nel Dio rivelato in Gesù Cristo trova risposta l’enigmatica e contraddittoria situazione dell'uomo, vista nelle sue quattro dimensioni fondamentali: di fronte a se stesso, di fronte agli altri, di fronte alla vita, e di fronte a Dio. La soluzione al conflitto storico se affermare Dio sacrificando l’Uomo, o affermare l’Uomo sacrificando Dio, si trova in chi è il “vero Dio e vero Uomo”: Gesù Cristo Signore Nostro. “In realtà il mistero dell’uomo solo si chiarisce nel mistero del Verbo Incarnato” (GS, 22). Nessuna meraviglia, dunque, che il Prologo raggiunga il suo culmine nell’espressione sopra citata: «Il Verbo si è fatto carne e ha posto la sua dimora in mezzo a noi» (Gv 1,14). È la confessione di un Dio che non volle rimanere indifferente al nostro mondo, di un Dio che non sopportò essere totalmente differente di noi, di un Dio che volle essere “Dio-con-noi” facendosi “Uomo-come noi”. Un Dio, così vicino, così uguale, non può che destare in noi sorpresa e affetto, meraviglia e amore. 4 Il Dio che ha fatto l’uomo a sua immagine e sua somiglianza (Gen 1,27), finì per farsi Lui stesso immagine e somiglianza dell’uomo (Gv 1, 14). Questa decisione di Dio non la riusciremmo a capire bene, se non potessimo intravvedere le conseguenze che ha per noi: se Gesù di Nazareth è stato la via che Dio ha percorso per venire fra gli uomini, Gesù di Nazareth deve essere il cammino che dobbiamo seguire per arrivare fino a Dio. E quanto più facciamo nostro il suo modo di vivere l’esistenza umana e quanto più amiamo come Lui ci amò, tanto più apriremo le porte della nostra vita a Lui ed avremo Dio nel nostro pensiero e nei nostri cuori e fra le nostre mani e porteremo a compimento la nostra vocazione: riprodurre fedelmente in noi l’immagine del Figlio di Dio. Se Gesù di Nazareth è il cammino di Dio verso l’uomo, se un uomo concreto è la faccia di Dio, vuol dire –e questa è la seconda conseguenza che dobbiamo assumere come credenti nell'incarnazione di Dio– che l’uomo concreto è il cammino dell’uomo verso Dio. Non possiamo cercare il Dio di Gesù lontano da dove lui è apparso: non è il cielo il luogo della sua presenza ma la terra, dove gli uomini vivono o stentano a vivere. Il Dio fatto Uomo abita fra noi; ogni uomo, specialmente, coloro che sono i più bisognosi, i meno fortunati, i più maltrattati e dimenticati, riflettono meglio il suo volto, e meglio si assomigliano a lui perché è stato lui a identificarsi con loro. Non è questa forse la missione salesiana: rendere visibile l’Amore di Dio ai giovani poveri, abbandonati e pericolanti? Proprio perché viviamo tempi difficili, carichi di sfide, ma anche di opportunità, oggi più che mai il mondo ha bisogno di persone che vivano per annunciare, testimoniare ed additare Gesù, il Dio fatto Uomo. Il Natale, infatti, altro non è che un immenso sì di Dio all’uomo, alla vita, alla libertà, alla pace, allo sviluppo, alla solidarietà, a tutto quanto c’è di buono, di vero, di bello, di nobile, di onorevole. Gesù è la rivelazione di Dio, la verità di Dio e dell’uomo, e riflettendo su questo evento siamo in grado di capire chi è colui che è nato e chi siamo noi. Il bambino di Betlemme è sì un bimbo come gli altri e la nascita di ogni bambino riempie di gioia e di speranza il mondo, ma nello stesso tempo non è un bimbo come gli altri, perché non è soltanto un bambino per i loro genitori, ma è un bambino per tutti gli uomini e donne del mondo. In certo senso, è il nostro bambino. Dobbiamo però fare un altro passo avanti, assolutamente necessario per addentrarci meglio nel mistero, perché il Natale è anche la memoria delle modalità storiche in cui il Figlio di Dio ha compiuto l’incarnazione. Ha scelto la vita del povero e dello sconfitto, perché noi potessimo scorgere la potenza di Dio nella scelta della sua povertà e della sua kenosi. È qui che egli vuole essere cercato, riconosciuto e accolto: come un uomo povero, bisognoso e sofferente, perché egli non solo si è fatto uomo, ma è rimasto tra gli uomini. Con la sua nascita, inoltre, ci ha fatto anche il dono di essere figli: «A quanti l’hanno accolto, ha dato il potere di diventare figli di Dio». Il Natale di Gesù è dunque anche nostro, quello della nostra rinascita a vita nuova. In Lui anche noi siamo stati «predestinati ad essere figli adottivi» del Padre celeste. Se lo stesso Dio ci chiama: «Tu sei mio figlio!», a noi non resta che ringraziarlo e gioire per la nostra partecipazione alla vita divina. 5 Conclusione Vorrei concludere questa riflessione lasciandovi quanto Luca ci presenta come atteggiamenti dei personaggi che prendono parte all’avvenimento della nascita di Gesù: la gente, Maria e i pastori (Lc 2:1-20). L’evangelista ci dice in questo modo qual è il modo migliore di reagire e di comportarsi di fronte al mistero. Il modo in cui vengono scritti i versetti dal 18 al 20 è magistrale. In effetti nel versetto 18 dice che «la gente si meravigliava»; nel v.20 ci fa vedere che «i pastori ritornarono glorificando Dio e lodandolo per quel che avevano visto e udito, così come era stato loro detto»; e nel v.19, al centro di tutti, appare «Maria (che) da parte sua conservava tutte queste cose meditandole nel suo cuore». Per Luca non basta una reazione di meraviglia che non porta alla fede, come quella della gente che ascoltava i pastori, e non basta nemmeno l’atteggiamento dei pastori che raccontano quanto è stato loro detto e quanto hanno visto del bambino. Per Luca l’atteggiamento più adeguato di fronte al mistero è quello di Maria, che non comprende tutto ma fa tesoro nel suo cuore finché Dio voglia rivelarle pienamente il significato di quello che vede, e intanto contempla, portando nuovamente la Parola al suo grembo. Nella nascita di Gesù, Maria ci insegna ad essere uomini di interiorità, di intensa spiritualità, frutto del nostro ascolto fedele ed attento della Parola, della meditazione paziente e religiosa e della contemplazione devota e rispettosa, cercando di penetrarne i significati più profondi. Solo così potremo “annunciare agli altri ciò che abbiamo visto e udito, quel che le nostre mani hanno toccato: la Vita”. Solo così riusciremo a essere degli evangelizzatori credibili, avendo creduto prima alla Parola che annunciamo e avendo sperimentato in noi stessi la sua verità di buona nuova. Solo così potremo incarnare la salvezza per coloro a cui Dio ci invia, i giovani, assumendo la loro cultura e rispondendo alle loro aspettative profonde di felicità, di vita e di amore. Si deve superare il sentimento facile e l’emozione inconsistente della gente che solo si meraviglia, ascoltando l’annuncio. Bisogna anche saper andare oltre la fretta dei pastori, a cui pare basti un primo annuncio della buona nuova per correre subito a divulgarla. Bisogna fare nostra l’interiorità di Maria che “conservava tutte queste cose meditandole in cuor suo”. Occorre rimanere presso Dio, in dio e con Dio, per ottenere la vita eterna senza fine nella gioia del Paradiso.


Dato a Roma nella Sede Episcopale il 06 Febbraio dell'Anno del Signore 2021
Nel VI Anno del Ministero Episcopale


+ Salvatore Micalef
Vescovo Ordinario
Documento Teologico Pastorale image
SUA ECC.ZA REV.MA MONS. SALVATORE MICALEF
VESCOVO ORDINARIO
DOCUMENTO TEOLOGICO PASTORALE

Exaltationis Sanctae Foederatio Immaculati Cordis Mariae, et in diaboli et peccati.


“Salvatore, Vescovo Ordinario, Successore degli Apostoli, e, Servo di nostro Signore Gesù Cristo”.

PROEMIO

“Santissima Trinità, Amore infinito, Misericordia traboccante, io confido in Te, che con un lampo della Tua Infinita Maestà dai Luce all'oscurità del peccato più grande e dissipi con un lampo le tenebre dell'Angelo ribelle, che è ferito dalla tua Misericordia che respinse dall'eternità! Maria, Tu Vergine Immacolata, sei il Dono della Misericordia e riflesso eterno della Sua Luce. Immagine della Chiesa pura e santa, ne sei Tu, o Immacolata, la porta che s'apre alla Luce che la illumina. Tu, Figlia del Dio Altissimo, madre del suo Figlio e Sposa dello Spirito, Tempio sublime della Trinità, schiacci e sconfiggi il nemico che la insidia e che, impotente, fa guerra ai fratelli di tuo Figlio. Madre della Misericordia, Figlia della Misericordia, Dono della Misericordia, Porta della Misericordia, illumina le tenebre che si avanzano e che si vestono di Luce che illumina l'abisso e sprofonda il cuore dei tuoi figli nell'inferno! Vergine Immacolata, Tu sei colei che ci fu data a consolatrice e quale certezza del nostro destino. Già dall'eternità redenta in Cristo, Immacolata per Lui, aiutami nelle insidie del Nemico!” (Preghiera all’Immacolata Concezione).

Breve Introduzione

La Madonna apparendo a Fatima in Località Cova d’Iria il 13 Maggio del 1917 disse espressamente ai tre pastorelli, Francesco, Giacinta e Lucia: “il Mio Cuore Immacolato Trionferà”, sul peccato e sul male, e sulla terra tornerà una pace duratura, soltanto se l’uomo si incammina nuovamente sulla via di Dio e si converte da tutte le sue scelleratezze. Questa profezia si compirà e niente e nessuno potrà impedire che ciò accada. Il Trionfo è una cosa certa, ma, perché avvenga bisogna che l’uomo torni pentito e contrito ai propri peccati davanti Dio con la preghiera, con i Sacramenti, e con la piena conversione del cuore, abbandonando con consapevolezza e per sempre la via che porta al male che lo vuole distruggere, e condurre con le proprie gambe nelle profondità dell’inferno, dove ci sarà pianto e stridore di denti per tutta l’eternità. Siamo giunti in un epoca di malvagi, di approfittatori, di coloro che hanno volutamente abbandonare Dio e la Sua Chiesa, fondata sul Sangue innocente di Gesù Cristo sparso sulla Croce per riparare i nostri miseri peccati, costruendosi intorno a loro un dio fatto a loro immagine e somiglianza, che porta aridità nel loro cuore, consumandoli in un vortice di sofferenza e disperazione interiore. Sembra che siano felici, ma sono come dei morti viventi che camminano, sbiaditi e privi di vita, privati della loro anima. Alla fine, la Madonna ci assicura che, il Suo Cuore Immacolato trionferà. Alla fine della grande battaglia dove si batteranno il bene ed il male, fra la Chiesa (specialmente Maria) e il Dragone (satana e i suoi seguaci), la bontà sarà totalmente trionfante sulla malvagità, che l’astuto serpente sarà legato con catene infuocate nelle profondità dell’inferno dove non nuocerà più a nessuno. La battaglia sarà terminata con una Grande Vittoria del Cuore immacolato di Maria. Il maligno verrà totalmente sconfitto, la sua testa orgogliosa sarà schiacciata dal calcagno di Maria. La Donna vincerà. Trionfo significa: vittoria sul peccato e sui demoni. Nel Cuore di Maria il bene ha già trionfato completamente sul mondo. In Lei non c’è nessuna traccia di peccato. Ora risiede in Cielo presso la SS.ma Trinità dove è già glorificata e incoronata Regina del Cielo e della terra, assolutamente scevra dalla contaminazione del male. La vittoria sul male ha raggiunto il suo culmine all’interno del suo Cuore Immacolato, che tuttavia, ha un significato ben più grande del suo trionfo personale sull’antico avversario. La profezia si riferisce al suo trionfo che avviene dentro ognuno di noi, nel momento in cui il peccato viene eliminato e scacciato definitivamente dalla nostra anima attraverso il pentimento, con il Sacramento della Confessione Sacramentale e l’amore regna nel mondo, e i nostri cuori diventeranno come il Suo. Questo è ciò che succede nel momento della nostra conversione dal peccato, che si realizza quando un cuore tormentato si rivolge a Dio con la fede e la sottomissione a Maria. Quando diciamo "si" a Dio, dichiarando il nostro "fiat" come fece Lei, ha inizio in noi il Trionfo del Suo Cuore Immacolato. Maria ha permesso a Dio di entrare dentro di Lei, per compiere la Sua volontà stabilita prima della creazione degli Angli e del mondo. Come messaggera di Dio Maria ci invita ad accettare la potenza salvifica di Dio chiamandoci al pentimento e alla vera contrizione dei nostri peccati. Il nostro trionfo sul demonio inizia quando diciamo con vera e profonda Fede "si" a Lui e alla Madonna, Allora questo cresce mettendo radici sempre più in profondità fino al giorno in cui verremo portati in Cielo per essere con Cristo, proprio come Maria, venne portata in Cielo dagli Angeli con la sua Assunzione in corpo e anima. Il Trionfo "alla fine" si comparirà sulla terra, quando tutti nel mondo acconsentiranno a ripetere il "si" che Maria diede a Dio nel momento in cui acconsentì a diventare la Madre del Suo Santissimo Figlio, il Signore Gesù Cristo. Tutto questo è già iniziato, poiché nel corso degli anni tante anime in tutto il mondo hanno già ascoltato i messaggi della Madonna durante le varie apparizioni e hanno fatto le scelte che Lei ha suggerito. Essi hanno detto "si" al Signore e si sono uniti a Maria nella preghiera e nel sacrificio per aiutarla a salvarci tutti e a portare l’Era di Pace in questo mondo devastato dal peccato e dal demonio. Questo è un trionfo del "si" pieno di fede, che è stato per tanti anni conservato nei nostri cuori, fin dall’infanzia, quando i nostri genitori cominciano a istruirci alla vera Fede, attraverso la Parrocchia, il Catechismo e i Sacramenti. Le preghiere e le vite virtuose poetano benedizioni e protezione a questa generazione indegna. purtroppo per la stragrande maggioranza il Trionfo sembra non essere ancora incominciato. È a questi suoi figli che la Madonna indirizza i messaggi. Lei non vuole che si perdano nelle profondità dell’inferno ma che si salvino tutti senza nessuno escluso. Essi devono lasciare per sempre il loro orgoglio e la loro presunzione di farsi dio in terra e con cuore contrito e penitente, rivolgersi al Signore per essere salvati. Allora anche in loro verrà il Trionfo del Cuore Immacolato di Maria. Attraverso i messaggi di salvezza, la Regina del Cielo e della terra ci assicura che la situazione attuale sarà rovesciata totalmente dall’intervento di Dio. Attraverso la Sua grande misericordia, per mezzo, e per l’intercessione del Cuore Immacolato di Maria e di tutti coloro che si uniscono a lei nello sforzo di cambiare questo mondo, questo accadrà in modo meraviglioso e grande. Non solo la Russia ma tutto il mondo si convertirà. Maria ha promesso la conversione a livello mondiale. Il Castigo, se ci sarà, la garantirà. La conversione del mondo verrà sicuramente, e diventerà Suo attraverso la nostra conversione e il Suo intervento. Il Trionfo del Cuore Immacolato arriverà, possiamo starne certi di questo. A Dio tutto è possibile, Egli è Eterno, come lo saremo noi miseri uomini se saremo degni di entrare nel Suo Regno. Dio fin dal principio della creazione del mondo "desidera stabilire nel mondo la devozione al Cuore Immacolato". Egli desidera rendere gloria a Sua Madre sulla terra. La Sua intenzione a questo riguardo è ovvia se consideriamo le implicazioni dell’Assunzione di Maria in corpo e anima, un mistero così perfetto, che ci garantisce che Egli le ha già dato personalmente tutta la gloria che Lei può ricevere. Egli la riempie di gloria attraverso Gesù, suo Figlio, che possiede quella gloria come sua. Egli che è "pieno di grazia e di verità", "il Figlio unigenito del Padre" su cui dimora il suo favore, vuole glorificare Sua Madre Maria il più possibile, dandole la pienezza della Resurrezione che Egli stesso ha ricevuto dallo Spirito Santo. Noi uomini dobbiamo aiutarlo in questa grande missione. Dobbiamo glorificare con ogni mezzo a nostra disposizione Maria con Lui, riconoscere senza vergogna davanti a tutti gli uomini e le donne di questa terra, la meravigliosa opera che Egli ha compiuto in Lei, rendendola più bella del sole e delle stelle, più incantevole della luna, incoronandola Regina di tutto l’universo, nelle candide vesti abbaglianti della luce del Signore. Noi la glorificheremo obbedendo ai suoi ricorrenti richiami al pentimento e alla conversione del nostro cuore, imitando la sua risposta data a Gesù, proclamando il suo nome come Madre di Dio, Madre nostra e Madre della Chiesa. Dio vuole che si sappia in tutto il mondo che il trionfo del bene sul male deve avvenire, e avverrà, attraverso il Cuore Immacolato di Maria. Lei verrà glorificata sia da Dio che da noi sulla terra, perché sarà manifesto che Dio ha operato il Trionfo attraverso di Lei. Il Trionfo del Cuore Immacolato di Maria sarà un evento di conversione così potente e universale che tutti saranno spinti a lodare Dio per le magnifiche opere che Egli ha fatto nella Sua creatura, Maria. La grandiosa potenza che questa umile serva possiede nel partecipare alla redenzione del mondo sarà ampiamente chiara agli occhi di tutti, anche di coloro che ancora non credono. Sarà riconoscibile nella totale conversione del mondo come un evento storico di una tale portata che illuminerà tutti i passati momenti di gloria. Dio accorderà un’immensa gloria a Maria, attraverso il Cuore Immacolato, e allora anche noi inizieremo a comprendere la gloria con la quale Egli intende adornare ciascuno di noi. Maria mostrerà, nel Trionfo del Suo Cuore, che ha sofferto in pieno la Passione del Suo adorato Figlio fino alla Sua morte in Croce, l’inestimabile gloria promessa alla Chiesa e a ciascuno di noi. Il nostro destino è il suo stesso destino, se ci pentiamo amaramente dei nostri peccati e cerchiamo il Signore con tutto il nostro cuore, l’anima e la nostra mente. Anche noi saremo glorificati da Dio con Gesù e Maria, con la stessa gloria dello Spirito Santo che essi hanno ricevuto dal Padre. Amen.

CAPITOLO I
Nascita della devozione del Cuore Immacolato di Maria


Nell’Anno 1944 Sua Santità Papa Pio XII estese a tutta la Chiesa la festa del Cuore Immacolato di Maria, che fino a quella data era stata celebrata solo in alcuni luoghi e su speciale concessione della Chiesa stessa. Il calendario liturgico fissa la festa come Memoria facoltativa il giorno dopo la Solennità del Sacro Cuore di Gesù definita: celebrazione mobile. La vicinanza delle due feste riconduce a S. Giovanni Eudes, il quale, nei suoi scritti, non separò mai i due Cuori, di Gesù e di Maria: egli sottolinea l’unione profonda della Madre col Figlio di Dio fatto carne, la cui vita pulsò per nove mesi ritmicamente con quella del cuore di Maria. La Festa Liturgica sottolinea il lavoro spirituale del cuore della prima discepola di Cristo e presenta Maria SS.ma come protesa, nell’intimo del suo cuore, all’ascolto e all’approfondimento della Parola di Dio, che è la linfa vitale di ogni essere umano. Maria medita nel suo cuore gli eventi straordinari in cui è coinvolta insieme a Gesù, cercando di penetrare il mistero che sta vivendo e questo le fa scoprire la Volontà del Signore, che agisce per sua intercessione. Con questo suo modo di essere, Maria ci insegna ad ascoltare e a vivere pienamente la Parola di Dio e a nutrirci del Corpo e Sangue di suo Figlio Gesù, come cibo spirituale per la nostra anima, e ci invita con umiltà a ricercare il Signore nella meditazione, nella preghiera e nel silenzio, per comprendere e compiere la sua santa Volontà. Maria, con il Suo amore di mamma, ci insegna a riflettere sugli avvenimenti della nostra vita quotidiana e a scoprire in essi Dio che si rivela a noi, inserendosi nella nostra vita e nella nostra storia. La devozione al Cuore Immacolato di Maria ha ricevuto un forte impulso dopo le apparizioni della Madonna a Fatima del 1917, in cui la Vergine Maria ha chiesto espressamente al mondo intero di consacrarsi al suo Cuore Immacolato. Questa consacrazione trova fondamento nelle parole di Gesù sulla croce, che disse al discepolo Giovanni: “donna ecco tuo figlio” “figlio, ecco tua madre!”. Consacrarsi al Cuore Immacolato di Maria significa farsi guidare dalla Madre di Dio per vivere in pienezza le promesse battesimali e per raggiungere un’intima comunione con suo Figlio Gesù. Chi desidera accogliere questo dono preziosissimo, scelga una data in cui consacrarsi a questo Cuore Immacolato e si prepari spiritualmente per almeno un mese, con la recita quotidiana del Santo Rosario e la partecipazione frequente alla S. Messa, la Confessione e la Comunione Sacramentale. Nella Sacra Scrittura, il termine “cuore” è alla base del rapporto religioso dell’uomo con Dio. Il cuore oltre ad essere un organo vitale per l’uomo, è al centro di tutta la vita spirituale dell’uomo; è il principio di vita, memoria, pensiero, volontà, interiorità: il cuore è inteso come sede dell’incontro personale con Dio. La devozione al Cuore di Maria ha il privilegio di poter contare su due testi chiave del Nuovo testamento. Essi sono: «Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo Cuore» (Lc 2,19); «Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo Cuore» (Lc 2,51). Dai due testi appare la partecipazione in prima persona alla profondità dell’associazione interiore di Maria come correlatrice all’opera salvifica di suo Figlio Gesù Cristo nostro Signore. Tutto ciò che si compie nel corpo paziente del Figlio, si compie nell’anima e nel Cuore della Madre, che viene rappresentata come spinta, nell’intimo del suo Cuore, all’ascolto e all’approfondimento della Parola di Dio. Quindi, viene sottolineato l’atteggiamento contemplativo di Maria nei misteri della vita di Gesù: possiamo pensare a Maria che, dopo l’annuncio dell’Angelo Gabriele, s’interroga intimamente sui disegni di Dio a suo riguardo e ripete la sua risposta di accettazione: «Avvenga per me secondo la tua parola» (Lc 1,38). È la preghiera di adesione piena di fare solo ed esclusivamente la volontà di Dio in pieno. Ci viene così insegnato che conservare nel cuore “tutte” le cose che riguardano il Signore è un impegno permanente della fede cristiana per tutti, in ogni tempo e in ogni luogo della terra. Lungo le varie tappe dell’anno liturgico, noi “facciamo memoria” di tutte le parole e i gesti compiuti da Gesù nel corso della Sua vita terrena, che comprendono: la sua dolorosa passione, morte e resurrezione, e, come Maria li mettiamo a confronto, li riviviamo, li sperimentiamo soprattutto nell’ora della prova e della tentazione. Ha affermato San Giovanni Paolo II in tante delle sue Omelie: «L’atteggiamento di Maria ispira la nostra fede: quando soffiano le tempeste e tutto sembra naufragare intorno a noi, ci sostenga la memoria di quanto il Signore ha fatto in passato». «La bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda» (Mt 12,34); per questo la meravigliosa preghiera del Magnificat ci svela la ricchezza del Cuore umile e regale di Maria. È un Cuore che canta la lode di Dio e il suo canto non è solo il canto solitario della storia di un’anima, ma quello della storia della salvezza di tutto il popolo di Dio. È un Cuore che canta la liberazione dei poveri di Jahvéh, perché in lei tutti i mendicanti di Dio acclamano il Signore della gloria e della misericordia. Le pagine della Sacra Scrittura in cui compare il Cuore mettono in evidenza la profonda associazione di Maria a tutta l’opera salvifica di Cristo: tutto ciò che si compie nel Figlio, si compie anche nell’anima del Suo Cuore Immacolato di Madre. Ella è la nemica numero uno del demonio, che strappa le anime dei poveri peccatori dai suoi artigli e li conduce davanti alla Misericordia del Figlio, che una volta pentiti e purificati dalle loro colpe li conduce in Paradiso.
Venerazione del Cuore Immacolato di Maria da alcuni santi:
Il beato Isidoro Bover (1890-1936), un pio e dotto figlio di Sant’Ignazio di Loyola, raccolse quasi quattrocento sentenze e titoli dai Padri, Dottori della Chiesa, Santi e autori mistici, che, iniziando dal Vangelo, si addentrarono nella contemplazione e devozione dei Cuori di Gesù e di Maria e prepararono con le loro opere e coi loro esempi l’evento meraviglioso del culto pubblico ai Sacri Cuori, che sovente negli scritti dei Santi sono uniti, come uniti furono e sono nello Spirito Santo per tutta l’eternità beata. Tuttavia, non mancano i contemplativi e gli scrittori che hanno fissato il loro sguardo in modo speciale al Cuore di Maria. Per esempio, san Gregorio Taumaturgo chiama il Cuore di Maria «vaso e ricettacolo di tutti i misteri di Dio». Simeone Metafraste mette sulla bocca di Maria queste parole rivolte al Figlio: «Il tuo costato fu sì trafitto, ma nello stesso istante lo fu anche il mio Cuore». Sant’Agostino Vescovo asserisce che il «concepimento della Vergine avvenne prima nel suo Cuore e successivamente nel suo grembo verginale». Questo tema che è stato ripreso e sviluppato in tutto il Medioevo e nelle epoche successive, al Concilio Vaticano II e fino ai nostri giorni. Così con sant’Ambrogio, sant’Anselmo, Eadmero, san Bernardo, Ugo di san Vittore, san Bonaventura, sant’Antonino da Firenze, san Pietro Canisio, san Francesco di Sales, la devozione al Cuore di Maria fiorisce in un vero e proprio culto privato, che risana tutti da ogni colpa. Nel periodo del Medioevo, l’evento della congiunzione dei due Cuori redentori sofferenti sul Calvario è stato meravigliosamente sviluppato nel famoso “Stabat Mater”, attribuito a Jacopone da Todi (1239-1306). Il culto troverà però incremento soprattutto ad opera di santa Matilde di Hacheborn (1241-1298), santa Gertrude la Grande (1252-1302) e santa Brigida di Svezia (1303-1373). Leggiamo, infatti, nelle Rivelazioni di santa Brigida di Svezia, che Gesù disse alla sua serva fedele: «Il Cuore di mia Madre era come il mio Cuore; posso dire che mia Madre ed io, con un sol Cuore, abbiamo operato la redenzione del genere umano». Arnaldo di Bonavalle († 1156), nella mistica transfissione del Cuore di Maria ai piedi della croce, vede il fondamento della sua azione di Corredentrice del genere umano: «Ambedue: la Madre e il Figlio offrivano a Dio lo stesso sacrificio, ella col sangue del suo Cuore, egli col sangue del suo corpo martoriato sulla Croce». San Bernardino da Siena può chiamarsi il «dottore del Cuore di Maria». In quel Cuore egli vede come una viva fornace da cui fuoriescono sette fiamme, che sono sette atti di amore espressi nelle sette parole evangeliche della Madonna. Nello “Stimolus Amoris”, opera per lungo tempo attribuita a san Bonaventura, ma appartenente al beato Giacomo da Milano, leggiamo questa frase determinante: «Tutta l’opera della salvezza sgorga dal Cuore Immacolato di Maria»; Goffredo Admontensis afferma con uguale chiarezza e determinazione: «Lo Spirito Santo conferì a Maria tutti i doni della grazia e tutti li radunò nel Cuore di lei, perché così Ella potesse sanare e salvare le anime dalle insidie del diavolo». Quindi, riassumendo: i santi, gli scrittori ecclesiastici, i mistici, hanno visto nel Cuore Immacolato di Maria il vero ed autentico Paradiso di Dio, l’Eden del novello Adamo, l’Arca dell’Alleanza, la Scala del cielo, il Trono del Re Messia, il tempio santo di Dio, la sorgente della grazia, e pertanto lo hanno chiamato: Cuore santo, Cuore Sacro, Cuore fulgente di candore, Cuore verginale, Cuore materno, Cuore regale, Cuore purissimo e finalmente Cuore Immacolato di Maria, il titolo più dolce e più comprensivo, che si possa attribuire alla Madre di Dio e nostra. Dopo una breve eclissi (sec. XV), il culto al Cuore di Maria riprese più vigoroso nel secolo XVI sino a divenire all’inizio del sec. XVII davvero familiare alle anime contemplative e devote della Madre di Gesù. Questo secolo passerà alla storia soprattutto ad opera di santa Margherita Maria Alacoque, che in esso si registrarono tutto un fiorire di devozione ai sacri Cuori. Santa Giovanna Francesca di Chantal (1572-1641) firma i suoi voti su una carta che vuole poi essere sepolta con lei: «Mia dolcissima Madre, metti nel Cuore di tuo Figlio questa indegna creatura e le sue risoluzioni, affinché esse siano eterne». Il venerabile Vincenzo Caraffa (1585-1649) afferma: «Per rendere omaggio alla Madre di Dio e domandarle con felice esito qualche virtù, cerchiamo di renderci abituale tutti i giorni della settimana la pia pratica di unire il suo Cuore materno a quello di Gesù». Il venerabile Paolo de Barrj, gesuita (1585-1661) afferma: «Regina del cielo e della terra, eccomi umilmente prostrato alla tua divina maestà, per offrirti un dono di cui non si conobbe mai l’uguale. Ti offro il Cuore amoroso di Gesù, tuo amabilissimo Figlio e mio adorabile Redentore. Non è questo il dono più ricco che possa offrire sulla terra? Questo divin Cuore vale più di tutti i mondi possibili, anche se questi fossero pieni di serafini; questo Sacro Cuore vale di più di tutti i cori degli angeli e dei santi che potrebbero essere se Dio li facesse uscire dal seno della sua onnipotenza. Questo Cuore è il Cuore dei cuori, il Cuore tutto tenerezza, il Cuore quasi simile a quello dell’augustissima Trinità; ed è anche il Cuore che, è sorgente vivificante delle più elette benedizioni, il più bell’oggetto delle tue compiacenze: perciò è questo Cuore che voglio offrirti in dono. Degnati, o mia cara Madre celeste, di gradire questa offerta e ottienimi la grazia della perseveranza finale. Dal Cuore di Gesù attendo il resto… la felicità… la gloria e il Paradiso, se ne sarò degno». Sino al secolo XVII, dunque, il culto privato per il Cuore di Maria, cominciato con san Giovanni l’Apostolo e Evangelista, andò sempre crescendo; e poco importa se invece di “culto” adoperiamo il termine “devozione privata”; per l’attività ammirabile di san Giovanni Eudes, infatti, in alcune regioni e in alcuni Ordini religiosi, diventò culto pubblico, in quanto venne dotato della Messa e dell’Ufficio propri in tutto il corso dell’Anno Liturgico Pastorale. San Giovanni Eudes (1601-1680) è stato l’ardente apostolo, il dotto teologo, il cantore ispirato del culto del Sacro Cuore di Gesù insieme al Sacro Cuore di Maria. Predicatore di missioni popolari, lo diffuse in una ventina di diocesi della Francia, fondando dappertutto le sue confraternite ai due Sacri Cuori; scrisse una grande opera, “Il Cuore ammirabile della Madre di Dio”. L’8 febbraio 1648 ad Autun, con l’approvazione del vescovo della diocesi e con grande solennità, il mondo celebrò per la prima volta nella storia la festa in onore del Cuore di Maria. Il testo latino, compresi gli inni e la sequenza della Messa, erano stati composti dallo stesso Santo. Padre Giovanni Croiset, confessore di santa Margherita Alacoque afferma: «I Cuori di Gesù e di Maria sono talmente conformi e uniti tra loro che non si può entrare in uno, senza introdursi contemporaneamente nell’altro. Con questa differenza, però: che il Cuore di Gesù ammette soltanto anime sommamente pure, mentre quello di Maria, mediante apposite grazie che loro ottiene, prima le purifica e poi le mette in condizione di essere introdotte nel Cuore di Gesù. Se non abbiamo una grande tenerezza per la Madre, non possiamo desiderare l’amore per il Figlio. Dobbiamo ritenere per certo che, soltanto per suo mezzo, troveremo grazia presso Gesù Cristo e potremo essere accolti dal suo sacratissimo Cuore». San Francesco di Sales fece del Cuore della Vergine Maria il luogo d’incontro delle anime con lo Spirito Santo. Al momento della Comunione, il nostro cuore diventa come quello di Maria: come lei e con lei ospitiamo Gesù, ci nutriamo della sua Parola e diveniamo suoi fedeli annunciatori. Dopo di lui, la devozione al Cuore di Maria vive in un continuo crescendo con tempi particolarmente favorevoli dovuti, in primo luogo, alla Medaglia Miracolosa (1830). In tale occasione la Vergine, apparendo a santa Caterina Labouré a Parigi, chiese a questa umile Figlia della Carità di far coniare e diffondere una medaglia che portasse da un lato l’immagine dell’Immacolata con l’iscrizione: «O Maria, concepita senza peccato, prega per noi che ricorriamo a te» e dall’altro lato, sotto la lettera M, il Cuore di Gesù circondato da una corona di spine e il Cuore di Maria, trafitto da una spada. Si tratta della nota “Medaglia Miracolosa”, così chiamata a motivo delle numerose straordinarie conversioni e delle guarigioni prodigiose ottenute da coloro che la portano e invocano devotamente colei che la volle. C’è da ricordare anche l’Arciconfraternita del Cuore Immacolato di Maria, fondata nel 1836 dall’abate Desgenettes, in riconoscenza delle grazie ricevute dopo aver consacrato al Cuore Immacolato di Maria la sua parrocchia, che si trovava in uno stato deplorevole. Collegati con la Medaglia Miracolosa sono lo Scapolare verde del Cuore Immacolato di Maria e lo Scapolare rosso della Passione, ossia del Sacro Cuore di Gesù e del Cuore amantissimo e addolorato della Beata e Immacolata Vergine Maria. L’8 settembre del 1840, a dieci anni dalle apparizioni della Madonna a santa Caterina Labouré, suor Giustina Bisqueyburu, giovane novizia delle Figlie della Carità di San Vincenzo de’ Paoli, in Rue du Bac, in una visione vide la Madonna con il suo Cuore sormontato da fiamme nella mano destra, e nell’altra, una specie di Scapolare di stoffa verde; da una parte, l’immagine di Maria che teneva nelle mani il suo Cuore trafitto e sull’altra parte un Cuore trafitto da una spada tutto acceso di raggi più brillanti del sole e trasparenti come il cristallo. Il Cuore era circondato dalla scritta: «Cuore Immacolato di Maria, pregate per noi, adesso e nell’ora della nostra morte». Una voce interna le disse che questa immagine avrebbe dovuto contribuire alla conversione dei peccatori e procurare loro una buona morte; le chiese dunque di confezionarla al più presto e di distribuirla con fiducia. Dopo una prima approvazione dell’arcivescovo di Parigi monsignor Affre, di cui però non esiste documento scritto, Sua Santità Papa Pio IX diede la sua approvazione orale per ben due volte: «È una bella e pia immagine. Do il permesso a questo Scapolare e autorizzo quelle buone suore a confezionarlo e a distribuirlo in tutto il mondo». L’autorizzazione scritta si ebbe dall’arcivescovo di Cambrai, mons. Delamaire, e porta la data del 13 luglio 1911. Dopo allora le approvazioni furono molte, ovunque lo Scapolare fu usato, ma la cosa più importante fu la conferma del cielo, con i miracoli di conversione e tante grazie che si moltiplicarono. Il fatto più noto fu quello avvenuto nel 1859, con la conversione in punto di morte e la confessione del suo misfatto da parte dell’assassino di monsignor Affre, arcivescovo di Parigi. La storia di questa conversione fu raccontata da suor Dufés, una delle due Figlie della Carità che assistettero il moribondo fino alla fine. L’assassino morì dicendo: «È a Maria, Rifugio dei peccatori, che devo la mia conversione». Suor Dufés gli aveva nascosto lo Scapolare verde sotto il cuscino, ma quello che ha contato ancora di più sono state le preghiere dette con grande fiducia e amore nell’intercessione della Vergine che lo hanno accompagnato. Non si tratta, infatti, di un oggetto “magico”, ma di un oggetto benedetto, che deve suscitare nel cuore e nella mente sentimenti di penitenza e di amore per Dio e la Vergine santa e perciò di vera ed autentica conversione. Sei anni dopo, il 26 luglio 1846, un’altra Figlia della Carità, suor Luigia Apollina Andriveau, in visione vide sull’altare nostro Signore, vestito di rosso con il manto blu, che teneva nella mano destra uno Scapolare rosso: su di una facciata era raffigurato Gesù in croce circondato dagli strumenti della Passione e dalla scritta: «Santa Passione di nostro Signor Gesù Cristo, salvaci!», sull’altra era impressa l’immagine del Sacro Cuore di Gesù, incoronato di spine, e di Maria, trapassato dalla spada; fra i due Cuori una croce e attorno la scritta: «Sacri Cuori di Gesù e Maria, proteggeteci!». Questa apparizione si ripeté diverse volte e il 14 settembre 1846 Gesù fece sentire a suor Apollina questa consolante promessa: «Coloro che porteranno lo Scapolare con amore, riceveranno ogni venerdì un aumento di fede, speranza e carità». Nel 1847, il Papa Pio IX approvò lo Scapolare, lo arricchì d’indulgenze, autorizzando i Preti della Missione a benedirlo e diffonderlo. In seguito alla definizione del Dogma dell’Immacolata Concezione (1854) divenne comune l’espressione “Cuore Immacolato” applicato a Maria. Essa fu convalidata dalle apparizioni della Madonna alla Cova d’Irja (1917) e raggiunse la massima diffusione negli anni 1942-1952, a causa degli avvenimenti di Fatima, che determinarono la consacrazione del mondo al Cuore Immacolato a cui seguì una moltitudine di altre Consacrazioni da parte di istituzioni ecclesiastiche. Il 13 ottobre 1942, in occasione del XXV anniversario di Fatima, Pio XII consacrò al Cuore Immacolato di Maria, considerato simbolo del suo amore, la grande famiglia cristiana e tutto il genere umano: «Con questo culto, la Chiesa rende al Cuore Immacolato della santa Vergine Maria l’onore che le è dovuto, dato che sotto il simbolo del Cuore essa onora la sua eminente santità e specialmente il suo ardente amore per Dio e per il suo Figlio Gesù, come il suo amore materno per gli uomini, redenti dal sangue di Gesù che vero Dio e Vero Uomo». Il 4 maggio 1944 estese a tutta la Chiesa la festa del Cuore di Maria, già approvata da Pio IX nel 1855, cambiandone, però, la Messa e l’Ufficio delle Letture, fissandone la celebrazione al 22 agosto (ottava della festa dell’Assunzione) per invocare la pace su tutto il mondo intero; mentre l’ultima riforma liturgica l’ha collocata nel sabato successivo alla solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù, dopo la Solennità del Corpus Domini. Anche negli “anni Mariani”, indetti dopo la Seconda guerra mondiale, fu prestata particolare attenzione al Cuore Immacolato di Maria. In particolare, nel giubileo straordinario della redenzione, iniziato il 25 marzo 1983, San Giovanni Paolo II, nella lettera dell’8 dicembre indirizzata a tutti i Vescovi della Chiesa, così si espresse: «Nel presente giorno, solennità dell’Immacolata Concezione, la Chiesa medita la potenza salvifica della redenzione di Cristo nel concepimento della donna, destinata ad essere la Madre del Redentore. Nel contesto dell’anno santo della redenzione, desidero professare questa potenza insieme con voi e con la Chiesa intera. Desidero professarla mediante l’Immacolato Cuore della genitrice di Dio, che in misura particolarissima ha sperimentato questa potenza salvifica». Troviamo un riferimento importante anche nell’Atto di affidamento alla Madonna, dove San Giovanni Paolo II afferma: «Quaranta anni fa e poi ancora dieci anni dopo, il tuo servo, il Papa Pio XII, avendo davanti agli occhi le dolorose esperienze della famiglia umana, ha affidato e consacrato al tuo Cuore Immacolato tutto il mondo e specialmente i popoli, che per la loro situazione sono particolare oggetto del tuo amore e della tua sollecitudine. Oh, Cuore Immacolato! Aiutaci a vincere la minaccia del male, che così facilmente si radica nel cuore degli uomini d’oggi e che nei suoi effetti incommensurabili già grava nella vita presente e sembra chiudere le vie verso il futuro. Nel tuo Cuore Immacolato si riveli per tutti la luce della speranza». La venerazione del Cuore Immacolato di Maria conduce a coltivare la purezza, l’umiltà, la disponibilità al servizio e a ripetere con la Vergine Madre il nostro «Eccomi» e il nostro «sì», anche alle più imprevedibili richieste del Signore. Così la Madonna, figura della Chiesa, segno di certa speranza e di consolazione per il popolo di Dio in cammino, presentandoci il suo Cuore modellato su quello di suo Figlio Gesù, ci è Madre e Maestra nell'indicarci la via per conformare il nostro cuore a quello del Suo Adorato Figlio.

CAPITOLO II
La salvezza del mondo intero con la realizzazione della Grande Promessa del Cuore Immacolato di Maria


La Vergine Maria tra l’altro disse a Lucia: "Gesù vuole servirsi di te per farmi conoscere e amare nel mondo intero. Egli vuole stabilire nel mondo la devozione al mio Cuore Immacolato". Nel susseguirsi dell’apparizione, la Vergine Santa fece vedere ai tre pastorelli il suo Cuore di Mamma coronato di spine: amareggiato per i peccati dei figli e per la loro dannazione eterna! Lucia stessa racconta: "Il 10 dicembre del 1925 mi apparve in camera la Vergine Santissima e al suo fianco un Bambino, come sospeso su una nube. La Madonna gli teneva la mano sulle spalle e, contemporaneamente, nell'altra mano reggeva un Cuore circondato di spine. In quel momento il Bambino disse: "Abbi compassione del Cuore della Tua Madre Santissima avvolto nelle spine che gli uomini ingrati e peccatori gli configgono continuamente, mentre non v'è chi faccia atti di riparazione per strappargliele". E subito la Vergine Santissima aggiunse: "Guarda, figlia mia, il mio Cuore circondato di spine che gli uomini irriconoscenti e senza scrupoli mi infliggono continuamente con bestemmie e ingratitudini senza fine. Consolami almeno tu e fa sapere questo, a tutti coloro che per cinque mesi di fila, al primo sabato, si confesseranno, riceveranno la santa Comunione, reciteranno il Santo Rosario e mi faranno compagnia per quindici minuti meditando i Misteri, con l'intenzione di offrirmi riparazioni, prometto di assisterli nell'ora della morte con tutte le grazie necessarie alla salvezza eterna". Ora per ottenere la promessa del Cuore di Maria si richiedono le seguenti condizioni:
  •  Confessione, fatta entro gli otto giorni precedenti, o il giorno stesso, con l'intenzione di riparare le offese fatte al Cuore Immacolato di Maria. Se uno nella confessione si dimentica di fare tale intenzione, può formularla nella confessione seguente.
  •  Comunione, fatta in grazia di Dio con la stessa intenzione della confessione.
  •  La Comunione deve essere fatta nel primo sabato di ogni mese.
  •  La Confessione e la Comunione devono ripetersi per cinque mesi consecutivi, senza interruzione, altrimenti si deve ricominciare da capo.
  •  Recitare la corona del Rosario, almeno la terza parte, con la stessa intenzione della confessione.
  •  Meditazione, per un quarto d'ora fare compagnia alla SS.ma Vergine meditando sui misteri del Rosario.
Il confessore di Lucia le chiese il motivo del numero cinque. Lei con tanta umiltà lo chiese a Gesù, il quale le rispose: "Si tratta di riparare le cinque offese dirette al Cuore Immacolato di Maria. 1 Le bestemmie contro la sua Immacolata Concezione. 2 Contro la sua Verginità. 3 Contro la sua Maternità divina e il rifiuto di riconoscerla come Madre degli uomini. 4 L'opera di coloro che pubblicamente infondono nel cuore dei piccoli l'indifferenza, il disprezzo e perfino l'odio contro questa Madre Immacolata. 5 L'opera di coloro che la offendono direttamente nelle sue immagini sacre. «Il Signore Gesù 'Vuole' stabilire nel mondo la Devozione al mio Cuore Immacolato» «Solo il mio Cuore di Mamma può venire in vostro soccorso» quindi, è giunto il tempo in cui le «Promesse» fatte dalla Madonna a Fatima, sono prossime al loro compimento infatti, come dicevo nel primo capitolo, l'ora della «vittoria» del Cuore Immacolato di Maria, Madre di Dio e Madre nostra, si avvicina a grandi passi; di conseguenza, per chi sarà meritevole, sarà anche l'ora del grande miracolo della Divina Misericordia per l'intera umanità, intrappolata dalle insidie del male e del peccato: «Il mondo avrà un tempo di pace». La Madonna vuole operare questo mirabile Evento con la nostra piena ed efficace collaborazione. Lei che ha offerto a Dio la sua piena disponibilità nel momento dell’Annunciazione e poi dell’Incarnazione del verbo di dio fatto carne in tutto eccetto il peccato dicendo: «Ecco, sono l'Ancella del Signore», Ella, tutta Pura e tutta Santa, ripete a ciascuno di noi le parole dette un giorno a Lucia: «Il Signore vuole servirsi di te». I Sacerdoti e le famiglie cristiane sono chiamati in «prima linea» a collaborare e a combattere con tutte le forze, sempre con l’aiuto della SS.ma Trinità e di Maria SS.ma al compimento di questo trionfo sul peccato e sulla morte. Ora, ci siamo mai chiesti quale sia il messaggio autentico delle apparizioni e delle rivelazioni di Fatima? L'annunzio della guerra, la conversione della Russia con la caduta del comunismo nel mondo? Oggi possiamo anche aggiungere la conversione del dragon rosso, la Cina, che miete vittime, perseguita con crudeltà i cristiani e distrugge le Chiese. La risposta è NO! Quindi, è la promessa della pace duratura per tutta l’umanità? Neppure! Il «vero ed autentico messaggio» delle apparizioni avvenute a Fatima a cavallo delle due Guerre Mondiali che hanno causato milioni di morti, è «la devozione al Cuore Immacolato e Addolorato di Maria e il Suo Trionfo». Essa viene dal cielo! Quindi è volontà di Dio che tutto ciò si realizzi! La piccola Giacinta, poco prima di lasciare la terra per essere accolta dalla Madonna in cielo, ripeteva a Lucia: «Tu rimani quaggiù per far sapere che il Signore vuole stabilire nel mondo la devozione all'Immacolato Cuore di Maria»."Devi dire a tutti che Dio concede le sue grazie solo ed esclusivamente per mezzo del Cuore Immacolato di Maria. Che le chiedano a Lei. Che il Cuore di Gesù vuole che con il suo Cuore sia venerato il Cuore Immacolato di Maria. Che abbiano fiducia e tanta umiltà, e domandino la pace al Cuore Immacolato di Maria perché il Signore l'ha affidata a Lei. Nella seconda apparizione della Vergine Ss.ma alla Cova di Iria, il 13 giugno 1917, mostrò ai fanciulli la visione del suo Cuore Immacolato, circondato e trafitto da pungentissime spine. Rivolgendosi a Lucia, disse: «Gesù vuole servirsi di te per farmi conoscere ed amare. Egli `vuole stabilire' nel mondo la devozione al mio Cuore Immacolato. A chi la praticherà prometto: la salvezza eterna, e queste anime saranno predilette da Dio, che come fiori saranno collocate da me dinnanzi al suo trono. Nella terza apparizione avvenuta il 13 luglio 1917, la più ricca di dottrina e di promesse, la Vergine Ss.ma, dopo aver mostrato ai piccoli veggenti la terrificante visione dell'inferno, con bontà e tristezza, disse loro: «Avete visto l'inferno dove vanno a finire le anime dei poveri peccatori. Per salvarli, il Signore vuole stabilire nel mondo la devozione al mio Cuore Immacolato. Se si farà quello che vi dirò, molte anime si salveranno e vi sarà pace». «Tu, almeno procura di consolarmi e annunzia in nome mio...» Successivamente, parlò poi la Madonna: «Figlia mia, contempla il mio Cuore circondato dalle spine con cui gli uomini cattivi e perversi continuamente lo trafiggono con le loro bestemmie ed ingratitudini. Tu, almeno procura di consolarmi ed annunzia, in nome mio, che io ti prometto di assistere nell'ora della morte con le grazie necessarie alla salvezza eterna, tutti coloro che nel primo sabato di cinque mesi consecutivi si confesseranno e comunicheranno recitando il Rosario e mi faranno compagnia per un quarto d'ora, meditando i misteri del Rosario, con l'intenzione di offrire un atto di riparazione». Lucia fece presente a Gesù la difficoltà che alcune persone avevano di confessarsi il sabato e chiese se fosse stata valida la confessione fatta negli otto giorni precedenti. Rispose Gesù: «Sì, può esserlo anche di molti giorni di più, purché quelli che ricevono la Santa Comunione siano in grazia e abbiano l'intenzione di riparare le offese al Cuore Immacolato di Maria». Chiese ancora Lucia: «A chi non potrà soddisfare tutte le condizioni al sabato, non potrà farlo alla domenica?» Gesù rispose: «Sarà ugualmente accetta la pratica di questa devozione alla domenica, dopo il primo sabato, quando i miei sacerdoti,' per giusti motivi, lo concederanno alle anime che ne faranno richiesta». Questo nostro secolo è stato testimone di esperienze dolorose per la mancata risposta agli inviti del cielo. Tutti ne abbiamo vissuto le tristi conseguenze: una Seconda guerra mondiale, più terribile della prima si abbatterà nuovamente; la Russia con il suo comunismo ateo ha diffuso i suoi errori nel mondo provocando tremendi conflitti, persecuzioni alla Chiesa, sofferenze al Santo Padre, l'annientamento di alcune nazioni; l'ateismo è diventato il nuovo credo di tanti popoli. Proprio in questo nostro secolo, che si riconosce come il più caino e terrificante di tutta la storia umana, Il Signore si è impegnato personalmente a chiedere compassione ed a promuovere la devozione al Cuore della sua e nostra Madre, perché, con il trionfo di questo Cuore di Mamma, l'umanità riscopra l'amore vivo e pulsante e viva finalmente un'Epoca di pace, in cui l'uomo, «con un cuore nuovo» veda nell'altro suo simile non una preda da conquistare, ma un fratello da amare e da salvare. Il messaggio che fu dato dalla Vergine Maria a Fatima è dunque un messaggio di «salvezza» per impedire che l'umanità pervertita dall'odio, sommersa da fiumi di sangue innocente, capace di atrocità inimmaginabili finisca di perdersi eternamente e di autodistruggersi sulla terra. Gli altri «messaggi» come la guerra, la fame, le persecuzioni alla Chiesa, le nazioni annientate... sono annunzi di realtà tristi e sconvolgenti per il mancato ascolto delle richieste fatte per la salvezza degli uomini.
Le ragioni teologiche della devozione e del culto al Cuore Immacolato e Addolorato di Maria
Le rivela il Decreto con cui fu istituita la festa universale del Cuore Immacolato di Maria, nel 1944 da Papa Pio XII: «Con questo culto la Chiesa rende il debito onore al Cuore Immacolato della Beata Vergine Maria, poiché sotto il simbolo di questo Cuore venera con somma devozione: L'esimia e singolare santità della Madre di Dio; La sua materna pietà verso gli uomini, redenti dal sangue divino di suo Figlio». Nello stesso Decreto emanato dal Santo Padre è indicato il fine di tale Devozione: «Perché per l'aiuto della Madre di Dio, sia concessa la pace a tutte le genti, la libertà alla Chiesa di Cristo e i peccatori siano liberati dai propri peccati e tutti i fedeli siano confermati nell'amore e nell'esercizio di tutte le virtù mediante la grazia». Pertanto, il culto al Cuore Immacolato e Addolorato di Maria mette in luce la «santità» unica della Madonna, Madre e Regina di tutti i Santi per cui l’Immacolata, concepita senza peccato e quindi piena di grazia e, nel medesimo tempo, sottolinea «l'amore» tenerissimo di questa Madre del cielo verso tutti noi, suoi figli ingrati. Se è vero che il capolavoro della sapienza e della potenza di Dio è il Cuore materno, che dire del Cuore di Maria, Madre di Dio e Madre nostra che, mentre supera in santità ogni altra creatura, supera nell'«amore» quello di tutte le mamme della terra per i loro figli? Convinciamoci, quindi, che la devozione al Cuore Immacolato di Maria non è stata inventata dagli uomini, ma per grazia, viene da Dio: «II Signore stesso lo vuole, ed essa di realizzerà» Pensiamo a quanto Dio, in Cristo Gesù, abbia operato per la glorificazione del Cuore di sua Madre. Le apparizioni di Fatima oltre a documentare come Maria è presente nella storia di ogni singolo uomo, nelle nostre vicende tragiche e sconvolgenti, per salvare l'umanità, rivelano:
  • Come il Signore, per vincere l'odio caino degli uomini, «Fratelli che uccidono i fratelli», nella sua infinita sapienza, abbia voluto mettere in pienezza di luce la devozione ed il culto al Cuore della Madre sua e dell'umanità, rendendo visibile, con le lacrimazioni ricordiamo Siracusa tutto il suo amore e il suo dolore per la rovina dei figli.
  • Come, per arrivare alla glorificazione del Cuore di sua Madre, abbia condotto la Chiesa, nella persona di Pio XII, a «definire con un Dogma» che veramente la Madre di Dio e Madre nostra è stata assunta in cielo, dove vive nella gloria accanto a Gesù Cristo non solo con l'anima, ma con il corpo (1° novembre 1950).
Noi possiamo e dobbiamo venerare il Cuore della nostra Madre perché è vivo, palpitante di amore e di tenerezza per noi. Il culto al Cuore Immacolato e Addolorato di Maria non è dunque una nostra pia devozione, ma opera Onnipotente di Dio per glorificare in cielo ed in terra la Madre sua e nostra. Non è certo per devozionismo che i sommi Pontefici, a cominciare da Pio XII, hanno risposto alle ripetute richieste di consacrazione della Russia e dell'umanità al Cuore Immacolato e Addolorato di Maria! La prima venne fatta da Pio XII il 31 maggio 1942, al 25° anniversario delle apparizioni di Fatima, nella Basilica di San Pietro: «A voi, al vostro Cuore Immacolato... noi, in quest'ora tragica della storia umana, consacriamo solennemente la santa Chiesa, più ancora il mondo intero, travagliato da, crudeli discordie, vittima della propria iniquità e dei propri errori». Sempre Pio XII, il 1 ° novembre, con la proclamazione del Dogma dell'Assunta, poneva il fondamento teologico della Devozione al Cuore Immacolato di Maria. Il 25 marzo 1984, San Giovanni Paolo II, in Piazza S. Pietro, consacrava solennemente l'umanità al Cuore Immacolato «perché si sveli per tutti la luce della speranza». Nessuna gloria, dopo la gloria resa da Gesù Cristo al Padre, sale dalla terra alla SS. Trinità, così piena e perfetta come la gloria che rende il Cuore Immacolato di Maria: la Figlia prediletta del Padre; la vera Madre di Gesù Cristo, Uomo e Dio; la vera Sposa dello Spirito Santo; la vera Madre nostra: «Ecco la tua Madre disse Gesù sulla Croce all’Apostolo Giovanni». Da questi brevi accenni, ognuno di noi può intuire il prodigio operato da Dio in questo nostro secolo, prodigio che continuerà ad accompagnare le generazioni degli uomini nel terzo millennio: il trionfo del Cuore Immacolato e Addolorato di Maria. Questo mistero di grazia che mette in ammirazione gli Angeli del Cielo lo diciamo con dolore lascia indifferente ancora tanta parte dell'umanità. E non solo indifferente! Quanti sorridono quando si parla di «Devozione al Cuore Immacolato di Maria», della sua «Grande Promessa» con i primi cinque sabati del mese. Eppure, proprio questo secolo, per disegno divino, si concluderà con il trionfo del suo Cuore Immacolato. Dio stesso ha messo mano ai grandi «Mondiali» per questa glorificazione. C'è una Madre che ci ama con un amore senza limiti; 'Madre di Misericordia' che per noi piange e prega, perché ci vuole tutti salvi senza esclusione di nessuno! Il nostro impegno che dobbiamo prendere e di far fronte alla precisa richiesta che la Madonna ha chiesto con una certa insistenza: «Il Signore vuole servirsi di te per stabilire nel mondo la devozione al mio Cuore Immacolato», come potremmo rimanere indifferenti a questo accorato invito? Non dimentichiamo mai che la visione del Cuore Immacolato di Maria si inquadra con quella più drammatica e sconvolgente delle anime che per loro esclusiva volontà vanno all'inferno per tutta l’eternità. Nell'Anno Internazionale della Famiglia, noi abbiamo promosso con grande insistenza e condivisione, la `Consacrazione' di ogni famiglia, di ogni parrocchia al Cuore Immacolato di Maria, aderendo ad una precisa richiesta della Madonna: «Voglio che tutte le famiglie si consacrino al mio SS.mo Cuore». Per questo il nostro impegno sarà di aiutare le famiglie, i singoli fedeli, le parrocchie a «vivere questa Consacrazione con la Grande Promessa dei primi cinque sabati». Il trionfo del Cuore di Maria è il trionfo dell'amore, presupposto essenziale perché tutti gli uomini siano salvi e l'umanità viva finalmente la «Civiltà dell'amore», il cui primo `frutto è la Pace in tutta la terra. Purtroppo, tutti vediamo e guardiamo con angoscia le tante Nazioni coinvolte da guerre fratricide, a una umanità aberrante; ma pensiamo anche a quante famiglie sono in crisi perché l'amore ha ceduto il passo all'egoismo, all'odio e all’indifferenza, che apre la porta al delitto più crudele come l'aborto: «strage silenziosa degli innocenti», compiuta non più da Erode, ma da papà e mamma, con l’aiuto delle menzogne di politici corrotti e servitori del demonio. Il «segreto» vitale e di importanza fondamentale per riportare le famiglie al disegno di Dio è di collaborare tutti insieme a far vivere la Consacrazione al Cuore Immacolato di Maria con la pratica dei primi cinque sabati del mese, richiesta dalla Madonna stessa: «Annunzia in nome mio...». Tutti ricordiamo gli avvenimenti straordinari che hanno sorpreso il mondo, a cominciare dal crollo del comunismo ateo in Russia, del muro di Berlino, conseguenze certe della Consacrazione al Cuore Immacolato di Maria; ma perché aspettare ancora di vedere per credere come fece Tommaso?  Infatti, Gesù disse: «Beati quelli che crederanno senza vedere». Noi cristiani cattolici dobbiamo essere ferventi Apostoli della `Grande Promessa della vergine Maria, rispondiamo quindi con gioia alla richiesta del Cuore Immacolato promuovendone la pratica e il pio esercizio. Carissimi, con amore di Pastore della Chiesa vi sto parlando in questo momento, vi invito tutti ad impegnarvi seriamente, perché, la Consacrazione delle famiglie, fatta al Cuore Immacolato di Maria, sia completata vivendo e diffondendo «la grande promessa». La Madonna conferma in tutti i suoi messaggi: “Avrete benedizioni e grazie speciali sulla vostra famiglia, sui vostri figli, sulla vostra discendenza, se manterrete fedeli la Consacrazione al mio Cuore Immacolato. Molte famiglie che avranno fede e devozione verso questa Grande Mamma, si salveranno dal divorzio ed apriranno i loro cuori all'accoglienza della vita e si avvieranno ad una vita santa e cristiana. L'uomo del duemila ha bisogno come non mai dell’Amore del Cuore Immacolato di Maria per costruire la «Civiltà dell'amore».

Capitolo III
La terrificante visione dell’inferno


Stando al resoconto di Lucia, il 13 luglio 2017 a Fatima la Santa Vergine Maria mostrò ai veggenti «un grande mare di fuoco, che sembrava stare sottoterra. Immersi in quel fuoco, i demoni e le anime, come se fossero braci trasparenti e nere o bronzee, con forma umana che fluttuavano nell’incendio, portate dalle fiamme che uscivano da loro stesse insieme a nuvole di fumo, cadendo da tutte le parti simili al cadere delle scintille nei grandi incendi, senza peso né equilibrio, tra grida e gemiti di dolore e disperazione che mettevano orrore e facevano tremare dalla paura. I demoni si riconoscevano dalle forme orribili e ributtanti di animali spaventosi e sconosciuti, ma trasparenti e neri» (Suor Lucia Dos Santos, IV Memoria: EV 19/987). L’immagine principale della visione dell’inferno descritta da Lucia è il fuoco, causa di sofferenza per coloro che vi sono immersi. Però, secondo le rivelazioni dei Santi che hanno visitato l’inferno per volere di Dio, l’inferno è un luogo buio, nauseabondo e tenebroso, questo fuoco non si vede, ma si sente, dando terrificanti tormenti ai dannati che vi soggiornano per tutta l’eternità. È l’immagine dell’inferno descritto nella Sacra Bibbia a partire dal libro del profeta Isaia, che si chiude con il popolo rinnovato che renderà culto al Signore. Costoro tuttavia in una valle presso Gerusalemme «vedranno i cadaveri degli uomini che si sono ribellati contro di me; poiché il loro verme non morirà, il loro fuoco non si spegnerà e saranno un abominio per tutti» (Is 66,24). È la valle della Geenna, che Gesù spesso indica come punizione definitiva in molti passi e la quale conviene perdere un occhio, una mano, un piede, la vita stessa di questo mondo, per evitare l’eterna sofferenza (Mt 5,29-30; 10,28; 18,9; 23,33; Mc 9, 45.47; Lc 12,5). Altre volte la Geenna è esplicitamente associata al fuoco: «il fuoco della Geenna» (Mt 5,22; 9,43; 18,9); in altri versi, si parla di fuoco e fornace ardente (2Ts 1,7-8; Mt 13,50) sino alla confessione del ricco: «soffro terribilmente in questa fiamma» (Lc 16,24). Non vi sembra chiaro di leggere il resoconto di Lucia riportato durante la visione? Sempre sulla bocca di Gesù, altre immagini negative e di dolore affiancano il fuoco eterno relativamente al risultato di una vita vissuta e conclusa male: il pianto e lo stridore di denti nella fornace ardente o nelle tenebre (Mt 8,12; 13, 42.50; 22,13; 24,51; 25,30; Lc 13,28; 2Pt 2,17). Successivamente, vi è la dichiarazione di Abramo al ricco Epulone negli inferi, «tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi» (Lc 16,26), si tratta quindi di una situazione irreversibile e introduce la categoria di eternità: il fuoco è eterno, (Mt 18,8; 25,41; Gd 1,7) come il verme che non muore mai (Mc 9,48); le tenebre oscure sono eterne (Gd 1,13); il supplizio è eterno non vi è via di uscita (Mt 25,46) è una seconda morte nello stagno ardente di fuoco e zolfo che non si estinguerà mai (Ap 2,11; 20,6.14; 21,8). Questo esito negativo ed eterno della vita compromette la stessa risurrezione dei morti, che per la prima volta in Dn 12,2 ha un duplice significato: «Molti di quelli che dormono nella regione della polvere si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l’infamia eterna». Parole riprese e radicalizzate da Gesù durante tutto il suo Ministero, «viene l’ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce e usciranno, quanti fecero il bene per una risurrezione di vita e quanti fecero il male per una risurrezione di condanna» (Gv 5,28-29). Sono riportati nel CCC 998 è nei Documenti del Concilio Vaticano II, all’interno della Lumen Gentium al n. 48. «La Chiesa nel suo insegnamento afferma l’esistenza dell’inferno e la sua eternità. La pena principale dell’inferno consiste nella piena separazione eterna da Dio, nel quale soltanto l’uomo può avere la vita e la felicità per le quali è stato creato» (CCC 1035). Gesù ci dice: «Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che vi entrano» (Mt 7,13; Lc 13,24). Ecco che subentra il tema evangelico delle “due vie”. Poiché quaggiù, in questa valle di lacrime, come rivela la Preghiera della Salve Regina, non esiste né Paradiso né inferno, ma un “cammino da seguire correttamente” l’uno o l’altro, è decisivo procedere verso il Paradiso e non verso l’inferno. La “via che conduce alla perdizione” è descritta dal NT con una varietà di prospettive, ad esempio gli elenchi di vizi o peccati in san Paolo (Rm 1,26-32; 13,13; 1Cor 5,10-11; 2Cor 12,20; Ef 4,31; Col 3,5-8; 1Tm 1,8-11; 6,4-5; 2Tm 3,1-5; Tt 3,3) e specialmente quando l’elenco termina con l’affermazione che quanti si comportano così non erediteranno il regno di Dio (1Cor 6,9-10; Gal 5,19-21; Ef 5,3-5), ma andranno con le loro gambe verso l’infelicità eterna (Mt 15,19; 1Pt 4,3; Ap 21,8; 22,15). La “via” che conduce ad un cattivo rapporto con il prossimo: lo possiamo notare nel giudizio finale di Cristo in Mt 25,31-46 “ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare”, la cena di Corinto che umilia «chi non ha niente» (1Cor 11,20-22), il ricco Epulone insensibile alle necessità vitali del povero Lazzaro, che sopravviveva ai piedi della sua tavola a nutrirsi delle briciole di pane, e i cani leccavano le sue ferite (Lc 16,19,31) e tante altre espressioni, che troviamo descritti da San Paolo a riguardo ai vizi: ingiusti, calunniatori, rapinatori, facitori di fazioni e di liti, ribelli ai genitori, invidiosi, senza misericordia, sadici, pervertiti e quant’altro. La “via” del tornare indietro dalla fede: Quando qualcuno ha violato la legge di Mosè, viene messo a morte senza pietà sulla parola di due o tre testimoni. Di quanto peggiore castigo pensate che sarà giudicato meritevole chi avrà calpestato il Figlio di Dio e ritenuto profano quel Sangue della Nuova Alleanza, dal quale è stato santificato, e avrà disprezzato lo Spirito della grazia? È terribile cadere nelle mani del Dio vivente!» (Eb 10,28-29.31; 1Gv 5,16). Dunque, camminano “oggettivamente” verso l’inferno tutti coloro che allegramente dichiarano di aver perso la fede, poiché Dio «non abbandona se non è abbandonato “non deserens, nisi desereatur” (Vaticano I, Dei Filius, cap. 3: Dz 3014). La “via” dei peccati della carne, di una vita affettiva sregolata o irregolare. Le testimonianze della tradizione cristiana, l’ultima anche dai veggenti di Fatima, sono giudicate “bacchettone”, non si potrà quindi cancellare il NT che pone su questa strada gli immorali, impuri, adulteri, depravati, uomini e donne che “si desiderano” e che praticano con lo stesso sesso, oppure: dediti all’ubriachezza, ai bagordi, alle orge, e ogni abominio che l’uomo insensibile e irrazionale possa commettere, neanche gli animali che non sono esseri razionali fanno queste cose immonde e impure. «Dio nella sua immensa bontà non predestina nessuno ad andare all’inferno» (CCC 1037), per cui: inferno/paradiso, dannazione/salvezza non sono alla pari. Dio ha rivelato un unico mistero della sua volontà: che tutti si salvino e giungano al Padre per Cristo nello Spirito Santo partecipando alla natura divina, per questo siamo stati creati a sua immagine e somiglianza (1Tm 2,4; Ef 1,9; 2,18; 2Pt 1,4: DV 2). L’inferno è causato dal nostro rifiuto di accettare in piena obbedienza Dio nostro creatore, e pensare anche che Dio ci perdona sempre anche se continuiamo a peccare mortalmente e non abbiamo nessuna intenzione di convertici. È qui l’errore gravissimo che compie tantissima gente. Naturalmente il giudizio sulle persone, qui e nell’al di là, va lasciato «alla giustizia e alla misericordia di Dio», anche se «possiamo giudicare che un atto è in sé una colpa grave» (CCC 1861), che ci limita per sempre la visione di Dio. È a questo punto che si evidenziano chiare alcune indicazioni di condotta pastorale e personale. Non si tratta di giudicare o condannare le persone, ma di mantenere dei chiari indicatori su che cosa è peccato e quali sono le “vie che conducano in modo soft verso la perdizione”, evitando di mantenere solo la prima e di tacere sulle altre due, cioè di mandare all’inferno solo i mafiosi e i criminali in genere (prima via), tacendo su chi ha perso la fede (seconda via) e magari invitandolo a parlare ai credenti, o ammorbidendo i paletti della morale sessuale (terza via). Il riferimento della possibilità dell’inferno appartiene alla corretta comprensione del buon annuncio della Parola di Dio, dei Sacramenti e della Penitenza. La grazia, far maturare i semi del Verbo Incarnato, che ci fa raggiungere la maturità e felicità piene, senza precisare che oltre a ciò non si dà una zona neutra, ma semplicemente la perdita della salvezza totale ed eterna. Le parole della Sacra Scrittura e della Chiesa sull’inferno sono «un appello alla propria responsabilità» (CCC 1036) e alla dignità di ogni singolo uomo: Dio ha posto la vita veramente nelle nostre mani lasciandoci il libero arbitrio. Sono parole che svelano l’amore di Dio per noi miseri peccatori, perché è chiaro che Gesù parla dell’inferno soltanto per preservarci dal caderci dentro. E così la Chiesa. E così la Madonna a Fatima non fa altro che ripeterlo. Certo un discorso del genere specialmente a chi si è allontanato alla Fede può causare una contrizione che nasce «dal timore della dannazione eterna», ma anche questo è «un dono di Dio, un impulso dello Spirito Santo» che spinge verso una «evoluzione interiore che sarà portata a compimento, sotto l’azione della grazia, dall’assoluzione sacramentale» (CCC 1453). Se il timore spinge a compire azioni buone e sante, queste adagio adagio trasformeranno il timore in un rapporto di amore verso Dio. Ora torniamo a Fatima. La Vergine Matia mostrata l’immagine dell’inferno, invitò i tre bambini a pregare tanto per i poveri peccatori aggiungendo alla fine di ogni decina del Rosario la famosa richiesta: «Gesù mio… liberateci dal fuoco dell’inferno. Portate in cielo tutte le anime, specialmente le più bisognose della vostra misericordia». In una lettera del 18.5.1941, Lucia precisò che «la Madonna si riferiva alle anime che si trovano in maggior pericolo di dannazione», i bestemmiatori, gli assassini, gli impuri, ecc. I volti terrorizzati dei tre pastorelli durante la visione dell’inferno hanno segnato il fatto che l’inferno esiste veramente, non è una finzione. La vista dell’inferno mette in moto la preghiera, l’intercessione, la solidarietà verso i peccatori. Se dessimo anche oggi come allora la piena fiducia alla Madonna, anche questo dovrebbe rientrare nella “nuova evangelizzazione”, verso un mondo migliore, verso la pace duratura. È una preghiera dolcissima ma anche molto tradizionale. Oltre a questo, la prima preghiera eucaristica o canone romano della Santa Messa chiese per secoli e chiede ancora oggi: “Ab aeterna damnatione nos eripe” salvaci dalla dannazione eterna. E poi Gd 22-23 esorta: «siate misericordiosi verso quelli che sono indecisi e salvateli strappandoli dal fuoco eterno». Come dicevo prima e lo torno a ripeterlo finché avrò fiato nei polmoni: Dio non vuole l’inferno: Dio è infinitamente buono e perciò, come dice la Bibbia. “vuole che tutti gli uomini si salvino”. Cristo Dio si è fatto uomo in tutto eccetto il peccato ed è morto in croce perché nessuno andasse dannato: Lui stesso ha detto: “Io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori a convertirsi”. E S. Paolo esclama: “Questa parola è sicura e degna di essere da tutti accolta: Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori e di questi il primo sono io”. Non è Dio a creare l’inferno ma l’ha creato lucifero quando fu cacciato dal paradiso, quindi è un luogo che è frutto del peccato. È l’uomo a entrarvi di sua volontà, contro la volontà di Dio è una sua scelta libera. “Il Cielo è già iniziato per noi dal nostro battesimo, ma cominciamo a goderlo solo dal giorno della nostra morte. La stessa cosa accade dell’inferno: nel momento in cui uno commette il peccato mortale, l’inferno già penetra in lui nella sua anima e ne prende possesso, quindi, non è altro che la privazione e la separazione di Dio. Col peccato io creo l’inferno. Ora vorrei portare un esempio. Se io un giorno prendo l’autobus per andare a uccidere qualcuno, nessuno dirà mai che l’autista è responsabile di un assassinio. Che cosa c’entra lui? Lui fa il suo dovere. Così, se io salgo sull’autobus del peccato, e non scendo alla stazione dell’attrizione con la confessione, o della contrizione perfetta se non è possibile la confessione, l’effetto è questo: la morte eterna ha invaso totalmente al mia anima, quindi di conseguenza, già vivo all’inferno”. È fondamentale parlare dell’inferno. Con dolce insistenza San Paolo VI Papa ci ha rivolto questo invito: “Parlate e meditate sulla scienza delle cose ultime che il Concilio Vaticano II si chiama escatologia dal greco éscatos che significa ultimo, che comprende gli ultimi destini umani oltre la morte: quelli che il catechismo e la predicazione chiamano i novissimi, vale a dire, morte, giudizio, inferno, paradiso. Dei novissimi pochi ne parlano e, quei pochi, che conoscono bene l’argomento ne parlano poco. Il Concilio Vaticano II ci ricorda le solenni verità escatologiche che ci riguardano, compresa quella terribile d’un possibile eterno castigo che chiamiamo l’inferno”, che la maggior part della popolazione mondiale sottovaluta pesantemente. Se tutti meditassero sull’esistenza dell’inferno, innumerevoli peccatori e increduli farebbero il dialogo con l’anima, che fece l’anticlericale filosofo Diderot: “Anima mia, se tu continui a vivere così, non solo sarai infelice in questa vita, ma anche dopo morte, nell’inferno”. E l’anima: “Ma chi ha detto che c’è l’inferno?” Il filosofo: “L’inferno è una cosa così orrenda, che anche solo il pensiero che ci possa essere, ti dovrebbe costringere a mettere giudizio”. L’anima ardì rispondergli: “Io sono certa che l’inferno non c’è”. Gridò il filosofo: “Anima mia, non dir bugie! Dicendo questo tu sai di mentire”. Poveri Sacerdoti e vescovi increduli che si credono di essere modernisti, che vanno come va il mondo facendo completo silenzio sui nuovissimi, sull’inferno, anzi giurando perfino che non esista! Si deve purtroppo anche a questo colpevole silenzio se l’umanità di oggi si è del tutto allontanata da Dio e corre spedita verso la catastrofe eterna e non se ne rende conto. Sono quanto mai attuali le parole di S. Caterina da Siena: “Ahimè! Non più tacere! Gridate con cento, con migliaia di lingue! Veggo che per tacere il mondo è guasto!” Tutti i Padri e Dottori della Chiesa ne hanno parlato chiaramente. S. Agostino ci esorta: “Discendiamo con il nostro pensiero nell’inferno ora che siamo vivi affinché non abbiamo a discendervi quando saremo morti”. E supplica il Signore che gli mandi su questa terra tutti i dolori immaginabili purché impedisca che vada dannato per sempre: “qui brucia, qui taglia, qui non risparmiarmi nessuna sofferenza, purché tu mi abbia a salvare per l’eternità”. Lo Spirito Santo ci ammonisce: “In tutte le opere pensa alla tua fine, ossia alle ultime realtà: morte, giudizio, inferno, paradiso e non peccherai mai”. E Gesù stesso ci ha comandato: “Andate e predicate a tutti gli esseri viventi su questa terra il Vangelo ad ogni creatura”: ebbene, l’inferno e le altre verità vengono volutamente taciute, esse sono parte essenziale del Vangelo. Anzi, come afferma un noto predicatore di Esercizi spirituali, Sant’Ignazio di Loyola: “di nessun’altra cosa ha tanto parlato Cristo nel Vangelo come dell’inferno: più di 60 volte: trenta volte del fuoco, ossia di un tormento orribile, straziante, eterno, trentasei volte della eternità. Su nessun’altra cosa ha insistito così tanto, e noi non abbiamo il diritto di diminuire il contenuto del Vangelo”, anzi dobbiamo intensificarlo per la salvezza delle anime. L’inferno esiste davvero: Lo negano come afferma S. Agostino, soltanto coloro che hanno interesse che non esista perché se esiste è fatto su misura per loro. Ma esiste; e per andarvi non è necessario credere alla sua esistenza, anzi, chi ostinatamente lo nega può ritenersi sicuro di precipitarvi. Tutta la Sacra Scrittura ne parla, in modo esplicito o implicito, circa 600 volte. Gesù, non solo ne ha parlato tante volte, ma ha pure usato delle parabole impressionanti, come, per esempio, le seguenti: Il ricco cattivo, e il povero Lazzaro: quel ricco egoista, gaudente morì e precipitò “nell’inferno tra i tormenti eterni” e invano, tra l’arsura e le torture delle fiamme, dei demoni che lo tormentavano continuamente con le peggiori torture, chiedeva una sola goccia d’acqua, per spegnere la sua arsura. Anche Lazzaro morì, ma la sua anima fu “portata nel seno di Abramo”, espressione ebraica che significa Paradiso, Gioia senza fine. La zizzania. che un seminatore cattivo seminata in mezzo al buon grano, al momento della mietitura, dovrà essere bruciata. “Così ci esorta nuovamente Gesù: avverrà alla fine del mondo. Il Figlio dell’uomo Gesù Cristo nella sua Potenza e Gloria manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti gli operatori d’iniquità e li getteranno nella fornace ardente dove sarà pianto e stridore di denti, e questa volta quando saranno rivestiti dal corpo immortale. Allora i giusti splenderanno come sole nel regno del Padre loro”. Gesù per descriverci l’esistenza e l’orrore dell’inferno ha usato immagini violente e spietate, che ora vi darò qualche esempio:
  • A coloro che usano i doni di Dio per offenderlo, grida: “Se la tua mano o il tuo piede ti è di scandalo, tagliali e gettali via da te: è meglio per te entrare nella vita con una sola mano e un solo piede, che avere due mani e due piedi e essere gettato nel fuoco. E se l’occhio tuo ti è di scandalo, cavalo e gettalo via: è meglio per te entrare nella vita con un occhio solo che avere due occhi ed essere gettato nel fuoco” (10), “dove il verme non muore e il fuoco non si spegne”.
  • Gesù a coloro che si dicono cristiani, ma vivono da idolatri, dirà: “Non vi conosco”, andate via da me.
  • Gesù bollerà nella fornace eterna così ogni cristiano che non ha utilizzato come doveva i talenti ricevuti: “Servo malvagio e infingardo! Gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”.
  • Cristo, al giudizio universale “dirà a quelli che saranno alla sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, al fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi seguaci… E se ne andranno questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna” insieme con Lui.
S. Giovanni, l’Apostolo dell’amore, scrive: “Il fumo dei loro tormenti salirà per i secoli dei secoli”. Giuda iscariota, una volta tradito il Signore per trenta miseri denari, fu tormentato dai demoni fino al luogo del suo infame suicidio. I demoni gli dissero; Vedo l’olio bollente uscire dalle tue ossa per tutta l’eternità. E qui bisogna fare un vero e proprio discernimento, per non giungere alla dannazione eterna. L’inferno è eterno: l’eternità costituisce l’inferno dell’inferno: quando si sa che una atroce sofferenza avrà termine, si acquista coraggio, ma quando si è certi che non terminerà mai, non resta che la più cupa disperazione, l’odio verso il mondo, e l’odio verso Dio. Ebbene, mettiamocelo bene in testa; l’inferno non terminerà mai, mai. S. Bonaventura, Dottore della Chiesa, per darcene un’idea dell’inferno, usa questo esempio: Un uccello passa una volta ogni cento anni, toccando delicatamente, con la punta delle sue ali, una immensa palla di bronzo. Quando questa sarà completamente consumata, sarà terminato l’inferno? Assolutamente No! Sarà appena al suo inizio, poiché incomincia sempre e non finisce mai. S. Tommaso d’Aquino, una delle menti più alte e brillanti del mondo, quando era ormai in fin di vita, fu chiesto: Tu che hai insegnato nelle più celebri cattedre d’Europa e che hai tanto predicato e tanto scritto, da che cosa, nella tua vita, sei rimasto più impressionato? Rispose: Ciò che più mi ha impressionato è questa triste realtà: che ci siano tanti cristiani i quali sono sicuri che Gesù è Dio e che Gesù ha parlato chiaramente dell’inferno e perciò sono certi ch’esso esiste, eppure vivono per un’ora nel peccato mortale: in quell’ora potrebbero morire all’improvviso correndo il rischio di precipitare per sempre nelle fiamme dell’inferno. Che dire di molti cristiani che nel peccato mortale vivono non un’ora soltanto, ma intere giornate e notti e settimane e mesi e addirittura tutta la loro misera vita terrena? Dante Alighieri nella sua Divina Commedia: immagina scritte sulla porta dell’inferno queste parole: “Dinanzi a me non fur cose create/ se non eterne e io eterno duro:/ lasciate ogni speranza, voi ch’entrate”. (Inf. III, 7 ss.). Anche san Giovanni Bosco, quando fi portato da Dio a visitare le profondità dell’inferno, vede le stesse indicazioni citate dal Sommo Poeta Dante. Gesù ci continua a ripetere: “State preparati! Vegliate e pregate perché non sapete né il giorno, né l’ora; la morte con il suo pungiglione viene come un ladro di notte. State preparati!”. Se la morte ci sorprende in peccato grave, non resterà per noi altro che la disperazione eterna; mentre se ci trova preparati ossia in grazia di Dio, ci spalancherà le porte della felicità senza fine. La Madonna commentò: Questa è appena una pallida immagine dell’inferno. Molti vivono nel peccato mortale, e quindi sono in pericolo di andare dannati per sempre; pregate perché i peccatori si convertano e tornino in vita nella Grazia Santificante di mio Figlio Gesù. L’inferno è in sostanza la completa assenza della bontà di Dio. Non è Dio che condanna qualcuno all’inferno, ma il peccatore stesso che in modo libero e consapevole rifiuta Dio nella sua vita, e se lo priva definitivamente dopo la morte. Ogni peccato mortale che viene commesso ci allontana da Dio, ma Dio è sempre pronto a perdonarci anche le offese più terribili. Basta che ci lasciamo perdonare da Lui! Pensate ai più grandi peccatori della storia dell’umanità, ai peggiori abomini commessi da un essere umano in qualsiasi epoca o luogo, a tutti i peccati peggiori e più orribili che una mente umana possa concepire e siate certi che tutti, assolutamente tutti, possono essere perdonati da Dio, tutti tranne uno: il peccato contro lo Spirito Santo. Ad affermarlo è Gesù Cristo stesso: “Qualunque peccato e bestemmia sarà perdonata agli uomini, ma la bestemmia contro lo Spirito non sarà perdonata” (Matteo 12, 31). In cosa consiste quel peccato che neanche Dio, in tutta la sua misericordia, può perdonare? Semplice: consiste proprio nel non permettere che Dio perdoni! Lo Spirito Santo di Dio ci illumina sempre perché accettiamo il Suo amore. È per questo che Dio ci ha creati: per amarci e offrirci il Suo amore senza riserve. Il peccato contro lo Spirito Santo consiste nel non accettare la Sua Luce e il Suo amore; consiste nel chiudersi completamente, nel rifiutare radicalmente Dio, nell’indurire il cuore in modo impenitente, irrevocabile, senza permettere che Dio vi entri in alcun modo. Il peccato contro lo Spirito Santo è il peccato per il quale l’uomo si rifiuta, in modo libero e consapevole, di ricevere l’Amore, il Perdono e la Misericordia di Dio. Di fronte a questo grave torto, cosa può fare Dio? Rispettare la decisione del peccatore, perché non può si può intromettere nel libero arbitrio dell’uomo. L’amore di Dio è così incomprensibilmente totale, estremo e infinito che pur potendo “forzare” qualsiasi creatura a sottomettersi alla Sua volontà, Dio non lo fa! Dio sceglie di rispettare la libertà delle sue creature. Non vuole imporci il Suo amore: ce lo offre, sottomettendosi alla nostra libertà di accettarlo o respingerlo, siamo noi a decidere. Qualsiasi peccato mortale che noi uomini possiamo commettere, per la sua gravità e per il fatto di essere stato commesso in piena consapevolezza e con pieno consenso, e con tanto di materia grave, questo ci può privare di Dio, ma torno a ripetere qualsiasi peccato mortale può essere perdonato se noi miseri uomini permettiamo che Dio ci perdoni. Quindi, l’unico modo di “garantirsi” il viaggio senza ritorno per l’inferno è commettere il peccato contro lo Spirito Santo. E vi posso consigliare, non è sicuramente un viaggio che valga la pena di compiere, anzi bisogna desistere con tutte le forze. All’inferno, alla perdizione eterna, ci va chi vuole con testardaggine chiudere il suo cuore a Dio e alla verità che Lui creando ha scritto con tutto il suo amore nel cuore di ogni uomo; chi vive nel suo egoismo e fa della sua libertà un pretesto per vivere in modo autonomo, dimenticare di fare del bene, esorto ogni uomo di buona volontà a vivere per Dio in Cristo suo Figlio Gesù nostro Signore. Vale per tutti il monito indicato da San Paolo di attendere alla salvezza «con timore e tremore» (Fil 2,12). Cos’è dunque la salvezza? È la liberazione dalla precarietà della vita, dall’essere nemici di Dio e, nella dimensione eterna che la corona, dalla possibilità di disubbidire a Dio a causa del peccato che portiamo in noi. Essere “salvi” significa essere in Dio per sempre, sicuri nel suo Amore. Eravamo come uomini caduti da un grande dirupo in un burrone profondo. Per rialzarci avevamo bisogno di un soccorso dall’alto, di Qualcuno che ci portasse fuori da quella condizione. Questa salvezza ci è stata conquistata da Gesù Cristo, che incarnandosi e divenendo simile a noi uomini eccetto il peccato, ha sofferto ed è morto per noi in Croce sul Golgota. Con il suo sacrificio ci ha liberato dai nostri peccati e ci ha reso tutti figli di Dio, innestandoci così nel suo Corpo che è la Chiesa. Ci ha portato in alto, aprendoci le porte della vita eterna nel suo Regno. Apparteniamo a Dio mediante Gesù suo Figlio e solo mediante Lui abbiamo accesso a Dio. Dio infatti nessuno lo ha mai visto: solo il Figlio lo può mostrare, solo Lui lo rivela al mondo (cf. Gv 1,18). Così, divenuti membra di Cristo, siamo inseriti in Lui e, per suo mezzo, nella sua Santa Chiesa, suo prolungamento sacramentale. Cristo ha costituito la Chiesa una e universale perché perpetuasse nel tempo la sua presenza mistica e portasse gli uomini a Dio: fate miei discepoli tutte le genti dirà Gesù agli Apostoli prima di ascendere al Padre, e infondere in loro lo Spirito Santo (cf. Mt 28,19). La condizione in cui Cristo ha posto i suoi discepoli, membra del suo mistico Corpo che è la Chiesa, è perciò la condizione ordinaria della salvezza: ogni uomo può salvarsi se, battezzato, rinasce dall’acqua e dallo Spirito Santo e professa la sua fede in Cristo Redentore del mondo. Per questa ragione la Chiesa, sin da S. Cipriano, ha coniato un adagio che recita: extra Ecclesiam nulla salus, fuori della Chiesa non c’è salvezza. Fuori del Corpo sacramentale di Cristo, la sua Chiesa, non si può ottenere la salvezza. Ora, questo significa che coloro che non sono membra del Corpo mistico, la Chiesa, non si salvano? Ora, per introdurre quest’altro aspetto della salvezza, ricordiamo le parole di S. Paolo a Timoteo: Dio «vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità» (1Tm 2,4). Ogni uomo è invitato da Dio con la mozione della sua grazia alla salvezza nella verità. La verità è Cristo, dunque, ogni uomo, anche chi non è battezzato, deve arrivare alla conoscenza di Cristo per salvarsi. Ma questo come può avvenire? Qui siamo arrivati in una condizione straordinaria. Dio Onnipotente, che in Gesù ha istituito i sette sacramenti, non rimane vincolato ad essi nel suo operato, ma la sua volontà salvifica si estende anche oltre. La salvezza può avvenire anche con ciò che la Chiesa ha definito battesimo di desiderio o desiderio del Battesimo. Se un uomo non riesce a ottenere il battesimo di acqua, ma vive in modo moralmente onesto, con una coscienza pura perché fondata sulla legge morale naturale e perciò è proteso a Dio anche senza conoscerlo e fa il bene, può salvarsi. Si postula che costui, in condizioni ordinarie, avrebbe accettato di essere battezzato e perciò desidera, almeno implicitamente, il battesimo, come porta principale della salvezza. Non se ne annulla la necessità ma si vede la sua cogenza anche oltre i confini sacramentali della Chiesa. Perciò, ogni uomo, di ogni religione, può salvarsi, purché desideri conoscere la verità, cechi con amore e devozione il Cristo, e non si sia macchiato di peccati mortali; per esempio: contro natura con coscienza e libero arbitrio, oppure: senza pentimento prima della propria morte. Il desiderio muove alla fede e quindi alla salvezza la quale è donata sempre dalla Chiesa nel mondo per mezzo del Sacrificio Eucaristico. Non si tratta di un “sincretismo salvifico” ma della possibilità di riconoscere l’unica Verità per esserne posseduti per sempre dall’Amore di Dio, per mezzo della Chiesa.

CAPITOLO IV
La Medaglia Miracolosa, potente mezzo di salvezza e, del trionfo del Cuore Immacolato di Maria

La Medaglia Miracolosa è un segno portato da Maria per assicurare i fedeli della presenza sua e di Gesù nelle difficoltà e nelle sofferenze, e il suo desiderio di spandere le sue grazie su coloro che l’invocano con fede. Ha origine dalle apparizioni della Madonna a S. Caterina Labouré, Novizia delle Figlie della Carità, nella cappella della loro Casa Madre a Parigi, nel 1830. Suor Caterina (al secolo Zoe) Labouré nacque il 2 maggio 1806 nel villaggio di Fain-les-Moutiers, in Borgogna (Francia), da Pierre e Louise Labouré. Era la nona di undici figli. Sua madre morì a 42 anni, quando lei ne aveva appena dieci. Il dolore per la sua morte fu l’occasione per Caterina per accrescere la sua devozione verso la Beata Vergine Maria che lei considerava come una madre. Dopo che la sorella maggiore entrò in convento a Parigi, presso le Figlie della Carità, Caterina e sua sorella Tonine dovettero prendere il suo posto nell’aiutare il padre ad occuparsi dei fratellini e della fattoria. Nonostante il lavoro, Caterina riusciva a trovare il tempo per pregare con fervore nella vicina cappella e a coltivare la sua grande devozione per la Madonna. Intanto il suo desiderio di entrare in convento si faceva sempre più forte. Inizialmente ebbe qualche problema a seguire la sua vocazione religiosa, soprattutto a causa della contrarietà del padre che cercò in tutti i modi di convincerla a desistere dal suo intento. Ma alla fine riuscì ad entrare nell’ordine delle Figlie della Carità, fondato da San Vincenzo de’ Paoli. Appena pochi giorni dopo il suo ingresso nel convento, durante la novena di preparazione alla celebrazione della traslazione delle reliquie di San Vincenzo, Caterina ebbe delle visioni nelle quali vide il futuro della Francia. Non molto tempo dopo, il 6 giugno 1830, Gesù le apparve durante la Messa. Durante il noviziato le venne concessa anche la grazia di vedere il Signore ogni volta che entrava nella cappella, e questo per nove mesi consecutivi. Nella notte fra il 18 e il 19 luglio, e nei mesi successivi, la Madonna le apparve per affidarle la missione di far conoscere al mondo la medaglia "miracolosa". Caterina, obbedendo al suo Direttore Spirituale, mantenne segrete per tutto il resto della sua vita le apparizioni e le rivelazioni che gli erano state fatte. Intanto in quegli anni vennero coniate e distribuite più di un milione di medaglie, ne risultarono tantissime conversioni e guarigioni miracolose. I membri della sua comunità vennero a sapere solo dopo la sua morte che era stata lei a vedere la Madonna e a ricevere la Medaglia Miracolosa. Caterina Labouré visse sempre in silenzio e umiltà, e per ben quarantasei anni fu al servizio dei poveri dell’ospizio di Enghien a Parigi. Morì il 31 dicembre 1876. Fu beatificata da Pio XI il 28 maggio 1933 e canonizzata nel 1947 da Pio XII. Le apparizioni della Santa Vergine vennero approvate dal vescovo nel 1836. Dopo la morte il suo corpo venne sepolto nella cripta sotto la chiesa del convento di Rue du Bac. Nel 1933, quando fu riesumato, venne trovato incorrotto. Le sue spoglie attualmente sono esposte nella stessa cappella dove Caterina ricevette le apparizioni della Madonna, non lontano dall’urna in cui è custodito il cuore di San Vincenzo de’ Paoli. L'apparizione della Vergine La prima apparizione avvenne nella notte fra il 18 e il 19 luglio 1830. Un angelo condusse Caterina nella chiesa del convento e qui le apparve la Madonna, che rimase seduta per due ore sulla poltrona abitualmente usata dal padre superiore. Di questa prima apparizione possediamo un rapporto scritto nel 1834 da Caterina stessa, eccolo: "Alle undici e mezzo mi sento chiamare per nome: ‘Suor Labouré! Suor Labouré!’ Svegliatami, guardo dalla parte da dove proveniva la voce, che era dal lato del passaggio del letto. Tiro la tenda e vedo un bambino vestito di bianco, dai quattro ai cinque anni, il quale mi dice: ‘Venite in cappella, la Santa Vergine vi aspetta’. Immediatamente mi viene da pensare: ‘mi sentiranno!’ Ma quel fanciullo mi risponde: ‘State tranquilla: sono le undici e mezzo e tutti dormono profondamente. Venite che vi aspetto. Mi affrettai a vestirmi e seguii il bambino che era restato in piedi senza spingersi oltre la spalliera del letto. Il fanciullo mi seguì - o meglio, io seguii lui dovunque passava - tenendosi sempre alla mia sinistra. I lumi erano accesi dappertutto dove noi passavamo, il che mi sorprendeva molto. Rimasi però assai più meravigliata all'ingresso della cappella, quando la porta si aprì, appena il bambino l'ebbe toccata con la punta di un dito. La meraviglia poi fu ancora più completa quando vidi tutte le candele e tutte le torce accese, come alla Messa di mezzanotte. Però non vedevo ancora la Madonna. Il bambino mi condusse nel presbiterio, accanto alla poltrona celebrante, dove io mi posi in ginocchio, mentre il bambino rimase tutto il tempo in piedi. Poiché mi sembrava che passasse molto tempo, ogni tanto guardavo per timore che le suore vegliatrici passassero dalla tribuna e mi scoprissero ancora in piedi in cappella. Finalmente giunse il momento tanto atteso. Il fanciullino mi avvertì, dicendomi: ‘Ecco la Santa Vergine, eccola!’. Sentii un rumore, come il fruscio di vesti di seta, venire dalla parte della tribuna, presso il quadro di San Giuseppe, e vidi la Santa Vergine che venne a posarsi sui gradini dell'altare dal lato del Vangelo. Era la Santa Vergine in persona, solo il volto non era lo stesso. Io non ero certa se si trattasse della Madonna, ma il bambino mi disse ‘Ecco la Madonna!’. Dire ciò che provai in quel momento e ciò che succedeva in me, mi sarebbe impossibile. Mi sembrava di non riconoscere la Santa Vergine. Fu in quel momento che quel bambino mi parlò, ma non più con voce da bambino, ma come un uomo… Io, guardando la Santissima Vergine, spiccai allora un salto verso di Lei, ed inginocchiatami sui gradini dell'altare, appoggiai le mani sulle ginocchia della Santa Vergine. Quello fu il momento più bello e importante della mia vita. La Madonna mi spiegò come dovevo comportarmi col mio direttore e parecchie cose che non debbo dire. Mi insegnò il modo di regolarmi nelle mie pene e mostrandomi con la sinistra i piedi dell'altare, mi disse di andarmi a gettare ai piedi dell'altare ad espandervi il mio cuore, aggiungendo che là avrei ricevuto tutti i conforti di cui ho bisogno. La Madonna mi disse: ‘Figlia mia, il Buon Dio vuole incaricarvi di una missione. Essa sarà per voi fonte di molte pene, ma le supererete pensando che sono per la gloria del Buon Dio. Avrete la grazia; dite tutto quanto in voi succede, con semplicità e confidenza. Vedrete certe cose, sarete ispirata nelle vostre preghiere; riferitele a chi è incaricato di guidarvi’. Io allora chiesi alla Santa Vergine la spiegazione delle cose che mi erano state mostrate (Caterina si riferisce ad alcune visioni avute precedentemente). E la Madonna rispose: ‘I tempi sono cattivi. Gravi sciagure stanno per abbattersi sulla Francia. Il trono sarà rovesciato. Tutto il mondo sarà sconvolto da disgrazie d'ogni specie (la Santa Vergine, dicendo questo aveva l'aspetto molto addolorato). Ma venite ai piedi di questo altare. Qui le grazie saranno sparse sopra tutte le persone che le chiederanno con fiducia e fervore: grandi e piccoli. Figlia mia, io mi compiaccio di spandere le mie grazie sulla Comunità. Io l'amo molto, ma provo pena. Ci sono degli abusi: la regola non è osservata. Vi è una grande rilassatezza nelle due comunità. Dillo a colui che è incaricato di voi, benché non sia ancora superiore. Egli fra qualche tempo sarà incaricato in modo speciale della Comunità. Egli deve fare tutto il possibile per rimettere la regola in vigore, diteglielo da parte mia. Che egli vegli sulle cattive letture, sulla perdita di tempo e sulle visite. Quando la regola sarà rimessa in vigore, vi sarà una Comunità che verrà ad unirsi alla vostra. Sopraggiungeranno grandi mali. Il pericolo sarà grande. Ma non temete, la protezione di Dio è sempre là in una maniera particolare e San Vincenzo proteggerà la Comunità. Io stessa sarò con voi, ho sempre vegliato su di voi. Vi accorderò molte grazie. Arriverà un momento in cui il pericolo sarà grande e tutto sembrerà perduto, ma io sarò con voi. Abbiate fiducia. Avrete prove evidenti della mia visita e della protezione di Dio e di quella di San Vincenzo sulle due Comunità. Ma non sarà lo stesso per le altre comunità. Ci saranno vittime (dicendo questo la Santa Vergine aveva le lacrime agli occhi). Ci saranno vittime nel clero di Parigi: l’Arcivescovo morirà (di nuovo la Madonna versò lacrime). Figlia mia, la Croce sarà disprezzata…Scorrerà il sangue. Apriranno di nuovo il costato di mio Figlio, (Qui la Santa Vergine non poteva più parlare, un gran dolore le era dipinto sul volto). Figlia Mia, il mondo intero sarà nell'afflizione’. Quanto tempo restai con la Madonna, non saprei dirlo. Tutto quello che so è che se ne andò scomparendo come un ombra che svanisce, io mi accorsi solo di qualcosa che si spegneva, e poi solo un’ombra che si dirigeva verso la tribuna, dalla parte da cui era venuta. Alzatami dai gradini dell'altare, mi accorsi del bambino, là dove l'avevo lasciato, il quale mi disse ‘Se ne è andata!’. Rifacemmo la stessa strada, trovando sempre tutti i lumi accesi e avendo quel bambino sempre alla mia sinistra. Credo che quel bambino fosse il mio angelo custode, resosi visibile per farmi vedere la Santa Vergine, perché io infatti l'avevo molto pregato di ottenermi un tal favore. Era vestito di bianco e portava con sé una luce miracolosa, ossia era sfolgorante di luce, dell'età dai quattro ai cinque anni. Tornata a letto, sentii suonare le due e non ripresi più sonno". La seconda apparizione ebbe luogo nel settembre successivo e la terza, la più importante, il 27 novembre. Suor Caterina era in chiesa e stava meditando quando le apparve la Vergine vestita di bianco. Caterina descrive così la Madonna: "Stava in piedi, la sua veste era di seta e di color bianco aurora... Dal capo le scendeva un velo bianco sino ai piedi. Aveva i capelli spartiti e una specie di cuffia con un merletto di circa tre centimetri di larghezza, leggermente appoggiato sui capelli. Il viso era abbastanza scoperto; i piedi poggiavano sopra un globo, o meglio, sopra un mezzo globo, o almeno io non ne vidi che una metà (in seguito Caterina dirà di aver visto anche un serpente di colore verdastro e chiazzato di giallo, schiacciato sotto i piedi della Vergine). Le sue mani, elevate all'altezza della cintura, mantenevano in modo naturale un altro globo più piccolo che rappresentava l'universo. Ella aveva gli occhi rivolti al cielo e il suo volto diventò risplendente, mentre presentava il globo a Nostro Signore. Tutto ad un tratto le sue dita si ricoprirono di anelli, ornati di pietre preziose, le une più belle delle altre, le une più grosse e le altre più piccole, le quali gettavano dei raggi gli uni più belli degli altri, questi raggi partivano dalle pietre preziose; le più grosse mandavano raggi più grandi, e le più piccole raggi meno grandi, sicché tutta se ne riempiva la parte inferiore, e io non vedevo più i suoi piedi...Alcune pietre preziose non mandavano raggi. Queste pietre che restano in ombra rappresentano le grazie che ci si dimentica di chiedermi mi disse la Vergine Maria, bellissima come non mai. Mentre io ero intenta a contemplarla, la Santissima Vergine abbassò gli occhi verso di me e intesi una voce che mi disse queste parole ‘Questo globo che vedete rappresenta tutto il mondo, in particolare la Francia ed ogni singola persona’... E la Vergine Santissima aggiunse ‘Sono il simbolo delle grazie che io spargo sulle persone che me le domandano’…In quel momento… ecco formarsi intorno alla Santissima Vergine un quadro piuttosto ovale, sul quale in alto, a modo di semicerchio dalla mano destra alla sinistra di Maria, si leggevano queste parole scritte a lettere d'oro ‘O Maria, concepita senza peccato, pregate per noi che ricorriamo a Voi’. Allora si fece sentire una voce che mi disse: ‘Fate coniare una medaglia su questo modello. Tutte le persone che la porteranno riceveranno grandi grazie, specialmente portandola al collo; le grazie saranno abbondanti per le persone che la porteranno con fiducia’. All'istante mi parve che il quadro si voltasse e io vidi il rovescio della Medaglia. Vi era la lettera M sormontata da una croce senza crocifisso che aveva come base la lettera I. Più sotto poi vi erano due cuori, uno circondato da spine, l'altro trapassato da una spada. Dodici stelle infine circondavano il tutto.". Questi simboli della medaglia hanno ovviamente un significato ben preciso: la lettera M è l’iniziale del nome Maria, la lettera I è l’iniziale del nome Iesus (Gesù). Il cuore circondato da spine è quello di Gesù; l'altro, trapassato da una spada, è quello di Maria. Nel dicembre successivo, nel corso di un’altra apparizione, Caterina ricevette nuovamente l’ordine di far coniare la medaglia, cosa che avvenne due anni dopo, quando l’arcivescovo di Parigi, Monsignor De Quelen, ne diede l’autorizzazione. I primi 1500 esemplari furono coniati il 30 giugno 1832 e i prodigi ottenuti furono subito così numerosi che la medaglia fu detta "miracolosa". L’ 8 dicembre dell’anno 1854 Sua Santità Papa Pio IX proclamò in modo solenne e pratico il Dogma dell’Immacolata Concezione: Maria, per una grazia speciale, che Le è stata concessa prima della Redenzione, meritata da suo Figlio, è senza peccato fin dal suo concepimento. Quattro anni più tardi, nel 1858, le apparizioni che avvennero nella Città di Lourdes confermeranno a Bernadetta Soubirous il privilegio della Santa Madre di Dio. Maria, Cuore Immacolato, è la primizia dei riscattati dai meriti di Gesù Cristo. Maria è la luce della nostra Terra. Tutti noi, come lei, siamo destinati alla felicità eterna. La medaglia per quale motivo è definita: miracolosa, e dolorosa?
Definizione di miracolosa:
Qualche mese dopo le apparizioni, Suor Caterina è inviata al ricovero di Enghein per curare e accudire in tutti i loro bisogni gli anziani e i malati. La giovane suora si mette al lavoro. Ma una voce interiore proveniente dal suo cuore insiste: si deve far coniare la medaglia, per la salvezza di tutta l’umanità. Caterina ne riparla nuovamente al suo confessore, Padre Aladel. Quindi, nel Febbraio 1832 scoppia a Parigi una terribile epidemia di colera, che provocherà più di 20.000 morti! Nel mese di giugno le Figlie della Carità cominciano a distribuire le prime 2.000 medaglie, fatte coniare con l’approvazione di Padre Aladel. Avviene una manifestazione strepitosa, le guarigioni si moltiplicano, come le protezioni e le conversioni di peccatori incalliti e scellerati. Fu un avvenimento straordinario. Il popolo di Parigi chiamò la medaglia «miracolosa». Nell’autunno 1834 c’erano già più di 500.000 medaglie. Nel 1835 nel mondo intero ce n’era già più di un milione. Nel 1839 la medaglia era diffusa in più di dieci milioni di esemplari. Alla morte di suor Caterina, nel 1876, si contava già più di un miliardo di medaglie sparse in tutto il mondo! Le parole e le immagini impresse sul diritto della medaglia esprimono un messaggio con tre aspetti intimamente legati. «O Maria concepita senza peccato, pregate per noi che ricorriamo a voi» L’autentica identità di Maria ci è rivelata qui esplicitamente: la Vergine Maria è immacolata fin dal concepimento ne grembo di Sant’Anna. Da questo privilegio, che le deriva dai meriti della Passione di suo Figlio Gesù Cristo, ne scaturisce tutta la sua potenza d’intercessione, che ella esercita per coloro che la pregano con cuore sincero. Ed è per questo che la Vergine invita tutti gli uomini a ricorrere a Lei nelle difficoltà della vita, e dalle tentazioni del maligno. I suoi piedi sono posati sulla metà del globo e schiacciano la testa orgogliosa del serpente, signore del male. La semi sfera è il globo rappresenta il mondo. II serpente, come presso gli Ebrei e i Cristiani, simboleggia satana e le forze del male, che verranno sconfitte dal Trionfo del Cuore Immacolato di Maria. La Vergine Maria stessa è impegnata nella battaglia spirituale, nella lotta continua contro il male, di cui il nostro mondo è il campo di battaglia. Maria ci chiama ad entrare nella logica di Dio, che non è la logica di questo mondo. È questa la grazia autentica, quella della conversione di ogni cuore che palpita, che il cristiano con tanta umiltà e obbedienza deve chiedere a Maria per trasmetterla al mondo intero. Le sue mani sono aperte e le sue dita sono ornate di anelli ricoperti di pietre preziose, dalle quali escono raggi, che cadono sulla terra, allargandosi verso il basso, illuminando ogni angolo cupo del nostro cuore, riportandolo nella pace e nell’Amore smisurato di Dio. Ma attenzione, non dobbiamo mai abusare della Misericordia di Dio, altrimenti veniamo soffocati dalla sua ira. Lo splendore di questi raggi, come la bellezza e la luce dell’apparizione, descritte da Santa Caterina, richiamano, giustificano e nutrono la nostra fiducia nella fedeltà di Maria, gli anelli, nei confronti del suo Creatore e verso i suoi figli, nell’efficacia del suo intervento, i raggi di grazia, che cadono sulla terra, e nella vittoria finale, la luce, poiché lei stessa, è la prima discepola, è la primizia dei salvati.
Definizione di dolorosa.
La medaglia porta sul suo rovescio una lettera e delle immagini, che ci introducono nel segreto di Maria. La lettera «M» è sormontata da una croce. La «M» è l’iniziale di Maria, la Croce è quella di Cristo. I due segni intrecciati mostrano il rapporto indissolubile che lega Cristo alla sua santissima Madre. Maria è associata alla missione di Salvezza dell’umanità decaduta da parte del Figlio suo Gesù e partecipa in prima linea, attraverso la sua compassione (cum+ patire= patire insieme), all’atto stesso del sacrificio redentivo di Cristo sulla Croce. In basso, sono evidenti i due cuori, sempre uniti, l’uno circondato da una corona di spine, l’altro trapassato da una spada. Il cuore coronato di spine è il cuore di Gesù, che come sappiamo dai Vangeli dalla Liturgia della Chiesa, ci ricorda l’episodio crudele della Passione di Cristo, prima della morte. Il cuore simboleggia la sua Passione d’amore che dovette affrontare per la salvezza di tutti noi peccatori. Il cuore trafitto da una spada è il cuore di Maria, sua Santissima Madre. Si riferisce alla profezia di Simeone, raccontata nei Vangeli, il giorno della presentazione di Gesù al tempio di Gerusalemme da Maria e Giuseppe per la circoncisione. Simboleggia l’amore di Cristo, che è in Maria e richiama il suo amore per noi, per la nostra salvezza e l’accettazione del sacrificio del suo Figlio. L’accostamento dei due Cuori esprime che la vita di Maria è vita d’intima unione con Gesù. Attorno a questi SS.mi Cuori sono raffigurate dodici stelle. Esse corrispondono ai dodici apostoli e rappresentano la Chiesa. Essere Chiesa, significa amare Cristo, partecipare pienamente e intimamente alla sua passione, per la Salvezza del mondo. Ogni battezzato è invitato ad associarsi alla missione del Cristo, unendo il suo cuore ai Cuori di Gesù e di Maria. La medaglia è un richiamo alla coscienze di ciascuno, perché scelga, come Cristo e Maria, la via dell’amore, fino al dono totale di sé.
I fatti che seguirono dopo la distribuzione delle Medaglie Miracolose fecero riscoprire, con particolare forza, l’importanza della protezione materna di Maria Immacolata, inscindibilmente legata per volontà divina alla missione salvifica del Figlio Redentore nel sostenere la nostra invisibile ma quotidiana lotta contro gli inganni di satana, smanioso di condurre alla dannazione eterna il maggior numero possibile di anime. «La medaglia è una miniatura racchiusa in uno spazio molto piccolo, minuscolo, con un minimo di simboli, essa riassume in tutto la mariologia, che è unita strettamente alla cristologia». Non a caso iniziò da lì un eccezionale ciclo di apparizioni mariane, segno della sovrabbondanza di grazie coincidente con l’intensificarsi della battaglia escatologica contro lo spirito del male, che purtroppo domina questo mondo. E sulla spinta dell’invocazione «concepita senza peccato» impressa sulla medaglia si rinvigorì il culto verso l’Immacolata Concezione, arrivando come accennato in precedenza con Pio IX alla solenne proclamazione del dogma nel 1854, accolto con gioia dalla Chiesa universale quale verità «intimamente radicata e solidificata nel cuore dei fedeli» fin dai tempi più antichi e testimonianza che «ogni tributo di onore reso alla Madre ridonda sul Figlio» (Ineffabilis Deus). Ciò che le visioni del 1830 avevano ridestato trovò poi una conferma a Lourdes, nel 1858, quando la Beata Vergine si rivelò all’umile Bernadette con le parole: «Io sono l’Immacolata Concezione». E suor Caterina, appena sentì il racconto delle nuove apparizioni della Madonna, disse con ton sicuro e affermativo: «È la Madonna, la Madre di Gesù e Madre nostra». Secondo la teologia cattolica tradizionale, esiste un intimo e profondo rapporto tra la Madonna e la Chiesa, Corpo Mistico di Cristo. La mediazione universale di Maria è per volontà di Dio ordinariamente necessaria alla salvezza e alla santificazione degli uomini come quella della Chiesa stessa, che in questo momento buoi della nostra era è attaccata da nemici interni ed esterni. È, se alla Chiesa è stato affidato da Dio il compito di custodire e diffondere le verità della fede nella loro integrità e purezza, alla Madonna è stata riservata la missione di combattere e vincere il demonio, supremo ispiratore e fautore di tutti gli errori e di tutte le eresie con ogni mezzo messo da Gesù a sua disposizione. In questa prospettiva, brillano di luce straordinaria le grandi apparizioni mariane degli ultimi tempi. Oltre Rue du Bac, abbiamo, La Salette, Lourdes, Fatima, Medjugorje, e per ultimo il Santuario Mariano della Madonna dello Scoglio in Calabria. Sono nomi che dovrebbero essere familiari a ogni cattolico fedele a cristo e alla sua Chiesa. Mentre, con il dilagare della Rivoluzione, si faceva notte sul mondo, la Madonna apriva gli occhi degli uomini sulla gravità della situazione con una luminosa costellazione di messaggi mariani che avevano il loro culmine nell’apparizione di Fatima, giustamente definita l’avvenimento più importante del secolo ventesimo. Anche l’Italia ha avuto il privilegio di una grande apparizione mariana: meno conosciuta, ma non meno significativa delle altre per il profondo insegnamento che ancora trasmette al tempo presente. Fu la miracolosa conversione, dell’ebreo Alfonso Ratisbonne, al quale la Madonna apparve nella chiesa romana di Sant’Andrea delle Fratte. Vi è infatti, una lapide posta in uno dei pilastri della cappella dell’apparizione, dove ancora oggi si venera l’immagine di quella che il popolo romano chiamò la «Madonna del Miracolo», così ricorda l’avvenimento: «Il 20 gennaio 1842, Alfonso Ratisbonne, venne qui ebreo indurito. La Vergine gli apparve come tu la vedi. Cadde ebreo si rialzò cristiano. Straniero: porta con te questo prezioso ricordo della misericordia di Dio e del potere della SS. Vergine». Ora riporto con esattezza cosa avvenne in quel giorno del 1942. «Era giovedì 20 gennaio, dopo aver fatto colazione all’albergo e aver imbucato le mie lettere alla posta, mi recai a casa del mio amico Gustavo, il pietista, che era tornato dalla caccia, escursione che lo aveva tenuto lontano per alcuni giorni. «Gustavo mi consolò ironicamente, parlandomi di un’altra cerimonia davvero curiosa che doveva svolgersi, credo, a Santa Maria Maggiore. Si trattava della benedizione degli animali. E su tutto questo, gara di freddure e lazzi del tipo che si può immaginare tra un ebreo e un protestante. «Parlammo di caccia, di piaceri, dei divertimenti del carnevale, della brillante serata che il duca Torlonia aveva dato il giorno prima. Né ci si poteva dimenticare delle feste del mio matrimonio: invitai de Lotzbeck, che mi promise di partecipare. «Se in quell’istante (era mezzogiorno) un terzo interlocutore mi si fosse avvicinato, e mi avesse detto: “Alfonso, fra un quarto d’ora adorerai Gesù Cristo, tuo Dio e tuo Salvatore, sarai prosternato in una povera chiesa, ti batterai il petto dinanzi a un sacerdote, in un convento di Gesuiti dove trascorrerai il carnevale per prepararti al battesimo, pronto ad immolarti per la fede cattolica; e rinuncerai al mondo, alle sue pompe, ai suoi piaceri, alla tua fortuna, alle tue speranze, al tuo avvenire; e, se sarà necessario, rinuncerai anche alla tua fidanzata, all’affetto della tua famiglia, alla stima dei tuoi amici, all’attaccamento degli ebrei … e non aspirerai più che a seguire Gesù Cristo e a portare la sua croce fino alla morte!…”. Dico che se qualche profeta mi avesse fatto una predizione simile, avrei giudicato solo un uomo più insensato di lui: l’uomo che avesse creduto possibile una simile follia! Eppure, è proprio questa follia che costituisce oggi la mia sapienza e la mia felicità. «Uscendo dal caffè, mi imbatto nella carrozza di Teodoro de Buissières. Si ferma, e sono invitato a salire per un tratto di passeggiata. Il tempo era splendido, e accettai con piacere. Ma de Buissières mi chiese la cortesia di fermarsi pochi minuti alla chiesa di Sant’Andrea delle Fratte, che si trovava quasi di fianco a noi, per un affare che doveva sbrigare; mi suggerì di aspettarlo in carrozza; io preferii scendere, per vedere la chiesa. Vi si facevano dei preparativi per un funerale e mi informai del defunto che doveva ricevere le estreme onoranze. De Buissières mi rispose: È un mio amico, il conte de La Ferronays; la sua morte improvvisa – aggiunse – è la causa di quella tristezza che avrete notata in me da due giorni”. «Non conoscevo de La Ferronays; non lo avevo mai visto, e non provavo altra impressione che quella d’una pena alquanto vaga che sempre si prova alla notizia d’una morte improvvisa. De Buissières mi lasciò per andare a prenotare una tribuna destinata alla famiglia del defunto. “Non vi impazientite, mi disse entrando nel chiostro, sarà questione di due minuti”. «La chiesa di Sant’Andrea è piccola, povera e deserta; credo di essere stato quasi solo; nessuna opera d’arte attirava la mia attenzione. Camminavo, meccanicamente, con lo sguardo in giro, senza soffermarmi su nessun pensiero; mi ricordo soltanto di un cane nero che saltellava e balzava dinanzi a me. Non appena scomparso il cane, la chiesa intera disparve, non vidi più nulla o piuttosto, Dio mio, vidi una sola cosa! «Come potrei parlarne? Oh! no, la parola umana non deve tentare d’esprimere l’inesprimibile; ogni descrizione, per quanto sublime possa essere, non sarebbe che una profanazione dell’ineffabile verità. Ero là, prosternato, bagnato nelle mie lacrime, col cuore fuori di me stesso, quando de Buissières mi richiamò alla vita. «Non potevo rispondere alle sue domande precipitose; ma presi la medaglia che avevo al petto e baciai con effusione l’immagine della Vergine, raggiante di grazia. Oh! era davvero Lei! La Madonna. «Non sapevo dove mi trovavo; non sapevo se fossi Alfonso o un altro; sentivo un così totale mutamento, che mi credevo un altro me stesso. Tentavo di ritrovarmi e non mi ritrovavo. La gioia più ardente si sprigionava dal fondo della mia anima; non potei parlare; non volli rivelare nulla; sentivo in me qualcosa di solenne e di sacro che mi fece chiamare un sacerdote. Vi fui condotto, e solo dopo avuto l’ordine positivo ne parlai, per quanto mi era possibile, in ginocchio e col cuore tremante. «Le mie prime parole furono di riconoscenza per de La Ferronays e per l’Arciconfraternita della Madonna delle Vittorie. Sapevo con certezza che de La Ferronays aveva pregato per me; ma non saprei dire come lo seppi, così come non potrei fare un resoconto delle verità di cui avevo acquisito la fede e la conoscenza. Tutto ciò che posso dire è che al momento del fatto la benda mi cadde dagli occhi; non una sola, ma tutta la moltitudine di bende che mi avevano avvolto, scomparvero una dopo l’altra rapidamente, come la neve e il fango e il ghiaccio sotto l’azione di un sole cocente. «Uscivo da una tomba, da un abisso di tenebre, ed ero vivo, perfettamente vivo. Ma piangevo! Vedevo nel fondo dell’abisso le miserie estreme dalle quali ero stato strappato da una misericordia infinita; rabbrividivo alla vista di tutte le mie iniquità, ed ero stupito, intenerito, sprofondato in ammirazione e riconoscenza. Pensavo a mio fratello con una indicibile gioia; ma alle lacrime d’amore si univano lacrime di compassione. Oh! quanti discendono tranquillamente in questo abisso con gli occhi chiusi dall’orgoglio o dalla spensieratezza! Vi discendono, s’inabissano vivi nelle orribili tenebre! E la mia famiglia, la mia fidanzata, le mie povere sorelle! Oh! straziante ansietà! Penso a voi, voi che io amo! A voi dono le prime preghiere. Non alzerete voi gli occhi verso il Salvatore del mondo, il cui sangue ha cancellato il peccato originale? Oh, che l’impronta di questa macchia è orribile! Rende completamente irriconoscibile la creatura fatta a immagine di Dio. «Mi si domanda come appresi queste verità, poiché è accertato che non ho mai aperto un libro di religione, non ho mai letto una pagina della Bibbia, e che il dogma del peccato originale, totalmente dimenticato o negato dagli Ebrei dei nostri giorni, non aveva mai occupato un istante il mio pensiero; dubito anche di averne sentito il nome. Come sono arrivato dunque a questa conoscenza? Non saprei dirlo. «Tutto ciò che so, è che entrando in chiesa ignoravo tutto; uscendone, vedevo chiaro. Non posso spiegare questo cambiamento che con l’immagine di un uomo il quale si risvegliasse da un sonno profondo, o con quella di un cieco nato che vedesse la luce tutto d’un colpo; vede, ma non può definire la luce che lo illumina e nella quale contempla gli oggetti della sua ammirazione». Il trionfo della Chiesa è la vittoria sugli errori e sulle eresie: e questa vittoria è stata riservata in modo esclusivo a Maria, di cui la Chiesa canta: «Tu sola sterminasti le eresie di tutto l’universo». Maria ha sempre avuto una parte decisiva «nella diffusione, nelle battaglie, nei trionfi della fede cattolica» e anzi, «la storia dei trionfi della Chiesa è la storia dei trionfi di Maria». «Ogni qual volta che parve quasi per scendere la notte sul mondo, si vide spuntare nel cielo Maria, stella del mattino» che ha dissipato le tenebre del male e portato la Luce di Suo Figlio Gesù Cristo. Quindi in conclusione: a Rue du Bac, a La Salette, a Lourdes, a Fatima, ed altri altrettanti Santuari la Madonna scelse anime innocenti per trasmettere i suoi messaggi al mondo. A Roma la Madonna apparve a un peccatore, a un cuore indurito dall’orgoglio, a un nemico della Chiesa. Ebreo di origine, rivoluzionario di mentalità, Ratisbonne sembra prefigurare il mondo moderno, incredulo, duro di cuore, ostinato nei suoi errori. Eppure, basta l’apparizione della Madonna, un suo gesto, perché Ratisbonne cada in ginocchio e comprenda istantaneamente, secondo quanto egli stesso dichiarò, nella sua esposizione al processo canonico, «l’orrore del suo stato, la deformità del peccato, la bellezza della Religione Cattolica». La sua conversione è perfetta e istantanea come quella di san Paolo: le tenebre dell’incredulità e del giudaismo sono improvvisamente squarciate, dal fulgore della verità. La Madonna «viva, grande, maestosa, bellissima, misericordiosa» manifesta i suoi attributi tradizionali di Regina e di Madre: la potenza e la misericordia. Ma la Madonna esige, per intervenire, la collaborazione degli uomini: la Medaglia miracolosa, il Memorare, le preghiere insistenti del barone de Buissières e del conte de La Ferronays, forse per un impercettibile gesto di buona volontà da parte di Ratisbonne, sono gli elementi da non trascurare nel grande quadro di questa conversione. Nulla è impossibile alla Madonna, regale dispensatrice di grazie, quando essa è pregata da cuori ardenti e devoti. «Quando gli uomini decidono di collaborare con la grazia di Dio, allora nella storia accadono cose meravigliose: la conversione dell’Impero romano, la formazione del Medio evo, la riconquista della Spagna a partire da Covadonga, sono tutti avvenimenti di questo tipo, che accadono come frutto delle grandi resurrezioni dell’anima, di cui anche i popoli sono suscettibili». Di fronte al flagello del comunismo ateo, del terrorismo che minaccia oggi l’umanità, preghiamo con animo sincero e umile la Madonna perché voglia manifestare ancora una volta la sua potenza e la sua misericordia verso di noi miseri e indegni peccatori: allo stesso modo in cui convertì l’ebreo Ratisbonne e regnò nel suo cuore, conceda ai nostri giorni la conversione del mondo, l’instaurazione del Suo regno, il Trionfo del Suo Cuore Immacolato e della Chiesa, sul demonio e le sue schiere.

CAPITOLO V
Giungerà nel mondo intero l’Era di Pace, dopo la grande tribolazione

La Madonna durante le apparizioni non fa che ripetere: "Se si ascolteranno le mie richieste si avrà la pace in tutto il mondo". Queste parole di speranza pronunciate da Nostra Signora di Fatima hanno preceduto una lunga litania di sventure che lei predisse che sarebbero cadute sul mondo se le sue richieste non fossero state prese sul serio. È imperativo comprendere che le sue affermazioni sono ancora valide: ci sarà certamente la pace se le persone faranno quello che lei chiede. Se, anche ora, durante gli "ultimi avvertimenti", risponderemo con il pentimento, lasciando che la grazia del perdono di Dio purifichi dal peccato i nostri cuori, ci sarà senz’altro la pace: una pace che si realizzerà prima nel cuore di ogni persona e poi nella società, nel mondo intero, dando inizio ad un’Era di Pace che Maria profetizzò che sarebbe arrivata immancabilmente. Se avessimo ascoltato fin dall’inizio, o in qualsiasi momento durante gli anni in cui si lamentava di noi, avremmo potuto evitare "guerre, carestie, persecuzioni della Chiesa e del Santo Padre". A molte persone buone sarebbe stato risparmiato il martirio, la fame non avrebbe flagellato intere nazioni, la Russia sarebbe già stata convertita e non avrebbe mai potuto diffondere i suoi errori e le sue eresie in tutto il mondo, la Seconda Guerra Mondiale che ha fatto più vittime e danni della Prima non ci sarebbe mai stata. Ma queste afflizioni purtroppo ci sono state. La pace è andata perduta per sempre? Il genere umano distruggerà sé stesso con una guerra nucleare globale? La pace che tanto desideriamo e attendiamo è un sogno, un’illusione? La Pace è fattibile, soltanto se ci rifugiamo in quel Cuore di Mamma, che vuole bene ai suoi figli. Siamo noi figli che purtroppo non siamo obbedienti a questa Mamma, che ha consegnato senza opporre resistenza suo Figlio Gesù in Sacrificio ed espiazione dei nostri miseri peccati sul legno della Croce per la nostra salvezza. "Alla fine il mio Cuore Immacolato trionferà…e sarà concesso al mondo un periodo di pace, e satana e tutti i suoi servi fedeli sarà legato nell’inferno per tutta l’eternità e non nocerà più a nessuno". Questa promessa non è condizionata. La pace sta per arrivare. Sarà la pace che concede Gesù, non quella che viene data dal mondo, il mondo non dà pace, ma guerra e confusione, perché è governato dal principe di questo mondo. Le persone alla fine faranno quello che lei chiede e ci sarà la pace. Credere questo non è illusione, ma una realtà. La Madre di Dio l’ha predetto. Nonostante le considerazioni e i dubbi umani, i fallimenti e i peccati, le guerre o i castighi che dilagano nel mondo come una gigantesca macchia d’olio, le sue profezie "alla fine" si concretizzeranno. L’Era di Pace attende il Trionfo del Cuore Immacolato di Maria. Non è possibile stabilire il tempo che rimane prima che arrivi la pace, dal momento che la venuta della pace deve prima avvenire in noi stessi, con una severa e seria conversione dei nostri cuori. Dobbiamo avere nelle nostre coscienze l’innocenza del Cuore Immacolato prima che la pace possa sopraggiungere. Il pentimento deve sconfiggere il peccato prima che la pace sia con noi. L’amore deve annullare ogni altra considerazione e riconciliarci tutti nella bontà, prima che possiamo vedere la pace. Famiglie e vicini, villaggi e città, paesi e nazioni devono riconciliarsi con Dio prima che possa esserci la pace. Soprattutto i cristiani devono essere uniti in un unico Corpo che è la Chiesa, prima che la pace possa scendere su di noi dal Cielo. Nostra Signora ha fatto riferimento a questo quando ci ha assicurato che la pace "sarà concessa" al mondo solo se convertito e disarmato da ogni offesa e da ogni male. Essa giungerà da Dio e con noi rimarrà per sempre. Dunque, l’Era di Pace dovrà attendere fino a che il Trionfo di questo Cuore Grande di Made non sarà completo, prima in noi e successivamente nel resto del mondo. Esso è già iniziato in tutti coloro che hanno ascoltato il messaggio di Nostra Signora e hanno cambiato la loro vita, sforzandosi ogni giorno di diventare santi e di piacere a Dio, cercando di imitare con i propri cuori il Cuore Immacolato di Maria insieme con quello di Gesù. Ma l’Era di Pace non arriverà finché il Trionfo del Cuore Immacolato non avrà raggiunto una completezza tale che i cuori di tutti noi siano già stati convertiti all’armonia e all’amore. La pace è un dono per il cuore e se un cuore è in armonia con Dio allora può donarsi al prossimo. La pace che è in me può rendere il mondo attorno a me un luogo più pacifico per gli altri. Attraverso la mia pace io sono pronto ad entrare in relazione amichevole con tutti coloro che incontro. Le nazioni pacifiche sono fatte di persone pacifiche che hanno scelto la pace come modo di vivere. Non ci può essere guerra fra nazioni dove ci sono uomini e donne pacifici. Un cuore trasformato dalla propria pace interiore può dare al mondo quella pace che il mondo non può dare a sé stesso. Sono coloro che condividono l’Amore grande di Gesù attraverso il pentimento e la conversione che inaugureranno l’Era di Pace che ci è stata promessa dalla Madonna. Per queste ragioni dobbiamo attendere nel discernimento e nell’umiltà, anche se non sappiamo per quanto, perché il male è sempre in agguato a tenderci trappole con l’inganno e con la falsa religione. Noi sappiamo solo che questa misteriosa "pace" verrà certamente. Ce lo ha promesso il Cuore Immacolato di Maria, quindi, può arrivare molto presto. Possiamo sperare che venga in fretta, siamo desiderosi di riconciliarci in maniera definitiva con Dio. Dopotutto "niente è impossibile per Dio". Forse la grande ondata di preghiere di intercessione, penitenze e sacrifici, che sgorgherà nei fedeli per la conversione del mondo sarà così efficace che l’Era di Pace verrà senza ritardi. Ma dobbiamo tenere presente che è anche possibile e forse più probabile, considerata la nostra scarsa risposta ai messaggi e la nostra passività, un intervallo molto più lungo; ed è anche possibile che ci saranno molti anni difficili prima che il Trionfo sia completo e l’Era di Pace inizi il suo processo di santificazione dell’intera umanità che è considerata ancora decaduta e violata dai nostri peccati. Semplicemente non abbiamo alcuna idea di quanto ci vorrà perché ci venga data l’Era di Pace. La pace in realtà può comparire solo dopo il Castigo, ma Dio nella Sua grande Misericordia non desidera vederci soffrire, ma se ancora continuiamo a soffrire non possiamo in nessun modo dare la colpa a Dio, ma a noi stessi, perché siamo insensibili alle sue parole e alle sue opere, siamo attratti dal male che purtroppo non dorme mai, ma vaga per il mondo come un leone ruggente a divorare le anime. Ecco perché San Paolo dice: rimanete saldi nella fede. Ma se non staremo attenti e vigilanti e continueremo a camminare come dei bendati su questa via errata, verremo trascinati ed inghiottiti in una spirale infernale che ci condurrà nelle profondità degli inferi, senza “remissione paccatorum”. Possiamo sperare e pregare intensamente che l’Era di Pace venga rapidamente, così che grazie al nostro pentimento e alla nostra contrizione dei nostri peccati non servirà nessun castigo divino su noi uomini per portare la pace. Possa la Pace del Signore essere con tutti noi attraverso l’intercessione di Maria, Madre di Dio e Madre nostra. "Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi peccatori ora", nel nostro tempo, che noi possiamo conoscere di nuovo la pace nel mondo, nel Cuore di Gesù e nel tuo Cuore Immacolato. La Madonna ci avverte ancor oggi: il mondo è prossimo a subire gli ultimi cambiamenti, che saranno terrificanti, mentre s’intensifica la battaglia per le anime tra il bene e il male. L’accusatore satana farà del male alla Chiesa Cattolica ed io, la Madre di Dio, sarò coinvolta nella divisione della Chiesa dal suo interno. Il mio ruolo di Corredentrice, Mediatrice e Avvocata non viene accettato a causa delle divergenze esistenti nella Chiesa Cattolica. In molti ambienti, io non sono accettata in merito al ruolo che devo svolgere nella salvezza delle anime. Il mio povero Figlio è così ferito per il modo in cui io, la Madre di Dio, sono stata respinta, non ascoltata e non apprezzata. Il mio ruolo in qualità di distruttrice del serpente non viene compreso, anzi viene screditato giorno dopo giorno. Sono stata benedetta da Dio con le grazie ed il potere di sconfiggere e distruggere il maligno, schiacciandolo sotto i mie piedi. Egli, il maligno, ha molti seguaci che, dall’interno della Chiesa Cattolica, vogliono opporsi al potere che mi è stato dato da Dio, l’Altissimo, e hanno intenzione di istaurare una falsa fede, che segue le vie di satana e dell’inferno. L’Era della Pace di cui io ho parlato a Fatima è stata dimenticata, messa nel dimenticatoio. Essa avrà luogo dopo la Seconda Venuta di mio Figlio nella Gloria e verrà ha giudicare i vivi e i morti e durerà mille anni. Ciò avverrà quando il Cielo e la Terra si uniranno in un solo glorioso Nuovo Paradiso. A motivo della fede riscontrata nei cuori dei miei figli che sono sopravvissuti e della loro ferma devozione verso di me, la loro amata Madre, molte anime entreranno in Paradiso. Il nemico adesso sta lavorando intensamente per convincere i membri della Chiesa Cattolica che tutto ciò non potrà accadere, ma accadrà. Il mio ruolo, in qualità di Madre della Salvezza e di Corredentrice che opera fianco a fianco del suo diletto Figlio, per annunciare la Sua Seconda Venuta, viene negato e stravolto con tante eresie e errori. Figli miei adorati, dice la Madonna, pregate affinché le anime, vittime dell’ingannatore all’interno del Chiesa Cattolica, non guidino i miei figli lontano dal loro momento di salvezza. Pregate, affinché il Papa possa impedire a questo male di penetrare più in fondo in tutta la Chiesa Cattolica. Figli miei, non rinunciate mai al vostro combattimento per sostenere la Verità del Vangelo e la Potenza del Cristo. La promessa del ritorno di mio Figlio per condurre l’Umanità alla vita eterna in Paradiso sta per adempiersi; Egli però sarà contrastato ad ogni passo da parte di quelle anime che hanno permesso al maligno di sviare le loro menti con l’inganno e con le sue false illusioni. La fedeltà verso mio Figlio, all’interno della Chiesa, si indebolirà. Il mio ruolo in qualità di Corredentrice, Mediatrice e Avvocata non sarà più accettato. Pregate affinché i sacerdoti e i vescovi di mio Figlio rimangano forti e fedeli, e difendano la Verità al costo della propria stessa vita. La Vergine Maria come abbiamo riscontrato nella prima parte di questo capitolo, è ostacolata dalla forze del male che attualmente stanno cercando di indebolire le difese della Chiesa Cattolica dal suo interno, con l’aiuto e l’ausilio dei seguaci di satana. Ma, come disse Gesù a Pietro, quando senza suggerimento di nessuno riconobbe in Gesù, il Figlio di Dio Altissimo: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa, e le porte degli inferi non prevarranno”, possiamo stare tranquilli che: “NON PREVARRANNO”. Ma attenzione, qui ci bobbiamo soffermare su un particolare importante, che ci riguarda in prima persona. Secondo le Sacre Scritture, precisamente nell’Apocalisse di San Giovanni, il mondo e la chiesa stessa versa in grave pericolo, quindi, se non ci sarà una ferma e concreta conversione, dovrà affrontare per volere di Dio una Grande Tribolazione, che ora di seguito vi chiarirò in modo serio e dettagliato. Cosa consiste questa Grande Tribolazione? Consiste in un periodo di problemi e difficoltà come mai visto prima su tutta la terra, che alla fine porterà al Regno millenario. Questo periodo terribile è prima della fine dei tempi. In nostro acerrimo nemico satana sa che il suo tempo è brevissimo, e fa quello che può per perseguitare il popolo di Dio, la sua Chiesa e sviarne più che può la vera Fede. Il suo servo, l’anticristo, cerca di eliminare Dio completamente dal cuore di ogni singolo uomo, ma Dio è ancora Onnipotente, e questa è l’ora del Suo giudizio che ricadrà sui vivi e sui morti. Eppure, persino in questo periodo terribile che stiamo attraversando Dio nostro Creatore, dà ripetutamente grazia alle persone per pentirsi e per essere salvate, tramite l’intercessione del Cuore Immacolato di Maria. Il significato di “Grande Tribolazione”, alle menti suscettibili e a coloro che hanno fede, ma si è intiepidita, può creare un po’ di confusione perché non comprendono a quali eventi si riferiscano. In questo documento teologico pastorale, mi riferisco agli avvenimenti dell’intero periodo di tribolazione che noi dovremmo affrontare se non ci convertiamo, dall’inizio della fine dei tempi fino all’Avvento della Nuova Gerusalemme Celeste. Dall’esposizione in Apocalisse 3-19 possiamo riscontrare che la Grande Tribolazione ha tre fasi decisive ed importanti: la prima fase è segnata dalla rottura dei sette sigilli in cielo e culmina col rapimento della sposa di Cristo in cielo e la meretrice che viene buttata giù dalla schiena della bestia; la seconda fase è segnata dal suono delle sette trombe in cielo. Questo è il periodo in cui la bestia sarà in disputa con i “secondi frutti”; coloro che non sono parte del rapimento ma scelgono adesso di servire Dio e combattere il male. Questa seconda fase termina con la racconta dei “secondi frutti” in cielo e la cacciata di satana dal cielo buttandolo giù verso il suo luogo destinato, l’inferno eterno, preparato per lui e i suoi angeli, e le anime dannate; la terza fase è lo sfogo dell’ira divina di Dio su satana, la bestia, l’anticristo e i loro seguaci. Viene segnato con lo svuotamento delle sette coppe dell’ira sulla terra. Dopo questo Gesù Cristo tornerà sulla terra con i Suoi seguaci, segnando la conclusione della Grande Tribolazione e l’inaugurazione del Millennio, mille anni di pace, la stessa pace che la Vergine Maria ci disse a Fatima.
La meretrice, la bestia e l’anticristo
Durante la Grande Tribolazione ci sono tre forze spirituali che sono serve fedelissime di satana e contendono le avversità contro i servi di Dio. Queste sono la meretrice, la bestia e l’anticristo. Tutti questi tre spiriti hanno avuto il loro inizio adesso ai nostri giorni, quando il male ha più profondamente affondato le sue radici nel cuore dell’umanità. La meretrice, anche chiamata Babilonia, usa la religione ed è lo spirito della falsa Cristianità e delle false dottrine predicate nel mondo, per diffondere a macchia d’olio le sue eresie. Possiamo definirlo una “commercializzazione” del Cristianesimo. La meretrice prova a mischiare la Vera Parola di Dio con lo spirito del mondo per dare alla gente quello che vuole. Lei viene chiamata così perché prova ad accontentare due signori. Poi se andiamo ad analizzare l’Apocalisse al capitolo 13 parla della “bestia”; definita come una confederazione di guide del mondo e di nazioni che bestemmiano contro Dio. Questo spirito malvagio usa le forze terrene per ottenere il suo scopo, la distruzione della Fede. La bestia farà guerra ai santi e li vincerà durante la seconda fase della Grande Tribolazione. Apocalisse 13:7. Già possiamo riscontrare gli inizi di questo sviluppo nei governi del mondo d’oggi che si allontanano dalle leggi di Dio e deridono la cristianità, di fatto se non direttamente con le parole, ma con le loro leggi inique e prezzanti. Sta diventando sempre meno accettabile essere un cristiano che di fatto vive e agisce secondo le leggi di Dio. Quando la bestia prende pieno controllo dopo il rapimento lui condannerà apertamente il Cristianesimo e perseguiterà tutti coloro che seguono Dio. Subito dopo l’ascesa della bestia una seconda bestia verrà al potere. In Apocalisse 13:11 viene comparato sia a un agnello che a un drago. Questa seconda bestia è l’anticristo, figlio di satana. Lo scopo principale dell’anticristo è di far inginocchiare più gente possibile davanti alla prima bestia e a adorarla e chiunque si rifiuta verrà ucciso, e tutti i suoi servi fedeli portano il suo marchio sulla fronte il numero,666. L’anticristo è un uomo in carne e ossa, ma lo spirito dell’anticristo e della bestia hanno già iniziato ad operare sulla terra dai giorni degli Apostoli, fino ad oggi. (1 Giovanni 4:3) Loro sviluppano sempre più la loro forza ma non possono prendere pieno potere prima che avvenga il rapimento. (2 Tessalonicesi 2:1-11)
I sette sigilli
In Apocalisse 5 leggiamo del Libro sigillato con sette sigilli. Quando Cristo apre questi sigilli, inizia la Grande Tribolazione. Ogni sigillo corrisponde ad un evento specifico e devastante per tutto il genere umano. In Apocalisse 6:1-8 leggiamo che i primi quattro sigilli aperti liberano quattro Cavalieri sulla terra per conquistare e spargere guerra, fame e morte. Questo corrisponde abbastanza strettamente a quello che Gesù dice in Matteo 24:6-8. Dopo che queste forze spirituali sono liberate il quinto sigillo viene aperto e molti cristiani verranno uccisi e martirizzati per la loro fede. (Apocalisse 6:9-11, Matteo 24:9) È chiaro che le condizioni nel mondo saranno cadute talmente in basso che sarà ridotta ad un’immensa landa desolata e devastata. La gente sarà dominata da odio, orgoglio e tanta malvagità. I cristiani saranno perseguitati e uccisi per la loro fede, la sregolatezza abbonderà, e si alzeranno falsi cristi e falsi profeti. (Matteo 24:10-28), che andranno nel mondo a seminare le loro eresie. Il sesto sigillo aperto annuncerà l’arrivo di terremoti e perturbazioni cosmiche. Il sole e le stelle si oscureranno e la luna diventerà come sangue. (Apocalisse 6:12-17 e Matteo 24:29) Dopo che avviene questo, in Matteo 24:30 ci esorta che, il Figlio dell’Uomo apparirà in cielo e tutte le tribù della terra saranno in lutto. Gesù tornerà nella Sua Gloria per prendere la Sua sposa. Questo è noto come il rapimento, ma Gesù non tornerà sulla terra, quindi questa non è la seconda venuta di Gesù, che avverrà più tardi, dopo che l’ira divina è stata completamente versata sulla terra. Quando la sposa è rapita allora la meretrice verrà anche buttata giù dalle spalle della bestia. (Apocalisse 17:16) La bestia non vorrà più ascoltare nessuna forma di cristianesimo o persino falsa cristianità o qualsiasi forma di religione. Il settimo e ultimo sigillo verrà allora aperto. In Apocalisse 8:2 possiamo vedere che i sette angeli ricevono sette trombe e come leggiamo nel versetto 6 si preparano a suonarle. Questa è la fine della “Grande Tribolazione” come descritto da Gesù in Matteo, che porta al rapimento. La profezia nel libro dell’Apocalisse parla comunque ancora di altri eventi che avranno luogo dopo il rapimento, che vedono una significativa intensificazione della “Grande Tribolazione.”
Le sette trombe
Ai sette angeli menzionati nell'apertura del settimo sigillo in Apocalisse 8:6 sono date sette trombe. Il suono di ogni tromba porta una nuova ondata di disastri e distruzione sulla terra. Questa fase successiva della fine dei tempi è il giudizio di Dio sulla terra, ma l’ira divina è ancora mista con grazia, così coloro che non erano parte del rapimento possono ancora rivolgersi a Dio e ricevere la grazia santificante. Questi non saranno contati tra le primizie, la sposa di Cristo, ma avranno l’opportunità di pentirsi e diventare martiri per la loro fede. Questi sono i “secondi frutti” del raccolto di Dio. Dato che la Sposa è stata rapita non c’è più nulla che trattiene la bestia e l’anticristo dal prendere completo controllo di tutta la terra. Lo spirito dell’Anticristo che è stato presente a partire dai giorni degli Apostoli (1 Giovanni 4:3) prenderà finalmente forma fisica, è il senza legge, dominerà su tutta la terra e perseguiterà coloro che sono stati lasciati indietro (2 Tessalonicesi 2:1-12). Lui proverà a forzare tutti a fare incidere il marchio della bestia (Apocalisse 13:16-17) che mostra che il portatore è stato rigettato da Dio e venera la bestia. Senza questo marchio nessuno potrà comprare o vendere. Le prime quattro trombe suonate annunceranno la distruzione di un terzo degli alberi e di tutta l’erba, un terzo del mare, un terzo delle creature del mare e un terzo di tutte le navi. Un terzo dell’acqua dolce sulla terra diventerà tossica e amara e un terzo del sole, delle stelle e della luna saranno oscurate e una grande tenebra invaderà la terra. (Apocalisse 8:7-13) La quinta tromba libera cavallette infernali dal pozzo dell’abisso per tormentare l’umanità e non ci sarà tregua, esse divoreranno tutto lasciando il mondo devastato e arido. (Apocalisse 9:1-12) Loro sono guidate “dall’angelo dell’abisso” chiamato Abaddon o Apollion. (Apocalisse 9:11) Al suono della sesta tromba quattro angeli vengono liberati per andare sulla terra e uccidere un terzo dell’umanità con fuoco, fumo e zolfo. Questa è l’ultima occasione data da Dio all’umanità per entrare in cielo prima che Lui versi la Sua ira e il suo giudizio sulla terra. Sfortunatamente, sta scritto che il resto dell’umanità non si pente ancora dai suoi peccati volendo dire che avevano ancora un’occasione per ritornare nella braccio del Creatore! (Apocalisse 9:13-21) Dio manda anche due testimoni sulla terra per profetizzare. Saranno uccisi per la loro testimonianza e poi risuscitati da Dio e portati in cielo. (Apocalisse 11:1-14). La settima tromba verrà poi suonata e voci potenti diranno “Il regno del mondo è passato al nostro Signore e al suo Cristo ed egli regnerà nei secoli dei secoli!” (Apocalisse 11:15) Ora è chiaro che tutti coloro che hanno accettato Gesù come loro Signore e Salvatore saranno in cielo. Questo include la sposa di Cristo, i martiri, e gli eroi del Vecchio Testamento. Tutti i vari servi di Dio non ci saranno più sulla terra e saranno tutti riuniti in cielo per contemplarlo eternamente nella Sua Gloria.
Le sette coppe dell’ira di Dio
Ora che Dio ha raccolto tutti i Suoi servi dalla terra e li ha posti in cielo non c’è più posto per satana e i suoi ospiti malvagi. Loro sono banditi sulla terra con tutti quei peccatori che hanno rifiutato di pentirsi volta dopo volta. Adesso Dio è in una posizione favorevole per versare la Sua ira e il giudizio sulla terra, contro la bestia e tutti quelli che hanno venerato la bestia. A sette angeli vengono date coppe ricolme d’ira, ognuna delle quali libera una piaga sulla terra. La prima coppa manda un’ulcera maligna a tutti quelli che hanno il marchio della bestia. (Apocalisse 16:2) La seconda e la terza coppa fanno diventare i mari e le acque, sangue. (Apocalisse 16:3-4) La quarta coppa dà al sole la forza di bruciare vivi gli uomini (Apocalisse 16:8-9) e la quinta coppa avvolge il mondo nelle tenebre e nel dolore più straziante. (Apocalisse 16:10) Sta scritto in Apocalisse 16:11 che “non si ravvidero dalle loro opere, e perseguirono il male fino al loro annientamento totale e eterno.” La sesta coppa fa prosciugare il fiume Eufrate e la bestia e l’anticristo iniziano a radunare i loro eserciti nel luogo che in ebraico si chiama Armageddon, in preparazione per la guerra contro Dio e il Suo popolo, gli ebrei in Israele. (Apocalisse 16:12-16, Ezechiele 38 e 39) Andranno in guerra contro Israele e sembreranno di vincere. (Michea 4:11) Gerusalemme e gli ebrei si trovano sotto una tremenda pressione e sembra che l’anticristo e i suoi eserciti siano vittoriosi. Allora, a questo punto la misura sarà colma e sarà giunto il momento che la settima e ultima coppa sia svuotata, il che indica la conclusione della Grande Tribolazione. Una gran voce diceva dal cielo, “È fatto.” (Apocalisse 16:17) C’è un terremoto così forte come mai visto prima, le città crollano, e le isole e le montagne spariscono. Una grandine enorme ed infuocata dall’ira di Dio cade e l’umanità e gli uomini bestemmiano contro Dio. (Apocalisse 16:17-21). Adesso l’ira di Dio è stata completamente versata sulla terra. Questo è il momento in cui Cristo scende giù dal cielo, seduto su un cavallo bianco con un esercito celeste dietro di Lui. L’esercito della bestia e dell’anticristo non riescono a resistere davanti alla Sua Potenza e Gloria. Loro sono sconfitti una volta per tutte e Lui libera gli Ebrei che erano in grande afflizione. Allora i loro occhi si apriranno e si renderanno conto che il Messia promesso è Gesù Cristo, colui che 2000 anni fa hanno crocifisso su una Croce, e si pentono per tutte le loro malefatte. (Zaccaria 12:8-11) L’anticristo e la bestia vengono gettati vivi nello stagno di fuoco per l’eternità e satana e tutti coloro che lo servono verranno legati per mille anni. (Apocalisse 20:1-3) Allora inizia il Millennio, mille anni di pace e prosperità per tutta la terra.
La misericordia di Dio promessa all’intera umanità
Possiamo vedere in ogni fase della fine dei tempi che Dio dà nuove opportunità alle persone per pentirsi e venire a Lui. Ma la gloria e la ricompensa data variano sensibilmente. Quanto sarebbe stupido e orgoglioso ignorare con testardaggine la grazia di Dio quando viene offerta e poi dover essere costretti dalla Potenza di Dio a soffrire nella Grande Tribolazione e cercare di infilarsi in cielo all’ultimo istante prima della fine. Noi come collaboratori di Dio, vi esortiamo a non ricevere la grazia di Dio invano; poiché Egli dice: ‘Ti ho esaudito nel tempo favorevole, e ti ho soccorso nel giorno della salvezza’ Eccolo ora il tempo favorevole; eccolo ora il giorno della salvezza!” 2 Corinzi 6:1-2. Dio ci ha dato questo periodo di grazia adesso in modo che possiamo essere parte della sposa di Cristo le primizie, coloro che riceveranno la più grande ricompensa in cielo. Pensa: la sposa non viene solamente risparmiata dagli eventi terribili quando le coppe dell’ira di Dio vengono versate, ma riceverà anche la più grande ricompensa in cielo! Un’eternità accanto a Gesù Cristo, il suo Signore e Salvatore! Allora, stiamo rispondendo alla chiamata di Dio nel nostro cuore? Ci stiamo preparando per essere la sposa di Cristo? Stiamo facendo buon uso del tempo che Gesù ha dato a nostra disposizione ora, o la grazia e la Fede verso Dio è vana? Adesso è il periodo di grazia. Adesso è il periodo in cui Dio può aiutarci a uscire dal peccato e dalla morte, per regnare un giorno con lui nel Suo Regno! Rifletti ora, prima che sia troppo tardi, perché poi, non c’è nessuna speranza o voi che entrate. La verità è che Gesù stesso ha detto, “Ma quanto a quel giorno e a quell’ora nessuno li sa, neppure gli angeli del cielo, neppure il Figlio, ma il Padre solo” Matteo 24:36. Ovviamente la Sacra Bibbia ci dà vari indizi e segni ai quali possiamo fare riferimento. Possiamo leggere: l’Apocalisse di San Giovanni, Tessalonicesi e Daniele, così come in vari altri profeti che, confermano nella verità dei fatti le parole che ci ha trasmesso Gesù durante i tre anni di ministero. Gesù ci dà anche alcuni segni a cui guardare nei vangeli. Ma nessuno riesce a dire con esattezza come e quando accadrà. Ma per coloro che amano Cristo, la cosa più importante da sapere riguardo agli ultimi tempi è che non abbiamo assolutamente nulla da temere. (Luca 12:32; Ebrei 13:6), Lui è sempre con noi fino alla fine del mondo. Quello che sappiamo è che per noi, queste cose significano che verremo finalmente presi per essere in un unione indissolubile con il nostro Salvatore per tutta l’eternità. Questo è lo scopo delle nostre vite, viviamo per il giorno in cui lo incontreremo e saremo fedeli alleati con Lui per tutta l’eternità! Invece di preoccuparci e di aver paura, possiamo rallegrarci con grande anticipo per quel giorno che dovrà venire. Questo è il giorno che stiamo attendendo, per cui stiamo vivendo, che stiamo desiderando! Gesù ci esorta come dobbiamo reagire in Luca 21:28: “Ma quando queste cose cominceranno ad avvenire, rialzatevi, levate il capo, perché la vostra liberazione si avvicina”. La nostra speranza, il nostro conforto e il nostro riposo sono in questo! Possiamo trovare grande pace nel sapere che la nostra redenzione si sta avvicinando!
Fare la volontà del Padre celeste
“Quando sarò andato e vi avrò preparato un luogo, tornerò e vi accoglierò presso di me, affinché dove sono io, siate anche voi; e del luogo dove io vado, sapete anche la via”. Giovanni 14:3. Gesù disse che Lui è lì ora e sta preparando un posto per noi. E un giorno noi lo raggiungeremo lì per tutta l’eternità! Ma c’è una via sulla quale dobbiamo andare per giungere lì e noi conosciamo la via. Lui è la Via. Lui ci ha mostrato la via. E Lui ci disse che “Non chiunque mi dice: Signore, Signore! entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli”. Matteo 7:21. Quindi questa è la via su cui camminare per giungere felicemente alla meta tanto attesa e tanto desiderata. Cercando di fare sempre la volontà di Dio. E qual è la volontà di Dio? Che non pecchiamo nella misura in cui abbiamo luce e comprensione. San Paolo scrisse a Timoteo riguardo i tempi difficili che verranno negli ultimi giorni. Ma quello che descrisse come tempi difficili non erano disastri, tribolazioni e catastrofi su scala mondiale. Lui definì difficile un tempo quando le persone saranno egoiste, amanti del denaro, superbe, senza amore, testarde, amanti della lussuria, a tante altre cose. (2 Timoteo 3:1-5). Questo è dove sta il vero pericolo nel vivere in modo talmente disordinato e incivile che diventiamo servi facili al servizio di satana e del mondo. Ma se cammineremo nella Luce dello Spirito Santo, non adempiremo i desideri della carne e del peccato provocato dalla sua conseguenza. (Galati 5:16). Lui ci mostrerà quando queste cose verranno e il modo come eliminare per sempre il peccato che si è insediato nella nostra carne. Allora possiamo riconoscerlo, amare la verità su noi stessi e vincere queste cose attraverso di Lui! Questo è quello che ci preserverà dai tempi difficili nostro Signore Gesù Cristo!

CONCLUSIONE

«Alla fine il mio Cuore Immacolato trionferà». Questa è la lieta e solenne promessa fatta dalla Vergine Maria a Fatima, e la speranza che la consacrazione individuale e umanitaria a Lei possa affrettare questo momento, irrigando come un fiume di acqua viva l’intero genere umano con numerose grazie celesti. Tale evento sarà l’esito della sconfitta definitiva di satana che si avrà attraverso l’intercessione di Maria e di tutti coloro che si sono consacrati a Lei, come abbiamo esaminato nel corso di questo documento teologico pastorale. Adesso però la domanda sorge spontanea: perché la discendenza di Maria deve essere segnata con il sigillo della Consacrazione a Lei per compiere la sua sublime missione? La risposta a questa domanda, di certo, non può essere tralasciata o messa nel dimenticatoio. Punto di partenza della disamina deve essere questo principio fondamentale: «La Consacrazione al Cuore Immacolato di Maria è la forma più eccellente di devozione alla Madre di Dio, in quanto, in un certo senso, entriamo nel suo Cuore Immacolato che diventa la nostra dimora». Alla luce di questa verità, è giocoforza concludere che «se vivremo la nostra vita quotidiana in armonia con questa consacrazione contribuiremo fortemente al Trionfo finale del Cuore Immacolato di Maria su satana e il peccato, perché verranno spazzati via come un violento uragano». Tale evento potrebbe essere definito come l’estensione su scala universale della dimensione più intima che interessa il Cuore di Maria: la vittoria perfetta e completa sul regno del male, del peccato, il trionfo del bene, la perfetta e piena conformità alla volontà del Signore Gesù Cristo, Re del Cielo e della Terra. Questo trionfo, oltre ad avere una dimensione interna di attuazione nella misura in cui renderà i cuori della maggior parte degli uomini simili al Cuore Immacolato, ne avrà anche una esterna: a partire dal rinnovamento degli spiriti, infatti, si realizzeranno una Società ecclesiale e politica conformi alle esigenze del Regno di Cristo e della Sua Chiesa, Una, Santa, Cattolica e Apostolica, in cui trionferanno l’ordine, il bene e la pace in ogni ambito della vita umana: «La parola “Regno di Maria” esprime quell’ideale di sacralizzazione dell’ordine temporale, attraverso la mediazione di Maria Madre di Dio e Madre nostra, che non è altro che la civiltà cristiana dell’Amore sempre attesa e sospirata dai Pontefici come meta di tutto il genere umano. Il Regno di Maria sarà una civiltà sacrale perché ordinata fondamentalmente a Dio; la legge che regolerà i rapporti con Dio e gli uomini sarà quella della dipendenza, che troverà la sua espressione più alta nella “schiavitù d’amore” alla Santissima Vergine». Il Trionfo del Cuore Immacolato sarà, senza dubbio, «un evento di grazia unico ed eccezionale», esclusivo nel suo genere. Ed essendo questo una estensione della realtà intima del Cuore di Maria su scala mondiale, è facile capire che vi sarà una effusione di grazia e di pienezza sul mondo, che avrà conseguenze meravigliose nella vita del mondo, della Chiesa, della società, e delle legislazioni dei popoli. Insomma, tutto sarà all’insegna della grazia santificante, in un modo tale in cui nessuna epoca storica ne ha fatto esperienza. La grazia propria del Trionfo, in termini teologici, si configura come una grazia esterna, volute da Dio per la salvezza soprannaturale, come per esempio l’Incarnazione, la Passione e Morte e Resurrezione di Cristo, la fondazione della Chiesa, i Sacramenti, i buoni esempi dei santi e dei Padri della Chiesa. Queste grazie esterne sono molto importanti nell’economia divina perché Dio, ordinariamente, vuole servirsi di mezzi esterni per agire negli uomini e condurli alla salvezza senza fine. Quindi, bisogna pensare al Trionfo del Cuore Immacolato come una Istituzione di grazia un perfezionamento dell’antica Cristianità, che disporrà l’azione diretta di Dio nelle anime con grazie particolarmente efficaci per salvare e santificare gli uomini, e liberarli definitivamente dagli artigli di satana. Ulteriori sfumature di significato si colgono, poi, riflettendo sul senso del termine «trionfo». Va notato, infatti, che la Madonna a Fatima non promette una semplice vittoria; non dice: “il mio Cuore vincerà” ma “il mio Cuore trionferà”. Il nemico, quindi, sarà annientato, schiacciato e non solo anche polverizzato (cf. Gen 3,15). Dire vincere non esclude la possibilità di una vittoria “decisa alle ultime battute”, come quando si svolge una gara sportiva i due avversari sono alla pari e se prevale l’uno sull’altro dipende dalla fortuna o da un “tiro da maestro” di uno dei due avversari. Nell’attuale battaglia spirituale che noi miseri peccatori stiamo vivendo le cose non stanno così: non c’è paragone tra lo strapotere del Creatore e le povere forze delle creature e se sembra che i nemici stiano ora prevalendo è solo perché la vittoria finale di Dio, di Maria e dei suoi servi fedeli possa risultare ancora più umiliante per il demonio e le sue schiere, angeliche ed umane. La parola trionfo, quindi, esprime una verità fondamentale: il nemico del genere umano e con lui tutti i suoi satelliti sparsi per il mondo intero dove fanno da padroni, saranno annichiliti in modo grandioso, epico, in modo tale che risulti chiaro al mondo intero che l’instaurazione del Regno di Maria è opera del «dito di Dio» (Lc 11,20). Ma tale instaurazione sarà indolore? Tutt’altro! Le rivelazioni private si pensi al Terzo Segreto di Fatima, parlano chiaro circa il fatto che la Croce dovrà precedere la gloria e sarà, per la vera Chiesa, una croce tanto più pesante quanto più meravigliosa e grandiosa sarà la gloria futura che le è promessa nel periodo di Pace. Ma è proprio in questa prospettiva che è possibile vedere, in filigrana, sia il senso della parola trionfo che quello dell’interferenza provvidenziale delle forze buone della Chiesa la cui componente mariana si traduce, oggi, in una vita tutta consacrata alla Santa Vergine. La vittoria sarà grandissima, come quella che ottenne Cristo sulla Croce; il mezzo della vittoria sarà il medesimo perché la Sposa non può seguire un destino diverso da quello dello Sposo: è la croce che, portata con pazienza e coraggio da veri credenti, in modo speciale dai consacrati le cui opere e sofferenze ricevono di un misterioso «plus-valore spirituale, preparerà la più immensa sconfitta del regno di satana in modo così grandioso che apparirà manifesta la somiglianza con la vittoria completa e straordinaria di Cristo sulla Croce, per lavare le nostre miserabili colpe. Sarà proprio da quella Croce che sarà emesso il grido di abbandono dei credenti, militanti nella Chiesa, figli della Vergine tutti a Lei consacrati: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito. Tutto è compiuto» (Lc 23,46; Gv 19,30) che sarà, al contempo, il grido del Trionfo con cui la Chiesa si imporrà su satana e su tutti i suoi collaboratori, dentro e fuori la Chiesa. Questo momento sarà ambivalente perché segnerà una fine ed un meraviglioso inizio: la fine dell’impero temporaneo di satana nel mondo e l’inizio del Trionfo del Cuore Immacolato e di una nuova stagione di santità della Chiesa.
In conclusione, alla fine di una spaventosa battaglia spirituale tra gli angeli e i demoni, tra gli uomini a servizio del regno di Dio e quelli a servizio del regno di satana, tra Rivoluzione e Controrivoluzione. È evidente che gli agenti del regno del male hanno ormai scardinato quasi del tutto le fondamenta del bene dalla terra, con l’obiettivo palese di portare l’umanità alla completa e totale autodistruzione. Lo sforzo incessante di satana, dei demoni e degli uomini infernali è sempre stato, in ogni tempo, quello di portare l’umanità lontana da Dio e farla precipitare nei tormenti eterni dell’inferno. Ma ora, nel nostro presente, sono riusciti a realizzarlo quasi totalmente! La lotta contro Dio, contro la sua Legge, contro la sua sovranità d’amore sugli uomini e sulle società è giunta a una fase molto preoccupante, irreversibile, al punto che, come disse la Madonna a Kibeho, in Ruanda, ai veggenti: «il mondo è sull’orlo di una catastrofe». Il mondo va male, corre verso la sua rovina, sta per cadere in un baratro dove se non si convertirà perirà per sempre. È in ribellione contro Dio e contro sé stesso, vi si commettono troppi peccati, non c’è più né amore né pace. Se voi non vi pentite e non vi convertite i vostri cuori, voi cadrete tutti in un baratro senza via d’uscita. Ciò che davvero fa pensare all’imminenza del Trionfo è il fatto che si è oggi raggiunto un livello tale di degradazione, perversione, degenerazione che i pochi buoni che operano nel mondo a servizio del regno di Dio non sono in grado da soli di riportare tutte queste deviazioni nella giusta direzione. Per cui è come se si postulasse, alla luce della ragione illuminata dalla Fede, la necessità di un intervento diretto di Dio stesso per evitare che il mondo e la Chiesa cadano dall’orlo in cui si trovano fin nel baratro, perché è promessa da Cristo stesso che «le porte degli inferi non prevarranno contro di essa» (Mt 16,18), la Chiesa di Cristo. Questo fa pensare che siamo davvero a quella fine a cui fa riferimento la Madonna quando dice: «il Mio Cuore trionferà». Ricordiamo a proposito il grande Dottore della Chiesa san Giovanni Crisostomo: «È proprio quando la situazione diventa difficile che devi sperare, perché è allora che Dio fa vedere la sua potenza: non quando le cose sono agli inizi, ma quando la situazione è disperata agli occhi umani, quello è il momento in cui Dio ci viene in aiuto». Il Timoniere dell’universo non seda la tempesta con la propria abilità, la fa finire con un solo cenno della sua potente mano. Non lo fa subito, fin dall’inizio, perché Egli suole sopprimere i mali non al loro sorgere, ma quando si sono accresciuti fino a giungere al culmine, tanto che i più hanno perso ogni speranza. Ma è proprio allora che Dio interviene con straordinari prodigi, manifestando la sua potenza e tutto il suo amore verso di noi sue creature, ingannate dal male, ma, se confideremo in Maria Madre di Dio e Madre nostra, il Suo Cuore Immacolato Trionferà….

Dato a Roma nella Sede Episcopale il 15 Agosto dell’Anno del Signore 2020
Solennità dell’Assunzione di Maria SS.ma in Corpo e Anima.

+ Salvatore Micalef
Vescovo Ordinario
Documento Teologioco Pastorale image
DOCUMENTO TEOLOGICO PASTORALE

Et potestas Iesus Christi
per potentiam opprimit satanas



“Salvatore, Vescovo Ordinario, Successore degli Apostoli, e, Servo di nostro Signore Gesù Cristo”.

PROEMIO

“Cristo Gesù, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò sé stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini. Apparso in forma umana umiliò sé stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte e alla morte di Croce. Per questo Dio lo ha esaltato e gli ha dato un nome che è al di sopra di un altro nome. Perché, nel nome di Gesù, ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sottoterra, e, ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore a Gloria di Dio Padre”. (Filippesi 2, 5 – 11).

Breve Introduzione

L’importanza della verità sulla creazione è dovuta al fatto che è «il fondamento di tutti i divini progetti di salvezza da parte di Dio; è l’inizio della storia della salvezza dell’intera umanità culminante nella vittoria di Cristo sul peccato, sulla morte e sul demonio» Sia la Bibbia, all’Antico e Nuovo Testamento, sia nel Credo Apostolico hanno inizio con la confessione di fede nel Dio Creatore, Signore del cielo e della terra. A differenza degli altri grandi misteri della nostra fede (la Trinità e l’Incarnazione), la creazione «è una prima risposta agli interrogativi fondamentali dell’uomo circa la propria origine e il proprio fine», che lo spirito umano si pone e ai quali, in parte, può anche rispondere, come dimostra la riflessione filosofica e teologica. Nonostante i racconti delle origini che fanno parte della cultura religiosa di tanti popoli, la specificità della nozione di creazione in realtà è stata colta solo con la rivelazione giudaico-cristiana. La creazione del mondo e di tutto ciò che contiene, è un mistero di fede talmente grande e complesso che allo stesso tempo è una verità accessibile alla ragione naturale di ogni pensiero umano. Questa posizione peculiare tra fede e ragione fa della creazione un buon punto di partenza per il compito di evangelizzazione e di dialogo che i cristiani sono sempre chiamati a realizzare in modo particolare ai nostri giorni, così come aveva fatto San Paolo nell’Areopago di Atene, dopo di che tutti coloro che erano presenti si convertirono a Gesù Cristo, morto e Risorto dai morti (At 17, 16-34). Si è soliti distinguere l’atto creatore di Dio, ossia, la creazione active sumpta, e la realtà creata, che è effetto di tale azione divina, la creazione passive sumpta.

CAPITOLO I
La Creazione del mondo e insediamento del male

Fratelli e Sorelle carissimi, con queste meravigliose parole scritte e meditate da San Paolo l’Apostolo delle genti, alla Lettera ai Filippesi, presentiamo la figura di Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, che si incarnò per opera dello Spirito Santo, nacque da una giovane donna vergine di nome Maria, figlia dei SS. Gioacchino e Anna, per compiere una missione di fondamentale importanza; la salvezza di tutta l’umanità decaduta nel peccato e nella morte. Di questa prodigiosa nascita si discusse in cielo prima della creazione del mondo, tra Dio Padre e il Suo Unigenito Figlio nostro Gesù Cristo. Dio Padre disse a Gesù: “Figlio mio, io ho intenzione di creare il mondo, ma questo determina la tua decisione di assumere la natura umana in tutto eccetto il peccato, nascendo da una giovane donna discendente della Famiglia di Davide, predicare il compimento del Regno di Dio, patire, soffrire, morire in Croce per mano dei pagani e il Terzo Giorno risusciterai dalla morte terrena per la salvezza del mondo, sconfiggendo una volta per tutte la morte, e il peccato e il demonio. Figlio, se tu acconsenti a tutto ciò che deve accadere, Io Dio Padre, creerò il mondo con tutti i suoi esseri viventi. Gesù rispose: Padre mio, sia fatta la tua non la mia volontà”. Allora Dio dopo aver ricevuto il consenso del suo Unigenito Figlio diede con mano potente alla creazione del mondo come aveva progettato. La Rivelazione presenta l’azione creativa di Dio come frutto della sua Onnipotenza, della sua sapienza e del suo amore per noi miseri peccatori. Di solito si attribuisce la creazione in modo particolare al Padre come è espresso nel I Libro della Bibbia, la Genesi, così come la redenzione al Figlio e la santificazione, e allo Spirito Santo nel Nuovo Testamento. Nello stesso tempo le opere ad extra della Trinità, la prima di esse, la creazione, sono comuni alle tre Persone, ci si può pertanto interrogare sul ruolo specifico di ognuna delle tre Persone nella creazione, in quanto «ogni Persona divina compie l’operazione comune secondo la sua personale proprietà» Si tratta della “appropriazione” degli attributi essenziali: onnipotenza, sapienza e amore, rispettivamente, all’operare creativo del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Nel Simbolo apostolico niceno-costantinopolitano confessiamo la nostra fede «in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra»; «in un solo Signore, Gesù Cristo; per mezzo di lui tutte le cose sono state create»; e nello Spirito Santo «che è Signore e dà la vita». La fede cristiana, pertanto, parla non solo di una creazione ex nihilo , dal nulla, che indica l’Onnipotenza di Dio Padre, ma anche di una creazione fatta con intelligenza, con la sapienza di Dio, il Logos per mezzo del quale tutto è stato fatto ( Gv 1, 3), e di una creazione ex amore, frutto della libertà e dell’amore che è Dio stesso, lo Spirito Santo che procede dal Padre e dal Figlio. Di conseguenza, le processioni eterne delle Tre Persone stanno alla base del loro operare creativo. Poiché non c’è contraddizione tra l’unicità di Dio e le sue tre Persone, analogamente l’unicità del principio creativo non si contrappone alla diversità dei modi di operare di ognuna delle Tre Persone Divine.
«Creatore del cielo e della terra»
La Genesi riporta: “In principio, Dio creò il cielo e la terra”. Queste prime parole della Scrittura contengono tre affermazioni: il Dio eterno ha dato un inizio a tutto ciò che esiste fuori di lui. Egli solo è Creatore, il verbo “creare” in ebraico significa “bara”, è ha sempre come soggetto Dio in persona. La totalità di ciò che esiste espressa nella formula “il cielo e la terra”, da ciò, dipende da colui che gli dà di essere». Solo Dio può creare in senso proprio è può aggiudicarsi il monopolio della creazione. Questo significa dare origine alle cose dal nulla (ex nihilo) e non a partire da qualcosa di preesistente; perciò si richiede una potenza attiva infinita che solo Dio possiede. È, dunque, coerente attribuire l’onnipotenza creativa al Padre, perché Egli è nella Trinità secondo un’espressione classica, “fons et origo”, vale a dire, la Persona da cui procedono le altre due, principio senza principio. La fede cristiana afferma che la distinzione fondamentale, è quella che c’è tra Dio e il creato. Questo costituì una novità nei primi secoli della nascita delle prime comunità cristiane e non solo, nei quali la polarità fra materia e spirito dava adito a visioni inconciliabili tra loro, materialismo e spiritualismo, dualismo e monismo. Il cristianesimo infranse questi modelli, soprattutto con l’affermare che anche la materia così come lo spirito, è creata dall’unico Dio trascendente. Più avanti San Tommaso d’Aquino sviluppò una metafisica della creazione che descrive Dio come lo stesso Essere sussistente Ipsum Esse Subsistens. In quanto causa prima, è assolutamente trascendente al mondo; e, allo stesso tempo, in virtù della partecipazione del suo essere alle creature, è presente intimamente in esse, che dipendono in tutto da Colui che è la sorgente dell’essere. Dio è superior summo meo e, allo stesso tempo, intimior intimo meo (Sant’Agostino).
«Tutto è stato fatto per mezzo di Lui»
L’Antico Testamento ci presenta il mondo come frutto della sapienza e onnipotenza di Dio. “Non è il prodotto di una qualsivoglia necessità, di un destino cieco o del caso”, ma ha una intelligibilità che la ragione umana, partecipando della luce dell’Intelletto divino, può cogliere, non senza sforzo e con spirito di umiltà e di rispetto davanti al Creatore e alla sua opera il mondo con tutto ciò che contiene. Questo sviluppo raggiunge la sua espressione piena nel NT: nell’identificare il Figlio, Gesù Cristo, con il Logos, afferma che la sapienza di Dio è una Persona, il Verbo incarnato, per mezzo del quale tutto è stato fatto, è esistente prima della creazione degli Angeli e del mondo. San Paolo formula questa relazione del creato con Cristo, spiegando che tutte le cose sono state create in Lui, per mezzo di Lui e in vista di Lui. C’è, dunque, una ragione creatrice all’origine del cosmo. Il cristianesimo ha sin dall’inizio una grande fiducia nella capacità della ragione umana di conoscere e la straordinaria certezza che mai la ragione scientifica, filosofica, ecc., potrà arrivare a conclusioni contrarie alla fede, perché entrambe provengono da una stessa origine, Dio Creatore. Quindi, non è raro imbattersi in alcuni che pongono falsi dilemmi; come per esempio: fra creazione ed evoluzione. In realtà, un’adeguata epistemologia non solo distingue gli ambiti propri delle scienze naturali e della fede, ma inoltre riconosce nella filosofia un necessario elemento di mediazione, perché le scienze, con i loro metodi e con gli obiettivi che le sono propri, non coprono tutto l’ambito della ragione umana; e la fede, che si riferisce allo stesso mondo di cui parlano le scienze, ha bisogno per esprimersi di entrare in dialogo con la razionalità umana delle categorie filosofiche. È logico, dunque, che la Chiesa fin dall’inizio abbia cercato il dialogo con la ragione: una ragione cosciente del suo carattere creato, perché non ha dato a sé stessa l’esistenza, né dispone in modo completo del proprio futuro; una ragione aperta a ciò che la trascende, ossia, alla Ragione originaria. Paradossalmente, una ragione ripiegata su sé stessa, che crede di poter trovare in sé la risposta ai suoi quesiti più profondi, finisce con l’affermare l’assurdità dell’esistenza e col non riconoscere l’intelligibilità di ciò che è reale dall’irreale.
«È Signore della vita e non della morte»
«Noi crediamo che il mondo trae origine dalla libera volontà di Dio, il quale ha voluto far partecipare le creature al suo essere, alla sua saggezza e alla sua bontà: “Tu hai creato tutte le cose, e per la tua volontà furono create e sussistono” (Ap 4, 11). “Buono è il Signore verso tutti, la sua tenerezza si espande su tutte le creature” (Sal 145, 9. Di conseguenza, “scaturita dalla bontà divina, la creazione partecipa di questa bontà, “E Dio vide che era cosa buona… cosa molto buona”: (Gn 1, 4.10.12.18.21.31). La creazione, infatti, è voluta da Dio come un dono. Questo carattere di bontà e di dono libero permette di scoprire nella creazione l’azione dello Spirito Santo che “aleggiava sulle acque” ( Gn 1, 2), unito dall’Amore sussistente tra il Padre e il Figlio. La Chiesa confessa la sua fede nell’opera creatrice dello Spirito Santo, datore di vita e sorgente di ogni bene. Dio ha creato tutto “non per aumentare la sua gloria, ma per manifestarla e comunicarla alle sue creature” (San Bonaventura, Sent. 2, 1, 2, 2, 1). Il Concilio Vaticano I (1870) insegna che “nella sua bontà e con la sua onnipotente virtù, non per aumentare la sua beatitudine, né per acquistare perfezione, ma per manifestarla attraverso i beni che concede alle sue creature, questo solo vero Dio ha, con la più libera delle decisioni, insieme, dall’inizio dei tempi, creato dal nulla l’una e l’altra creatura, la spirituale e la corporale. La gloria di Dio è: che si realizzi la manifestazione e la comunicazione della sua bontà, in vista delle quali il mondo è stato creato. Fare di noi i suoi “figli adottivi per opera di Gesù Cristo” è il benevolo disegno della sua piena volontà a lode e gloria della sua grazia” (Ef 1, 5-6). Infatti, la gloria di Dio è l’uomo vivente e la vita dell’uomo è la visione di Dio” (Sant’Ireneo, Adversus haereses ,4, 20, 7). Lungi da noi a pensare a una dialettica di principi contrapposti come accade nel dualismo di tipo manicheo e nell’idealismo monista hegeliano, nell’affermare la gloria di Dio come fine della creazione non comporta una negazione dell’uomo, ma un presupposto indispensabile per la sua realizzazione. L’ottimismo cristiano affonda le sue radici nella esaltazione di Dio e dell’uomo insieme: l’uomo è grande solo se Dio è grande, mai sostituirci a Dio, noi siamo solo semplice creature fatte di materia e spirito che dobbiamo obbedire in modo assoluto al nostro creatore, altrimenti facciamo il gioco del diavolo nostro acerrimo nemico, e assomiglieremo a lui nella volontà e nelle opere. Si tratta quindi di un ottimismo e di una logica che affermano l’assoluta priorità del bene, ma che non per questo sono ciechi davanti alla presenza del male nel mondo e nella storia dell’intera umanità. L’esistenza degli esseri spirituali, incorporei cerati prima del mondo che la Sacra Scrittura chiama Angeli, è una verità di fede. La testimonianza impressa come un sigillo di Fede all’interno della Sacra Scrittura è tanto chiara quanto l’unanimità della Tradizione. Entrambi li mostrano nella loro duplice funzione di dare lode a Dio e di essere messaggeri del suo disegno salvifico. Il Nuovo Testamento presenta gli Angeli in relazione con Cristo: “creati per mezzo di lui e in vista di lui” (Col 1, 16), sono presenti nella vita di Cristo dalla nascita fino all’Ascensione, annunciatori e testimoni fedeli della sua seconda venuta gloriosa come Giudice dei vivi e dei morti, e il suo Regno non avrà fine. Nello stesso modo, essi sono presenti anche all’inizio della vita della Chiesa, la quale trae beneficio dal loro aiuto potente, e nella liturgia si unisce a loro nell’adorazione a Dio. La vita di ogni uomo è accompagnata sin dalla nascita da un angelo che lo protegge e lo guida verso la Vita Eterna in Cristo. La teologia e specialmente in San Tommaso d’Aquino, il Dottore Angelico, e tutto il magistero della Chiesa, hanno approfondito la natura di questi esseri puramente spirituali, dotati di intelligenza e volontà, affermando che sono creature personali e immortali, che superano in perfezione tutte le creature visibili. Gli angeli furono creati e sottoposti a una prova. Alcuni di loro si opposero irrevocabilmente a Dio disubbidendo con la propria volontà. Caduti miseramente nel peccato, lucifero che era l’angelo più splendente del Paradiso, satana e gli altri demoni che, creati buoni, con il loro libero arbitro si erano fatti cattivi, quindi, istigarono nel peccato e nella morte i nostri progenitori a peccare, due essere viventi formati da una sagoma di fango, l’uomo e la donna, Adamo ed Eva, e li fece abitare nel Giardino dell’Eden. Le persone umane godono di una posizione particolare nell’opera creatrice di Dio, perché partecipano allo stesso tempo della realtà materiale e di quella spirituale. Solo di lui la Scrittura dice che Dio lo creò «a sua immagine e somiglianza» (Gn 1, 26). È stato messo da Dio a capo della realtà visibile e gode di una dignità speciale perché, “di tutte le creature visibili, solo l’uomo è capace di conoscere e di amare il proprio Creatore; è la sola creatura che Dio abbia voluto per sé stessa; è chiamato a condividere, nella conoscenza e nell’amore, la vita di Dio”. A questo fine è stato creato ed è questa la ragione fondamentale della sua dignità, servire il Creatore nel bene infinito. Uomo e donna, nello loro diversità e complementarietà, volute da Dio, godono della stessa dignità di persone. In entrambi c’è un’unione sostanziale di corpo e anima, essendo questa la forma del corpo materiale. Dato che è spirituale, l’anima umana è forgiata direttamente dall’Amore di Dio, ed è immortale. Pertanto, è un riduzionismo affermare che l’uomo procede esclusivamente dall’evoluzione biologica o evoluzionismo assoluto. La coscienza morale e la libertà dell’uomo, per esempio, manifestano la sua superiorità sul mondo materiale e dimostrano la sua particolare dignità. Mediante la sua attività, l’uomo partecipa del potere creatore di Dio. Inoltre, la sua intelligenza e la sua volontà sono una partecipazione, una briciola della sapienza e dell’amore di Dio. Mentre il resto del mondo visibile è una semplice impronta della Trinità, l’essere umano costituisce un’autentica imago Trinitatis. Ma purtroppo il male si infiltrò all’interno del Giardino, sotto la fatti specie di un serpente e, con astuzia e perfidia tentò la donna, a mangiare il frutto dell’albero proibito posto in mezzo al Giardino; “Egli disse alla donna: «È vero che Dio ha detto: Non dovete mangiare di nessun albero del giardino?». Rispose la donna al serpente: «Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, ma del frutto dell'albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: Non ne dovete mangiare e non lo dovete toccare, altrimenti morirete». Ma il serpente disse alla donna: «Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male». Allora la donna vide che l'albero era buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch'egli ne mangiò” (Gn. 3, 1-7). Ella consapevolmente cadde nel peccato e trascinò volontariamente anche l’uomo, nell’abisso del peccato e della morte. Dio constatando di persona che le sue creature hanno trasgredito volontariamente ad un suo rigoroso comando, li punì severamente scacciandoli via dal Giardino dell’Eden per sempre, e ponendo due Cherubini con la spada fiammeggiante al suo ingresso. Ma prima di tutto questo, facciamo qualche passo indietro. In un giorno e in un tempo infinito, ci fu un gran combattimento in cielo, tra lucifero, che era l’angelo più spendente del Paradiso con l’Arcangelo San Michele Arcangelo, Principe delle Milizie Celesti, perché, lucifero ambiva nel suo orgoglio essere lui il Figlio di Dio e governare il Paradiso con le sue schiere, e perché, non si volle prostrare a adorare sia il Figlio di Dio Gesù Cristo nostro Signore che in quell’istante aveva preso la forma umana (corporea) e sia sua Madre la Vergine Maria, presente istantaneamente nel suo corpo in Paradiso. Allora, San Michele Arcangelo intervenne e spodestò l’accusatore, il tentatore, il ribelle cacciandolo definitivamente dal Paradiso. Infatti, dice la Sacra Scrittura: “ci fu un gran combattimento in cielo, il potente Arcangelo Michele spazzo via le schiere nemiche, e vidi lucifero precipitare come una folgore dal Paradiso cambiando le sue splendide sembianze, trasformandosi in un terribile mostro insieme con le sue schiere di angeli ribelli, e formare una gigantesca voragine di fuoco eterno che fu chiamato inferno”, dove andranno tutte le anime che non vogliono convertirsi alla sequela di Gesù Cristo. Dopo che il primo peccato prese forma nel mondo, ci fu il primo omicidio della storia dell’intera umanità. Dall’unione carnale di Adamo ed Eva, nacquero con dolori di parto due figli, Abele il Giusto e Caino il malvagio. Caino invidioso di suo fratello Abele che era ben voluto da Dio perché offriva le primizie del suo pascolo e, perché era ubbidiente con i suoi genitori, fu assassinato per vendetta ed invidia. Da quel momento il sangue di Abele gridava a Dio dal suolo, e Caino divenne un fuggiasco, un criminale, un assassino, un maledetto dal Signore, per aver compiuto un delitto così atroce: “Allora il Signore disse a Caino: “Dov'è Abele, tuo fratello?”. Egli rispose: “Non lo so. Sono forse il guardiano di mio fratello?”. Riprese: «Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo!” (Gn. 4, 9-10). Il Signore Dio esiliò Caino che vagava nel mondo come un vagabondo e un miserabile e lo marchiò con un segno e, a nessuno fu dato il permesso di ucciderlo. Da Caino, che fu maledetto da Dio, nacque una lunga discendenza di uomini malvagi e perversi, che in breve tempo contaminarono tutta la terra al male assoluto, costringendo Dio a pentirsi di aver creato il mondo.


CAPITOLO II
Il Diluvio Universale e la nascita del popolo d’Israele

Dio Onnipotente così facendo, pensava che il male fosse stato annientato per sempre, ma, l’eterno nemico trovò un punto debole nell’uomo e si insidiò nuovamente. Nel Libro della Genesi, Dio Padre Onnipotente disse a Noè: “Ecco, io sto per mandare il diluvio, cioè le acque, sulla terra, per distruggere sotto il cielo ogni carne in cui c’è soffio di vita; quanto è sulla terra perirà. Ma con te io stabilisco la mia alleanza. Entrerai nell’arca tu e con te i tuoi figli, tua moglie e le mogli dei tuoi figli. Di quanto vive, di ogni carne, introdurrai nell’arca due di ogni specie, per conservarli in vita con te: siano maschio e femmina. Degli uccelli, secondo la loro specie, del bestiame, secondo la propria specie, e di tutti i rettili del suolo, secondo la loro specie, due di ognuna verranno con te, per essere conservati in vita. Quanto a te, prenditi ogni sorta di cibo da mangiare e fanne provvista: sarà di nutrimento per te e per loro». Noè eseguì ogni cosa come Dio gli aveva comandato: così fece” (Gn 6,17-22). La storia di Noè occupa i capitoli 6–9 del libro della Genesi. Nella logica del racconto, Noè costruisce una gigantesca arca per ordine di Dio, quindi, entra sulla scena due motivi principali, ossia, Dio vede il male che si è insediato e compiuto volontariamente dagli esseri umani, e decide di cancellarli definitivamente dalla faccia della terra: l’autore sacro ci dichiara addirittura che Dio si pentì amaramente di avere creato l’uomo. Noè, però, e qui siamo alla seconda ragione per cui la storia di Noè e della sua famiglia viene narrata, era un uomo secondo Dio «giusto» e «integro»: per la sua rettitudine, per il suo Timor di Dio sopravvive al diluvio, e con lui tutta la sua famiglia. In questa storia, ci colpisce anzitutto l’atteggiamento di Dio. che in un primo tempo viene ritratto come dispiaciuto per avere creato l’essere umano, dunque, non come un Dio non immobile o impassibile, ma come un Dio deluso dall’uomo, ferito profondamente nei suoi affetti, e capace di cambiare idea, dopo avere quasi distrutto l’umanità, promette solennemente di non alzare più la mano contro di essa e contro la terra (Genesi 8,21-22); manda quindi sulla terra l’arcobaleno, che diventa il segno della prima alleanza tra Dio e l’uomo, sigillata unilateralmente da parte del primo nella forma di un arco, strumento da lancio e arma per uccidere riposto a terra perché non venga mai più usato contro le sue creature. A osservare bene, tutto il racconto del diluvio dice che l’umanità non è distrutta totalmente, non si estingue dal mondo; anzi, ad essa è data una nuova opportunità, una nuova ripresa, che avrà come protagonisti la famiglia di Noè ma anche, secondo il progetto che Dio aveva già all’inizio della creazione, tutti i popoli della terra elencati nelle tavole del cap. 10 di Genesi, e, infine, Abramo e la sua discendenza (Genesi 12). In questo modo, la cura di Dio nei confronti dell’umanità peccatrice si risolve non nell’eliminazione di essa, ma nel lavacro delle colpe da questa compiute a causa del diavolo che ha seminato nel mondo la sua cattiveria. Il peccato infatti aveva ormai portato la terra a una intollerabile impurità, che aveva come conseguenza la mescolanza di piani ben congeniati e il sovvertimento dell’ordine che il Dio della giustizia (Elohim, visto secondo questo attributo, rispetto all’altra caratteristica, la misericordia, che la sinagoga vede invece nel nome Yhwh), aveva voluto mentre creava il mondo. In particolare, secondo quanto commenta la tradizione giudaica, le relazioni sessuali che intercorrevano tra persone della generazione antidiluviana alle quali allude anche Gesù nell’ultimo suo discorso (Matteo 24,37-39; cfr. Luca 17,26-27), erano corrotte e la malvagità degli uomini era arrivata a comportamenti osceni: addirittura, pensavano i rabbini, allo scambio delle mogli e all’unione dei letti, ad accoppiamenti con lo stesso sesso, fino all’accoppiamento con le bestie e alla dispersione del seme per non generare nuovi esseri umani. Ecco perché la terra dovette essere purificata dall’acqua del diluvio. Come Adamo accettò dopo il suo peccato, (secondo l’antico apocrifo Vita di Adamo ed Eva), la pena di stare nel Giordano per quarantasette giorni nella speranza che Dio, per questa penitenza, rimettesse i suoi peccati, così la terra rimase per quaranta giorni sotto l’acqua del diluvio (Genesi 8,6). Noè non è solo sull’arca che ha costruito per la sua salvezza: con lui si trova la sua famiglia. Anche la Prima lettera di Pietro ci ricorda che furono «otto in tutto» le persone salvate dal diluvio (1 Pietro 3,20). È proprio su questo aspetto, riguardante le relazioni familiari, che ci soffermiamo ora: guardando in primo luogo all’arca sulla quale si trova la famiglia di Noè, poi alla questione dei rapporti coniugali durante il diluvio, infine studiando brevemente la storia della nudità di Noè. L’arca che il patriarca deve costruire è descritta con precisione, e Noè esegue meticolosamente le indicazioni che riceve da Dio per la sua preparazione (Genesi 6,15-16). “Dio diede indicazioni così precise e tanto dettagliate per la costruzione del santuario e dei suoi accessori”: anche l’arca, in fondo fu la “tenda del Re”, il suo Tabernacolo, perché, “la misura che in futuro verrà utilizzata per la costruzione del Tempio di Gerusalemme è quella dell’arca di Noè: i cubiti dell’antica misura” (ovvero circa 45 cm), come scritto in 2Cr 3,3. Le due strutture, l’arca e la Dimora nel deserto, “non sono tra loro del tutto lontane: il luogo in cui Dio incontra il suo popolo e in cui mostra la sua Gloria (la Dimora) è anche il luogo (nella forma dell’arca) in cui preserva la vita dell’umanità, e quindi, del futuro del popolo di Israele”. A noi resta da notare una cosa evidente: se l’arca è come il Tabernacolo, allora la famiglia di Noè che lì è custodita – fuori metafora, e al di là di ogni simbolismo, ogni famiglia umana è quindi inevitabilmente investita dello stesso onore che deve essere conferito a ciò che nel santuario evocava la presenza di Dio. Ogni vita creata da Dio è all’interno dell’arca ci sono proprio tutte, è degna di essere messa in salvo, e di queste la più bisognosa di salvezza è la famiglia degli uomini. Non ci stupisce, allora, che la «cesta» nella quale sua madre riporrà Mosè (Esodo 2,3-5) abbia lo stesso nome, in ebraico (tēbâ), dell’arca di Noè: quindi, anche Mosè rischierà di morire annegato nell’acqua, ma per volere di Dio fu salvato dalla sua piccola arca e dalla sorellina, Maria, che lo abbondonò dolcemente in un canneto, difronte alla casa della figlia del Faraone Sethi I della XIX Dinastia. La famiglia di Noè è salva all’interno dell’arca dalla furia del diluvio che ha raso al suolo il mondo con tutti i suoi essere viventi, ma nel Libro della Genesi vi è narrato l’episodio della sua ubriacatura e della conseguente sua nudità, vista dal figlio Cam (Genesi 9,18-28). L’ebbrezza del patriarca, inventore del vino, è motivata, nel racconto che narriamo ora, dall’eziologia della maledizione per Canaan, uno dei nemici di Israele (anche se l’affronto è compiuto da Cam, questi non può essere maledetto, dice il midrash, perché Cam era stato benedetto da Dio stesso: quindi di conseguenza, la maledizione passa così a suo figlio, eponimo dei Cananei). A noi interessa però notare due cose: Il vino, anche se causa la perdita dei sensi a Noè, nell’ambito della storia del diluvio è un elemento positivo, (diversamente da come era visto nella cultura greca classica), e si colloca subito dopo il segno dell’arcobaleno, ed insieme ad esso, come simbolo di gioia e riconciliazione: dalla terra profanata dal peccato può ora nascere un nuovo frutto, che “allieta il cuore dell’uomo” (Salmo 104,15). Infine, si deve notare ciò che viene insegnato da questo racconto: la colpa del figlio Cam è secondo i rabbini, quella di avere mancato di rispetto nei confronti del padre, come si evince anche dalla punizione per chi scopre la nudità degli altri (dei propri fratelli: Levitico 20,17). Ma ammirevoli sono gli altri due figli di Noè: fanno di tutto pur di non vedere il padre nudo; in questo modo ci insegnano in modo parabolico come “onorare il padre e la madre” (Esodo 20,12), anche quando questi dovessero mostrare le loro debolezze (nel caso, l’ebbrezza di Noè) e, soprattutto, mostrarsi per quello che davvero sono (nelle loro “nudità”). Dopo il diluvio Noè, la sua famiglia e tutti gli animali sbarcarono dall’arca e la terra secolo dopo secolo si ripopolò nuovamente di uomini e di animali, e tutte le generazioni che vi si formavano parlavano la stessa lingua. “Tutta la terra aveva un’unica lingua e uniche parole. Emigrando dall’oriente, gli uomini capitarono in una pianura nella regione di Sinar e vi si stabilirono. Si dissero l’un l’altro: «Venite, facciamoci mattoni e cuociamoli al fuoco». Il mattone servì loro da pietra e il bitume da malta. Poi dissero: «Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo, e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra». Ma il Signore scese a vedere la città e la torre che i figli degli uomini stavano costruendo. Il Signore disse: «Ecco, essi sono un unico popolo e hanno tutti un’unica lingua; questo è l’inizio della loro opera, e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile. Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l’uno la lingua dell’altro». Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città. Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la terra”. (Gn 11, 1-9). Il conosciutissimo testo biblico della cosiddetta costruzione della "Torre di Babele", è tradizionalmente interpretato secondo lo schema classico dei racconti della punizione divina in risposta all'orgoglio umano (in greco hybris). Tale schema prevede nella sua completezza la presenza di cinque elementi fondamentali:
  • un progetto degli uomini (o donne) elaborano per eguagliare e raggiungere la grandezza degli dèi;
  • questi si accorgono che qualcuno sta tentando di paragonarsi o arrivare a loro, e con buone probabilità di successo;
  • Dio stesso mette in atto un piano per far fallire il progetto dell'ingegno umano;
  • tale progetto inesorabilmente fallisce;
  • al fallimento segue la punizione inflitta da Dio.
Lo storico greco Erodoto (V sec. a.C.) ha sintetizzato bene questa battaglia tra l'umanità e gli dèi, che in definitiva è Dio, che Erodoto ancora non conosce e non comprende la sua esistenza, in cui esce sempre vittorioso sull'orgoglio umano, quindi, in definitiva, l’uomo si deve piegare alla nemesis dell'umiliazione. È a partire da questo genere letterario che si sono mosse tutte le interpretazioni del nostro brano, sin dalle più antiche che trovano eco nell'opera di Giuseppe Flavio (Antiquitates 1.4.3, del I d.C.). Il dover dare ragione di un mondo che parla lingue diverse e nel quale le diverse popolazioni e culture non si comprendono avrebbe portato gli autori sacri a presentare un tale scenario, come il risultato dell'orgoglio umano che ha utilizzato male del dono dato da Dio di poter comunicare liberamente e con pienezza e, che l’uomo ha pensato di poter costruire una città e una torre la cui cima tocchi il cielo e così "farsi un nome", ovvero diventare come Dio. Infatti, lucifero nel suo orgoglio voleva paragonarsi Dio, essere in tutto simile in Lui. E lo stesso lucifero sapeva benissimo che il giorno in cui mangiando il frutto dell’albero del bene e del male si aprirebbero come d’incanto i vostri occhi e sareste diventati simili Dio, conscendo il bene e il male. Ancora più evocativo a questo riguardo diventa il collegamento del nome” Babele”, di per sé in ebraico deriva dalla radice che indica “confondere, confusione”, con la città di Babilonia, nella quale si avevano i tipici templi a gradini (le ziggurat), il più alto e imponente dei quali era stato costruito proprio negli anni della deportazione degli ebrei nel VI secolo a.C., epoca nella quale è avvenuta la redazione finale del nostro racconto. Eppure, questa interpretazione, che apparentemente sembra dare ragione dei diversi snodi del testo, si scontra con molti elementi che sembrano fare resistenza allo schema "peccato di orgoglio /presunzione di essere come Dio, quindi, di tutto questo ne deriva il castigo divino". Innanzitutto, non si capisce in che cosa consista il vero peccato degli uomini. Non esiste alcun divieto di Dio nel costruire una città e una torre, e solo una lettura già condizionata dall'orizzonte interpretativo della hybris, quindi, può far leggere le espressioni utilizzate dall'umanità in prospettiva negativa. Le espressioni di Dio non esprimono d'altro canto alcun riferimento all'ira o a una condanna cui debba fare seguito una pena. Dio esprime piuttosto un timore che qualche cosa di fatto avvenga, e afferma che quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile. Quindi, per comprendere il perché di una tale preoccupazione che porta all'intervento di Dio, occorre allargare lo sguardo dalla semplice lettura di questi nove versetti, spesso interpretati nella loro autonomia, e a quanto li aveva preceduti. In Genesi 10 riporta, sotto la forma di genealogie dei tre figli di Noè (Sem, Cam e Iafet), una vera e propria "tavola dei popoli" che abbraccia tutto il "mondo" allora conosciuto. Avevamo già sottolineato in questa stessa rubrica, l'importanza dell'identità "fraterna" dell'intera umanità. La comune radice in Noè come padre dei tre fratelli capostipiti di tutte le diverse nazioni ed etnie, è tanto più importante quanto più fotografa realmente la diversità delle genti presenti sulla terra. Ma qui troviamo la prima sorpresa. Una tale diversità, difatti, era stata presentata in tutta la sua bellezza proprio come risposta al comandamento di Dio. Sia all'inizio di tutto il progetto creaturale, sia all'uscita dall'arca dopo il diluvio, Dio ripete: “Siate fecondi e moltiplicatevi e riempite la terra” (Genesi 1, 28 e 9, 1). Per poter obbedire a tale comando, l'umanità salvata dal diluvio universale è invitata a far ripartire il progetto di Dio "moltiplicandosi" e "riempiendo la terra di nuovi esseri umani", e la lista delle generazioni future partono per l’appunto da Sem, Cam e Iafet. Non c'è altra possibilità di realizzarlo se non grazie alla "dispersione" dei popoli. Ecco allora che la lista dei discendenti dei figli di Noè è segnata dal contrappunto della "dispersione": Da costoro derivarono le genti disperse per le isole, nei loro territori, ciascuna secondo la propria lingua e secondo le loro famiglie, nelle rispettive nazioni (10, 5). In seguito, si dispersero le famiglie dei Cananei (10, 18). Queste furono le famiglie dei figli di Noè secondo le loro genealogie, nelle rispettive nazioni. Da costoro si dispersero le nazioni sulla terra dopo il diluvio (10, 32). Vale la pena sottolineare come il tema della "dispersione" sembri essere il tema fondamentale e centrale nel racconto della torre di Babele. Essere dispersi è infatti, il grande timore dell'umanità tutta radunata in un unico luogo in 11, 4, timore che porta a desiderare di costruire la città e la torre come centro nevralgico della comunità. D'altro canto, è l'ultima parola del nostro racconto come risultato dell'azione di Dio: li disperse su tutta la terra (11, 9). Strana "punizione" quindi, quella da parte di Dio che spinge l'umanità al bene originario della diversità e dell'abitare tutta la terra, volutamente sottolineata nel narrare le genealogie umane del capitolo 10, si collega con l'episodio di Babele proprio nel diverso modo di concepire l'unità. Se nel capitolo 11 tale modo è descritto come un'uniformità di lingua, quello precedente mostra l'unità come una perenne meditazione della comune "fraternità". Sarà nel potersi riscoprire fratelli che la dispersione realizzerà appieno il comando divino della creazione. La dialettica di unità non presuppone che famiglie, lingue, terre, nazioni diverse siano una realtà negativa o disubbidiente. La loro diversità è voluta, rientra nel volere di Dio, per formare, nuove razze, nuove culture e nuove forme di linguaggio. Quest'espressione che apre il racconto in 11, 1, tutta la terra aveva un'unica lingua e uniche parole non dice solo di una uniformità linguistica, ma evoca anche quella culturale, dato che il significato “devarîm” in ebraico vuol dire "parole", non è termine solo afferente alla lingua, ma copre tutta l'area semantica per "concetti, realtà anche materiali". E una tale uniformità culturale è stata propagandata come necessaria e buona nel mondo "occidentale", forse per la prima volta proprio dall'impero babilonese del VII-V sec. a.C., che ha distrutto Gerusalemme e deportato tutto il Regno di Giuda. Lo stesso farà poi Alessandro Magno e la cultura greco-macedone ellenistica e, da quel momento, ogni potenza dominatrice come i romani, tenterà lo stesso processo. Così il racconto del desiderio espresso dalle parole: “Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo, e facciamoci un nome”, di 11, 4, può senz'altro essere considerato come il desiderio di ogni totalitarismo e di ogni imperialismo. C'è quindi una stretta equivalenza tra il desiderio di una città e di una torre che tocchi il cielo, il desiderio di immortalità. L'espressione di "farsi un nome" secondo la maggioranza degli studiosi, evoca proprio il desiderio di immortalità di ogni uomo, e l'anelito all'uniformità culturale. Da quei tempi antichi fino alle grandi dittature che hanno caratterizzato la storia fino ai giorni nostri, il delirio del dominio umano ha sempre imposto anche uniformità di cultura, costume, morale, teologia e pensiero. "Pensiero unico" che regoli ogni pensiero di ogni singolo individuo; solo quelle uniche parole possono allora essere dette, prodotte e pensate. Anche la religione può fornire questo tipo di unità e sanzionare l'oppressione sociale. Dunque, in un contesto siffatto la torre potrebbe benissimo partecipare del "religioso" e assurgere a simbolo di unità e di uguaglianza. Se così fosse, Genesi 11, 1-9 rappresenta una feroce critica di ogni anelito umano ad appiattire differenze e diversità, nell'imposizione del "pensiero unico" per farsi un nome. Si può senz'altro dire che abbiamo un paradigma, un’evoluzione, che ha le sue radici in alcune esperienze storiche. Tuttavia, il messaggio che ci viene dato è universale. Il racconto della torre di Babele non è un oracolo contro Babilonia, ma bensì, impartisce una lezione universale, che vale per ogni tempo e ogni popolo: il destino dell'umanità non è una ricerca chimerica dell'immortalità. È nell'avventura della storia, nella diversificazione delle culture e nella disseminazione delle nazioni su tutta la superficie della terra. Dicevamo quindi, che il racconto di Babele è costruito "come se" il risultato finale fosse proposto a noi come un "castigo" divino per il peccato dell'umanità. La situazione che chiunque ha davanti agli occhi, un'umanità dispersa in una moltitudine di popoli diversi e non più capace di comprendersi date le molte lingue e le molte culture che ne sono scaturite, sarebbe così da interpretarsi come un presunto "male" contrapposto al "bene" originario di una presunta unica umanità concentrata in un unico luogo e con un'unica lingua e cultura. Abbiamo però anche visto, dalla lettura del capitolo precedente di Genesi, come tale lettura non possa essere accolta a rischio di trovarci dinanzi a due testi contrastanti. Sant'Agostino proponeva di leggere Genesi 11 come cronologicamente precedente Genesi 10 per risolvere il problema, ma non è difficile comprendere l'intento didattico dell'autore biblico se si pone sufficiente attenzione al valore narrativo dei testi dei primi capitoli di Genesi che, da un lato, vogliono spiegare le motivazioni profonde per cui l'umanità si trova nella condizione che si percepisce al presente, ma, dall'altro, vogliono anche essere una “road map” per permettere all'umanità di trovare la via per l'obbedienza al desiderio di Dio per il suo benessere e la sua felicità. Se è da sempre compito difficile e problematico per l'umanità fare i conti con la varietà dei popoli e con la difficoltà delle diverse parole con cui si può rappresentare l'esperienza umana, che è la caratteristica delle differenti culture, la soluzione non può essere il semplice annullamento delle differenze per costruire "una sola città" che voglia arrivare a essere immortale e onnicomprensiva. Il cammino che il testo propone apre la strada, alla possibilità del riconoscimento dei diversi come "fratelli e sorelle", figlie e figli tutti dell'unico padre che non è Abramo, ma Noè, il giusto, con cui viene stipulata l'alleanza eterna di Dio nei confronti di tutta l'umanità che si plasmerà dopo il diluvio universale. Il testo biblico propone sia una pista di autocomprensione del popolo di Israele nei confronti del resto dell'umanità, ossia, "tutti i popoli sono tuoi fratelli anche se non condividono con te la Fede nel Signore Dio", sia una modalità di possibili relazioni, "per non farsi guerra occorre comprendersi anche se si hanno diverse lingue e diverse parole di comprendersi e camminare insieme in pace". Il fatto che il Nuovo Testamento vedrà questo processo possibile solo grazie all'intervento dello Spirito Santo nel giorno di Pentecoste (in Atti degli Apostoli 2), apre a ulteriori riflessioni a comprendere il significato della Sacra Scrittura. Successivamente, quando su tutta la terra si formarono nuove culture e nuove tradizioni, giunsero con il passare del tempo e dei secoli, battaglie, pestilenze, deportazioni e tanto dolore e sofferenza, finché giunse il tempo tanto atteso dal mondo, la Prima Venuta del Redentore, Cristo Gesù Nostro Signore. Questi furono i segni predetti dal profeta Isaia: “Nascerà un Bambino da una Vergine, che sarà Colui che porterà l’equilibrio tra i popoli e, di Lui ne parlerà il mondo, di generazione in generazione, ed il Suo Regno non avrà mai fine”. L’Angelo Gabriele quando venne la pienezza del tempo, Dio lo andò da Maria, figlia di Anna e Gioacchino ed egli gli annunziò che avrebbe dato alla luce il Figlio di Dio, per Opera dello Spirito Santo, frutto dell’Amore del Padre e del Figlio, e che gli sia dato il Nome di Gesù. Così avvenne nella povera cittadina della Giudea di nome Betlemme in una misera grotta, la giovane Maria Sposa di Giuseppe il falegname, partorì un figlio che chiamerà Gesù, come gli fu detto dall’Angelo del Signore. “Nel sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te». A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto. L'angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine». Allora Maria disse all'angelo: «Come è possibile? Non conosco uomo». Le rispose l'angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio. Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: nulla è impossibile a Dio». Allora Maria disse: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto». E l'angelo partì da lei.” (Lc 1, 26-38). Il bambino crebbe in santità e purezza ed all’età di dodici anni andò a Gerusalemme per la Pasqua e si trattenne nel Tempio con i Dottori della Legge e, spiegava a loro il significato vero ed autentico delle Scritture, e, ammoniva i dotti, perché, essi parlavano agli altri delle Leggi e dei Decreti del Signore, ma, essi erano i primi fra tutti a non osservarli. Essi si meravigliarono di Lui e, non capivano da chi venisse tanta sapienza ed istruzione. Infatti, sapevano con certezza che era Figlio di un umile falegname di Nazareth di nome Giuseppe. Il tempo passava e Gesù viveva sottomesso con suoi genitori aiutando suo padre putativo nella sua umile bottega di falegnameria, fino all’età di trenta anni, quando ispirato dallo Spirito Santo andò da Giovanni il Battista, suo cugino, figlio di Zaccaria e Elisabetta al Fiume Giordano. Giovanni di cui la sua nascita fu annunziata a Zaccaria dall’Angelo Gabriele quando si recò al Tempio perché era il suo turno, fece l’offerta all’altare dell’incenso, predicava con tutte le sue forze la venuta del Messia che avrebbe sconfitto il peccato dal mondo. Viveva in solitudine e in preghiera nel deserto e si cibava di locuste e miele selvatico e attendeva come tutti l’avvento del Messia, liberatore del popolo d’Israele. Ogni giorno accorrevano da lui tante persone che li battezzava e li ammaestrava sulle vie di Dio, e infieriva contro i peccatori a convertirsi, perché, il Regno di Dio era vicino. Tutti erano gioiosi ad ascoltarlo anche lo stesso Erode Antipa, perché quello che diceva veniva da Dio. Ma, la sua predicazione infastidiva maggiormente la nuova moglie di Erode, Erodiade che, la denunciò pubblicamente di essere un’adultera e una concubina perché era la legittima moglie del fratello di Erode che è stata ripudiata, quindi, secondo la Legge di Mosè, non gli era lecito al re di prenderla con sé. Quando venne il tempo stabilito Gesù andò al Giordano e fu Battezzato da Giovanni, che lo annunciò, come “l’Agnello di Dio che toglie i peccati dal mondo”. In quell’istante si aprirono i cieli e, apparve lo Spirito Santo sotto forma di una colomba e la voce del Padre diceva: “Questi è il mio Figlio Prediletto, ascoltatelo”. (Mt 13, 17) Da quel momento, iniziava la Missione profetica di Gesù. Partì dal Giordano e lo Spirito Santo lo condusse nel deserto dove digiunò per quaranta giorni e quaranta notti. Allora avvenne che, anche Gesù Figlio di Dio, divenuto uomo in tutto eccetto il peccato dopo un lungo periodo senza toccare cibo e acqua, ebbe le stesse esigenze che sono sottoposti tutti gli esseri umani, ebbe fame e sete. Qui intervenne puntualmente satana, e cercava con la sua astuzia di tentare il Cristo per tre volte. Ma Gesù non si fece intimorire da lui, anzi lo affrontò con grande determinazione e lo sconfisse miseramente con la Potenza della Sua Parola. Il demonio non riuscendo nel suo intento lo abbandonò definitivamente, tornando poi a tempo opportuno. Le tentazioni di Gesù furono il primo passo dell’inizio del Suo Ministero Apostolico di Redenzione e salvezza dell’intera umanità, gli fecero comprendere in fondo le Parole del Padre, nel seguire la vera strada che successivamente lo condusse fino alla fine della Sua vita terrena, sottoponendosi volontariamente alla sua dolorosa passione, morte in Croce. Ma dopo tre giorni nel sepolcro si compì come avevo detto le Scritture la sua gloriosa Risurrezione e, insegnò ai suoi Apostoli e poi a noi sacerdoti e vescovi, come sconfiggere le malizie e le astuzie crudeli di satana.

CAPITOLO III
I Primi Discepoli e inizio del Suo Ministero di Redenzione

Quando il diavolo sconfitto e arrabbiato lasciò Gesù, gli Angeli lo servirono e una volta rifocillato fece ritorno verso la civiltà e decise di prendere con sé degli Apostoli a cui trasferire la Sua dottrina e i Suoi poteri divini. Si recò sul Mare di Galilea e chiamò per primo a Simone che lo chiamò Pietro e suo fratello Giovanni e poi tutti gli altri, compreso Giuda Iscariota, il traditore. Gesù inizia la Sua Missione e per prima cosa si reca nella sua città a Nazareth in Galilea a salutare sua Madre Maria e, entrò nella Sinagoga, si alzò e aprì il Rotolo del Libro di Isaia e lesse a alta voce il versetto che citava: “Lo Spirito del Signore è sopra di me, per questo mi ha consacrato con l’unzione e, mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annunzio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e, ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi a proclamare l’anno di Grazia del Signore”. Chiuso il rotolo disse: “Oggi si è compiuta questa scrittura, che voi avete ascoltato”. Ma il Sommo Sacerdote del Tempio con gli altri membri della comunità, avevano il cuore e la mente chiusa per comprendere che il Messia era giunto a loro, e, non accettavano che un uomo come Gesù dicesse tali parole, per loro era considerato una bestemmia. Infatti, tuttora gli ebrei aspettano la Venuta del Messia. Gesù vedendo che era contestato sia dal sommo sacerdote e dalla folla presente, si alzò e usci dal Tempio constatando che le loro menti erano chiuse al messaggio divino e all’avvento del Regno di Dio. Infatti, già nell’Antico Testamento Dio disse a Mosè: “il popolo di Israele è di dura cervice, ostinato a comprendere la vera via verso la salvezza”. Dopo questi fatti, gli ebrei cercarono di lapidarlo, ma Gesù, voltò le spalle a tutti ed andò a ritirarsi in Preghiera. Il Signore ne scelse Dodici, come le Dodici Tribù di Israele che lo seguivano da per tutto, insegnando loro il Ministero che successivamente, mediante la Successione Apostolica, dovevano trasmettere ad altri fino ai nostri giorni, vedendo con i propri occhi le guarigioni miracolose, la resurrezione dai morti, come avvenne per Suo cugino Lazzaro e, tante altre meraviglie dell’Altissimo. “In quei giorni Gesù se ne andò sulla montagna a pregare e passò la notte in orazione. Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede il nome di apostoli: Simone, che chiamò anche Pietro, Andrea suo fratello, Giacomo, Giovanni, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso, Giacomo d'Alfeo, Simone soprannominato Zelota, Giuda di Giacomo e Giuda Iscariota, che fu il traditore.” (Lc 6, 12-16). Sin dall’inizio del suo ministero profetico, Gesù comincia a chiamare degli individui sconosciuti tra loro affinché lo seguano e imparino a fare quello che Gesù fa, quando non ci sarà più tra di loro. Questi seguaci sono conosciuti come i suoi Dodici Apostoli. In seguito, come cita la Scrittura, ne sceglie dodici di questi Apostoli per formare una cerchia ristretta che sarà con lui quasi costantemente nel corso del suo ministero. Sembra che Gesù vedesse l’evento della scelta dei Dodici come d’importanza cruciale per il successo della sua missione. Luca descrive così la notte che precede questo evento: “In quei giorni Gesù se ne andò sulla montagna a pregare e passò la notte in orazione” (Lc 6,12). Il racconto dell’Evangelista Marco ci fornisce la risposta: “Ne costituì Dodici che stessero con lui e anche per mandarli a predicare, a guarire i malati e avessero il potere di scacciare i demoni” (Mc 3,14-15). Dovevano stare in compagnia di Gesù. Dovevano quindi essere “mandati” a predicare la buona novella e l’Avvento del Regno di Dio ormai prossimo. Gesù avrebbe dato loro la sua autorità contro le forze del male, per annientarlo dove esso vi si fosse annidato. In altre parole, Gesù li avrebbe istruiti e preparati a compiere il suo stesso mandato divino. Ma in definitiva, chi erano i Dodici Apostoli? Simon Pietro era un pescatore della Galilea quando Gesù lo chiamò perché fosse suo discepolo. Pietro era spesso avventato e impetuoso nelle sue azioni, ma la sua fede in Gesù era forte e fu il primo dei discepoli a riconoscere Gesù come “il messia, il Figlio del Dio vivente”. Durante l’ultima cena, Pietro dichiarò audacemente che non avrebbe mai abbandonato Gesù, ma solo qualche ora più tardi negò d’averlo mai conosciuto, perché preso dalla paura e dal terrore per quello che i giudei stavano facendo al suo Maestro. Nonostante Pietro l’avesse rinnegato per ben tre volte, Gesù volle incontrarlo dopo la risurrezione e gli affidò un ruolo importante nella chiesa primitiva, il Primato sugli Apostoli, e formò il Primo Collegio Apostolico, che fu tramandato fino ai nostri tempi, sotto l’autorità del Sommo Pontefice, Papa Francesco. Era Pietro che predicava il giorno della Pentecoste, quando in tremila si unirono alla chiesa primitiva. Pietro fu uno dei primi a rendersi realmente conto che il Vangelo era per tutti e non solo per gli Ebrei, ma per tutti coloro che ritrovavano la Fede per mezzo delle Parole del Cristo Risorto. Si unì alla cerchia anche Andrea fratello di Pietro ed era, come lui, un pescatore. Originariamente era stato discepolo di Giovanni Battista, ma quando quest’ultimo dichiarò che Gesù era “l’Agnello di Dio che toglie i peccati dal mondo”, insieme a un altro discepolo cominciarono a seguire Gesù. Andrea fece incontrare Gesù a Simon Pietro. Giacomo era il fratello di Giovanni. Tutti e due erano pescatori. Gesù li soprannominò “figli del tuono” a causa della loro natura impetuosa. Una volta ad esempio essi volevano far discendere il fuoco dal cielo su un villaggio della Samaria che non aveva accolto Gesù, e chiesero al Signore di riservare loro i posti migliori nel suo regno. Eppure, Pietro, Giacomo e Giovanni formavano il gruppo che era più vicino a Gesù fra tutti gli atri Apostoli che si unirono a Lui. Dopo la risurrezione di Gesù, Giacomo fu giustiziato da Erode Agrippa a causa della sua fede in Cristo. Giovanni era il discepolo più vicino a Gesù che egli amava di un amore del tutto spirituale. Sembra probabile che egli si riferisca a sé stesso quando parla, nel vangelo che porta il suo nome, del “discepolo che Gesù amava”. Pietro e Giovanni si recarono insieme al sepolcro vuoto nella prima mattina di Pasqua, e Giovanni “vide e credette”. Con Pietro, Giovanni diresse la chiesa di Gerusalemme, e probabilmente scrisse le tre lettere e l’apocalisse che nel Nuovo Testamento sono collocate sotto il suo nome. Filippo veniva da Betsaida. È menzionato poche volte nei vangeli, che riportano le sue domande riguardo all’identità di Gesù e allo scopo della sua venuta. Bartolomeo può essere quel Natanaele che Filippo presentò a Gesù. Matteo era un esattore delle tasse; lasciò il suo redditizio lavoro per seguire Gesù. Conosciuto anche come Levi, invitò Gesù a una festa nella propria abitazione, dove Gesù cominciò a incontrarsi con esattori delle imposte e con altri individui disprezzati dalla società ebraica, perché li consideravano peccatori e non osservanti della Legge di Mosè. Tommaso è famoso soprattutto per avere rifiutato di credere alla risurrezione dopo che Gesù era apparso agli Apostoli mentre egli era assente. Gesù apparve ancora, questa volta quando tutti gli Apostoli erano uniti. La confessione di Tommaso: “Mio Signore e mio Dio” è il punto cruciale del Vangelo di Giovanni. Giacomo, figlio di Alfeo, è il fratello minore di Giacomo e Giovanni. Simone lo Zelota è probabile che facesse parte di un partito politico e religioso conosciuto più tardi come quello degli Zeloti. Giuda, figlio di Giacomo, era conosciuto come Taddeo. Giuda lscariota appare sempre ultimo nella lista degli Apostoli chiamati da Gesù. È tristemente famoso per avere tradito Gesù guidando i nemici del Maestro nel posto dove sapeva che Gesù si sarebbe trovato durante la notte, perché lo vendette per trenta monete d’argento. Ma dopo aver commesso il tradimento di Gesù si sentì invadere dall’orrore e dal senso di colpa e seguendo le seduzione di satana che stava dentro il suo cuore si suicidò, precipitando nelle profondità dell’inferno. I dodici Apostoli ebbero quindi un ruolo molto importante nella vita e nell’opera di redenzione di Gesù. solo uno del gruppo, Giuda, lo tradì, ma gli altri gli rimasero fedeli perché amavano il loro Maestro e quindi, furono testimoni di tutto quello che aveva detto e fatto. Ogni cosa che sappiamo di Gesù è arrivata a noi grazie al loro impegno, alle loro testimonianze dette e scritte, tramandate a noi mediante i Vangeli. Dopo la morte e risurrezione di Gesù, che ha sconfitto il peccato, la morte e lo stesso demonio, i discepoli furono mobilitati dal Fuoco Vivo dello Spirito Santo con lo scopo specifico di annunciare al mondo chi era stato Gesù e che cosa aveva compiuto. Senza di loro, il messaggio del cristianesimo non si sarebbe mai diffuso. Essi si rivelarono essenziali per la realizzazione l’opera per la quale Gesù vero dio e vero Uomo era venuto fra gli uomini. Essere Apostoli di Cristo oggi è vitale e fondamentale, per continuare il lavoro di Dio nel mondo. La missione di Gesù Cristo nel mondo di oggi dipende dalla volontà dei cristiani di offrire le proprie risorse, tempo, energia, denaro al Cristo. Se la chiesa oggi è debole, lo è perché i cristiani non sono pronti come un tempo a seguire Gesù con lo stesso impegno e slancio dei primi cristiani, che formarono e costituirono la Santa Chiesa. Gesù mentre ammaestrava un’immensa folla radunatesi sulla montagna a insegnare ci consegnò la Preghiera del Padre Nostro, le Beatitudini, e, insegnava al popolo la Sua dottrina per la conversione di molti in Israele. Ma non tutti lo vedevano di buon occhio, i Farisei suoi acerrimi nemici lo odiavano e cercavano in ogni modo di metterlo in trappola con le loro perfidie, come avvenne per il caso della donna adultera di nome Maria Maddalena, colta in fragranza di reato, ma non riuscirono mai a trovare in Lui un punto debole dove poterlo attaccare e deridere per il suoi insegnamenti. Questa donna era una prostituta, e volevano ucciderla lapidandola, come prescriveva la Legge di Mosè, ma prima di procedere la portarono dal Maestro, per vedere che cosa pensasse di lei. Ma il Signore che lesse nei loro cuori malvagi ed infami, diede una grande risposta senza neanche guardarli in faccia: “Chi di voi è senza peccato, scagli la prima pietra contro di lei”. (Gv 8, 7). Penso che dopo che Gesù ebbe dato loro questa risposta, il loro cuore si sconvolse talmente tanto che fecero una giusta riflessione: tutti noi siamo peccatori, dal primo all’ultimo, solo Dio è Puro e Santo, come possiamo colpire o dire che non abbiamo peccati, allora con un senso di contrizione, buttarono le pietre per terra e, lasciarono stare la loro azione criminale, perché, in cuor loro hanno compreso il loro errore. Il miglior modo di Gesù per parlare alla gente e far comprendere loro le scritture era nel parlare in Parabole, storie fatte su misura per il popolo che lo ascoltava, che insegnavano e colpivano nei loro punti deboli anche i dotti e i sapienti, coloro che osservavano alla lettera la Legge di Mosè amministravano le Scritture, ma i loro occhi e il loro cuore era sigillato alla vera interpretazione delle Sacre Scritture e, questo ai Farisei pieni di arroganza, che in fondo non conoscevano a fatto Gesù, non lo sopportavano e, non riuscivano a capire da dove gli venisse un così grande sapere e potere a compiere tutti questi miracoli. Gesù era ed È considerato un’autorità, e si recò insieme ai suoi discepoli a Gerasa nel cimitero dove da giorni viveva un uomo indemoniato che tormentava tutto il villaggio. Appena lo vide arrivare, l’uomo posseduto aumentò la sua ira e cercava di scagliarsi contro di lui, allora, ordinò con piena autorità alla legione presente dentro di lui, di uscire immediatamente dal suo corpo, ed ordinò, di entrare in quella mandria di porci che stava pascolando liberamente nel prato, e si gettarono dal precipizio nel mare dove affogarono. Dal punto di vista letterario il brano dell’incontro di Gesù con l’indemoniato di Gerasa è frutto di una lunga storia redazionale. Lo testimonia ad esempio la difficile localizzazione dell’episodio. Nei manoscritti più antichi, si parla di Gerasa che però si trova a più di 50 km dal lago di Galilea. Ciò rende improbabile, dal punto di vista storico, la vicenda dei porci che si buttano nel lago. Questo episodio è stato quindi inserito in un secondo momento. A conferma del modo di procedere dei diversi redattori evangelici notiamo che l’evangelista Matteo, per rendere più verosimile il racconto, sostituisce la localizzazione di Gerasa con Gadara che dista ‘solo’ 10 km dal lago. Nella redazione finale dell’evangelista Marco, sono state fuse assieme diverse storie, che originariamente erano separate, ma che vengono accomunate dal tema della predicazione in terre pagane. La Decapoli è infatti un insieme di dieci città poste direttamente sotto la dominazione romana e quindi dominate da una religione pagana. L’intenzione della comunità di Marco è prettamente teologica: intende mostrare in questo racconto la forza, la potenza e, presenza e della parola di Gesù capace di scacciare con piena autorità il demonio, origine di ogni male e peccato, quindi, il diffondersi repentino della missione che ora tramite l’indemoniato guarito può crescere anche fuori della Giudea. La preghiera quindi ci permette di comprendere come, per la comunità cristiana, questo brano possa parlare anche agli uomini di oggi e quindi anche a noi stessi che per un certo senso siamo testimoni moderni del Risorto: L’indemoniato è una persona posseduta dal demonio, che la Chiesa ormai pellegrina sulla terra riconosce, ma soltanto in casi molto rari e ben documentati, Infatti abbiamo testimonianza scritte di esorcisti che praticano questo difficilissimo ministero In questo episodio per noi rappresenta situazioni importanti che ci vengono introdotte è presentate dallo stesso evangelista. L’indemoniato di cui si fa riferimento nel Vangelo è nudo, si aggira per i sepolcri, è escluso dalla società che cerca di imbrigliarlo sena riuscirci mettendogli delle catene, ma, Lui dimostra di avere una forza sovraumana che non gli appartiene come essere umano. È un ribelle alla volontà di seguire le vie di Dio. È una persona che sta male, inquieta con sé e con gli altri. Si percuote con le pietre, si fa del male come se cercasse di autopunirsi per la condizione in cui vive. Urla, segno della rabbia che ha dentro di sé. Vive nei sepolcri nei luoghi dei morti, come colui che è morto alla redenzione. È una specie di condannato alla vita che rifiuta. Corre incontro a Gesù, ma non vuole essere aiutato da lui, perché lo conosce molto bene è ha paura di Lui. Gesù: non ha paura di andargli incontro e di accoglierlo così com’è. Si comporta da medico nei suoi confronti: con la sua Potenza che viene da Dio, separa da lui il male che lo tormenta e lo caccia via in maniera definitiva. La sua presenza e la sua parola lo calmano e lo rendono umano. Alla fine, lo si vede vestito e non più nudo e calmo tra lo stupore di tutti. Gesù sa che per essere vicino all’indemoniato dovrà prendere su di lui la sua malattia. Guarire l’indemoniato significa in fatti: condannare i porci, che sono però una fonte di guadagno per il mandriano che li accudisce. Per questo al termine del brano gli abitanti della regione vogliono cacciare Gesù dal loro territorio come prima avevano fatto con l’indemoniato, perché secondo loro, Gesù ha sottratto al padrone il suo guadagno. I porci sono considerati animali impuri per gli ebrei, così come il demonio. Il fatto che i demoni vogliano entrare nei porci è quindi simbolo del fatto che il male cerca solo sé stesso per autodistruggersi, simboleggia il fatto che i porci si gettano nel mare simbolo del caos e della morte. Colui che prima era posseduto e torturato dal male, e viveva nel cimitero in compagnia dei defunti, ora è divenuto discepolo e annunciatore al mondo intero della misericordia di Dio. Gesù si serve di tutti, nessuno escluso, e tutti possono annunciare la Buon notizia della guarigione operata da lui. I demoni sottomessi sotto la sua autorità non opposero nessuna resistenza, perché Colui che li comandava è il Figlio di Dio, uscirono dall’uomo lanciando un urlo diabolico, ed egli, ritornato normale tornò sano e salvo dalla sua famiglia. Questa fu la seconda sconfitta inflitta a satana. Successivamente Gesù, trasmesse questo comando anche ai Suoi Apostoli, che li inviò a due a due per tutta la Galilea, Giudea e Samaria, ordinando loro di predicare il Vangelo alle genti, di imporre le mani sui malati e guarirli e, l’autorità di scacciare i demoni dai posseduti. Nel Vangelo di Luca cita: “Dopo questi fatti il Signore designò altri settantadue discepoli e li inviò a due a due avanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Diceva loro: «La messe è molta, ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il padrone della messe perché mandi operai per la sua messe. Andate: ecco io vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né bisaccia, né sandali e non salutate nessuno lungo la strada” (Lc 10, 1-4). Tutti sono mandati in missione da i Gesù, nessuno escluso. Questo indica che l'annuncio del Vangelo non è un'incombenza riservata ad alcuni membri della Comunità, ma a tutti i discepoli che aderiscono alla fede in Gesù e ne voglio fare esperienza Gli Apostoli sono inviati a due a due, non per farsi compagnia, ma per una ragione teologica. Il cristianesimo non può essere vissuto che in Comunità e, per costituire una Comunità basata su sane fondamenta è necessario essere almeno in due per avere tra i due la "Presenza di Gesù". L'evangelizzazione non è mai opera di individui che predicano le proprie intuizioni o aspirazioni personali. Chi annuncia il Vangelo deve mantenersi in piena sintonia e comunione con Gesù, attraverso la piena comunione con la Chiesa. C'è un'altra ragione importante che va specificata per una migliore comprensione: l'andare a due a due si fonda su una promessa di Gesù: "Dove sono due o tre uniti nel mio nome, io sono lì in mezzo a loro". Ciò che si annuncia non è una dottrina, ma una Persona, resa presente dalla concordia e dall'amore tra i discepoli: "Da come vi amerete crederanno in me". L'esperienza cristiana è un'esperienza visibile e concreta. Nella Novo Millennio ineunte, San Giovanni Paolo II afferma: "Non una formula ci salverà, ma una Persona". È quella persona è Gesù Cristo e il suo Vangelo. È interessante notare nel brano evangelico che Gesù non dice cosa devono dire i discepoli, ma come devono andare. Da come essi si presenteranno, essi diranno un'esperienza, saranno credibili, non dovranno convincere con le Parole, ma convinceranno in quanto testimoni di un'esperienza vissuta nell'amore reciproco. L'annuncio non è solo parola che si disperde nel corso del tempo e dei secoli, ma avviene nella potenza di Gesù Cristo reso presente dall'amore reciproco. È la sua Presenza che opera miracoli, prodigi, che scaccia i demoni, che permette di compiere opere ancora più grandi del Maestro. È per questo che Gesù dice di non portare nulla con sé: né pane, né bisaccia, né denaro, perché la provvidenza si manifesterà a loro da parte delle gente che li accolgono. È nella debolezza, dirà San Paolo, che si manifesta la potenza di Dio: "Ti basta la mia grazia". Quindi, con questa coscienza di una grande inadeguatezza dinnanzi al ministero che Gesù affida a ciascuno, ma nello stesso tempo con la convinzione che Lui ci precede là dove andiamo, anzi viene con noi, e sorregge con la sua potenza ogni sforzo missionario, per il bene della Chiesa e dell’umanità intera. Quando gli Apostoli tornarono erano meravigliati di aver compiuto tutte queste opere e, il Maestro disse: “tutte queste cose che voi avete compiuto per il Regno di Dio, dovete compierle fino alla fine del mondo”, e, così avvenne.

CAPITOLO IV
Ultima Cena e inizio della Sua Passione, Morte e Resurrezione

Intanto a Gerusalemme e in ogni parte del Regno di Erode, le voci riguardanti le Opere di Gesù arrivavano numerose alle orecchie dei Sommi Sacerdoti, Scribi, Farisei e dello stesso re Erode, che erano infuriati, non sapevano più come placare l’animo della gente che osannava Gesù, Figlio di Davide, quindi, volevano a tutti i costi sistemare la questione una volta per tutte, ma, ancora il tempo non era ancora giunto. Ma Gesù, sapendo che la sua venuta sulla terra era per portare la luce e la verità, e, che si doveva concludere in un modo veramente drammatico, preparava gli Apostoli a questo avvenimento. Quando giunse il tempo del suo sacrificio, dopo aver risuscitato suo cugino Lazzaro dopo quattro giorni dalla morte, organizzò il Suo ingresso Messianico in Gerusalemme. Infatti, quando furono vicini alla città, mandò due Apostoli da un tale a prendere un’asina con il suo puledro, vi salì sopra e entro trionfante nella Città Santa di Gerusalemme. Tutta la gente sapendo che arrivava il Signore si precipitò nelle strade e, con reverenza stendevano tappeti, mantelli e rami di palme e ulivi e gridavano: “Osanna al Figlio di Davide, Benedetto Colui che viene nel nome del Signore, Osanna nel più alto dei cieli”. I Farisei vedendo quello che stava avvenendo bollivano dalla rabbia e dalla gelosia e cercavano ogni modo di prenderlo e di ucciderlo, ma avendo paura della folla che lo circondava e lo osannava come un vero re, cercavano un modo astuto e segreto per catturarlo, senza destare il minimo sospetto. Quando giunse la pienezza del tempo Gesù sapendo che da questo mondo doveva tornare dal Padre che lo ha inviato, decise di entrare trionfalmente a Gerusalemme, insieme ai Dodici e a molti altri discepoli, solo dopo aver visto che in virtù dell'appoggio popolare, le autorità, giudaiche e romane, non avrebbero potuto arrestarlo alla luce del sole, per non creare rivolta popolare. La folla già presente in città e nelle strade a motivo della Pasqua proveniva da tutta la Palestina e da ogni luogo conosciuto, gli andò con gioia incontro come se lo aspettasse, ed era così numerosa che i farisei, sbigottiti e amareggiati, esclamarono: "Vedete che non concludete nulla? Ecco che il mondo gli è andato dietro!"(v. 19). Nel brano di Mt 21,8 parla infatti di "una folla numerosissima" e di "tutta la città in agitazione per la sua presenza"(21,10); Mc 11,8, più genericamente, parla di "molti" e Lc 19,37, volendo specificare che si trattava di "tutta la folla dei discepoli", dice una mezza verità, in quanto questa volta il consenso andava ben al di là dell'adesione fattiva al movimento istituito da Gesù il Nazareno. La guarnigione romana, colta del tutto impreparata, non mosse un dito, anzi, considerando che la Pasqua, per essa, era il momento più critico di tutto l'anno, in quanto gli ebrei affluivano copiosi in città, rendendo facilmente possibili gli attentati e le sommosse, viene da pensare che molto forte dovette essere la preoccupazione di una imminente sollevazione popolare, quindi i romani erano costretti a mantenere con rigore l’ordine pubblico. Infatti, non accaddero incidenti di nessun tipo, al momento dell'ingresso di Gesù a Gerusalemme, non perché come vuole l'esegesi confessionale, il corteo non sembrava avere alcuna finalità politico eversiva, ma perché era talmente imponente il numero e inaspettata l'iniziativa che il potere istituzionale restò come paralizzato da quest’avvenimento. Il Cristo venne accolto al pari di un re (Gv 12,13; Lc 19,38) o come se dovesse ricostituire il regno di Davide (Mc 11,10; Mt 21,9). Tutta la festa assomiglia a quella che si faceva per l'intronizzazione degli antichi re d'Israele: la folla stese i propri mantelli (Mc 11,8; Mt 21,8; Lc 19,36) come quella che in 2 Re 9,13 consacrò re Jeu; l'uso dei "rami di palme e di ulivo" (Gv 12,13; Mc 11,8; Mt 21,8) è analogo a quello di circa 170 anni prima, in occasione della decisiva rivolta popolare guidata dal leader Simone contro l'occupazione seleucida di Gerusalemme (1 Mac 13,51): praticamente dall'epoca maccabaica il vincitore veniva accompagnato così in città (2 Mac 10,7). La stessa espressione "uscirono incontro a lui" (Gv 12,13) indica una sorta di regola protocollare per l'intronizzazione regale di un capo carismatico. Persino la semplice espressione "Osanna" (Hoshia'na), che in origine era un grido d'aiuto, e con il tempo era diventata un'acclamazione solenne, di cui il significato è "Salvaci, aiutaci, donaci la vittoria!" (2 Re 6,26; 2 Sam 14,4). Insomma, la folla di Gerusalemme mostrava di avere di Gesù una concezione chiaramente politico militare, ma che effettivamente non era così. Gesù non rifiuta le acclamazioni, li accetta e li gradisce, non si tira indietro: l'unico paletto che pone al cospetto di questo atteggiamento esuberante è quello relativo alla scelta dell'asino. Una scelta anch'essa umile: il nuovo re d'Israele voleva presentarsi in maniera democratica, così come aveva espresso il miglior profetismo ebraico: "Esulta grandemente figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d'asina". Giovanni sintetizza, Sof 3,16s. e Zc 9,9, ma anche 1 Re 1,33s., ove si narra dell'intronizzazione di Salomone che cavalcava una mula. Forse qui si può sottilizzare dicendo che mentre in Giovanni la scelta dell'asino sembra essere dettata da considerazioni fatte sul momento stesso dell'ingresso, in Marco invece, a motivo dell'ampio spazio che si dedica a questa scelta, si ha l'impressione dell'esistenza di un piano messianico preparato nei minimi dettagli. La cosa strana tuttavia è che mentre in Giovanni Gesù entra in città senza simboli di sorta e la scelta dell'asino viene fatta proprio per attenuare le aspettative di un puro e semplice revival di intronizzazione anticotestamentario; in Marco invece la rappresentazione che viene fatta di Gesù è quella di un grande profeta o comunque di un Messia del tutto pacifico, che in nessun modo avrebbe usato la violenza per liberare Israele dai romani: egli quindi vuole di proposito utilizzare l'asino al fine di tutelarsi preventivamente da pressioni che possono andare oltre questi rigorosi limiti di operatività; tant'è che mentre in Giovanni i discepoli non comprendono questo tipo scelta, anche perché essi si stavano giocando la loro stessa vita, in Marco invece agiscono come se quella fosse la scelta migliore, quasi con la consapevolezza che il destino del Messia nella capitale era già segnato prima della creazione degli Angeli e del mondo. Non dobbiamo infatti dimenticare che per i sinottici l'immagine di un Messia religioso, che cavalca un'asina proprio per non diventare Messia politico, perché il suo regno non è di questo mondo, è conseguente, in maniera necessaria, al fallimento del progetto di liberazione nazionale, per cui, Gesù è venuto nel mondo per salvare l’umanità decaduta dal peccato e dalla tirannia del demonio, che li teneva schiavi, consegnandosi volontariamente alla morte per mano dei pagani romani. Però, in Lc 12,49 il termine: "Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso!", voleva significare che la violenza interpretata da Gesù potrebbe essere anche non fisica, ma a suon di parole come una "legittima difesa" dal sopruso e dalla tirannia dal dominio di Roma, che non è mai stata negata nei vangeli. Infatti, in un altro passo di Lc 22,49, si sostiene che al momento della cattura di Gesù gli apostoli erano tutti armati di spade e pugnali, ma, può essere interpretata come: avere un’arma a portata di mano da utilizzare solo ed esclusivamente per legittima difesa, alla pari del proprio nemico che le stava difronte. Infatti, nel Getsemani, Pietro per difendere Gesù dalla cattura, tagliò l’orecchio destro di Malco, che poi Gesù nel suo infinito amore, guari miracolosamente. Infatti, Marco si convertì immediatamente, riconoscendo Gesù Figlio di Dio. In 10,34: "Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada". L’Evangelista Giovanni è l'unico Apostolo ad affermare che in quell'occasione il gruppo formato dal nazareno allacciò dei rapporti politico diplomatici con alcune realtà del mondo ellenico, anch'esse evidentemente interessate a un'opposizione antiromana. È tuttavia singolare che questo incontro, che peraltro attesta l'universalismo implicito nell'ideologia nazarena, non comporti alcuna conseguenza nel contesto della pericope. Nei vangeli si è fatto di tutto per porre una netta incompatibilità tra progetto di liberazione nazionale e la possibilità di un fronte comune interculturale, che lo si è voluto caratterizzare in maniera esclusivamente spirituale. L’unico interesse di Gesù era quello di schiacciare il potere del "principe di questo mondo" che deve essere subito gettato fuori (Gv 12, 31), il che non si riferiva all’Imperatore di Roma Cesare Augusto ma satana, perché doveva compiersi la glorificazione del Figlio dell'uomo con la sua imminente passione e crocifissione e morte, ossia, lavarci da tutte le nostre impurità versando il suo sangue sulla Croce. La parola più difficile da interpretare è il termine hupsôsis, ossia "elevare da terra". L'unico precedente è raffigurato nel IV Vangelo è, fa paragone col serpente di rame che Mosè si costruì nel deserto per volere di Dio stesso, per salvare gli ebrei dal terribile morso dei serpenti, dopo che gli stessi ebrei accesero l’ira di Dio con la loro scontentezza: "Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il figlio dell'uomo"(Gv 3,14). Nella lingua italiana è stato usato il verbo "innalzare", ma sarebbe stato meglio utilizzare il verbo "esaltò" indicando, col gesto, anche il suo significato evocativo. Però la versione latina "exaltatus" la ritroviamo soltanto in At 2,33 e 5,31, in un contesto ovviamente teologico: il Cristo è stato "innalzato alla destra di Dio come Capo e Salvatore dell’intera umanità, per dare al popolo d’Israele la grazia della conversione e il perdono dei peccati". Da qui quindi, è facile risalire all'originaria etimologia politica del verbo in questione. Così come d'altra parte appare nell'Antico Testamento: in 2 Cr 32,23 "exaltatus" che viene usato con una finalità chiaramente politica, per esempio: il re di Giuda Ezechia "aumentò in prestigio agli occhi di tutti i popoli"; in 1 Mac 11,16 la parola indica il trionfo del re Tolomeo. Dietro questo termine può nascondersi il significato di una vera e propria "sollevazione popolare", in cui il popolo stesso avrebbe dovuto esserne protagonista. Solo successivamente i redattori hanno circoscritto l'accezione del termine a Cristo, attribuendogli un significato religioso e messianico di natura pacifica e quindi non violenta. "Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me"(v. 32). Infatti, al v. 42 Giovanni afferma che, "tra i capi del sinedrio, molti credettero in lui, ma non lo riconoscevano apertamente a causa dei farisei suoi acerrimi nemici, per non essere espulsi dalla sinagoga e considerati eretici", perché, nel dialogo usato da Gesù durante i suoi insegnamenti vi erano solo discorsi basati sull’ amore e il perdono dei proprii nemici, non era un sobillatore di folla che cercava guerra e vendetta, come Barabba, leader degli zeloti, autore di tanti omicidi. Si ha addirittura l'impressione che sotto l'espressione dei capi e nemici di Gesù: "Noi abbiamo appreso dalla Legge che il Cristo rimane in eterno; come dunque tu dici che il Figlio dell'uomo deve essere elevato? Chi è questo Figlio dell'uomo?"(v. 34). Qui subentra una certa difficoltà nel comprendere il significato della parola "democrazia", che pur in Asia Minore e in Grecia era conosciuta sin dal VII sec. a.C. È come se questi capi politici chiedano al Cristo un "segno" che attesti in maniera inequivocabile che lui è il Messia ed è in grado d'imporre la propria autorità e quindi di garantire l'esito della liberazione della nazione, occupata dal dittatore romano. Infatti, la stessa espressione è usata dagli stessi, al Calvario stando sotto la croce a beffarsi di lui. Insomma, da un lato la situazione sembrava davvero favorevole all'insurrezione del popolo, poiché il consenso delle masse, pur dominate dallo spontaneismo, era davvero grande; dall'altro però vi era una certa esitazione da parte dei leaders politici religiosi ebrei, che non volevano in nessun caso sfidare il potere di Roma, le cui conseguenze erano dannose per il popolo ebraico. Infatti, quando il Sommo Sacerdote Caifa tenne consiglio con tutto il Sinedrio per far morire Gesù disse: “meglio che muoia un solo uomo, che perisca tutto il popolo d’Israele”. Gesù dopo il suo ingresso a Gerusalemme si trattenne nei primi tre giorni nel Tempio a predicare ed insegnare le Sacre Scritture. Ora, mentre camminava vicino alla folla vide buttato per terra un cieco dalla nascita, che non aveva le pupille. Gesù impietositosi decise di donare a questo uomo la vista. Pietro gli disse: “Maestro, perché questo uomo è nato cieco, per un peccato commesso da qualche suo antenato, o dai suoi genitori? Se lui ha accettato questa vita perché modificarla?” (Gv 1, 2). Gesù rispose: “Pietro, io sono venuto per dare la vista ai ciechi, io, sono la Luce del mondo, chi vede me, non morirà nelle tenebre del peccato”. Quindi prese della terra, e con la sua saliva fece del fango e lo spalmò sui suoi occhi e, poi disse alla folla: “lavate i suoi occhi”. Portarono il cieco alla Piscina di Siloe, gli lavarono gli occhi e, all’improvviso il cieco nato ricevette la vista. Egli si mise ad urlare dalla gioia dicendo: “ci vedo, ci vedo, non sono più cieco, portatemi da lui per ringraziarlo per quello che mi ha fatto”. La gente che era con lui restò meravigliata e si domandava come fosse possibile un tale prodigio e tutti dicevano: “allora è Lui il Messia, il Figlio del Dio Vivente”. I Sommi Sacerdoti non ci videro più dalla rabbia ed aizzavano la folla a deridere il Maestro con false accuse, dicendo, che operava per opera di belzebù. Allora Gesù si infuriò e scagliò sugli Scribi e Farisei sette maledizioni, che fecero tremare il Tempio. Detto questo, prese i Suoi Apostoli e se ne andò. Il giorno dopo Gesù era presente nuovamente nel Tempio ad insegnare, quindi, interloquendo con i Farisei che volevano interrogarlo su quale fosse il più Grande dei Comandamenti, Gesù rispose: “Amerai il Signore Dio tuo, con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente; ed aggiunse: “Amerai il prossimo tuo come te stesso”. “Da questi due Comandamenti, dipende tutta la Legge e i Profeti”. Questo non vale soltanto per loro, ma, per tutti coloro che sono timorati di Dio e temono i suoi castighi, perciò, vale anche per noi, che stiamo vivendo in quest’epoca buia ed attanagliata dal male e dal peccato che dilaga come un’enorme macchia d’olio in tutto il mondo. Intanto il tempo della sua dipartita da questo mondo per tornare nuovamente dal Padre si avvicinava sempre di più. Il Signore Gesù desiderava ardentemente mangiare la sua Ultima Cena con i suoi Apostoli. Intanto, il demonio con astuzia e perversione aveva messo nel cuore di Giuda il proposito di tradirlo tanto tempo prima che si compisse. Si recò volontariamente dai Sommi Sacerdoti per organizzare la cattura del suo Maestro e naturalmente, contrattare il prezzo della vendita, nulla viene fatto se non c’è un tornaconto. “Quegli tutti contenti che potevano realizzare il loro progetto gli fissarono trenta monete d’argento, (circa 3000 Euro ai nostri tempi), e cercava l’occasione propizia per consegnarlo”. Radunò i Suoi nel Cenacolo e cominciò a dare gli ultimi insegnamenti, e il suo volto divenne triste, dichiarando pubblicamente una sconcertante verità: “In verità io vi dico; uno di voi questa sera stessa mi tradirà”. Tutti i presenti rimasero sbigottiti e senza parole, ma li rassicurò dicendo che era giunta la sua ora, per questo lui era nato. Gli Apostoli ancora attortiti chiesero chi fosse l’autore del tradimento. Egli prese un boccone di pane azimo lo intinse nel piatto e lo diede a Giuda Iscariota: Poco dopo si alzò dal tavolo, depose le sue vesti e cominciò a lavare i piedi ai suoi Apostoli per renderli puri, infatti, non tutti erano puri. Poi disse a Giuda: “Giuda, quello che devi fare fallo subito”. Il diavolo prese possesso totalmente della sua anima ormai destinata alle profondità dell’inferno nei tormenti eterni, si mise le scarpe e uscì in gran fretta dal Cenacolo per compiere il tradimento. Era già notte. Dopo che Giuda il traditore uscì fuori del Cenacolo, per andare incontro al suo destino di eterna dannazione, Gesù istituì il più Grande dei Sacramenti; la SS.ma Eucaristia, ed comandò loro di fare questo in sua memoria fino alla fine dei tempi: “Ora, mentre essi mangiavano, Gesù prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede ai discepoli dicendo: “Prendete e mangiate; questo è il mio corpo”. Poi prese il calice e, dopo aver reso grazie, lo diede loro, dicendo: “Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell’alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati. Io vi dico che da ora non berrò più di questo frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo con voi nel regno del Padre mio” (Mt 26, 26-29). L'Ultima Cena si riferisce all'ultimo pasto consumato da Gesù con i Suoi Apostoli all’interno del Cenacolo, prima del Suo tradimento da parte di Giuda Iscariota e del Suo arresto nel Giardino del Getsemani. L'Ultima Cena viene riportata dai Vangeli Sinottici da Matteo 26:17–30; Marco 14:12–26; a Luca 22:7–30, ma, Giovanna non ne parla affatto. Non riguarda quindi l'ultimo pasto consumato da Gesù; era anche un pasto della Pasqua ebraica. Uno dei momenti importanti dell'Ultima Cena è l'esortazione di Gesù a ricordare quello che stava per fare per tutta l'umanità: stava per versare il proprio Sangue sulla croce per pagare il debito dei peccati dell’umanità intera (Luca 22:19). Oltre a predire la Sua sofferenza e la Sua morte per la nostra salvezza (Luca 22:15–16), Gesù usò l'Ultima Cena anche per dare alla Pasqua ebraica un nuovo significato, istituire il Nuovo Patto, stabilire un'ordinanza per la Chiesa, e anticipare che Pietro lo avrebbe rinnegato (Luca 22:34) e che Giuda Iscariota la notte stessa lo avrebbe tradito (Matteo 26:21–24). L'Ultima Cena portò a compimento l'osservanza della festa della Pasqua ebraica nell'Antico Testamento. La Pasqua ebraica (Pesah) era un evento particolarmente sacro per il popolo ebraico, in quanto commemorava il tempo in cui Dio li aveva risparmiati dalla piaga della morte dei primogeniti d’Egitto e li aveva liberati dalla schiavitù (Esodo 11:1—13:16). Durante l'Ultima Cena con i Suoi Apostoli, Gesù prese due simboli associati alla Pasqua ebraica e diede loro un nuovo significato, come modo per ricordare il Suo sacrificio, il quale ci salva dalla morte spirituale e ci libera dalla prigionia spirituale del demonio: "Poi prese il calice, rese grazie e disse: «Prendete questo e dividetelo fra di voi, perché io vi dico che non berrò più del frutto della vigna, finché il regno di Dio sia venuto». Poi, preso il pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: «Questo è il mio corpo, che è dato per voi; fate questo in memoria di me». Cosí pure, dopo aver cenato, prese il calice dicendo: «Questo calice è il nuovo patto nel mio sangue, che è sparso per voi" (Luca 22:17–20), istituì il Sacramento dell’Eucaristia. Le parole usate da Gesù riguardo il pane azzimo e la coppa riecheggiano quello che aveva detto dopo aver nutrito i 5.000 uomini sulla montagna: "Io sono il pane della vita chi viene a me non avrà mai più fame e chi crede in me non avrà mai più sete. Io sono il pane vivo che è disceso dal Cielo; se uno mangia di questo pane vivrà in eterno; or il pane che darò è la mia carne, che darò per la vita del mondo». Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, ha vita eterna, e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Poiché la mia carne è veramente cibo e il mio sangue è veramente bevanda" (Giovanni 6:35, 51, 54–55). La salvezza giunge per mezzo di Cristo e del sacrificio del Suo corpo fisico sulla croce. Gesù insegnò anche i principi del significato di servitù e di perdono, quando si levò le vesti e lavò i piedi ai Suoi discepoli: "Ma con voi non sia cosí; anzi il più grande fra di voi sia come il minore e chi governa come colui che serve. Chi è infatti più grande chi siede a tavola, o colui che serve? Non è forse colui che siede a tavola? Eppure, io sono in mezzo a voi come colui che serve" (Luca 22:26–27; Giovanni 13:1-20). Oggi l'Ultima Cena viene ricordata durante la Santa Messa, dove si perpetua il sacrificio di Cristo sul Calvario, ma non in modo cruento (1 Corinzi 11:23–33). La Bibbia ci insegna che la morte di Gesù fu esemplificata nell'offerta del sacrificio della Pasqua ebraica (Giovanni 1:29). Giovanni nota che la morte di Gesù somiglia al sacrificio della Pasqua ebraica, in quanto le Sue ossa non furono rotte, ma il suo fianco fu squarciato dalla lancia di Longino, per effondere su di noi la sua Divina Misericordia (Giovanni 19:36; cfr. Esodo 12:46). E Paolo disse: "la nostra pasqua infatti, cioè Cristo, è stata immolata per noi" (1 Corinzi 5:7). Gesù è la realizzazione della Legge e dei Profeti, incluse le feste del Signore (Matteo 5:17). Generalmente, il pasto della Pasqua ebraica era una celebrazione familiare. Tuttavia, all'Ultima Cena, gli Apostoli erano soli con Gesù (Luca 22:14), il che suggerisce che questo pasto particolare avesse un significato specifico per la Chiesa, della quale gli Apostoli divennero il fondamento (Efesini 2:20). L'Ultima Cena era consolidata nell'Antico Patto, persino quando annunciava il Nuovo. Geremia 31:31 promise un Nuovo Patto tra Dio ed Israele, nel quale Dio disse: "Metterò la mia legge nella loro mente e la scriverò sul loro cuore, e io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo" (Geremia 31:33). Gesù fece un riferimento diretto a questo Nuovo Patto durante la Cena: "Questo calice è il nuovo patto nel mio sangue" (Luca 22:20). Una nuova legge era all'orizzonte, fondamentale per l’istituzione della Chiesa. Nella grazia di Dio, il Nuovo Patto non si applica solo ad Israele, ma: chiunque abbia fede in Cristo verrà salvato (Efesini 2:12–14). Questo fu un evento significativo e rappresentò un punto di svolta nel piano di Dio per il mondo. Paragonando la crocifissione di Gesù alla festa della Pasqua ebraica, possiamo immediatamente vedere la natura espiatrice della morte di Cristo. Come simboleggiato dal sacrificio originario della Pasqua ebraica nell'Antico Testamento, la morte di Gesù espia i peccati del Suo popolo e dell’intera umanità; il Suo sangue ci salva dalla morte eterna e dalla schiavitù di satana. Oggi, Cena del Signore ha luogo quando i credenti riflettono a fondo sull’importanza del sacrificio perfetto di Cristo e apprendono che, per mezzo della nostra fede nel riceverLo, saremo con Lui per sempre nel suo Regno (Luca 22:18; Apocalisse 3:20). Quando, poi ritornerò di nuovo nella Gloria, verrò a giudicare i vivi e i morti, ed il Suo Regno non avrà fine. Dopo aver consegnato ai suoi Apostoli e a noi suoi successori il Suo Corpo e il Suo Sangue, uscì dal cenacolo dopo aver cantato l’Inno, e si ritirò insieme ai suoi Apostoli in un podere chiamato Getsemani o Orto degli Ulivi. Si allontanò da loro e si prostrò a terra in preghiera, tutto dolorante, spaventato, e il suo sudore divenne sangue per tutto quello che gli doveva accadere. Mentre era assorto nella preghiera al Padre, chiedendo che quel calice che deve bere se fosse possibile si allontanasse da lui, si presentò nuovamente il demonio, per indurlo falsamente a lasciar perdere tutto: “perché, devi soffrire per dare salvezza ai figli di questo mondo, questi ingrati, uomini senza coscienza e senza fede?”, ma il Signore, pregava il Padre ancora di più intensamente e, al demonio non gli rivolse una sola parola. Quell’essere malvagio, fece comparire dal nulla un serpente che strisciava minaccioso verso Gesù, e il Signore quando si rialzò ancora dolorante e sofferente, con una pedata gli staccò la testa. Intanto, il demonio lo lasciò e al suo posto si presentò Giuda il traditore con un grosso distaccamento di soldati armati con spade e bastoni, si accostò al viso del Signore e con un bacio lo consegnò ai suoi carnefici che lo conducevano alla morte. Il tradimento di Giuda Iscariota avvenne in due momenti specifici: quando Giuda s'accordò con i Farisei nemici di Gesù per la modesta somma di trenta denari e poi nell'esecuzione con il bacio dato al Maestro nel Getsemani. Ora analizziamo la figura di Giuda Iscariota. Egli apparteneva al gruppo dei Dodici Apostoli ossia, di coloro che Gesù stesso aveva chiamato per nome come stretti compagni e collaboratori, per lasciare in eredità i suoi insegnamenti e la sua Chiesa. Rimane un mistero che ancora la maggior parte dei teologi e dei scristiani non sa rispondere: la scelta di questa persona, sapendo fin dal principio chi fosse e quali fossero le sue intenzioni, tanto più che il Signore pronuncia un giudizio molto severo a suo riguardo “Guai a colui dal quale il Figlio dell'uomo viene tradito” (Mt 26,24). Tra i possibili moventi che hanno portato l'Iscariota a tradire Gesù, rammenta la ben nota cupidigia nell’attaccamento al danaro e la delusione nel vedere che Gesù non inseriva nel suo programma la liberazione politico militare della Palestina. In realtà i testi evangelici insistono su un altro aspetto: «Il diavolo da tempo aveva messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo» (Gv 13,2). Il tradimento si spiega, pertanto, in base alla responsabilità personale di Giuda, che cedette miseramente alla tentazione del Maligno, e voleva guadagnare una buona ricompensa su Gesù. Gesù fino all’ultimo momento lo aveva trattato da amico, però nei suoi inviti a seguirlo sulla via delle beatitudini, non forzava le volontà né le premuniva dalle insidie di Satana, rispettando la libertà umana. In effetti, le possibilità di perversione del cuore umano sono davvero molte, l'unico modo di ovviare ad esse consiste nel rifiutare una visione individualistica ed autonoma e con tanta umiltà mettersi di nuovo dalla parte di Gesù, assorbendo nel sua vita il suo punto di vista. Giuda si pentì, ma il suo pentimento degenerò in disperazione e divenne automaticamente autodistruzione. Ci sono due cose da tener presente: Gesù rispetta la nostra libertà ed aspetta la nostra disponibilità al pentimento ed alla conversione, poiché Egli è ricco di Misericordia e di perdono. Nel suo misterioso piano di salvezza, Dio assume il gesto inescusabile di Giuda come occasione del dono totale del Figlio per la redenzione del mondo. Anche se nella Chiesa non mancano cristiani indegni e traditori. Spetta quindi a ciascuno di noi controbilanciare il male da essi compiuto con la nostra limpida testimonianza a Gesù Cristo, nostro Signore e Salvatore. Dopo il tradimento, il traditore sapendo che il Suo Maestro è stato condannato a morte, restituì il prezzo del venduto ai Sommi Sacerdoti e, circondato dai servi di satana, per disperazione andò ad impiccarsi consegnando così la sua anima a lucifero, dove tuttora dimora. Il Signore fu arrestato e condotto dai Sommi Sacerdoti per interrogarlo, e, gli muovevano attorno falsi testimoni con false accuse, lo disprezzavano, lo beffeggiavano e lo picchiavano. Egli rimase in silenzio ed affrontò il processo, e, quando venne il momento di dichiarare a tutti la sua Verità, rivelò di essere il Figlio di Dio, e, i Sommi Sacerdoti, le guardi e la folla radunata nel tribunale, istigati dal maligno lo percossero e, l’indomani lo presentarono davanti al Procuratore Romano Ponzio Pilato e lo fecero condannare a morte dai romani pagani. Il demonio sfoderò tutta la cattiveria nei soldati romani che, lo flagellarono crudelmente, gli misero una corona di spine sul capo, lo malmenarono, e dopo la sentenza di morte pronunciata da Pilato, e lo condussero fuori della Città carico della Croce come il peggiore dei malfattori sul Monte del Golgota. Lo Crocifissero insieme a due malfattori, di cui uno chiamato Disma si è convertito e andò salvo in Paradiso, l’altro finì nei tormenti eterni dell’inferno, perché anche in punto di morte ha resistito alla conversione. Sulla croce non oppose resistenza, si lasciò morire spremuto come l’uva all’interno del torchio, versando tutto il suo sangue per la nostra salvezza, ed è qui, che sconfisse in via definitiva il peccato e la morte. satana fu annientato per l’eternità, ridotto ad un misero escremento puzzolente e, lasciato seccare sotto al sole sull’erba fresca. Dopo tre ore di agonia, consegnò il Suo Spirito al Padre e spirò. Giuseppe d’Arimatea staccò il suo corpo dalla Croce e avvolto in un lino lo depose con rispetto nel sepolcro nuovo. Per questo motivo, carissimi fratelli e sorelle, il demonio ha paura del Santo Nome di Gesù, e di sua Madre Maria e ad ogni invocazione lo marchia a fuoco, ed infine, il demonio abbandona la sua preda, e ritorna strisciante all’inferno, dove è la sua dimora eterna.

CAPITOLO V
La Discesa dello Spirito Santo e le prime persecuzioni

Passarono tre giorni dalla morte di Gesù e come ebbe predetto ritornò in vita nel suo vero Corpo ed apparse ai Dodici con i segni dei chiodi e della lancia, dove vi rimase con loro per quaranta giorni, avvisandoli che avrebbero ricevuto il Consolatore, vale a dire, lo Spirito Santo, che gli dava la forza di andare per il mondo a portare il lieto annunzio, cacciare i demoni e guarire i malati, nel Nome di Gesù il Nazareno. “Mentre il giorno di Pentecoste stava per finire, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all'improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano. Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro; ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro il potere d'esprimersi. Si trovavano allora in Gerusalemme Giudei osservanti di ogni nazione che è sotto il cielo. Venuto quel fragore, la folla si radunò e rimase sbigottita perché ciascuno li sentiva parlare la propria lingua. Erano stupefatti e fuori di sé per lo stupore dicevano: «Costoro che parlano non sono forse tutti Galilei? E com'è che li sentiamo ciascuno parlare la nostra lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamiti e abitanti della Mesopotamia, della Giudea, della Cappadocia, del Ponto e dell'Asia, della Frigia e della Panfilia, dell'Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, stranieri di Roma, Ebrei e proseliti, Cretesi e Arabi e li udiamo annunziare nelle nostre lingue le grandi opere di Dio». Tutti erano stupiti e perplessi, chiedendosi l'un l'altro: «Che significa questo?». Altri invece li deridevano e dicevano: «Si sono ubriacati di mosto” (Lc Atti 2, 1-13) Gli Apostoli dopo aver ricevuto lo Spirito Santo non ebbero più paura ed uscirono allo scoperto predicando il Vangelo, guarendo i malati e, cacciando i demoni nel Nome Santo di Gesù il Nazareno. Da questo momento in poi, nacque la prima Comunità Cristiana dove gli Apostoli, si radunarono in assemblee e celebravano l’Eucaristia pregando con le parole insegnatele dal Maestro e, tutto era centrato sulla frazione del Pane, quindi, cominciarono le prime sacre ordinazioni diaconali e sacerdotali e successivamente le consacrazioni episcopali all’interno delle prime Comunità cristiane, che si sono prolungate fino ai nostri giorni. Naturalmente, tutto questo non piaceva affatto ai Sommi Sacerdoti, agli Scribi e Farisei, pensarono in cuor loro, che uccidendo Gesù avrebbero risolto il problema una volta per tutte, e la sua dottrina fosse scomparsa per sempre, ma invece successe tutto il contrario, la Sua Memoria fu rafforzata dalla Fede degli Apostoli che, aumentavano sempre di più giorno dopo giorno, mediante le conversioni e si facevano battezzare nel Nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Le apparizioni del Cristo Risorto sono terminate con l’Ascensione, a Gerusalemme si è riunito il primo nucleo comunitario, formato da gente umile e ardente di preghiera, quindi, tutto è pronto per la discesa dello Spirito Santo. L’insegnamento che l’Evangelista Luca dà a riguardo sullo Spirito è molto semplice: non è solamente una forza attiva, ma soprattutto una Persona Divina che agisce e prende in possesso tutte le comunità sparse nel mondo. Egli è il regista di tutti gli eventi che si susseguono: lo Spirito investe i discepoli dando pienezza (At 2:4), dona potenza di parola (At 2:14-36), convince di peccato (At 2:37), rivela le menzogne (At 5:3), guida i servitori (At 8:29), sceglie i missionari (At 13:2), manda in missione (At 13:4), vieta di predicare in alcuni luoghi (At 16:6), costituisce gli anziani-vescovi delle chiese locali (At 20:28), prepara la testimonianza di Paolo davanti ai pagani (At 21:11). San Paolo argomenta l’azione dello Spirito con la crisi carismatica di Corinto (1Co 12-13), mentre Giovanni esplicita in forma discorsiva il rapporto che lo lega al Paraclito (Gv 14:15-26). La presenza dello Spirito è imponente nel dittico di Luca Vangelo e Atti degli Apostoli: 106 ricorrenze di pneuma per i 52 capitoli dell’opera rivolta a Teofilo, di cui 70 negli Atti. E l’insegnamento è abbastanza chiaro: Lo Spirito Santo non raggiunge che i credenti e agisce nella e per la comunità: “Se il Signore non costruisce la casa, invano si affaticano i costruttori” (Sl 127:1). Nessuno può ignorare che la Chiesa non nasce dall’uomo, ma dal soffio di Dio, perciò troviamo gli Apostoli, i Discepoli, alcune donne e Maria Santissima con i suoi figli, nella sala di sopra (At 1:13-14), in ubbidienza alle parole di Gesù di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere la realizzazione della promessa del Padre che avevano udita da lui (At 1:4). La comunità, invece di prendere l’iniziativa, di organizzarsi e di avventurarsi nel mondo con le bandiere al vento, si è ritirata ad aspettare e pregare perché venga il Consolatore. La prossima mossa tocca a Dio: al Cristo risorto mantenere la sua promessa di concedere lo Spirito Santo e di ristabilire il Regno a Israele. In un certo senso la preghiera è appunto questo: “l’audace, quasi arrogante sforzo della comunità di costringere Dio a mantenere le sue promesse”. Nel pregare il Signore Gesù disse: “Venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà”. (Mt 6:10). Infatti, noi cristiani battezzati e coeredi di Cristo, chiediamo che Dio sia coerente con sé stesso e ci dia ciò che è stato promesso da suo Figlio Gesù, ossia, il Dono dello Spirito Santo. Così la preghiera che noi celebriamo giorno dopo giorno, è il coraggio nato dalla fiducia nella fedeltà di Dio alle promesse che egli stesso fa, fiducia che egli sarà fedele a sé stesso. Ciò che può sembrare un’insolente preghiera da parte della Chiesa, invece chiede di ricevere: lo Spirito Santo, il regno, la potenza, la restaurazione, la più profonda umiltà: ciò significa, che la Chiesa si rende conto umilmente che soltanto Dio può darle ciò di cui ha disperatamente bisogno. Narrando la storia di Cristo, l’Evangelista Luca, più di ogni altro Vangelo, dedica molta attenzione ai particolari della nascita di Gesù, questo perché ci sarà molta affinità con la discesa dello Spirito Santo. Un paragone tra la nascita di Gesù in Luca e quella della Chiesa negli Atti mostra infatti dei parallelismi avvincenti: Lo Spirito Santo scende su Maria (Lu 1:35) e successivamente sulla Chiesa (At 2:3-4), Giovanni Battista sarà pieno di Spirito Santo (Lu 1:15), lo stesso sarà per la prima comunità (At 2:4), Zaccaria sarà muto fino al compimento della promessa (Lu 1:20), la Chiesa sarà in attesa senza parlare fino al compimento della medesima promessa (At 2:4), Zaccaria pieno di Spirito Santo profetizzò (Lu 1:67), la Chiesa piena di Spirito Santo parla in lingue, come lo Spirito dava agli Apostoli di esprimersi (At 2:4). Solitamente ci si riferisce alla Pentecoste come al giorno della nascita della Chiesa e in ciò vi è molta verità. Ma è assai più esatto parlare di Pasqua anziché di Pentecoste, come giorno della nascita. Quando colloca l’irruzione dello Spirito all’inizio della storia della Chiesa, Luca ripropone una convinzione comune a tutto il cristianesimo primitivo: l’effusione dello Spirito Santo fu una realtà post-pasquale, essa va precisato, non è il risultato del Cristo terreno, ma del Cristo innalzato (Mt 28:19s; Gv 15:26; 16:7; 20:22; Ga 4:6; 2Co 3:17). Infatti, la Pasqua e l’elevazione di Gesù instaurano un cambiamento fondamentale per la nascita della Chiesa, Sposa di Cristo Risorto. La storia passa sotto il regime dell’assenza di Gesù (At 1:11) e lo Spirito Santo scende come un rombo dal cielo e si posa su tutti credenti, come afferma Pietro quando commenta l’evento della Pentecoste per il popolo di Gerusalemme: “Egli dunque, essendo stato esaltato dalla destra di Dio e avendo ricevuto dal Padre lo Spirito Santo promesso, ha sparso quello che ora vedete e udite” (At 2:33). La Pentecoste deve essere letta e compresa nel contesto di Luca 24: il Signore risorto fu “da loro riconosciuto nello spezzare il pane” (v. 35); egli “ci spiegava le Scritture” (v. 32), e promise di dar loro lo stesso potere che lo aveva mosso, dicendo loro “ma voi rimanete in questa città, finché siate rivestiti di potenza dall’alto” (v. 49). Luca dunque fa sua la convinzione dei primi cristiani: Cristo è il mediatore dello Spirito Santo. Ma egli attribuisce ad Esso una funzione precisa: “Ma riceverete potenza quando lo Spirito Santo verrà su di voi, e mi sarete testimoni in Gerusalemme, e in tutta la Giudea e Samaria, e fino all’estremità della terra” (At 1:8). Lo Spirito Santo darà potenza e forza, quindi, abiliterà i discepoli ad essere testimoni fedeli e autentici di Gesù, da Gerusalemme fino ai confini della terra. “Quando il giorno della Pentecoste giunse, tutti erano insieme nello stesso luogo” (At 2:1). Sono passati ormai cinquanta giorni a partire dall’indomani del sabato di Pasqua (Le 23:15-16). Luca ha voluto datare l’avvenimento e specificare i destinatari della promessa. La costruzione della frase nel testo originale appare con la preposizione “Nel” seguita da un verbo infinito: “completarsi il giorno della Pentecoste”. L’uso della stessa formula si trova nel suo vangelo: “Nel completarsi il giorno della sua ascensione” (Lu 9:51), e notifica la fine di un’attesa e l’inizio di un nuovo periodo. L’attesa di cui parla è stata più volte ripetuta: è la promessa sicura di ricevere una potenza dall’alto, che avrebbe cambiato la loro vita, da timidi e paurosi, a ferventi testimoni della Fede in Gesù e del suo Vangelo. Quindi quest’avvento dello Spirito Santo viene a coincidere con la festa giudaica di Pentecoste che già esisteva con un altro nome “Festa delle sette settimane” (Le 23:15-16) o “Festa della mietitura” (Es 23:16; 34:22; De 16:10), perché concludeva il tempo del raccolto. Aveva assunto successivamente il nome di Pentecoste in relazione al cinquantesimo giorno dalla Pasqua. La Pentecoste era una festa più modesta rispetto alla Pasqua e alla festa delle Capanne, ma riuniva, secondo Filone e Giuseppe Flavio, un gran numero di pellegrini a Gerusalemme, provenienti sia dalle campagne palestinesi sia dalla diaspora. Ma che rapporto c’è fra il significato teologico della Pentecoste e la venuta dello Spirito Santo? Dal fatto che questa festa venisse celebrata fin dal primo giudaismo il 50° giorno dopo la Pasqua quale sua conclusione solenne, Luca può aver tratto l’idea di presentare l’evento della discesa dello Spirito Santo anche come l’inizio della testimonianza universale degli Apostoli, quando alla Chiesa fu donato il primo raccolto: “circa tremila persone” (At 2:41). La presentazione della discesa del Consolatore come inizio storico-salvifico era tanto più plausibile per Luca, poiché già ai suoi tempi la festa giudaica di Pentecoste veniva celebrata anche come solennità che commemorava la promulgazione della Legge data a Mosè sul Monte Sinai. Non fu perciò casualmente che il momento inaugurale della Chiesa universale, come popolo di Dio nella nuova alleanza, abbia coinciso con questa festività giudaica. Il luogo degli avvenimenti non viene indicato o descritto con precisione, e questo concorda con il modo in cui Luca apre il suo racconto. Il lettore viene a sapere solo nel v. 2 che la scena si svolge in una casa, può essere la casa dove, nella stanza superiore, si tratteneva la comunità degli Apostoli, o dove con Gesù in quel Giovedì Santo, ha celebrato l’Ultima Cena con i suoi. Quindi si può dedurre, che Luca non dà informazioni precise e si limita a dire che erano nello stesso luogo. Questa espressione greca ha un sapore biblico, la sua traduzione varia fra il significato locale come qui, nello stesso luogo, e il significato sociale; erano insieme. La Settanta traduce l’ebraico yahad con “insieme” che è l’avverbio della vita comunitaria. Ma chi sono questi tutti? Atti 1:13-14 ci dà un aiuto fondamentale per capire in realtà chi sono: gli Apostoli, le donne, Maria, i conoscenti di Gesù e i Discepoli. Alcuni ritengono che questo “tutti” comprenda anche le centoventi persone che presero poi parte alla elezione di Mattia al posto dell’Iscariota il traditore dei benefattori (At 1:15), forse, ma una cosa è certa: la comunità non è fatta di soli Apostoli anche se Luca pone l’accento sul loro ruolo di guida, e li vedere come il nucleo di una comunità più ampia, pronta al servizio dei bisognosi e dei sofferenti. Ognuno di loro non pregava per sé stesso. Tutti pregavano con un cuore solo ed un’anima sola. La perseveranza e la concordia sono l’essenza, la verità della preghiera e sono molto raccomandate da Cristo Gesù nel Vangelo. La venuta dello Spirito Santo si presenta come il compimento di un lungo tempo di attesa ed è il punto di partenza di un tempo nuovo, quello di dare testimonianza alla Verità. Si viene così ad inaugurare l’ultima fase della storia della salvezza, quella della Potenza di Cristo esercitata sull’uomo e sul mondo per mezzo dello Spirito Santo Santificatore. Prima dell’ascensione Gesù aveva promesso che il battesimo in Spirito Santo sarebbe avvenuto fra non molti giorni (At 1:5), quel giorno finalmente è giunto, e tutti furono ripieni di Spirito Santo. Il nuovo giorno comincia con un’esplosione di suoni dal cielo e di vento. È presentato in tre doppie frasi parallele che iniziano con un e: “E venne dal cielo – e riempì la casa” (v. 2), “e apparvero delle lingue di fuoco – e una si posò su ciascuno di loro” (v. 3), “e furono pieni di Spirito Santo – e parlavano in lingue a loro sconosciute” (v. 4). I tre soggetti fondamentali sono: Il rumore, le lingue e tutti. Prima di tutto si afferma la sua totale sovranità: è inaspettato (all’improvviso), e viene dal cielo. Analizziamo insieme l’aspetto uditivo: un rumore (fragore, frastuono, rimbombo, eco) che al v. 6 è chiamato “suono o voce”. Questo fragore che si produce “improvvisamente”, proviene “dal cielo”, come la voce di Dio che risuonò sul Monte Sinai a Mosè nel roveto ardente (Es 19:3) o che si udì al momento del Battesimo di Gesù nel Giordano (Lu 3:22), o che Pietro sentì a Giaffa (At 11:9) o ancora, che sentì Giovanni al momento di sigillare le cose che i sette tuoni avevano pronunciate (Ap 10:4). Questo rumore è poi paragonato ad un “vento impetuoso”, simbolo della potenza misteriosa vivificatrice e creatrice di Dio (Ge 1:1; Gv 3:8) e riempie tutta la casa dove il gruppo era riunito in contemplazione. È bene precisare che lo Spirito non è ancora stato nominato, ma vengono presentati tutti i segni annunciatori della sua presenza. Ma da lì a lì, irromperà sui presenti come un avvenimento che dipende totalmente dal volere di Dio, come Gesù stesso aveva annunciato, che discende come “potenza dall’alto” (Lu 24:49). Dopo il fenomeno sonoro, ecco l’aspetto visivo: delle lingue come di fuoco, viste dai presenti nell’atto di dividersi e posarsi su ciascuno di loro, marcando così l’individualizzazione della sede dello Spirito Santo. Giovanni Battista lo aveva annunciato: “Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco” (Lu 3:16). Il paragone con il “fuoco” riporta al contesto delle teofanie ed è segno del manifestarsi del divino. Le rivelazioni di Dio sono spesso messe in relazione con l’immagine del fuoco che diviene simbolo di “santità”, in particolare lo è della manifestazione di Dio a Mosè nel roveto ardente, dove il fuoco arde ma non consuma (Es 3:1-6). Le lingue che i presenti hanno visto nell’atto di dividersi; (il participio greco vuol dire non che le lingue erano scisse, ma che erano distinte), vanno poi a posarsi su ciascuno dei presenti. Con questa figura Luca vuole dire che lo Spirito Santo è presenza divina, è come fuoco che purifica e che avvolge, e con la sua azione unica e singolare, prende possesso di ogni persona, si adagia per poi rimanere su ciascuno dei presenti, come: “discese e si fermò” su Gesù al momento del Battesimo (Gv 1:32-33). Tutti sono toccati da questo miracoloso evento: la separazione delle lingue conferisce un’identità particolare a ogni Apostolo, legata a un dono che gli è proprio, ma senza essere separato dagli altri. Tutto quello che è avvenuto, trova la sua spiegazione: l’intrusione celeste che investe la casa e prende possesso di ciascuno è la pienezza dello Spirito Santo: “Tutti furono riempiti di Spirito Santo” (At 2:4). Avviene su tutti un’effusione interiore che li riempie fino a traboccare; Pietro infatti, nel successivo discorso apostolico nel Tempio alla presenza dei farisei e del popolo, pieno di coraggio, dirà che Gesù, salito al cielo lo ha ricevuto dal Padre per “riversarlo” sui suoi Apostoli e credenti nella sua parola di vita eterna (At 2:33). Nel tempo della promessa lo Spirito era stato donato ai Profeti e ad alcuni grandi uomini dell’Antico Testamento, poi a pochissimi eletti i cui nomi vengono ricordati dallo stesso Luca: Giovanni Battista quando ancora stava nel seno materno (Lu 1:15), Elisabetta e Zaccaria (Lu 1:41,67), Simeone (Lu 2:26), Maria (Lu 1:35). Egli poi si era concentrato unicamente in pienezza sulla persona di Gesù (Lu 1:35; 3:22; 4:1,18). Ora questo dono con la Pentecoste raggiunge “tutti”: così il gruppo degli Apostoli e dei Discepoli viene definitivamente costituito e intimamente trasformato. Successivamente molte altre persone verranno designate nel libro degli Atti come “riempite di Spirito Santo”: Pietro (4:8), la prima e autentica comunità cristiana (4:31), Paolo (9:17; 13:9), Stefano (6:5; 7:55), Barnaba (11:24), i Discepoli di Antiochia di Pisidia (13:52). Lo Spirito resterà da ora in poi sempre all’opera nella Chiesa come il protagonista principale. “E cominciarono a parlare in altre lingue” (At 2:4b). Il primo dono che lo Spirito Santo dona alla Chiesa è quello della parola, ma questo dono viene definito in modo curioso “parlare altre lingue”. L’aggettivo “altre” è molto importante perché indica che gli apostoli si mettono a parlare in lingue diverse dalla propria. Luca, poi, sottolinea come questo dono sia frutto della irruzione dello Spirito: “come lo Spirito dava di esprimersi”. Questo verbo il cui significato nel testo originale è “enunciare, dichiarare ad alta voce” è il verbo della dichiarazione pubblica (At 2:14; 26:25). Attraverso i servitori prescelti da Gesù parla lo Spirito Santo. Ora ci poniamo alcune domande. come comprendere questo fenomeno? Si tratta forse del dono della “glossolalia” (1Co 12:28) che consiste in un parlare estatico, misterioso, con suoni che non corrispondono a nessun idioma? Il “parlare in lingue” dopo l’evento di Pentecoste appare soltanto due volte: la prima in casa di Cornelio (At 10:45-46) e la seconda a Efeso (At 19:6), dunque, è un evento importante se non come compimento della promessa fatta dal Cristo prima della sua Ascensione al cielo. Gli effetti dello Spirito post-Pentecoste, come vedremo, non riguardano tanto il parlare in lingue, ma la testimonianza e la predicazione. Dunque, la prima cosa che Luca vuole evidenziare che il fenomeno non era diffuso in tutta la cristianità del primo secolo, ma circoscritto ad alcune comunità soltanto. Questo significa che non dappertutto e non sempre l’azione dello Spirito Santo si è manifestata nella forma del “parlare in lingue”. Pertanto, non sminuisce il fenomeno, ma gli dà l’importanza che merita. A Pentecoste infatti il “parlare in altre lingue” degli Apostoli suscitò immediata e piena comprensione da parte di coloro che li ascoltavano, pur parlando lingue diverse tra di loro, dicevano, pieni di stupore: “Li udiamo parlare ciascuno nella nostra propria lingua natia” (At 2:8). Nella chiesa di Corinto, invece, succedeva il contrario: nessuno capiva quel che diceva colui che parlava in lingue, perciò l’Apostolo Paolo raccomandò che ogni discorso “in lingua” venisse anche interpretato e tradotto in parole comprensibili, perché solo così la chiesa sarebbe stata edificata e fortificata dalla potenza del Cristo (1Co 14:12-17). È anche vero che lo stesso Apostolo distingue tra “doni maggiori” da desiderare “ardentemente” (1Co 12:31), perché costitutivi della fede e della vita cristiana, e i doni che, pur importanti, non sono “maggiori”, cioè non indispensabili per la chiesa. Il “parlare in lingue” non è, secondo San Paolo, un “dono maggiore”. L’Apostolo lo apprezza e, come ho già affermato, occasionalmente lo praticava. Ma aggiunge: “Chi parla in altra lingua edifica sé stesso; ma chi profetizza edifica la chiesa”. Come sappiamo a Pentecoste il dono delle lingue non fu dato per l’edificazione della Chiesa ma per la predicazione agli uomini religiosi di ogni nazione che sono sotto il cielo (At 14:5). Poi aggiunge: “Vorrei che tutti parlaste in altre lingue, ma molto più che profetaste; chi profetizza è superiore a chi parla in altre lingue, a meno che egli interpreti, perché la chiesa ne riceva edificazione” (1Co 14:4-5). Luca quindi subordina “il parlare altre lingue” all’annuncio del Vangelo. Lo Spirito abilita a quella testimonianza universale che in Atti 1:8 è promessa e affidata a tutti gli Apostoli del mondo. Perciò Pietro d’ora in avanti non si vergognerà di parlare di Gesù come ha fatto in precedenza (Mt 26:69-75) e può svolgere un tale servizio di testimonianza, il che prima della Pentecoste non era possibile, perché era intimorito e spaventato dai giudei che li perseguitavano. Anche San Paolo, come Luca, subordina il dono dello Spirito ai ministeri della Parola, quando dirà ai Corinzi che amavano la glossolalia: “Dio ha posto nella chiesa in primo luogo degli apostoli, in secondo luogo dei profeti, in terzo luogo dei dottori” (1Co 12:28). Il dono dello Spirito Santo è il potere di testimoniare Gesù, tutti i partecipanti all’evento diventano il primo nucleo della Chiesa che è stabilità in una città per anticipare le meraviglie di Dio a tutta la terra. Allora il demonio per vendetta per essere stato annientato da Gesù Cristo inasprì il cuore e il comportamento dei Sommi Sacerdoti e dei Farisei divenne crudele, e, ebbero inizio le prime persecuzioni contro la novella comunità. Reclutarono un certo Saulo di Tarso, ebreo ma cittadino romano osservante della Legge di Mosè a stanare tutti coloro che si definivano cristiani e condurli in catene davanti alle autorità competenti a Gerusalemme per essere giudicati e condannati a morte per bestemmia, blasfemia e per aver millantato la loro nuova Fede. Ma Gesù, nella Sua infinita Misericordia volle salvare Saulo da questa follia omicida e, quando si trovava con il suo cavallo sulla Via di Damasco gli comparve (Gesù) avvolto di una luce maestosa, lo fece cadere da cavallo e lo rese cieco. “Saulo, sempre spirante minacce e stragi contro i discepoli del Signore, si presentò al sommo sacerdote, e gli chiese delle lettere per le sinagoghe di Damasco affinché, se avesse trovato dei seguaci della Via, uomini e donne, li potesse condurre legati a Gerusalemme. E durante il viaggio, mentre si avvicinava a Damasco, avvenne che, d'improvviso, sfolgorò intorno a lui una luce dal cielo e, caduto in terra, udì una voce che gli diceva: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?» Egli domandò: «Chi sei, Signore?» E il Signore: «Io sono Gesù, che tu perseguiti. Alzati, entra nella città e ti sarà detto ciò che devi fare». Gli uomini che facevano il viaggio con lui rimasero stupiti, perché udivano la voce, ma non vedevano nessuno. Saulo si alzò da terra ma, aperti gli occhi, non vedeva nulla; e quelli, conducendolo per mano, lo portarono a Damasco, dove rimase tre giorni senza vedere e senza prendere né cibo né bevanda.” (Att 9, 1-9). Fu allora che Saulo capì il suo errore, e quando fu ospite nella casa di Malachia, lo stesso, gli restituì la vista, invocando il Nome di Gesù il Nazzareno. Convertendosi totalmente alla nuova Fede fu Battezzato nel Nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, e da Saulo divenne Paolo, l’Apostolo delle Genti. San Paolo da quel momento divenne Apostolo fedele del Signore Gesù, predicando in tutto il Regno di Israele e fuori i suoi confini, fino a che giunse a Roma come carcerato. Fu condotto in catene al Carcere Mamertino e giudicato colpevole di essersi convertito al cristianesimo, quindi, secondo la Legge Romana, fu condannato a morte per decapitazione. La sentenza fu eseguita presso le Aquæ Salviæ, oggi denominata le Tre Fontane nell'anno 67 d.C. sotto il regno di Nerone, dove successivamente fu eretta una Basilica in Suo onore sulla sua tomba. Dopo la morte di Gesù, gli Apostoli (che in greco significa “inviato”, era riservato ai dodici discepoli scelti da Gesù) diffusero a macchia d’olio con la Potenza dello Spirito Santo che era in loro la nuova religione, prima in Asia Minore e in Africa, poi anche a Roma, sede dell’Impero Romano. Essi predicavano che Dio si era incarnato in Gesù di Nazareth, il Messia, e che questi era Risorto dalla morte fisica e apparso di nuovo ai suoi Apostoli. Intorno al 60 d.C., nonostante le persecuzioni attuate dalle autorità religiose ebraiche, comunità di cristiani, che praticavano la loro fede in segreto, si erano oramai radicate in tutto l’Oriente romano e nella capitale. Queste comunità erano ancora immerse nell’ambito del giudaismo: almeno fino alla metà del II secolo d.C. è difficile parlare del cristianesimo come di una religione organizzata e autonoma rispetto a quella ebraica. A distinguere i Cristiani dagli altri Giudei era il fatto che essi identificavano in Gesù Cristo il Messia anonimo atteso dalla religione giudaica. La separazione del cristianesimo dal giudaismo rappresenta un’evoluzione successiva e fu soprattutto opera di San Paolo di Tarso, il padre della teologia cristiana. L’importanza di Paolo di Tarso nella diffusione del cristianesimo fu enorme. Egli non si limitò a sostenere la necessità di diffondere la nuova fede tra, giudei, romani, greci. Predicò anche un messaggio privo di osservanze rituali: quell’insieme di divieti e prescrizioni che rientravano nella tradizione giudaica e che erano estranei alla cultura greco-romana, (in primo luogo evidenziava la circoncisione e l’astinenza assoluta da alcuni cibi, come la carne di maiale, che era un genere fondamentale nell’alimentazione romana). Per circa tre secoli dopo la morte di Cristo, giudaismo e cristianesimo operarono in reciproca concorrenza alla conquista delle anime pagane. Il cristianesimo alla fine prevalse con un successo schiacciante, che fu determinato anzitutto dal suo carattere universalistico: predicando l’uguaglianza di tutti gli esseri umani di fronte a Dio, il nuovo messaggio non privilegiava un popolo “eletto”, ma si rivolgeva a tutti gli uomini di buona volontà, quindi pian piano, veniva abbandonata la visione nazionalistica dell’ebraismo. Molto importante fu anche il fatto che per il cristianesimo, a differenza del giudaismo, il Messia era già apparso e le speranze di salvezza a esso collegate apparivano quindi meno remote, ma più evidenti. Nelle prime comunità cristiane l’aspetto fondamentale del culto era la preghiera in comune che si svolgeva nelle abitazioni private dei fedeli. Il tipico edificio cultuale cristiano, la basilica, modellata architettonicamente sulla basilica civile dei Romani, fu una creazione più tarda, che si diffuse dal IV secolo d.C. in poi. Nella vita religiosa di alcune comunità cristiane avevano grande importanza anche le necropoli sotterranee, note con il nome di catacombe. Offrendosi ai più umili come rifugio contro la sofferenza, le ingiustizie e le prevaricazioni, il cristianesimo continuò a far proseliti fra gli strati più poveri della popolazione. Ma anche tra i ceti più colti la nuova dottrina non tardò a propagarsi: vari esponenti del ceto medio e anche numerosi aristocratici, insoddisfatti dei culti tradizionali romani o giudaici, iniziarono a guardare con favore a una religione più intensamente sentita e praticata, perché diffondeva amore e pace con tutti gli uomini, senza distinzione di razza, di colore e di nazione. Il cristianesimo iniziò a preoccupare l’autorità imperiale quando apparve come un fenomeno infiltrato in tutto il tessuto sociale. Nonostante la tolleranza dei romani in materia religiosa, non pochi princìpi cristiani erano potenzialmente in contrasto con la mentalità corrente e con il potere di Roma: l’affermata eguaglianza tra gli uomini, liberi e schiavi, ricchi e poveri, alleati e nemici; la priorità dei valori dello spirito rispetto a quelli materiali, e quindi dell’autorità spirituale su quella politica; il rifiuto totale di adorare l’imperatore come un dio, perché egli è un uomo mortale come tutti. I cristiani apparivano perciò sudditi inaffidabili e pericolosi e divennero un facile capro espiatorio per ogni difficoltà o evento funesto. Oltretutto, vennero a lungo confusi con gli ebrei, anch’essi malvisti a causa del loro monoteismo; e come nel caso degli ebrei, il raccogliersi dei cristiani in comunità separate e legate da una forte identità destava sospetto e diffidenza. Nacquero da qui le prime persecuzioni, come quella scatenata da Nerone in conseguenza dell’incendio di Roma nel 64. Agli inizi del II sec. d.C. l’ampia diffusione del cristianesimo nelle province orientali è testimoniata dal carteggio tra l’imperatore Traiano e il governatore di Bitinia Plinio il Giovane: emergeva chiaramente il dramma delle persecuzioni, di come volevano annientare questa nuova religione. Ma grazie al sangue dei Martiri nelle arene e, tutti coloro che parlavano nel Nome di Gesù, terminando la loro vita nelle arene romane, uccisi dalla belve feroci, dai gladiatori e crocifissi, per il semplice scopo di divertimento e per il totale disprezzo verso Gesù e la sua Chiesa. Gesù nostro Signore, con il suo potere eterno, diede peso a questo grande sacrificio dei suoi Martiri e, sconfisse nuovamente il demonio, quando Costantino intorno all’Anno mille decretò che il cristianesimo fosse istituito come religione di stato. Da quel momento cessarono tutte le persecuzioni contro i cristiani, in tutto l’Impero Romano.

CAPITOLO VI
La Potenza dell’Esorcismo

Purtroppo, in quest’epoca moderna piena di tecnologia e sprechi di ogni genere, il male ha affondato di più i suoi artigli sui Figli di Dio, cercando con ogni seduzione, peccato e malizia di condurli verso la perdizione eterna. Aimè, quante anime incuranti della loro salvezza sono gli offuscati dalle sue illusioni, e giorno dopo giorno cadono nelle tenebre della morte e si ritrovano per tutta l’eternità nelle fiamme e nei tormenti eterni dell’inferno. Però non tutti si fanno abbindolare dalle suggestioni del diavolo, che cerca in ogni modo di deviare la loro morale e il loro temperamento. Però, per liberarsi da ogni tentazione che quotidianamente si presenta bisogna che ogni timorato di Dio reciti questa potentissima preghiera giornalmente, “Tremate inferi quando pronuncio il Nome di Maria” oppure: “Nel Nome di Gesù e di Maria, vai via da qui”. La preghiera è considerata dai Padri della Chiesa un’arma potentissima che schiaccia, brucia, annienta, sbriciola ed allontana il potere del demonio in tutte le sue diaboliche manifestazioni. La Confessione Sacramentale è la ciliegina sulla torta, ci libera dalla sua presenza all’istante e, non lascia nessuna traccia del suo operato nella nostra anima, è, peggio dell’acido che corrode ogni cosa. Ogni cristiano deve stare in guardia, essere sempre vigilante per non cadere nei suoi tranelli e inganni, perché, egli va in giro nel mondo come un leone ruggente, e cerca di divorare le anime. Bisogna resistergli saldi nella Fede. Ci sono molti modi in cui il demonio cerca le sue prede; ora vi elenco una serie di trappole da lui escogitate da stare attenti a non imbattersi.
  • Far credere all’uomo che lui non esiste, così da avere l’anima a sua disposizione.
  • Smettere di pregare.
  • Troppa televisione e tecnologia devia dalla riflessione e dall’armonia con se stessi e con gli altri.
  • Frequentazioni di discoteche e altri luoghi fatiscenti, dove esiste un commercio di droga, stupefacenti e alcol, soldi, che, porta la vittima sull’orlo della perdizione.
  • Sesso contro natura e ogni sua devianza.
  • Sette sataniche e messe nere ed ogni abbominio, porta l’essere umano verso l’autodistruzione e riempie l’inferno di poveri infelici.
Ora vi presento tutto ciò che dispiace e danno fastidio a lucifero, svelati durante un esorcismo:
  • La confessione…che stupida invenzione…Quanto mi fa male…mi fa soffrire…il Sangue di quel vostro falso Dio…quel Sangue mi schiaccia…mi distrugge…lava le vostre anime e mi fa scappare…quel Sangue; quel Sangue…è la mia pena più atroce.
  • Il pasto dove mangiate la Carne e il Sangue di quel Crocifisso che ho ucciso io…E qui mi trovo disarmato…non ho più le forze per lottare…quelli che si nutrono di questa Carne e bevono di questo Sangue diventano fortissimi contro di me, diventano invincibili alle mie scaltre seduzioni e tentazioni, sembrano diversi dagli altri, sembra abbiano una luce speciale e una intelligenza velocissima…mi fiutano subitaneamente…e si allontanano da me e mi scacciano come se fossi un cane…che tristezza, che dolore aver a che fare con questi cannibali.
  • Quanto sono insensati quelli che perdono ore e ore di giorno e di notte, in ginocchio, ad adorare un pezzo di pane nascosto in una scatola sull’altare di quel falso Dio (È l’ora di adorazione). Quanta rabbia mi fanno queste persone! Mi distruggono tutte le mie opere. Quanto dolore…quanta rabbia queste adorazioni irrazionali…!
  • Odio il Rosario…quell’arnese guasto e marcio di quella Donna lì, è per me come un martello che mi spacca la testa… È l’invenzione dei falsi cristiani che non mi ubbidiscono, per questo seguono quella donnaccia! Sono falsi, falsi…invece di ascoltare me che regno su tutto il mondo, questi falsi cristiani vanno a pregare quella donnaccia, mia prima nemica, con quell’arnese…oh quanto male mi fanno.
  • Il male più grande di questo tempo, per me, sono le continue presenze (apparizioni) di questa donnaccia…in tutto il mondo…in tutte le nazioni appare e mi perseguita; strappando dalle mie mani tante anime…migliaia e migliaia…per ascoltare i suoi falsi messaggi…
  • Ma ciò che maggiormente mi distrugge è l’asinesca obbedienza a quell’uomo, vestito di bianco (il Papa), che comanda a nome del falso redentore e del falso vostro salvatore…che asini…pecore che consigli…! Obbedire a quell’uomo che ama quella donnaccia lì che mi perseguita da sempre…che vergogna…questo mi distrugge il mio regno… Lo farò morire, assassinare una brutta fine gli farò fare…È odioso ai miei seguaci, quel polacco che ama quella donnaccia lì…che propaganda il Rosario di quella ignobile Donna, come la sua preghiera preferita…che vigliacco…che asino…mi schiaccia…mi schiaccia…!
  • Molto mi preoccupano quelle servette con la testa fasciata, che abbandonano tutti e tutto per rinchiudersi entro quattro mura, per sacrificare tutto ciò che è bello e buono per quel Dio che solo io sono riuscito a vincere (sono le monache di clausura) … Giorno e notte si mortificano con veglie e digiuni incoscienti e inconsistenti…non dormono sufficientemente…non mangiano secondo le necessità dell’appetito e del corpo, che reclama il vitto necessario…non parlano liberamente ovunque e sempre…taciturne…ammusonite…piene di tristezza, la più disumana…pregano…cantano…e tutto questo sacrificio per chi lo fanno? Per quali motivi particolari…per quali fini…con quali risultati…? Povere servette, che non hanno sentito mai le sensazioni della carne procurate dagli amplessi e dai baci dei miei uomini…! Eppure, quante ne faccio cadere”, le riduco ad una vita grama, sterile, prive di ogni fervore, gettandole nel massimo della tiepidezza…Sì, ne devo fare una vera strage…perché soprattutto di queste claustrali ho paura…ho paura terribile…! Sono i nemici miei più terribili e agguerriti…mi strappano dalle mani tante anime di ogni sesso, di ogni classe e condizione…Che nemici terribili…quando incominciano a pregare per la conversione di un’anima da strapparmi, non la smettono più…più…più…sono tenaci e caparbie! Se poi non bastassero le lunghe ed estenuanti preghiere al loro falso Dio Crocifisso, del quale si chiamano spudoratamente sue “spose”, allora incominciano con le estenuanti penitenze di ogni genere…che nemici…che soldati di primo assalto…! Ho tentato tante volte di diminuire le vocazioni a questa stupida vita…ma purtroppo non ci sono ancora riuscito…sono troppe ancora le donnette stupide e sciocche, anche se tante volte siano perfino laureate e diplomate…Che nemici…!
  • Chi sono poi i miei veri persecutori acerrimi e accaniti, sono quelli, che si fanno chiamare “esorcisti” …Che brutta genia…che disgrazia nel mondo…per fortuna ce ne sono ancora pochi, pochissimi, perché io dissuado i Vescovi a nominarli…e questi idioti mi credono e mi ubbidiscono, anche contro il comando del loro Dio Crocifisso che comandò loro: “In mio nome, scacciate i demoni”. Che buffone!!! Questi Vescovi hanno paura di me, tanta, tantissima! l’ho già li possiedo nella forma sia pure delicatissima perché non se ne accorgano, ma li possiedo…e non faccio fare a loro gli esorcismi contro di me e neppure permetto loro che nominino esorcisti…che nemici feroci…!
  • Molte volte sono riuscito a vendicarmi…a punirli…a schiaffeggiarli…a bastonarli…a fermarli con tante e svariate malattie; a volte anche gravi…Ma purtroppo, non cedono…non cedono…E quando essi si avvicinano alle mie prede, devo scappare…o presto o tardi devo fuggire…che preghiere fanno…e sempre in nome di quel loro Dio. E di quella loro Donna madre del crocifisso…Oh, che dolori, che strazio per me…!
Ora che abbiamo reso l’idea di quello che succede assecondando i piani del demonio, bisogna che ora conosciate un’altra verità; il diavolo che non ha mai pace, passa a filo di spada tutti i credenti in Dio. Si creano nel mondo false guerre di religione, con lo scopo specifico di mettere l’uno contro l’altro, per raggiungere il pieno dominio sull’altro. Solo il SS.mo Nome di Gesù ci libera da tutto questo, ma soltanto se vengano osservate le sue Leggi e i suoi insegnamenti divini. Come ho detto precedentemente, dopo la discesa dello Spirito Santo, gli Apostoli, partirono pieni di Spirito Santo verso nuove terre inesplorate e, dopo aver dato tutto se stessi nella predicazione trovarono fiduciosi la loro Corona di Gloria con la morte per mezzo del martirio. Ma non tutti gli Apostoli subirono questa orrenda fine; i romani tentarono di uccidere l’Apostolo Giovanni in vari modi, ma non ci riuscirono. Alla fine, si arresero e lo fecero sbarcare su un’isola deserta nel Mare Egeo, e durante il suo esilio, per volere di Dio concluse l’ultimo Libro della Sacra Bibbia: l’Apocalisse. È definito il Libro delle Rivelazioni, dove sono descritti in modo dettagliato, gli ultimi avvenimenti che dovrebbero succedere nel mondo, dove la bestia uscirà dalla sua prigione di fuoco e devasterà il mondo, portando con lui i suoi proseliti marchiati con il suo nome, 666. Secondo il l’Apocalisse, vi sarà una guerra che durerà quanto dovrà durare, e soltanto quando Gesù Cristo verrà nuovamente nella Gloria a giudicare i vivi e i morti, imprigionerà la bestia e il suo esercito nelle profondità degli inferi per l’eternità, e si stabilirà la pace. Nascerà un cielo nuova e una terra nuova e, non ci sarà più pianto e dolore, scenderà la Gerusalemme Celeste. Però, prima che avvenga tutto questo, l’uomo dovrà tribolare, soffrire e allo stesso tempo pregare tanto per la salvezza della propria anima, dopodiché dovrà fare anche una scelta, o il bene o il male. Noi fedeli in Cristo, non dobbiamo temere alcun male perché il Signore è con noi, nulla possiamo fare senza Gesù, Lui è la Via, la Verità e, la Vita. Tra poco tempo quando Gesù lo vorrà saremo tutti giudicati, sia da viventi e sia da morenti, e il Signore manderà su di noi il giusto e meritato castigo per le nostre colpe, ma anche il premio eterno a chi lo meriterà. Bisogna in tutti i modi possibili di ribellarsi a satana e non prevalere nei suoi consigli e nelle sue trappole, altrimenti, andremo a finire male, molto male. I tempi che ultimamente stiamo vivendo sono il preambolo di quello che ci dovrà accadere prossimamente e non è confortante, ma, chi confida nel Signore sarà salvo. Quindi dopo un attento discernimento ho ritenuto opportuno indirizzare in questo documento teologico pastorale la tematica della presenza e dell’azione ordinaria e straordinaria di satana e degli angeli ribelli che la Chiesa continuamente combatte e contrasta con tutto il suo essere e operare e, in maniera distinta, con il rito dell’esorcismo e preghiere di guarigione e di liberazione. Quello che mi ha particolarmente convinto a intraprendere questo nuovo capitolo è stata una presa di coscienza, riscontrando la moltitudine di persone sparse per il mondo che soffrono a causa di satana e invocano il ministero dell’esorcistato in comunione con la preghiera della Chiesa. Inoltre, secondo alcune ricerche che ho effettuato, ho riscontrato nel nostro territorio come tante persone sono consacrate al satanismo. Comunque, al di là di dati, è fuori di ogni controverso che esiste l’esigenza pastorale di venire incontro alle persone che chiedono la carità della preghiera della Chiesa per avere la salute dell’anima e ritrovare la serenità e la pace della vita. A darmi stimolo a scrivere questo documento è stata soprattutto una frase di Gesù che ripeteva in continuazione ai suoi Apostoli: “Vedevo satana cadere dal cielo come una folgore” (Lc 10,18), i discepoli, pieni di gioia, raccontavano al Maestro i frutti raccolti nelle loro prime esperienze missionarie. Meditando questa frase di Gesù, ho capito perfettamente, che l’annuncio del Regno di Dio è sempre una vittoria su satana e, secondo, che l’edificazione del Regno è continuamente esposta alle insidie e alle tentazioni dello spirito del male, che si infiltra da per tutto. Ora ci domandiamo: chi è Satana? La Sacra Scrittura ci da una mano di aiuto fornendoci alcuni preziosi elementi per poter sviluppare una risposta a questa nostra domanda. Nella Lettera di san Giuda, infatti, troviamo scritto: “e tiene in catene eterne, nelle tenebre, per il giudizio del grande giorno, gli angeli che non conservarono il loro grado ma abbandonarono la propria dimora” (Gd 1,6). Invece, nella sua seconda Lettera di San Pietro ci parla di “angeli che avevano peccato” e che Dio “precipitò in abissi tenebrosi, tenendoli prigionieri per il giudizio” (2Pt 2,4). Dio li precipitò negli abissi per la libera scelta che avevano operato di rifiutare Dio: da principio il diavolo è peccatore” (1Gv 3,8); “Egli era ed è omicida fin da principio e non stava saldo nella verità, perché in lui non c’è verità. Quando dice il falso, dice ciò che è suo, perché è menzognero e padre della menzogna” (Gv 8,44). Tutte queste indicazioni bibliche sono state valorizzate dalla tradizione magisteriale che viene così riassunta dal Catechismo della Chiesa Cattolica: “Dietro la scelta disobbediente dei nostri progenitori Adamo e Eva, c’è la voce seduttrice del tremendo nemico infernale, che si oppone con tutte le sue forze a Dio, la quale, per invidia e gelosia, perché siamo stati creati a sua immagine e somiglianza, li fa cadere nel peccato e nella morte eterna. La Scrittura e la Tradizione millenaria della Chiesa, ci insegnano che questo essere immondo è un angelo decaduto si duo spontanea volontà, chiamato satana o diavolo. La Chiesa fin dalla sua nascita insegna che all’inizio era un angelo buono, il più splendente del Paradiso, creato da Dio per obbedire alla sua volontà. “Diabolus enim et alii dæmones a Deo quidem natura creati sunt boni, sed ipsi per se facti sunt mali” Il diavolo infatti e gli altri demoni sono stati creati da Dio naturalmente buoni, ma da se stessi si sono trasformati in malvagi”.All’interno del Catechismo della Chiesa Cattolica, troviamo brevi e preziosi spunti, ci illustrano dettagliatamente il peccato consumato da satana e degli altri demoni, che hanno causato la loro rovinosa caduta per l’eternità: “La Scrittura parla di un peccato di questi angeli. Tale “caduta” consiste che questi spiriti creati, con libera scelta, radicalmente ed irrevocabilmente senza via di ritorno, hanno rifiutato Dio e il suo Regno d’Amore. Troviamo un riflesso di questa ribellione nelle parole che il tentatore rivolse ai nostri progenitori: “Diventerete come Dio, e conoscerete il bene e il male” (Gn 3,5). “dato che il peccato degli angeli non possa essere perdonato è il carattere irrevocabile della loro scelta, e non un difetto dell’infinita misericordia di Dio, non esiste una minima possibilità di pentimento per loro dopo la caduta, come non c’è possibilità di pentimento per gli uomini dopo la morte, se vengono trovati in peccato mortale” La Scrittura attesta la nefasta influenza di colui che Gesù chiama «omicida fin dal principio» (Gv 8,44), e che ha perfino tentato di distogliere Gesù dalla missione affidatagli dal Padre, ma, Il Figlio di Dio è venuto nel mondo sotto le sembianze umane per distruggere le opere del diavolo (1Gv 3,8). Di queste opere, la più grave nelle sue conseguenze è stata la seduzione subdola e menzognera che ha indotto l’uomo a disobbedire al comando di Dio. In questo modo, satana e gli altri demoni sono sempre pronti a minare e a distruggere tutti i valori fondamentali di ogni essere vivente che rendono autentica la vita spirituale e quella umana: la verità, il bene, la giustizia, la grazia e l’amore. Nel Libro della Sapienza troviamo scritto: “per l’invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo e ne fanno esperienza coloro che le appartengono” (Sap 2,24). A fronte di tutto questo, Gesù avverte: “abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geenna, l’anima e il corpo” (Mt 10,28). La fede cattolica tramessa dagli Apostoli, ci insegna che satana tenta in continuazione senza riposarsi mai di esercitare il suo potere e dominio sull’uomo, per condurlo nel suo regno di terrore e sofferenza eterna. Sta a noi essere sempre vigilanti e non farci ingannare dalle sue malizie e tranelli. Questa dottrina che la chiesa ci insegna, trova il suo fondamento basilare nei testi della Sacra Scrittura dove satana è chiamato “il principe di questo mondo” (cf. Gv 12,31; 14,30; 16,11), e persino il “dio di questo mondo” (2Cor 4,4). Anche altri nomi vengono usati dal nostro nemico per presentarsi all’uomo: Beelzebul o Belial, spirito immondo, tentatore, maligno e anticristo (1Gv 4,3). San Pietro nei suoi scritti lo paragona a un leone ruggente che va in giro per il mondo a divorare le anime, resistetegli saldi nella Fede, (1Pt 5,8), l’Apocalisse a un drago con sette teste e la Genesi a un viscido serpente. Viene utilizzato con frequenza il termine diavolo dal greco diaballein da cui diabolos, che significa causa di distruzione, dividere, calunniare, ingannare, nuocere, avvelenatore di anime. Inoltre, la Sacra Scrittura lo identifica come da spirito che è, che può presentarsi come una persona, ma anche come Legione: “Il mio nome è Legione, gli rispose, perché siamo in molti”, gridano i diavoli a Gesù nella regione dei Geraseni (Mc 5,9); “il diavolo e i suoi angeli ribelli”, dice Gesù nella descrizione del giudizio futuro (cf. Mt 25,41). Nel Nuovo Testamento troviamo l’avvertimento che il potere e il dominio di satana e degli altri spiriti maligni non si limitano all’ambito dell’umano ma riguardano tutto il mondo: “Tutto il mondo giace sotto il potere del maligno” (1Gv 5,19). Queste parole dell’Apostolo Giovanni alludono anche alla presenza di satana e degli altri demoni in tutta la storia dell’umanità, come una presenza che si intensifica man mano che l’uomo e la società si allontanano da Dio, offuscati dalle tenebre del peccato. Inoltre, se si considera con attenzione la parabola di Cristo sul campo del contadino, esso deve essere inteso come il mondo, vi è il buon seme e quello cattivo come la zizzania, risulta chiaro che il diavolo semina con l’intenzione di sradicare dal mondo il bene che in esso è stato seminato (Mt 13,38s). quindi, il buon seme va coltivato e custodito con la vigilanza (cf. Mt 26,41; 1Pt 5,8), il digiuno (cf. Mt 17,21) e la preghiera, sono indispensabili per tenere lontano da noi il diavolo e le sue seduzioni: “Questa specie di demoni in nessun altro modo si può scacciare se non con la preghiera” (Mc 9,29). Lo scenario tenebroso delineato dalla presenza e dall’azione di satana nel mondo non ci deve indurre allo sconforto e alla paura, perché, la fede della Chiesa ci insegna che “La potenza di satana e dell’inferno non sono infinite. Egli non è che una creatura, potente per il fatto di essere puro spirito, ma pur sempre una creatura: egli non può impedire l’edificazione del Regno di Dio sulla terra. Sebbene satana agisca nel mondo per odio contro Dio e il suo Regno in Cristo Gesù, e nonostante la sua azione causi gravi danni di natura spirituale e indirettamente anche di natura fisica per ogni uomo e per la società, questa azione è permessa dalla divina provvidenza per mettere alla prova la fiducia dell’uomo sul suo Creatore, la quale guida la storia dell’uomo e del mondo con forza e dolcezza. La permissione divina dell’attività diabolica è un grande mistero, ma «noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio» (Rm 8,28)” Dalla Fede giunge una luce confortante e un messaggio di speranza, perché ci insegna che se l’azione di satana causa molti danni ai singoli e alla società, egli non può ostacolare l’edificazione del Regno di Dio, nel quale si avrà, alla fine, la piena attuazione della giustizia e dell’amore del Padre verso le sue creature. Possiamo anzi dire con san Paolo che l’opera del maligno concorre al bene (cf. Rm 2,28) e che serve a edificare la gloria degli eletti (cf. 2Tm 2,10). Quindi, teniamo ben ferma questa importante verità cristiana: anche se il potere e il dominio di satana sono forti, essi non giungono mai ad annullare la nostra libertà e la responsabilità e nemmeno a mortificare in maniera irreparabile l’azione salvifica di Cristo. A questo riguardo, risultano assai illuminanti le parole che Gesù rivolse a Pietro all’inizio della passione mentre erano riuniti nel Cenacolo: “Simone, ecco satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te perché non venga meno la tua fede” (Lc 22,31). Nella Preghiera del Padre nostro, Gesù ci avverte che per salvarci dalla nostra condizione di esposti alle insidie del maligno dobbiamo pregare con fiducia e costanza, invocando ininterrottamente il Padre con lo spirito di Gesù, e dobbiamo gridare con tutta la forza della nostra fede: Signore fà che non soccombiamo alla tentazione e liberaci dal male e dal maligno! Tutta la storia dell’umanità si può considerare in funzione della salvezza, che comporta la vittoria di Cristo sul «principe di questo mondo» (Gv 12,31; 14,30; 16,11). «Solo al Signore Dio tuo ti prostrerai, lui solo adorerai» (Lc 4,8), dice Cristo a satana nel deserto durante le tentazioni. In uno dei passaggi più difficili ma fondamentali del suo ministero, i farisei sono giunti al punto di accusarlo di scacciare i demoni in nome di Belzebù. Gesù risponde con queste parole, severe ma allo stesso tempo confortanti: “Ogni regno discorde cade in rovina, e nessuna città o famiglia discorde può reggersi. Ora, se satana scaccia satana, egli è discorde con sé stesso. Come potrà dunque reggersi il suo regno? E se io scaccio i demoni per virtù dello Spirito di Dio, è certo giunto fra voi il Regno di Dio” (Mt 12,25-28). Come leggiamo nella Lettera agli Ebrei, “Cristo si è fatto partecipe dell’umanità fino alla croce per ridurre all’impotenza, mediante la morte, colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo e liberare così quelli che erano tenuti in schiavitù” (Eb 2,14s). Nell’orizzonte di questi significativi insegnamenti che la Sacra Scrittura e il Magistero ci indirizza, è opportuno richiamare alcuni orientamenti pastorali, di carattere generale, che si presentano assai utili, soprattutto per noi pastori d’anime nell’esercizio del ministero dell’esorcistato. In primo luogo, è importante che tutte le comunità cristiane siano catechizzate, con rigore teologico e saggezza pastorale, sui temi sopra trattati, mettendo in risalto soprattutto la vittoria di Cristo sulle realtà demoniache. In secondo luogo, le comunità cristiane devono essere preparate e pronte ad accogliere, con amore e rispetto, chi, in un modo o in un altro, si ritiene abbia a che fare l’azione del demonio e possa ottenere sostegno, consiglio e aiuto per la salvezza della propria anima e di coloro che la circondano. Succede che la mancanza di accoglienza spinge queste persone sofferenti a cercare comprensione altrove, e qui vorrei fare il riferimento a: maghi, cartomanti, indovini e imbroglioni di vario genere col rischio di andare incontro a danni, economici, psicofisici e spirituali spesso gravissimi. In terzo luogo, queste persone vanno invitate ad avere fiducia esclusivamente in Gesù Cristo nostro Signore, perché Egli “è l’unico Mediatore tra Dio e gli uomini e non vi è altro nome sotto il cielo e sottoterra nel quale possiamo essere salvati” (cf. At 4, 12). In quarto luogo, è necessario coinvolgerle in una personale e umanizzante esperienza di fede, scandita da una preghiera fervorosa, dall’ascolto e dall’adesione alla Parola di Dio, dalla partecipazione ai Sacramenti, in modo particolare all’Eucarestia e alla Confessione settimanale, dall’impegno caritativo verso i poveri, sofferenti e abbandonati. Per ultimo e nel caso si prendesse atto che il trattamento prospettato non abbia conseguito i frutti sperati e che non si tratta di malattia psichica, si deve segnalare a queste persone l’opportunità di incontrare al più presto possibile un sacerdote esorcista. In modo particolare, i sacerdoti, nell’esercizio del loro ministero, si attengano ai seguenti orientamenti pastorali, predisposti con saggezza da noi Vescovi a seguito della pubblicazione dei libri liturgici canonici riguardanti il rito dell’esorcismo:
  • “richiamare, con sapienza e prudenza, i fedeli a non ricercare il sensazionale e ad evitare sia la stolta credulità che vede interventi diabolici in ogni anomalia e difficoltà, sia il razionalismo preconcetto che esclude a priori qualsiasi forma di intervento del maligno nel mondo;
  • mettere in guardia i fedeli nei confronti di libri, programmi televisivi, informazioni dei mezzi di comunicazione che a scopo di lucro sfruttano il diffuso interesse per fenomeni paranormali;
  • esortare i fedeli a non ricorrere mai a coloro che praticano la magia o si professano detentori di poteri occulti o medianici o presumono di aver ricevuto poteri particolari da parte di Dio. Nel dubbio circa la presenza di un influsso diabolico è necessario rivolgersi prima di tutto al discernimento dei sacerdoti esorcisti e ai sostegni di grazia offerti dalla Chiesa soprattutto nei Sacramenti;
  • presentare il significato autentico del linguaggio usato dalla Sacra Scrittura e dalla Tradizione della Chiesa e far maturare nei cristiani un atteggiamento corretto riguardo alla presenza e all’azione di satana nel mondo;
  • ricordare nella catechesi e nella predicazione che la superstizione, la magia e, a maggior ragione, il satanismo sono contrari alla dignità e razionalità dell’uomo e alla fede in Dio Padre Onnipotente e in Gesù Cristo suo Figlio e nostro Salvatore”
Bene a questo punto possiamo toccare il tema fondamentale per la lotta a satana e al suo mondo infernale. L’esorcismo è una preghiera pubblica e solenne della Chiesa che è utilizzata per contrastare il potere del diavolo nell’uomo, negli oggetti, negli animali e in tutto il mondo. Nel Catechismo della Chiesa Cattolica troviamo la seguente definizione: “Quando la Chiesa domanda pubblicamente e con autorità, in nome di Gesù Cristo, che una persona o un oggetto sia protetto contro l’influenza del maligno e sottratto al suo dominio, si parla di esorcismo. In una forma semplice, l’esorcismo è praticato durante la celebrazione del Battesimo. L’esorcismo solenne, chiamato “grande esorcismo “, può essere praticato solo da un presbitero e con il permesso scritto del Vescovo diocesano”. L’essenza dell’esorcismo è l’ordine e il comando con autorità, impartito al demonio nel nome di Gesù, di lasciare il posseduto o di liberare dalla sua influenza luoghi, cose o persone. Nell’esorcismo al demonio non si chiede nulla, vale a dire non si dialoga, al demonio si comanda solo tre cose: 1) chi sei, o come ti chiami: 2) quanti siete; 3) quando te ne vai. Esso è un sacramentale che agisce ex opere operantis ecclesiae, ossia per la forza della preghiera della Chiesa che prega. Ad esercitare questo ministero nella Chiesa sono, in primo luogo e per diritto divino, i Vescovi. “Gesù ne scelse dodici perché stessero con lui, per inviarli, e perché scacciassero i demoni nel suo Santo nome” (Mc 3, 14-15) – e, con loro, anche i sacerdoti che hanno ricevuto dal Vescovo il mandato esplicito di fare esorcismi. Essi devono essere uomini di pietà, di scienza, di prudenza e di integrità di vita (cf. Can. 1172 §1 e 2). I sacerdoti esorcisti possono accogliere le persone purché, nel limite del possibile, presentate dal proprio parroco o da altro sacerdote che conosce la storia della persona interessata e, sono chiamati ad agire seguendo le norme prescritte nei numeri 13-19 del nuovo Rito degli Esorcismi (De exorcismis et supplicationibus quibusdam). I sacerdoti, ai quali è affidato il ministero di esorcista, in modo stabile o «ad actum», devono esercitare tale ministero con prudenza e sempre sotto la guida del Vescovo diocesano, al quale riferiranno regolarmente con relazione scritta sull’esercizio del loro ministero. È vietato a chi è esorcista estendere la sua facoltà ad altre persone anche se sacerdoti, poiché il ministero di esorcista non è mai delegabile. È vietato ai sacerdoti non muniti dell’incarico di esercitare il ministero di esorcista e ai laici pronunciare preghiere di esorcismo contro le persone possedute. I sacerdoti “non esorcisti” possono pregare per la liberazione delle persone dal male e dal maligno, ma non possono esorcizzare. Le preghiere cosiddette di guarigione o di liberazione non devono mai sfociare nell’esorcismo. Per quanto riguarda lo svolgimento della preghiera di esorcismo sulle persone possedute e sugli oggetti contaminati dall’influsso demoniaco, si può utilizzare, sia nella forma invocativa, sia in quella imperativa, quindi l’esorcista dovrà seguire scrupolosamente il nuovo rituale, perché, con il diavolo e i suoi spiriti infernali non si gioca e non si scherza. I gesti che possono essere compiuti durante l’esorcismo devono essere caratterizzati da una grande sobrietà, in modo che l’esorcismo “manifesti la pienezza della fede della Chiesa e impedisca di essere interpretato come atto di magia o di superstizione” Il sacerdote esorcista procederà alla preparazione e alla celebrazione dell’esorcismo solo dopo aver raggiunto la certezza morale mediante il discernimento e la preghiera sulla reale possessione diabolica del soggetto, utilizzando i criteri tradizionalmente seguiti per individuare simili casi, e avvalendosi della consulenza di persone esperte in medicina e in psichiatria che, come consulenti, faranno parte integrante del Gruppo diocesano dei sacerdoti esorcisti. In presenza di comprovati disturbi psichici o fisici il sacerdote esorcista non procederà al Rito, ma accoglierà ugualmente le persone sofferenti con carità e le raccomanderà al Signore. In caso di persone minorenni va richiesta un’autorizzazione scritta dei genitori, i quali devono essere presenti per tutta la durata dell’esorcismo. Per tutti i fedeli provenienti da altre Diocesi possono far ricorso all’esorcista diocesano, previa presentazione e autorizzazione scritta dell’Ordinario di loro appartenenza. La Chiesa con prudenza permette ai laici di sostenere l’esorcista con la propria preghiera. Essi, però non potranno mai pronunciare preghiere dell’esorcismo, ma invece, sono esortati a pregare intensamente secondo quanto previsto dal Rito. Per la delicatezza della cosa e il rispetto delle persone è vietata la presenza e l’utilizzo di mezzi mediatici, telefonini, giornalisti, e quant’altro. Come dicevamo, dato che, l’esorcismo è una preghiera potente, solenne e pubblica fatta con l’autorità della Chiesa, le preghiere di guarigione e di liberazione hanno una forma privata. Esse possono essere recitate da chiunque intenda chiedere al Signore per sé o per gli altri la guarigione e la liberazione dal male, confidando sempre nella forza della Spirito Santo. Infatti, la Congregazione per la Dottrina della Fede a suo tempo è stata molto chiara: “ad ogni fedele è lecito elevare a Dio preghiere per ottenere la guarigione”. Però, tali preghiere vanno opportunamente formulate in un contesto di fedeltà in piena comunione alla dottrina cattolica e con l’attenzione a non scivolare mai verso forme che potrebbero generare equivoci e incomprensioni. Preferibilmente queste preghiere vanno fatte in ambiente privato e in piccole comunità. Quindi, la Chiesa fin dalle sue origini e pellegrina sulla terra, è sostenuta da questa consolante verità: “Il principe di questo mondo è stato giudicato” e “il Figlio di Dio è apparso per distruggere le opere del diavolo” (1Gv 3,8), (Gv 16,11). Il Cristo crocifisso morto e risorto si è rivelato essere più forte del diavolo. Alla vittoria di Cristo sul diavolo è associata la Chiesa, che ha ereditato da Cristo mediante i successori degli Apostoli il potere di cacciare i demoni (Mt 10,1 e ss.). La Chiesa medesima con la Potenza che viene da Dio esercita tale potere mediante la Fede in Gesù Cristo nostro Signore e la preghiera che si innalza unanime da tutti i suoi figli sparsi sulla terra (Mc 9,29; Mt 17,19s), che, in determinati casi specifici e vitali per tutte le anime, può assumere la forma dell’esorcismo. In questo momento storico della vittoria di Cristo sul, peccato, sulla morte e sul demonio, si traccia la prospettiva della Parusia, ossia, la seconda e definitiva venuta di Cristo, come Giudice dei vivi e dei morti alla conclusione della storia, verso la quale è proiettata la vita di ogni singolo cristiano. Anche se è reale che la storia di noi esseri umani continua a svolgersi sotto l’influsso di “quello spirito che, come dice san Paolo, ora opera negli uomini ribelli” (Ef 2,2), i credenti in Gesù Cristo sanno di essere chiamati a lottare con tutte le forze per il definitivo trionfo del Regno di Dio, e l’annientamento del diavolo e delle sue opere demoniache: “la nostra battaglia infatti non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i principati e le potestà inverse, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che si aggirano per il mondo a divorare le povere anime.

CAPITOLO VII
La Fede, la Preghiera, sconfigge il demonio e le sue legioni

La conoscenza solo intellettuale che l’uomo adopera costantemente nei confronti di Dio serve a poco. A Lui interessa nel corrispondere necessariamente una adeguata vita spirituale, la quale si esprime principalmente nella preghiera. Essa è la base e punto di partenza per una solida vita interiore è la Sacra Scrittura, che utilizziamo ha le formule di preghiera, che spesso fanno riferimento a quanto Dio stesso ci ha rivelato per mezzo dei Profeti, e suo Figlio Gesù Cristo. La preghiera dei salmi ci aiuta molto a capire il modus orandi dei figli di Dio, e ci mette in guardia dalle insidie del demonio. In queste preghiere che non sono solo composizioni poetiche più o meno elaborate, Dio stesso ci ha voluto insegnare come vuole essere lodato, ringraziato e richiesto. Servirsi di esse vuol dire entrare spiritualmente in un dialogo d’amore fraterno che Dio stesso ha voluto. Nella preghiera dei salmi troviamo tutti gli stati d'animo che caratterizzano la nostra vita, in questa valle di lacrime e, nel prolungamento del respiro della Trinità nell'uomo. L'anima di ognuno di noi è chiamata a diventare sposa della Santissima Trinità e per questo, si dedica assiduamente alla preghiera, che altro non è che un dialogo costante tra l’amante di Dio e l'oggetto del suo amore, che proprio perché è infinito necessita da parte dell'uomo sua creatura, un amore che tende all'infinito. Per questo in Dio l’anima sperimenta la sua pace, il suo amore, nel suo abbraccio c’è la sua piena realizzazione, in questo rapporto il fine della sua esistenza. Gesù stesso ci dice che verrà il tempo della consolazione. È quando lo Sposo non risponde e l'anima sembra annichilita dal peso della tristezza è quello il momento della fedeltà al nostro Creatore. È facile essere fedeli a Dio nel momento della gioia; è quando ci troviamo difronte il momento della privazione di qualcosa che noi desideriamo, si manifesta in ogni cuore e in ogni anima l'amore disinteressato, ed è proprio in questi momenti bui, che Dio ascolta le nostre preghiere e pretende la nostra fedeltà. Se non prendi la propria Croce e non mi segui, non sei degno di me. Possiamo ben dire che tutti coloro che si decidono per seguire una vita di autentica preghiera sperimentano insieme alle consolazioni (le gioie pure del Signore), anche un senso di smarrimento legato alla desolazione, alla tentazione, ai problemi che la vita giornalmente e puntualmente ci offre, l’anima sperimenta la prova della fede nella fedeltà al Signore. Prendiamo ad esempio Abramo, che fu condotto da Dio su un monte e lì doveva sacrificare il suo unico figlio Isacco. Quella sì che è un’autentica prova di fedeltà a Dio. Bene ora rispondiamo a questa semplice domanda. Cos'è la preghiera? La preghiera è il dialogo che si istaura tra l’uomo e Dio, è il respiro dell'anima. Se un uomo, una donna, un giovane, un bambino non pregano possiamo dire che è come morto alla vita spirituale. Poiché, l’anima è il motore del corpo possiamo dire che colui che non prega è un morto che mangia e cammina. La vita cristiana si sviluppa tutta in questo dinamismo, in questo rapporto intimo, personale e anche comunitario con il Signore. Coloro che non vivono questo rapporto sembrano orfani sballottati dalle tenebre fra le vicissitudini del mondo, che come un mare in tempesta non esenta nessuno dalle prove della vita. Abbiamo bisogno di riscoprire il senso della preghiera partendo dalle formule collaudate dal tempo ma anche sperimentando la perenne novità dello Spirito di Dio che Gesù ci ha donato a Pentecoste, che talvolta ci chiama a essere solo ascoltatori di quello che egli ci vuole dire. È così bello sentire in noi stessi la voce di Dio che ci parla, ci istruisce, ci illumina sulla via da seguire, ci difende dalle tentazioni del maligno, e ci coltiva per la vita eterna. Perché, noi come sue creature dobbiamo stare in comunione con il nostro Padre Celeste, per questo ci ha creati, per ubbidire sempre ai suoi comandi. Per orazione mentale, questo termine descrive la meditazione ossia, il dialogo con Dio attraverso sempre la preghiera, che porta la nostra anima a stadio più alto, verso la perfezione. Essa può essere svolta in molteplici modi: innanzitutto seguendo la via affettiva, cioè mettendo davanti al Signore tutti gli affetti del cuore e proporsi di amare lui soltanto. Si tratta di una preghiera che parte spontaneamente del cuore che tende a rafforzare la divina unione. Un’altra forma di meditazione può identificarsi con la via immaginativa tanto cara anche al grande Sant'Ignazio di Loyola e alla sua Scuola. In questo tipo di meditazione ci si raffigura agli occhi della mente quei misteri che si vanno meditando, ad esempio, la vita di Gesù, la sua passione, il suo ministero apostolico, e quant’altro. Il terzo modo di meditare si svolge nella via conoscitiva: dal testo sacro si parte per meditare su uno o più punti che da esso si possono estrarre. Ma anche in questo caso si tratta di una meditazione: le considerazioni che vengono astratte dal testo non devono avere un carattere puramente accademico ma devono essere lo sprone per considerazioni inerenti alla vita spirituale. Svolgere la propria orazione mentale dinanzi al Santissimo Sacramento senza pronunciare nulla ma tendendo alla unione con Dio Padre per mezzo del Figlio Gesù nello Spirito Santo è quanto di più bello e santo possiamo fare, in quanto questa via unitiva ci condurrà all'ascolto e alla adorazione del divino volere. Le divine ispirazioni, che sono frutto di questo dialogo di amore fra lo Sposo (Dio) e la sposa (l'anima), potranno poi essere presentate al direttore spirituale per un attento discernimento più approfondito. Come dicevamo precedentemente, la Preghiera di Lode è un’arma potentissima contro il diavolo e le sue schiere diaboliche. Si aggrega ad essa, la Preghiera di Guarigione e di Liberazione, che caccia via il diavolo con i suoi satelliti, tutti i credenti e a coloro che sono stati toccati da lui, la guarigione del corpo e dello spirito, ma, principalmente recuperano la Fede che hanno perduto. Per capire effettivamente quando una persona è vittima del male occulto, ci sono tre tappe fondamentali da seguire e da verificare:
  •  L’ossessione diabolica: non agisce dall’interno ma dall’esterno. Per esempio: la semplice tentazione è un’ossessione diabolica. Quante volte una tentazione; della carne, della gola, ci tormenta e non riusciamo a resistere fino a spingerci con tutti noi stessi a cadere nel peccato? Quella è una forma di ossessione diabolica. Questo tipo di ossessione diabolica (la tentazione) è la forma più comune di cui si serve il demonio e nessuno ne va esente, neppure i più grandi Santi. L’anima sperimenta i suoi assalti in tutte le tappe della vita spirituale e umana. Variano le forme, aumenta o diminuisce l’intensità, ma il fatto della tentazione rimane. Anche il Signore volle essere tentato per insegnarci come vincere il nemico delle nostre anime. A volte però il demonio non si accontenta della semplice tentazione. Contro le anime avanzate nel campo spirituale, dispiega tutto il suo potere infernale, dando forti tormenti. Nell’ossessione l’azione diabolica rimane estrinseca alla persona che la patisce Un esempio lampante e concreto di ossessione diabolica è: la disperazione! Infatti, ci opprime, ci mette nella mente pensieri disperati, pessimismo, tristezza, angoscia di ogni tipo… tutte forme di ossessioni per farci cadere nella disperazione, con lo scopo specifico di mancare di fede e fiducia verso Dio. Ci ossessiona con le sue manie di potere, di vana gloria, di lussuria, di ingordigia, di egoismo, invidia, sesso e quant’altro. L’ossessione diabolica si distingue in: Interna ed esterna;
L’ossessione interna: si distingue dalle tentazioni ordinarie soltanto per la sua violenza e durata. Non è facile determinare con esattezza fin dove giunga la semplice tentazione e dove incominci la vera ossessione. Tuttavia, quando il turbamento dell’anima è molto profondo e l’attrattiva verso il male molto violenta è lecito pensare ad una ossessione diabolica. L’ossessione interna può prendere gli aspetti più diversi. Alcune volte si manifesterà in forma di idea fissa sulla quale sembrano concentrarsi tutte le energie intellettuali; altre volte in forma di immagini e rappresentazioni tanto vive, che s’impongono con la forza delle più toccanti e assorbenti realtà; ora causa una ripugnanza quasi insuperabile per i doveri del proprio stato, ora fa desiderare con ardore ciò che è proibito, ecc… Il turbamento dello spirito, dato l’intimo nesso che lega le facoltà, si riflette nella vita affettiva. L’anima, suo malgrado, si sente ricolma di immagini importune, ossessionanti, che la spingono al dubbio, al risentimento, alla collera, all’antipatia, all’odio, alla disperazione, e talora anche a pericolose tenerezze e al richiamo seducente della passione. Il miglior rimedio contro tali assalti è l’orazione, l’umiltà di cuore, il disprezzo di sé, la fiducia in Dio e nella protezione della Vergine Maria, Colei che schiaccia il diavolo sotto i suoi piedi, e la frequenza ai Sacramenti della Confessione e Eucaristia.
  • L’ossessione esterna: e sensibile è più appariscente e impressionante, ma in realtà meno pericolosa. Può estendersi a tutti i sensi esterni, come ci dimostrano le vite dei Santi. La vista è vittima di tutta una serie di apparizioni diaboliche. A volte si tratta di immagini abbaglianti, piacevoli. satana non esita a trasformarsi in angelo di luce per ingannare l’anima e ispirarle sentimenti di vanità, di compiacenza di sé, ecc.… Altre volte satana prende forme orribili e minacciose per intimorire i Servi di Dio e allontanarli dall’esercizio delle virtù, come si legge nella vita del Santo Curato d’Ars, di Santa Gemma Galgani, di San Pio da Petralcina e di altri. Altre volte ancora, si presenta in forme seduttrici per trascinare al male, come fece con Sant’Antonio Abate, con Santa Caterina da Siena… L’udito è tormentato con strepiti e rumori spaventosi (Curato d’Ars), con oscenità e bestemmie. L’olfatto percepisce alcune volte i profumi più soavi, altre volte un lezzo intollerabile. Anche il gusto è provato in vari modi. Talora il demonio cerca di eccitare sentimenti di gola producendo la sensazione di cibi succulenti o di liquori deliziosi. Più spesso produce nell’anima una forte sensazione di nausea per impedirle di prendere il sostentamento necessario, o fa apparire nel cibo cose ripugnanti (vermi, mosche… oppure spine, aghi, pietre, frammenti di vetro. Il tatto, diffuso per tutto il corpo, risente in mille maniere la nefasta influenza del demonio. Si avvertono percosse terribili come risulta dalla vita di Santa Caterina da Siena, di Santa Teresa, di San Francesco Saverio e di Santa Gemma Galgani; abbracci e carezze voluttuose, come racconta di sé stesso Sant’Alfonso Rodriguez. Altre volte l’azione diabolica diventa violenta come successe a San Pio da Petralcina.
  • Vessazione diabolica: Si ha quando il demonio, senza entrare nel possesso della persona, le infligge i disturbi più vari. Prendiamo l’esempio di quando il demonio tormentava padre Pio o il Curato d’Ars, colpendoli con mali dolorosi e vari, ma senza che questi santi fossero mai posseduti. I fenomeni di vessazione sono di una varietà grandissima. Il demonio può colpire una persona nella salute, negli affetti, negli affari, nella carriera e sul lavoro, in qualunque forma. Si possono tradurre in vessazioni i postumi di divinazione attraverso le carte o attraverso i fondi di caffè, talvolta con disturbi lievi ma seccanti: eruttazioni ed emissioni di aria, per esempio. Se il medico non trova da dove derivano, possono essere dovuti a residui di forme di occultismo generazionale, vale a dire occultismo messo in pratica da nonni o da familiari defunti. Alle volte sono disturbi dolorosi, che una persona può offrire a Dio per la salvezza delle anime, ma che possono anche allontanare da Dio, immettendo nell’individuo sentimenti di ribellione.
  • Possessione diabolica: La possessione si definisce come il fenomeno per il quale uno spirito maligno i demoni o le anime dei dannati albergano in un corpo riuscendo in determinati momenti detti di “crisi” a parlare e a muoversi attraverso di esso, senza che la vittima possa fare nulla per evitarlo (solo il corpo può essere posseduto, mai l’anima).
  • Le motivazioni posso essere molteplici. Premettiamo che nulla può avvenire senza che Dio lo permetta: affinché il diavolo possa esercitare su di una persona la sua azione straordinaria, Dio deve permetterlo. Il motivo, poi, per il quale Dio possa permettere ciò, a noi non è dato di conoscerlo. Ci basti sapere che qualunque cosa Dio faccia o permetta che accada è comunque per la nostra santificazione: Dio è l’unico capace di ricavare il bene anche dal male stesso. Volendo semplificare, potremmo dire che in genere sono quattro i motivi per i quali si potrebbe rimanere posseduti dal diavolo. Vediamoli e analizziamoli insieme.
  • Una maniera “classica” e frequente di rimanere vittime dell’azione straordinaria del demonio è a seguito di un tremendo maleficio. Fate attenzione: non solo chi lo riceve, ma anche chi lo fa spesso rimane vittima del demonio. Naturalmente colui che lo riceve in questo caso non ha colpe: qualcuno potrebbe volergli nuocere invocando l’intervento del diavolo, magari per odio, per risentimento, per invidia… Può trattarsi di fattura, malocchio, maledizioni, legature, macumba, voodoo, riti satanici, etc. In questi casi bisogna agire come segue: se si è vittime di disturbi diabolici e si scopre che questi sono dovuti a un Maleficio, bisogna pregare intensamente invocando le benedizioni e la protezione di Dio. Prima di tutto, se non si è in uno stato di grazia bisogna andarsi a confessare e purificarsi l’anima con l’Eucaristia. successivamente bisogna condurre una autentica vita cristiana e pregare perché Dio che ci conceda la liberazione e la guarigione del corpo e dello spirito. Qualunque preghiera va bene, ma si raccomanda nello specifico di andare frequentemente a Messa, di ricevere la Comunione Sacramentale, di recitare il Santo Rosario alla Vergine Maria e di meditare la Parola di Dio. È molto utile pregare per la persona che invocando il demonio ha desiderato e cercato il nostro male: perdonatela, chiedendo a Dio di benedire la sua vita, nella speranza, che ritorni sui suoi errori e si converta davanti all’Altissimo. Non dimenticate mai che il bene è più forte di qualunque male! Se si è autori di un Maleficio, invece, avendolo commissionato a un mago o avendolo desiderato nel proprio cuore con invocazioni al demonio, bisogna pentirsene immediatamente; bisogna ricorrere subito ad una confessione generale, poi fare la Comunione sacramentale, possibilmente durante la Santa Messa e pregare ardentemente, perché, Dio protegga e benedica la persona destinataria del maleficio. In entrambi i casi, per giungere alla cessazione dei disturbi satanici, bisogna “convertirsi” ad un’autentica vita di fede, preghiera e tanta penitenza.
  • Un altro caso potrebbe ricondursi alla possibilità che Dio accorderebbe al diavolo di esercitare la sua azione straordinaria sui Santi, per i quali l’Onnipotente potrebbe permettere il tormento diabolico perfino la Possessione, al fine di sublimarne l’anima nell’esercizio delle Virtù. Qui quando abbiamo a che fare con un’azione del demonio volta a tentare quella persona, il fine ultimo e di farla rinunciare alle vie di Dio.
  • Certamente, poi, il persistere di una persona in una situazione di peccato gravissima e protratta nel tempo è di certo un buon presupposto perché il male possa prendere piede nella sua anima mediante un’azione, appunto, straordinaria. Come faceva notare padre Amorth, esorcista italiano, di recente tornato alla Casa del Padre, in una delle sue tante interviste, si espresse che un esempio di questo atteggiamento lo possiamo ritrovare nel caso di Giuda Iscariota: chissà quanti tentativi deve aver fatto Gesù perché potesse vincere la sua cupidigia del denaro e della sua vana gloria.
  • Infine, la frequenza di persone e luoghi malefici: è evidente che partecipando a sedute spiritiche o di magia, o consultando maghi e simili, o aderendo a sette sataniche, si aprano volontariamente le porte della propria anima a satana. Sappiate, a tal riguardo, che la Santa Chiesa Cattolica diffida chiunque dall’intrattenersi col diavolo, anche se non nega che ci si possa rivolgere a Dio perché ci liberi dal suo influsso demoniaco.
  • Le lingue sconosciute. Uno degli eventi maggiormente riscontrabili nel caso di una possessione diabolica, è la capacità del posseduto di parlare lingue sconosciute. Durante gli esorcismi che determinano uno stato di “crisi” nel posseduto tanto da indurre lo spirito demoniaco ad uscire allo scoperto, gli indemoniati parlano lingue antiche e a loro sconosciute, come il greco, il latino, l’aramaico… Altre volte parlano lingue che sembrerebbero essere senza senso e del tutto ignote anche agli stessi esorcisti.
  • La forza straordinaria. Altro fenomeno riscontrabile durante gli esorcismi, è la straordinaria forza dimostrata dal posseduto: non a caso si è spesso costretti, durante l’esecuzione del rito, ad immobilizzare gli indemoniati ricorrendo a cinte di costrizione o, più spesso, all’aiuto di persone in grado di tenere fermo il “paziente”: ciò, naturalmente, per evitare che il posseduto possa nuocere a sé stesso o agli altri.
  • L’avversione al sacro. È risaputo che, spruzzando dell’acqua benedetta o esorcizzata sull’indemoniato, questi tenderà a contorcersi e a dimenarsi come se fosse stato costretto a subire un atroce supplizio; lo stesso accade per qualunque altro oggetto sacro o benedetto, come potrebbe essere una Bibbia o un crocifisso. Questo fenomeno, riscontrabile in pressoché tutti i casi di possessione, è estremamente indicativo della presenza di uno spirito malefico in un corpo umano, perché qualora fosse replicato con della semplice acqua non benedetta – senza che il posseduto ne sia a conoscenza – si avrebbe modo di constatare che la reazione non sarebbe né di sofferenza né di orrore. Nei casi più evidenti di possessione, questa avversione può arrivare a manifestarsi con degli eccessi di furia che si accompagnano a bestemmie e insulti nei confronti dell’oggetto sacro/religioso, il rendere note cose distanti oppure nascoste. E la levitazione.
Il potente Nome di Gesù, piega e sottomette ogni demone a dare piena obbedienza a Lui, con Lui, (Gesù), nessun demone, anche il più potente, ha vita facile. Per evitare gli attacchi del nostro nemico il diavolo, bisogna avere una Fede genuina, che si rafforza giorno per giorno con la Preghiera e la Vigilanza, caratterizzata da un fiducioso abbandono all’Amore paterno del Nostro Creatore. In questo mondo prigioniero e sottomesso dalla potenza malefica, bisogna lottare continuamente, per difendere la Legge di Dio, che viene violata ininterrottamente con scandali e peccati gravi. Soltanto il Nome di Gesù può dissipare le tenebre del peccato e far entrare la Sua Luce che illumina la notte eterna. Con Dio non si scherza, Lui è buono, pietoso e misericordioso, ma è anche giudice supremo del Tribunale Divino, è non si fa prendere in giro da nessuno, quando Lui castiga, lo fa per insegnarci l’educazione, come un Padre premuroso che rimprovera il proprio figlio, per aver commesso un errore. Per questo motivo è stato istituito da Cristo stesso il Sacramento della Riconciliazione, per chiedere perdono a Dio per i nostri errori e, riallacciare quel filo invisibile che ci lega a Lui fonte di ogni bene, spezzato a causa del peccato, così da poter entrare nuovamente in amicizia con Lui. Gesù, in tutti i Suoi discorsi ci dice: “Vigilate, perché, il diavolo è come un leone ruggente che va in giro a divorare le anime, resistetegli saldi nella Fede” “Io sono la Luce del mondo, chi segue Me non resta deluso” L’Apostolo Giovanni cita nel Suo Vangelo, che Gesù è la Luce vera che rischiara la tenebre del peccato, molti la videro e la rifiutarono, ma altri l’hanno accolta e, dopo averla accolta la manifestarono al mondo e, il mondo non accettandola in parte, li eliminarono. Bisogna capire un concetto fondamentale, fuggire dal peccato evitandolo come la peste nera e, non bisogna in nessun modo o caso dare confidenza al diavolo, quando si presenta con la più banale delle tentazioni, dobbiamo respingerlo con tutte le nostre forze. Mai, dico mai, acconsentire alle sue seduzioni, che poi ci porteranno sulla via che porta al peccato, e peccando volutamente facciamo la volontà del tentatore e non quella di Dio. Fratelli e Sorelle carissimi, bisogna essere coerenti con Dio, con la Fede e con sé stessi, per essere custodi fedeli del Suo Vangelo. Quando ed ogni volta che il demonio ci tenta e ci costringe con malizia a fare la sua volontà, prendiamo in mano la Corona del Santo Rosario e iniziamo a pregare la Madonna, Colei che l’ha sconfitto sotto la Croce con il suo dolore silenzioso, abbracciando in pieno la volontà di Dio, per il bene e la salvezza dell’intera umanità. Vedrete e constaterete che poco tempo dopo, il demonio scappa e vi lascia, perché non sopporta il Nome di Maria. Fate almeno una confessione sacramentale settimanale e Santa Messa Domenicale. Questa è la cura e la medicina efficace per allontanare il diavolo, da tutto ciò che ci circonda.

CONCLUSIONE

“Per questo il Figlio di Dio si è manifestato, per distruggere le opere del diavolo”. “Tutto il mondo giace nel potere del maligno” (1 Gv 5,19).
Fratelli e Sorelle carissimi, la Sacra Scrittura ci parla dei demoni come di esseri spirituali, dotati di intelligenza, volontà, libertà e potere. Essi, pur essendo angeli ribelli condannati per l’eternità, non hanno perduto la loro natura e, anzi, conservano il loro potere al pari delle loro gerarchie a cui appartenevano. L’accusatore satana e i suoi seguaci fanno uso di questo potere per rendere l’uomo schiavo del peccato e farlo camminare contro la Legge del Signore. Vale la pena di ricordare, a questo proposito, il pensiero di S. Agostino Vescovo quando parlava affermando che se satana avesse da Dio “mano libera” nessuno di noi rimarrebbe in vita, tutti saremmo condannati all’obblio. Il diavolo come ben sappiamo è “il padre della menzogna” (Gv 8,44), il suo modo di operare avviene principalmente attraverso la tentazione e l’inganno. Il diavolo è il più grande bugiardo per eccellenza, è astuto, è molto più intelligente di noi, e sa meglio di chiunque altro come indurci prima alla tentazione poi subentra il peccato. Egli ha un grandissimo potere di seduzione. Ci basti pensare a Adamo ed Eva e al subdolo inganno che ha teso loro convincendoli a disobbedire ai comandi di Dio. Senza considerare, poi, che ha cercato in tutti i modi di sedurre anche Cristo, e non solo in maniera diretta con le tentazioni nel deserto, ma anche per mezzo di Pietro. Così Gesù si riferiva al capo degli Apostoli: “Va’ via da me, Satana! Tu mi sei di inciampo, poiché i tuoi sentimenti non sono quelli di Dio, ma quelli degli uomini” (Mt 16,23).
In breve, potremmo dire che i poteri del demonio sono fondamentalmente questi:
  • Può indurre l’uomo in tentazione (“azione ordinaria”); Può provocare sull’uomo, sugli animali e sulle cose, mali, influssi e disturbi Malefici (oppressione, vessazione, possessione, infestazione, etc. – “azione straordinaria”);
  • “Allora, dopo il boccone, entrò in lui Satana” (Gv 13,27). Vi era una donna che da diciotto anni uno spirito maligno teneva inferma. Era curva e non poteva in nessun modo stare dritta” (Lc 13,11).
  • Può compiere fenomeni strabilianti e prodigiosi; Or già da tempo c’era nella città un uomo di nome Simone che praticava l’arte magica e faceva strabiliare il popolo di Samaria spacciandosi per un personaggio straordinario” (At 8,9).
  • “Allora il faraone convocò i sapienti e gli incantatori, e anche i maghi dell’Egitto, con le loro magie, operarono la stessa cosa. Gettarono ciascuno il suo bastone e i bastoni divennero serpenti” (Es 7,11-12).
Tutto il “potere” che il diavolo ha lo impiega per opporsi ai piani di Dio e per portare gli uomini alla dannazione eterna. Ad ogni modo, qualsiasi cosa possa fare, la fa sempre e solo nella misura in cui Dio gli permette di compierla. Iniziamo col dire che come ci insegnano la Sacra Scrittura e il Magistero della Chiesa Cattolica, Gesù crocifisso e risorto ha già sconfitto satana definitivamente. Nonostante questo, però, il capo degli angeli ribelli continua a combattere instancabilmente contro Cristo e i suoi seguaci. E questa lotta, oggi, è più attuale che mai: satana non solo ha la possibilità di tentare l’uomo, inducendolo al peccato con l’inganno, ma a volte può arrivare persino a possederne il corpo e a infestare luoghi e cose sempre che Dio glielo permetta, altrimenti se ne sta rinchiuso nel suo fetido e nauseante buco. Ma com’è possibile tutto ciò se i demoni sono già stati sconfitti definitivamente da Cristo con la sua morte e risurrezione e condannati al supplizio per l’eternità? Per rispondere a questa domanda dobbiamo entrare nell’ottica secondo la quale la nostra vita terrena altro non è che un passaggio e un tempo di prova. Dio consente a satana di “indurre l’uomo in tentazione” per metterne alla prova la fede. E il diavolo per odio contro Dio e gli uomini lo fa senza sosta, utilizzando al meglio tutte le sue “armi” e tutti i suoi inganni. In effetti bisogna riconoscere che i demoni che sono precipitati sulla terra e sono in attesa della loro condanna definitiva [non a caso si rivolgevano a Gesù dicendogli: “Sei venuto qui per tormentarci prima del tempo?” (Matteo 8,29), su permissione divina conservano ancora un grande potere. Essi mantengono intatta l’intelligenza propria della loro natura angelica e le loro “due potenze spirituali”, che sono la conoscenza e la volontà, anche se la loro volontà, è una volontà perennemente orientata al male e alla distruzione delle sue creature, create a sua immagine e somiglianza, coloro che trovati meritevoli occuperanno i posti a loro riservati, e che i demoni ne furono privati per sempre. I demoni, come puri spiriti, non sono soggetti né a spazio né a tempo, né a materia, né al bisogno di nutrirsi, né di riposarsi. satana e i suoi angeli ribelli non sono soggetti a nessuna delle condizioni umane, ed esercitano tutto il loro potere 24 ore su 24, 365 giorni all’anno senza tregua. Ma non c’è nulla da temere: Dio, permette che l’uomo sia sottoposto a “prova”, ma mai oltre le proprie forze. A questo punto verrebbe da chiedersi: ma allora ogni nostra tentazione è frutto dell’azione di un qualche demonio? No. In realtà affinché noi possiamo essere tentati bastano il “mondo” e la “concupiscenza”. Il mondo ormai contaminato ci manda degli input, che possono arrivarci dalla televisione, da internet, etc. Questi input, poi, facendo leva sulla nostra concupiscenza, si trasformano in tentazioni e successivamente in peccato. A dire il vero, basterebbe già da sola la nostra concupiscenza a indurci in tentazione. Tuttavia, può succedere che in determinati casi si possa subire una tentazione ad opera diretta del demonio. Eva nel Paradiso Terrestre ne fu vittima, e lo stesso Gesù nel deserto. Ad ogni modo per poter essere tentati non è necessario un intervento diretto del diavolo: se così non fosse, del resto, chi avrebbe tentato alla ribellione gli angeli decaduti quando ancora erano in Paradiso? Il Male che oggi circola nel mondo, come è espresso nei messaggi che la Santissima Vergine ci lascia come testimonianze autentiche, il demoni è più scatenato che mai: è una forza spaventosa. Sia chiaro però: questo non vuol dire che il Male ai giorni nostri trionfi imbattuto, quindi non bisogna per niente scoraggiarci, perché Cristo ha già vinto il peccato, ha già vinto il male in ogni sua forma e manifestazione nel momento stesso in cui è morto in Croce per poi risorgere gloriosamente il terzo giorno. “Abbiate coraggio: io ho vinto il mondo” ci dice in Gv 16,33. E ancora in Lc 11,21-22: Egli (Gesù) è il “più forte” che ha vinto “il forte”. Cristo è vincitore del male e noi che siamo battezzati nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo lo siamo con Lui! Il diavolo questo lo sa bene: sa perfettamente che per lui non c’è rimedio, non c’è redenzione, non c’è perdono, sa perfettamente che quando arriverà la fine dei tempi sarà scaraventato definitivamente negli Inferi e lì rinchiuso per l’eternità. Ed è per questo che in odio a Dio e agli uomini fa di tutto per portarsi quante più anime può sedurre all’inferno. Fa tutto ciò solo per odio e per invidia, perché lui in Paradiso non ci torna più. Come affermava San Paolo VI in un suo celebre discorso, il diavolo è un soggetto vivo e reale! Il male non è un concetto astratto, vago, genericamente inteso, no, il male è il diavolo hanno lo stesso obbiettivo quello di dividerci per sempre dalla grazia di Dio. “Il Male oggi non è più soltanto una deficienza, ma un’efficienza, un essere vivo, spirituale, pervertito e pervertitore…” (San Paolo VI Papa 1972). Noi non sappiamo perché delle volte Dio possa permettere che qualcuno venga tentato maggiormente dal diavolo, se non addirittura posseduto. Possiamo solo cercare di avanzare qualche pallida ipotesi: non dimentichiamo che anche grandi Santi subirono vessazioni diaboliche e perfino possessioni. Il motivo non ci è dato di saperlo. probabilmente in alcuni casi Dio ha voluto sublimare quell’anima purificandola con la prova/croce del tormento diabolico. O magari, Dio avrebbe permesso al male di tormentarla per indurla a tornare sulla retta via. Non dobbiamo mai dimenticare che Dio sa ricavare il bene anche dal male. In ogni caso una cosa è certa: Dio è Onnipotente, e il diavolo al confronto è un nulla, è una sua creatura con un certo potere (è pur sempre un angelo decaduto dal Paradiso), ma niente di più che una creatura. Quindi, il diavolo non può nulla se Dio non lo comanda espressamente. Dunque, non ci rimane altro da fare che con tanta umiltà di confidare nella sua Divina Misericordia, e affidarci in tutto nelle Sue mani: se cerchiamo in Dio la nostra forza e il nostro rifugio, nulla potrà turbarci. Ora per concludere riflettiamo su un altro argomento molto importante. Che cosa significa pentirsi? Davanti a te ho riconosciuto il mio peccato, non ho coperto la mia iniquità. Ho detto: Confesserò le mie trasgressioni all’Eterno», e tu hai perdonato l’iniquità del mio peccato. (Salmi 32:5) Il pentimento è la percezione del peccato nel quale noi uomini ci troviamo per natura. È il risveglio della coscienza che si volge verso Dio e chiede umilmente perdono per le proprie colpe. L’uomo che si pente prova un orrore sincero per il male che ha potuto fare, forse non per un peccato particolarmente grave, ma per l’insieme d’una vita nella quale Dio non ha avuto alcun posto nella sua anima. Nel pentimento, c’è un barlume di speranza, un richiamo più o meno articolato alla misericordia divina, che si manifesta in ogni anima, in cui ravveduto dal male fatto, trova pace e ristoro in Dio Creatore, e in Gesù Cristo suo Figlio e nostro Signore. “Chi copre le sue trasgressioni non prospererà, ma chi le confessa e le abbandona otterrà misericordia”. (Proverbi 28:13) Il pentimento si manifesta con un rammarico sincero, con la confessione sacramentale, anzitutto a Dio perché è lui il primo offeso, e poi a quelli ai quali abbiamo potuto causare un torto. Infine, con la riparazione, per quanto è possibile, e l’abbandono dei peccati che sono stati confessati, ci si può accostare all’Eucaristia. Così il pentimento prepara l’anima ad accettare la grazia di Dio. È un primo movimento verso Dio, perché chi si ravvede riconosce il diritto che Dio ha di essere ubbidito. C’è già nella fede nel vero pentimento, perché si confessano i propri peccati è si ha la speranza di ottenere il perdono. Il pentimento è come l’accesso che si apre sotto il bisturi del grande Chirurgo, Dio, e predispone la nostra anima ad accettare la salvezza operata da Gesù Cristo sulla croce. Questa è la vera arma potente, per sconfiggere il male e le sue tentazioni, essere sempre riconciliati con Dio. Il credente, se è caduto nel peccato, conserva il ricordo delle colpe che lo umiliano, ma nello stesso tempo si rallegra della grazia immeritata che gli è stata concessa mediante il pentimento sincero. “Perciò provo disgusto nei miei confronti e mi pento sulla polvere e sulla cenere”. (Giobbe 42:6). I nostri peccati ci rendono impuri, ossia indegni di ritornare a dimorare alla presenza del nostro Padre Celeste. Inoltre, essi producono angoscia nella nostra anima. Tramite l’espiazione di Gesù Cristo, Dio ci ha fornito l’unica via per essere perdonati delle nostre vili mancanze. Egli ha pagato con il suo Sangue sparso sulla Croce il prezzo per i nostri errori in modo che possiamo essere perdonati e riconciliati con Lui se ci mortifichiamo sinceramente nel profondo della nostra anima. Quando ci pentiamo e ci affidiamo alla Sua grazia salvifica, veniamo mondati dalla colpa del peccato commesso, ma perché questo avvenga, dobbiamo passare da un profondo dolore dell’anima a un forte desiderio di non commetterlo più. Non ci può mai essere perdono da parte di Dio, se prima non proviamo rimorso per le nostre colpe……...

Dato a Roma nella Sede Episcopale il 01 Maggio dell’Anno del Signore 2020
Festa di San Giuseppe Lavoratore

+ Salvatore Micalef
Vescovo Ordinario
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DOCUMENTO TEOLOGICO PASTORALE

Haec quidem Episcopi,
Apostolorum successores authentica.



Salvatore, Vescovo Ordinario, Successore degli Apostoli, e, Servo di nostro Signore Gesù Cristo.

PROEMIO

Gesù Cristo nostro Signore, prima di salire al cielo e sedere alla Destra di Dio Padre Onnipotente, ci lasciò qui sulla terra la sua Presenza Reale nella Santissima Eucaristia, cibo e bevanda per la salvezza delle anime. Quindi, per amministrarla fino ai nostri giorni, istituì il Primo Collegio Apostolico, formato dai 12 Apostoli, che, dopo la discesa dello Spirito Santo a Pentecoste sono stati guidati e ammaestrati nella Fede dal Primo degli Apostoli, Pietro, a cui Gesù stesso gli consegnò le chiavi del Regno dei Cieli. Ora, mediante il corso del tempo e dei secoli, la comunità cristiana credente in Cristo Gesù si diffondeva di numero, perciò, la Chiesa sparsa sulla terra, mandava a queste comunità, Pastori leali a portare ed insegnare la parola di Dio, spingendosi fino ai confini della terra, dove i pagani prendevano coscienza che non esiste un dio al di fuori di Gesù Cristo nostro Signore, ed essi, riacquistata la Vera Fede si convertivano alla Sua sequela e al Suo Vangelo, e con coraggio lo predicavano fino ai confini della terra. Questi Pastori fedeli sono i Vescovi, responsabili delle attività pastorali delle comunità cristiane, i primi dei servitori del popolo santo di Dio e, quindi, del Regno di Dio sulla terra. A Lui l’Onore e la Gloria, nei secoli dei secoli. Amen.
CAPITOLO I
L’Episcopato nel Nuovo Testamento e nei documenti conciliari
L'episcopato è uno dei ministeri citati nel Nuovo Testamento, in particolare nelle lettere di San Paolo, dopo la sua conversione sulle vie di Damasco, seppur con differenze rispetto a quello sviluppatosi con il tempo nelle chiese di tradizione apostolica, che riconoscono cioè l'autorità dei vescovi come successori degli apostoli. Infatti, nella Lettera a Timoteo San Paolo scrive: “Bisogna dunque che il vescovo sia irreprensibile, marito di una sola moglie, sobrio, prudente, dignitoso, ospitale, capace di insegnare, non dedito al vino né violento, ma sia mite, non litigioso, non attaccato al denaro, che governi bene la propria famiglia e tenga i figli sottomessi e pienamente rispettosi perché se uno non sa governare la propria famiglia, come potrà aver cura della chiesa di Dio?, che non sia convertito di recente, affinché non diventi presuntuoso e cada nella condanna inflitta al diavolo. Bisogna inoltre che abbia una buona testimonianza da quelli di fuori, perché non cada in discredito e nel laccio del diavolo”. (1Timoteo 3:1-7). Quindi l’episcopato è un ministero istituito da Cristo stesso che perdurerà fino alla fine dei secoli. I vescovi che hanno ricevuto la valida consacrazione e la successione degli Apostoli, presiedono al posto di Dio, ammaestrano con amore ed umiltà il gregge di Cristo. Nel momento della loro consacrazione ricevono lo Spirito Santo, che agisce in maniera tale e, in modo eminente e visibile, che, prendono il posto dello stesso Cristo maestro, pastore e pontefice, e agiscano in pienezza in sua vece. Essi, nelle piene funzioni del proprio ministero apostolico, sono considerati vicari e legati di Gesù Cristo nostro Signore sulla terra. Questi pastori, scelti a pascere il popolo santo di Dio, sono gli autentici esecutori di Cristo e dispensatori dei misteri e dei sacramenti, voluti da Dio, per il bene e la salvezza delle anime (1 Cor 4,1). Ad essi è stata affidata in prima persona la testimonianza al Vangelo della grazia di Dio (Rm 15,16; At 20,24) e il glorioso ministero dello Spirito Santo e della giustizia (2 Cor 3,8-9). Per compiere cosi grandi uffici, gli apostoli sono stati arricchiti da Cristo con un’effusione particolare dello Spirito Santo disceso su loro, mentre erano riuniti nel Cenacolo in preghiera, con la presenza di Maria Santissima (At 1,8; At 2,4; Gv 20,22-23), ed essi stessi, mediante l’imposizione delle mani diedero questo dono spirituale ai loro collaboratori (1 Tm 4,14; 2 Tm 1,6-7), dono che è stato trasmesso fino a noi nel Rito della consacrazione episcopale. Il santo Concilio ci insegna quindi che, con la consacrazione episcopale viene conferita al candidato Presbitero la pienezza del sacramento dell'ordine, che dalla consuetudine liturgica della Chiesa e dalla voce dei santi Padri viene chiamata sommo sacerdozio, realtà totale del sacro ministero. Per capire al meglio la funzione del Vescovo, torniamo ai tempi di Gesù. “Salì poi sul monte, chiamò a sé quelli che egli volle ed essi andarono da lui. Ne costituì Dodici che stessero con lui e anche per mandarli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demoni. Costituì dunque i Dodici: Simone, al quale impose il nome di Pietro; poi Giacomo di Zebedeo e Giovanni fratello di Giacomo, ai quali diede il nome di Boanèrghes, cioè figli del tuono; e Andrea, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso, Giacomo di Alfeo, Taddeo, Simone il Cananeo e Giuda Iscariota, quello che poi lo tradì” (Mc 3, 13-19). Durante l’ultima cena Gesù manifesta la volontà di far partecipare i suoi Apostoli al suo sacerdozio, espresso come consacrazione e missione: «Come tu mi hai mandato nel mondo, anch’io li ho mandati nel mondo; per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità» (Gv 17, 18-19). Questa partecipazione, durante il ministero di Cristo si dà in vari momenti che si possono considerare preparazione all’istituzione dell’ordine sacro: quando chiama gli apostoli costituendoli come abbiamo detto pocanzi in collegio (cfr. Mc 3, 13-19), quando li istruisce e li invia a due a due a predicare la buona novella e l’Avvento del Regno di Dio (cfr. Lc 9, 1-6), quando gli affida loro la missione universale (cfr. Mt 28, 18-20), infine quando ordina loro di celebrare l’Eucaristia: «fate questo in memoria di me» (1 Cor 11, 24). Nella missione apostolica essi «furono pienamente confermati il giorno di Pentecoste». Gli Apostoli dopo la discesa dello Spirito Santo, durante tutta loro vita, non solo ebbero vari e fedeli collaboratori nel ministero, ma perché la missione loro affidata venisse continuata dopo la loro morte, lasciarono quasi in testamento ai loro immediati cooperatori, con l’incarico di completare e consolidare l’opera da essi incominciata e, diedero disposizione che, quando essi fossero tornati in beatitudine nella Casa del Padre, altri uomini provati prendessero la successione apostolica del loro sacro ministero. È così che i vescovi hanno ricevuto il ministero della comunità con l’aiuto dei presbiteri e dei diaconi, presiedendo in luogo di Dio al gregge, di cui sono i pastori, quali maestri di dottrina, sacerdoti del sacro culto, ministri del governo della Santa Chiesa di Cristo. Nel Nuovo Testamento il ministero apostolico è trasmesso mediante l’imposizione delle mani e accompagnata da una preghiera di consacrazione (cfr. At 6, 6; 1 Tm 4, 14; 5, 22; 2 Tm 1, 6): «Dio e Padre di nostro Signore Gesù Cristo, Padre delle misericordie, Dio di ogni consolazione che abiti nell’alto dei cieli e guardi ciò che è umile, che conosci tutte le cose prima ancora che esistano, che hai dato le leggi alla Chiesa per mezzo della parola della tua grazia, che fin dal principio hai predestinato la razza dei giusti discendenti da Abramo e hai istituito capi e presbiteri e provveduto a che il tuo culto non mancasse mai di ministri, che sin dall’inizio dei tempi ti sei compiaciuto di essere glorificato da coloro che hai scelto: effondi ora la potenza – che solo da Te può venire – dello Spirito sovrano che tu hai dato al tuo diletto figlio Gesù Cristo e questi ai santi apostoli, i quali fondarono in ogni luogo la Chiesa come tuo santuario a gloria e lode eterna del tuo nome. Concedi, Padre che conosci i cuori, a questo servo che hai scelto per l’episcopato, di pascolare il tuo santo gregge, di esercitare, in maniera irreprensibile e in tuo onore, la massima dignità sacerdotale stando al tuo servizio giorno e notte, di rendere il tuo volto incessantemente propizio, di offrirti i doni della tua santa Chiesa, di avere, in virtù dello Spirito del sommo sacerdozio, il potere di rimettere i peccati secondo il tuo comando, di distribuire i compiti secondo la tua volontà e di sciogliere ogni legame in virtù del potere che hai dato agli apostoli, di esserti accetto per la mansuetudine del suo spirito e la purezza del suo cuore, di offrirti il profumo della soavità, per mezzo di Gesù Cristo tuo figlio, per il quale hai gloria, potenza e onore, Padre e Figlio con lo Spirito Santo, ora e nei secoli dei secoli. Amen». Questa è la prassi già presente nei riti di ordinazione più antichi, come quelli raccolti nella Traditio apostolica, e negli Statuta Ecclesiae Antiqua. Questo nucleo essenziale, che costituisce il segno sacramentale, è stato arricchito nel corso dei secoli con alcuni riti complementari, che possono differire a seconda delle diverse tradizioni liturgiche. «Nel rito latino, i riti di introduzione, la presentazione e l’elezione dell’ordinando, l’omelia del vescovo consacrante, l’interrogazione dell’ordinando, sui diritti e doveri del suo ministero, le litanie dei santi, attestano che la scelta del candidato è stata fatta in conformità alla prassi della Chiesa e preparano l’atto solenne della consacrazione, per l’appunto: l’imposizione delle mani del Vescovo Consacrate e degli altri Vescovi Co-consacranti e, la Preghiera di Consacrazione. A questa fanno seguito altri riti che esprimono e completano in maniera simbolica il mistero che si è compiuto: l’unzione del santo crisma, segno speciale dello Spirito Santo che rende fecondo il loro ministero apostolico; la consegna del libro dei Vangeli, dell’anello, della mitra e del pastorale, come segno tangibile della sua missione apostolica, di annunziare con gioia e fedeltà la Parola di Dio, essere fedele alla Chiesa, sposa di Cristo, con il compito di pastore del gregge del Signore. Ricapitolando infatti, nella Costituzione Dogmatica della “Lumen Gentium” ci enuncia, che Gesù Cristo, “sedendo alla Destra di Dio Padre non cessa di essere presente alla comunità dei suoi pontefici”, per mezzo dell'eccelso ministero dei quali:
  • in primo luogo “predica la parola di Dio a tutte le genti” (LG 21). È dunque il Cristo glorioso che, col suo potere sovrano di salvezza, agisce mediante i vescovi, il cui ministero di evangelizzazione giustamente è definito “eccelso” (Ivi). La predicazione del vescovo non solo prolunga la predicazione evangelica di Cristo, ma è predicazione di Cristo stesso nel suo ministero. 
  • Inoltre, per mezzo dei vescovi e dei loro cooperatori, Cristo nostro Signore “amministra ai credenti i sacramenti della fede; per mezzo del loro ufficio paterno (cf. 1Cor 4,15) incorpora nuove membra, con il rinnovamento soprannaturale, al suo corpo” (LG 21). Tutti i sacramenti sono amministrati in nome di Cristo. In modo particolare la paternità spirituale, significata e attuata nel sacramento del Battesimo, è legata alla rigenerazione che viene da Cristo.
  • Infine, Cristo, “con la sapienza e prudenza dei vescovi dirige e ordina il popolo del Nuovo Testamento nella sua peregrinazione verso l'eterna beatitudine del Cielo” (LG 21). La sapienza e la prudenza sono dei vescovi, ma vengono da Cristo che governa, per loro mezzo, il popolo di Dio.
A questo punto dobbiamo osservare che il Signore, quando opera per mezzo dei Vescovi, non toglie i limiti e le imperfezioni della loro condizione umana, quale si esprime nel temperamento, nel carattere, nel comportamento e nella dipendenza da forze storiche di cultura e di vita. Anche in questo possiamo ricorrere alle notizie che il Vangelo ci fornisce sugli Apostoli scelti da Gesù. Erano uomini che senza dubbio avevano dei difetti, delle fragilità come tutti gli esseri umani. Durante la vita pubblica di Gesù, essi litigavano per chi di loro doveva avere il primo posto, e, successivamente, tutti abbandonarono il loro Maestro al momento dell'arresto nel Giardino del Getsemani. Dopo la Pentecoste, con la grazia ricevuta dallo Spirito Santo, essi vissero nella piena comunione di fede e di carità. Ma ciò non significa che fossero spariti in loro tutti i limiti inerenti alla condizione umana. Com'è noto, San Paolo rimproverò San Pietro per il suo comportamento troppo cedevole verso coloro che volevano conservare nel Cristianesimo l'osservanza della legge giudaica (cf. Gal 2,11-14). Di San Paolo stesso, sappiamo che non aveva un carattere facile e che ci fu un forte contrasto tra lui e Barnaba (At 15,39), benché questi fosse “uomo virtuoso, pieno di Spirito Santo e di fede” (At 11,24). Gesù conosceva l'imperfezione di coloro che aveva scelto, e mantenne la sua scelta anche quando l'imperfezione si manifestò in forme gravi. Gesù ha voluto operare per mezzo di uomini imperfetti e in certi momenti forse riprovevoli, perché al di sopra delle loro debolezze avrebbe trionfato la forza della grazia, data dallo Spirito Santo, ma non tutti acquisirono questa grazia santificante, vediamo l’esempio di Giuda Iscariota, che si tolse la vita impiccandosi. Può accadere che, con le loro imperfezioni o addirittura le loro colpe, anche dei Vescovi vengano meno alle esigenze della loro missione e rechino un danno enorme alla comunità. Perciò dobbiamo pregare per i Vescovi, affinché s'impegnino sempre ad imitare il Buon Pastore, e che governano il gregge affidato da Cristo, con diligenza, amore e soprattutto, con carità. Non è possibile qui fare un elenco dettagliato dei Vescovi Santi che sono stati le guide e i plasmatori delle loro Chiese nei tempi antichi e in tutti i tempi successivi, anche nel tempo attuale. Basti un accenno alla grandezza spirituale di qualche figura eminente. Si pensi allo zelo apostolico e al martirio di sant'Ignazio di Antiochia; alla sapienza dottrinale e all'ardore pastorale di sant'Ambrogio e di sant'Agostino; all'impegno per la vera riforma della Chiesa ad opera di san Carlo Borromeo; al magistero spirituale e alla lotta per la preservazione della fede cattolica di san Francesco di Sales; all'attaccamento di sant'Alfonso Maria de' Liguori per la santificazione del popolo e alla direzione delle anime; alla intemerata fedeltà al Vangelo e alla Chiesa di sant'Antonio Maria Gianelli! Ma quanti altri pastori del popolo di Dio si dovrebbero ricordare e celebrare, appartenenti a tutte le nazioni e a tutte le Chiese del mondo? Contentiamoci qui di rivolgere un pensiero di omaggio e di gratitudine per i tanti Vescovi di ieri e di oggi che con la loro azione, fede, evangelizzazione, la loro preghiera e il loro martirio, continuano la testimonianza degli Apostoli di Cristo, e la difesa del suo Santo Vangelo. Certo, alla grandezza del “ministero eccelso” ricevuto da Cristo come successori degli apostoli, corrisponde la loro responsabilità di “ministri di Cristo e amministratori dei misteri di Dio” (cf. 1Cor 4,1). Come amministratori che dispongono dei misteri di Dio per dispensarli in nome di Cristo, i Vescovi devono essere strettamente uniti e fermamente fedeli al loro Maestro, Gesù Cristo nostro Signore, che non ha esitato a dare ad essi, come agli Apostoli, una missione decisiva per la vita della Chiesa in tutti i tempi: la santificazione del popolo santo di Dio. In conclusione, al vertice di questa comunione rimane il Vescovo, che esercita il potere conferitogli dalla “pienezza” del sacramento dell'Ordine da lui ricevuta come un servizio d'amore, partecipazione, secondo un modo proprio, della carità infusa nella Chiesa dallo Spirito Santo (cf. Rm 5,5). Mosso dalla coscienza di questa carità il Vescovo, imitato dal presbitero, agirà non in modo individualistico e assolutistico, ma “nella comunione gerarchica col capo e con le membra del Collegio Episcopale” (LG 21). È certo che la comunione di tutti Vescovi, uniti tra loro e con il Romano Pontefice, e proporzionalmente quella dei presbiteri e dei diaconi, manifesta nel modo più alto l'unità di tutta la Chiesa, come comunità d'amore, in tutto il mondo intero, per poi, essere riuniti in un tutt’uno con il Regno dei Cieli.

CAPITOLO II
La Successione Apostolica, identità di ogni Vescovo

Bisogna innanzitutto fare una premessa generale, prima di addentraci seriamente nell’argomento. Che cos’è una Successione Apostolica? La Successione Apostolica è il lignaggio apostolico che parte da Gesù Cristo, trasmesso ai dodici Apostoli e continua imperturbato fino ai nostri giorni nella Tradizione Apostolica. Quindi i Vescovi vengono definiti: Successori degli Apostoli “Apostolorum Successores”, e “Vicari di Cristo in terra” per istituzione divina, mediante la discesa dello Spirito Santo che è loro conferito nella liturgia della consacrazione episcopale, sono quindi, costituiti Pastori della Chiesa, col compito di insegnare, santificare e guidare, in comunione gerarchica col Successore di Pietro e con gli altri membri del Collegio Episcopale. Il titolo di “Successore degli Apostoli” è alla base principale del ministero pastorale del Vescovo e della sua missione nella Chiesa e ben definisce la sua figura e la sua missione. I Vescovi, in quanto inseriti nel Collegio Episcopale, che succede al Collegio Apostolico, sono intimamente uniti a Cristo Gesù, che continua a scegliere e a mandare i suoi Apostoli sino ai confini della terra. Il Vescovo, come degno Successore degli Apostoli, in forza della consacrazione episcopale ricevuta validamente e mediante la comunione gerarchica, è il principio visibile e il garante dell’unità della sua Chiesa particolare a cui è stato destinato. Il libro dell’Apocalisse afferma che le mura della nuova Gerusalemme “poggiano su dodici basamenti, sui quali ci sono scritti a caratteri d’oro i nomi dei dodici Apostoli” (Ap 21,14). La Costituzione Dogmatica Lumen Gentium insegna: “I Vescovi per divina istituzione sono succeduti al posto degli Apostoli, quali Pastori della Chiesa, e chi li ascolta, ascolta Cristo, chi li disprezza, disprezza Cristo e Colui che ha mandato Cristo”. L’essere successori degli Apostoli dà ai Vescovi la grazia e la responsabilità di assicurare alla Chiesa la nota dell’apostolicità. Affinché il Vangelo si conservasse sempre integro e vivo nella Chiesa, gli Apostoli lasciarono come successori i Vescovi, affidando ad essi il loro proprio compito di magistero. Per questo motivo i Vescovi, lungo il susseguirsi delle generazioni del tempo e dei secoli, sono chiamati a custodire e a trasmettere la Sacra Scrittura ed a promuovere la Traditio, vale a dire, l’annuncio dell’unico Vangelo e dell’unica fede, nell’integra fedeltà all’insegnamento degli Apostoli; allo stesso tempo, sono tenuti ad illuminare con la luce del Vangelo le questioni nuove che i cambiamenti delle situazioni storiche dell’umanità continuamente presentano, cambiamenti in questioni culturali, sociali ed economiche, scientifiche e tecnologiche, ecc.. I Vescovi, inoltre, hanno il compito di santificare e di guidare il Popolo santo di Dio una “cum et sub Petro”, in continuità con l’opera svolta dai Vescovi loro predecessori e con dinamismo missionario dell’intera Chiesa.
Secondo quanto è riportato nel catechismo della Chiesa cattolica, la chiesa è apostolica perché:
  • è fondata sugli Apostoli, e ciò in un triplice senso:
essa è stata e rimane costruita sul "fondamento degli Apostoli" (Ef 2,20), testimoni scelti e mandati in missione da Cristo stesso;
custodisce e trasmette, con l'aiuto dello Spirito che abita in essa, l'insegnamento, il buon deposito, le sane parole udite dagli Apostoli;
  • fino al ritorno di Cristo, continua ad essere istruita, santificata e guidata dagli Apostoli grazie ai loro successori nella missione pastorale: il collegio dei vescovi, "coadiuvato dai sacerdoti ed unito al successore di Pietro e supremo pastore della Chiesa" (Concilio Ecumenico Vaticano II, Ad gentes, 5)».
Ora addentrandoci seriamente nell’argomento. Nell'insegnamento della teologia cattolica d'oggi, si intende per apostolicità la proprietà mediante cui la Chiesa conserva, lungo i secoli, la sua identità fondamentale con la Chiesa degli Apostoli. Questa apostolicità consta di due componenti essenziali: l'apostolicità di ministero e l'apostolicità di vita e di dottrina. La prima sta nel fatto della successione ininterrotta di ministri a capo delle comunità; la seconda è costituita dalla conservazione della forma di vita e di dottrina trasmessa dagli Apostoli. Pertanto, affinché ci sia apostolicità, e più specificamente, perché una Chiesa sia ritenuta apostolica, non basta che a capo di questa Chiesa ci sia un Vescovo: si richiede inoltre he questo Vescovo conservi la forma di vita e di dottrina che ci hanno tramandato gli Apostoli. È importante sottolineare che queste due forme o componenti della apostolicità vanno tenute sempre unite nella “teologia dell'apostolicità” e della successione apostolica, come è documentato abbondantemente dalla più antica e più ricca tradizione della Chiesa Cattolica. D'altra parte, bisogna anche affermare che, la successione apostolica è necessaria nella Chiesa per mantenere e assicurare l'apostolicità della Chiesa medesima. E questo per un motivo che si comprende subito: la presenza di ministri, stabiliti ufficialmente nella comunità, è necessaria perché, il ministero rappresenta l'elemento dall'alto, ovverosia, che non proviene dalla comunità, per vegliare su di essa, per esortarla e perfino, sé è necessario, correggerla. Però, bisogna sempre tener presente, in tutto questo, che l'autenticità del ministero ecclesiale non può essere garantita dal solo fatto che il ministro abbia ricevuto validamente l'imposizione delle mani. Più importante ancora di questo gesto è quello che si intende esprimere con esso: da una parte, che il ministero non proviene dalla comunità, ma viene dall'alto, quindi, è un dono di Dio, che chiama l’eletto al compimento della Sua volontà, (divina); da un'altra parte, che il ministero è ricevuto ed accettato dalla Chiesa, in modo tale che, come sappiamo bene, il ricevimento e l'accettazione ecclesiale sono il criterio determinante ed ultimo dell'autenticità di un dato ministero. Qui, però, c'è da chiarire un punto importante: il rapporto tra la successione apostolica e la successione episcopale. Da una parte, che i Vescovi siano «i successori degli apostoli» è un dato affermato in modo tale dalla tradizione e dal Magistero della Chiesa che si impone come un dato di Fede. Però, d'altra parte, bisogna dire, con tutta chiarezza, che non è la stessa cosa parlare di successione apostolica e parlare di successione episcopale. Durante il I e II secolo, sappiamo con certezza che c'era la successione apostolica, ma non sappiamo se c'era o se non c'era la successione episcopale in molte comunità cristiane. Dal III secolo in poi, sappiamo che la successione episcopale è stata la forma storica e concreta che ha ricevuto e assunto la successione apostolica nella Chiesa. Conseguentemente, quando diciamo che l'apostolicità appartiene alla struttura della Chiesa, vogliamo dire, tra l'altro, che l'esistenza di ministri, ufficialmente stabiliti in ogni comunità ecclesiale, è un dato che appartiene alla struttura della Chiesa medesima. Pertanto, la presenza di questi ministri, in ogni comunità ecclesiale, è un fatto e un elemento che non deve mancare in nessuna comunità di credenti in Cristo. Perciò, quando diciamo che nelle comunità cristiane ci devono essere ministeri e ministri ufficialmente stabiliti, vogliamo dire che questo fatto è un dato che non appartiene soltanto all'organizzazione della Chiesa e di ogni comunità, ma, prima ancora, si tratta di un elemento essenzialmente costitutivo della struttura stessa della Chiesa. Perciò se una comunità rifiutasse non tanto un dato ministro, ma il fatto stesso del ministero, essa cesserebbe di essere una vera comunità di credenti, cioè, cesserebbe di essere Chiesa. Di conseguenza, si deve dire che appartiene alla struttura della Chiesa non solo l'apostolicità della Chiesa stessa, ma anche il fatto della successione apostolica avvenuta storicamente e che continua nella successione episcopale. Invece, all'organizzazione della Chiesa appartiene il fatto storico che la successione episcopale si è concretizzata e realizzata attraverso forme storiche che questi ministeri sono andati acquistando col tempo e nel corso dei secoli. Infine, bisogna osservare che qui intendiamo per struttura quanto c'è di divino e di immutabile nella Chiesa, mentre per organizzazione intendiamo quanto c'è di umano e mutevole nella medesima Chiesa. Pertanto, la struttura è l'elemento che viene dall'alto, mentre l'organizzazione è quello che viene dal basso. Conseguentemente, la struttura è ciò che nella Chiesa deve rimanere intatto lungo i secoli, appunto perché viene dall'alto, vale a dire, da Dio stesso, mentre l'organizzazione può, e alle volte deve essere cambiata, perché è una realtà umana, cioè, una realtà che viene dal basso. Stando così le cose, la struttura divina della Chiesa è intoccabile che consiste nella sua apostolicità, mentre l'organizzazione umana è il complesso di forme storiche e di realizzazioni concrete che la struttura acquista nello spazio e nel tempo, servendosi del Codice di Diritto Canonico. Pertanto, intendiamo per apostolicità l'elemento divino e intoccabile che Dio stesso ha elargito come dono alla sua Chiesa e che, perciò, deve rimanere intatto fino alla fine dei tempi. Invece, tutto ciò che non è l'apostolicità in sé stessa è il complesso di forme storiche e mutevoli che entrano nel concetto di organizzazione. Esse non sono altro che il risultato dell'iniziativa umana lungo la storia, anche se in certi momenti questa iniziativa umana può godere di una speciale assistenza divina, soprattutto in quei casi in cui, come insegna la dottrina ufficiale della Chiesa, il Magistero Ecclesiastico è infallibile: si tratta in sostanza dell'infallibilità del Romano Pontefice, del Concilio Ecumenico Vaticano II, e di tutto il Magistero Ordinario.

CAPITOLO III
Il Vescovo nel Cuore di Cristo e della Sua Santa e Apostolica Chiesa

Identità e missione del Vescovo all’interno della Chiesa, nel considerare sé stesso ed i suoi compiti, deve tener presente come centro che delinea la sua vera ed autentica identità, la sua missione, il mistero di Cristo e le caratteristiche che il Signore Gesù durate la sua vita sulla terra volle per la sua Chiesa, “un popolo adunato nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”. Pastore e Vescovo delle anime (cf. 1P 2,25), che il Vescovo comprenderà sempre più profondamente il mistero della Chiesa, nella quale la grazia della sua consacrazione episcopale lo ha posto come maestro, sacerdote e pastore per guidarla con la sua stessa potestà, nell’umiltà e nella preghiera. È considerato nella Chiesa come, Vicario del “Pastore grande delle pecore”, Gesù nostro Signore, il Vescovo deve manifestare con la sua vita, la sua morale e con il suo ministero episcopale la paternità di Dio, la bontà, la sollecitudine, la misericordia, la dolcezza e l’autorevolezza di Cristo, che è venuto per dare la sua vita sulla Croce, per fare di tutti gli uomini una sola famiglia, riconciliata nell’amore della Santissima Trinità. Deve quindi manifestare anche la perenne vitalità dello Spirito Santo, che anima la Chiesa e la sostiene nell’umana debolezza. Questa indole trinitaria dell’essere e dell’agire del Vescovo ha la sua radice nella vita stessa di Cristo. Egli è il Figlio Eterno ed Unigenito del Padre, l’Increato, da sempre nel suo seno (cf. Gv 1,18) e l’unto di Spirito Santo, mandato nel mondo, per salvarlo dalla dannazione eterna (cf. Mt 11,27 Gv 15,26 16,13-14). Alcune immagini vive della funzione del Vescovo sono tratte dalla Sacra Scrittura e dalla Tradizione della Chiesa, quali: del pastore, del pescatore, del padre, del fratello, dell’amico, del portatore di conforto, del servitore, del maestro, dell’uomo forte, del “sacramentum bonitatis”, rimandano a Gesù Cristo e mostrano il Vescovo come un uomo di fede e di discernimento, di speranza e di impegno reale, di mitezza e di comunione. Tra le diverse figurazioni quella del pastore, con particolare eloquenza, illustra l’insieme del ministero episcopale, in quanto manifesta il suo significato, il suo fine, il suo stile, ed il suo dinamismo come evangelizzatore e missionario. Cristo Buon Pastore indica al Vescovo la quotidiana fedeltà alla propria missione, la piena e serena dedizione alla Chiesa, la gioia di condurre verso il Signore il Popolo di Dio che gli viene affidato e la felicità nell’accogliere nell’unità della comunione ecclesiale tutti i figli di Dio dispersi sulla terra (cf. Mt 15,24 Mt 10,6). Nella contemplazione dell’icona evangelica del Buon Pastore, il Vescovo trova il senso del dono continuo di sé, ricordando che il Buon Pastore ha offerto la vita per salvare da morte eterna il suo gregge (cf. Gv 10,11) ed è venuto per servire e non per essere servito (cf. Mt 20,28); inoltre, vi trova la fonte del ministero pastorale per cui le tre funzioni, di insegnare, santificare e governare, debbono essere esercitate con i tratti caratteristici del Buon Pastore. Quindi, per svolgere, un fecondo ministero episcopale, il Vescovo è chiamato ad uniformarsi a Cristo in maniera tutta speciale nella sua vita personale e nell’esercizio del ministero apostolico, così che il “pensiero di Cristo” (1Co 2,16) pervada totalmente la sua mente, rafforzi le sue idee, santifica i suoi sentimenti, fortifichi i suoi comportamenti, e la luce che promana dal volto di Cristo illumini “il governo delle anime che è l’arte delle arti”. Questo impegno interiore ravviva nell’esistenza del Vescovo la speranza di ricevere da Cristo il premio eterno, quando verrà a radunare e a giudicare tutte le genti come Pastore Universale e Giudice Supremo (cf. Mt 25,31-46), con la “corona di gloria che non appassisce” (1P 5,4). Sarà questa fiducia a guidare il cammino del Vescovo lungo il suo ministero, ad illuminare le sue giornate, ad alimentare la sua spiritualità, a nutrire la sua fiducia, a sostenere la sua lotta contro il male che si dilaga nel mondo come un uragano senza sosta e, combattere l’ingiustizia contro coloro che sono indifesi, nella piena certezza che insieme ai fratelli contemplerà un giorno l’Agnello Immolato, il Pastore che conduce tutti alla fonte della vita senza fine, e della Beatitudine di Dio in Paradiso (cf. Ap 7,17). La Chiesa è quindi considerata il Corpo mistico di Cristo e del popolo santo di Dio. La Costituzione Dogmatica della “Lumen Gentium” riporta alcune immagini che illustrano il mistero della Chiesa e se ne evidenziano le note caratteristiche, dove si rivela l’inscindibile legame che il popolo di Dio ha con Gesù Cristo. Tra queste spiccano quella del Corpo mistico, di cui Cristo è il Capo, e quella del popolo di Dio sono le sua membra, che raccoglie in sé tutti: i pastori e i fedeli, che sono uniti intimamente dallo stesso Battesimo. Questo immenso popolo ha per capo invincibile Cristo, il quale è stato “messo a morte nella carne per purificare i nostri peccati, è stato risuscitato dai morti per la nostra giustificazione” (Rm 4,25); ha ridato la condizione, la dignità e la libertà dei figli di Dio, nel cui cuore come in un tempio dimora la Terza Persona della Santissima Trinità lo Spirito Santo; ha instaurato nel mondo come legge il nuovo comandamento dell’amore, “ama il prossimo tuo come te stesso” e, ha istaurato il Regno di Dio sulla terra. Questa sua Chiesa, è una e unica, per questo evidente motivo; nostro Signore Gesù Cristo la diede da pascere a Pietro il Primo degli Apostoli (cf. Gv 21,17) e agli altri Apostoli, ha affidato loro la diffusione, il mantenimento e il governo, (cf. Mt 28,18-20) e la costituì per sempre colonna e sostegno della verità assoluta (cf. 1Tm 3,15). Ora a tutti i membri di questo popolo, che Cristo ha dotato di doni gerarchici e carismatici, li ha costituiti in una comunione di vita, di carità e di verità, li ha insigniti della dignità sacerdotale (cf. Ap 1,6; Ap 5,9-10), sono stati da Lui consacrati mediante il Battesimo perché offrano sacrifici spirituali mediante tutta la loro attività, e inviati come luce del mondo e sale della terra (cf. Mt 5,13-16) per ammaestrare, proclamare le opere meravigliose di Colui che li ha chiamati dalle tenebre alla sua ammirabile luce di salvezza (cf. 1P 2,4-10). Alcuni membri del Corpo di Cristo, tuttavia vengono consacrati, mediante il sacramento dell’Ordine, per esercitare il sacerdozio ministeriale. Il sacerdozio comune e quello ministeriale o gerarchico differiscono essenzialmente tra loro, anche se sono ordinati l’uno all’altro, poiché ciascuno di essi partecipa a titolo differente all’unico sacerdozio di Cristo. “Il sacerdozio ministeriale, con la potestà sacra con cui è investito, forma e regge il popolo sacerdotale, compie il sacrificio eucaristico tutti i giorni della sua vita terrena ‘in persona Christi’ e l’offre a Dio Padre a nome di tutto il popolo. Invece, i fedeli, in virtù del regale loro sacerdozio comune, concorrono all’oblazione dell’Eucaristia e lo esercitano con il ricevere i sacramenti, con la preghiera e il ringraziamento, con la testimonianza di una vita santa, con l’abnegazione e l’operosa carità verso il proprio prossimo”. Il Popolo di Dio non è solo una comunità di genti diverse che partecipano con gioia allo stesso sacrificio santificante di Cristo mediante l’Eucaristia, ma nel suo stesso interno si compone anche di diverse parti: le Chiese particolari, formate ad immagine della Chiesa universale, nelle quali e dalle quali è costituita l’una ed unica Chiesa Cattolica. Secondo il Documento del Magistero della Chiesa, la “Dominus Iesus” scritta dal Cardinale Joseph Ratzinger, l’attuale Papa Benedetto XVI, cita al paragrafo 17: “Le Chiese che, pur non essendo in perfetta comunione con la Chiesa Cattolica, restano unite ad essa per mezzo di strettissimi vincoli, quali la successione apostolica e la valida Eucaristia, sono vere Chiese particolari”. La Chiesa particolare è affidata al Vescovo, che è principio e fondamento visibile di unità, ed è attraverso la sua comunione gerarchica con il capo e gli altri membri del Collegio episcopale che la Chiesa particolare si inserisce nella “plena communio ecclesiarum” dell’unica Chiesa di Cristo, solo che alcuni casi non e propriamente così, quindi, questo non vuol dire che non appartenga alla Chiesa Cattolica, ma ne fa pienamente parte. Per questo, l’intero Corpo mistico di Cristo è anche un corpo di Chiese, tra le quali si genera un’ammirevole reciprocità, giacché la ricchezza di vita e di opere di ciascuna sovrabbonda nel bene di tutta la Chiesa e alla copiosità soprannaturale di tutto il Corpo partecipano lo stesso pastore che ne è alla guida e tutto il suo gregge che gli è stato affidato. Queste Chiese particolari sono anche “nella” e “a partire dalla” Chiesa, che in esse “si trova e opera veramente Cristo”. Per questo motivo, il Successore di Pietro, Capo del Collegio Episcopale, ed il Corpo dei Vescovi sono elementi propri e costitutivi di ciascuna Chiesa particolare. Il governo del Vescovo e la vita diocesana o di una Prelatura debbono manifestare la reciproca comunione con il Romano Pontefice e con il Collegio Apostolico, nonché con le Chiese particolari sorelle, particolarmente con quelle che sono presenti nello stesso territorio. La Chiesa è considerata Sacramento di salvezza in quanto, per mezzo della sua visibilità, Cristo è presente tra gli uomini e continua la sua missione, donando ai fedeli il suo Spirito Santo. Il corpo della Chiesa si distingue pertanto da tutte le società umane; infatti, non sulle capacità personali dei suoi membri essa si regge, ma sull’intima unione con Cristo, da cui riceve la Grazia Santificante e comunica agli uomini la vita e l’energia per sconfiggere il male. La Chiesa non solo significa l’intima unione con Dio, essa è definita come l’unità di tutto il genere umano, segno efficace e sacramento di salvezza fino alla fine dei secoli. Le funzioni della Chiesa e le note essenziali che la definiscono Una e Santa, Cattolica e Apostolica, rivelano che essa nella sua dimensione più intima, è un mistero di comunione, innanzitutto con la Santissima Trinità, perché, come ci insegna da sempre il Concilio Vaticano II “i fedeli, uniti al Vescovo, hanno accesso a Dio Padre per mezzo del Figlio, Verbo incarnato, morto e glorificato, nell’effusione dello Spirito Santo, ed entrano in comunione con la Santissima Trinità”. La comunione sta nel cuore dell’autoconoscenza della Chiesa come un legame intimo che la esprime in che modo la realtà umana, la comunità dei Santi, esprimono la vera realtà della Chiesa particolare. La comunione ecclesiale è comunione di vita, di carità e di verità, in quanto sussiste un fermo ed evidente legame dell’uomo con Dio, fonda una nuova relazione tra gli uomini stessi e manifesta l’autentica e originale natura sacramentale della Chiesa. La Chiesa è “la casa e la scuola della comunione con Dio”, che si edifica intorno alla Santa Eucaristia, sacramento fondamentale della comunione ecclesiale, dove “partecipando realmente del Corpo e del Sangue di Cristo, siamo elevati alla comunione con Lui e tra di noi”; allo stesso tempo, l’Eucaristia è l’epifania eterna della Chiesa, dove viene manifestato il suo carattere Trinitario. La Chiesa ha la missione di annunziare e propagare il Regno di Dio fino agli estremi confini della terra, affinché tutti gli uomini di buona volontà. credano in Cristo e così conseguano la vita eterna. La Chiesa è pertanto anche missionaria. Difatti, “la missione propria, che Cristo ha affidato alla sua Chiesa, non è di ordine politico o economico e sociale: il fine, che le ha prefisso è di ordine religioso e strettamente morale. Eppure, proprio da questa missione religiosa scaturiscono dei compiti ben precisi, della luce e delle forze che possono contribuire a costruire e a consolidare la comunità degli uomini secondo la Legge divina”. Il Vescovo, visibile principio di unità nella sua Chiesa, è chiamato a edificare incessantemente la Chiesa particolare nella comunione di tutti i suoi membri e, di questi, con la Chiesa Universale, vigilando, affinché, i diversi doni e ministeri contribuiscano alla comune edificazione dei credenti ed alla diffusione del Vangelo in tutti gli estremi confini della terra. Quindi, quale maestro della fede, santificatore e guida spirituale, il Vescovo sa di poter contare su una speciale grazia divina, conferitagli nel Rito dell’ordinazione episcopale. Tale grazia lo sostiene nel suo spendersi per il Regno di Dio, per la salvezza eterna degli uomini e anche nel suo impegno per costruire la storia con la forza del Vangelo, dando senso al cammino dell’uomo nel corso del tempo e negli avvenimenti passati e futuri. Per concludere, «Il vescovo che non prega, che non ascolta la Parola di Dio, che non celebra tutti i giorni, che non va a confessarsi regolarmente, e lo stesso vale per il sacerdote che non fa queste cose, alla lunga perdono l’unione con Gesù e diventano di una mediocrità che non fa bene né alla Chiesa, né al popolo di Dio. Per questo dobbiamo aiutare i vescovi e i sacerdoti a pregare, ad ascoltare la Parola di Dio che è il pasto quotidiano, a celebrare ogni giorno l’Eucaristia e andare a confessarsi abitualmente. Questo è tanto importante perché riguarda proprio la santificazione dei vescovi e dei sacerdoti», perché anch’essi un giorno a conclusione della loro vita mortale, dovranno dare conto delle loro azioni davanti al Signore Gesù Cristo, che li premierà con la Vita in Beatitudine, o li condannerà alla dannazione eterna senza fine.

CAPITOLO IV
Il Deposito della Fede (depositum fidei)
 

Nella dottrina della Chiesa cattolica, con l'espressione deposito della fede (dal latino depositum fidei), si intende quell'unico patrimonio di tutte le verità, sia in ordine alla conoscenza, quindi la fede, che al comportamento morale, insegnate da Gesù, mediatore e pienezza della Rivelazione, nei tre anni della Sua predicazione, agli Apostoli e, da questi, trasmesse nel corso del tempo e dei secoli al Collegio dei Vescovi quali loro successori. Tali verità costituiscono il principio e il fondamento principale da cui attinge il Magistero della Chiesa, che non potendo aggiungere nulla a quanto, almeno implicitamente è già contenuto nella Rivelazione, rimangono infallibili come tali. Quindi la verità progredisce all’interno della Chiesa lungo i secoli con l'assistenza dello Spirito Santo. Quindi, Episcopato e fedeli cattolici sono chiamati a ritenere, praticare e professare concordemente la fede trasmessa dagli Apostoli. Il concorde insegnamento del magistero ordinario e la fede consenziente del popolo cristiano da sé stesso manifesta in modo certo ed infallibile che una certa verità è rivelata da Dio ai Profeti, e per mezzo di Gesù Cristo al mondo intero. Con il termine "deposito" (in greco parathēkē) si vuole significare che la Chiesa nel corso dei secoli non aggiunge nulla alla Rivelazione di Gesù, ma la trasmette fedelmente come un bene ricevuto in custodia. Il termine parathēkē è presente solo tre volte in tutto il Nuovo Testamento, ed è sempre accostato al termine phylassein (custodire), come a sottolineare il dovere di ascoltare, conservare e poi restituire o addirittura trasmettere intatto quanto Gesù ha affidato ai suoi Dodici Apostoli. Con la morte dell'ultimo degli Apostoli, S. Giovanni, si considera conclusa la Rivelazione pubblica; alle verità da essi insegnate non è più possibile "aggiungere" nulla di quanto è stato già scritto o raccontato. Ma di queste verità la Chiesa non ha avuto fin dall'inizio, una piena ed esatta comprensione; solo nel corso dei secoli ne prende coscienza in misura sempre maggiore. “Questa Tradizione di origine apostolica progredisce nella Chiesa con l'assistenza e l’ausilio dello Spirito Santo”. Perciò la Chiesa può all'occorrenza definire nuovi Dogmi che non sono "aggiunti" al Deposito della fede, ma piuttosto chiarificazioni di questioni ancora non pienamente comprese o non ancora accettate da tutti. Ad esempio; il dogma dell'Assunzione di Maria Santissima, seppure proclamato soltanto nel 1950, esprime una Verità di Fede le cui prime testimonianze scritte risalgono addirittura al IV secolo. Ma all’interno della Costituzione Dogmatica “Munificentissimus Deus”, promulgata da Papa Pio XII il 1° novembre 1950, evidenzia inoltre come il dogma sia fondato sulla Parola di Dio e dichiara perciò, con l'autorità della Chiesa tale verità, come rivelata. Infatti, l'insegnamento della Chiesa non si limita al contenuto dei Libri Sacri, ma comprende anche tutto ciò che è stato trasmesso in forma orale e tutto ciò di cui la Chiesa ha preso coscienza nel corso dei secoli. Quindi, la trasmissione del Deposito della fede non avviene solo tramite tutto ciò che è scritto, vale a dire, la Sacra Scrittura, ma anche e soprattutto attraverso la Tradizione. Volendo stabilire un confronto tra le due Fonti della Rivelazione è doveroso osservare che la Tradizione:
  • cronologicamente precede la Sacra Scrittura;
  • presenta autorevolmente la S. Scrittura, in quanto ne fissa il Canone e ne garantisce la divina ispirazione con la conseguente inerranza;
  • completa la S. Scrittura, che da sola non è una sintesi compiuta delle verità rivelate;
  • interpreta il senso della S. Scrittura, incapace di spiegarsi da sé.
  • Dunque, la Sacra Scrittura non può stare senza la vicinanza della Tradizione (cfr. DV 8-9).
A questo punto, come abbiamo precedentemente espresso, il Deposito della Fede è costituito da tutte quelle verità che la Chiesa custodisce e trasmette, e da cui il Magistero attinge tutto ciò che propone ai fedeli di credere senza riscontrare in esse nessuna forma di dubbio. Tali verità sono già tutte contenute nella Sacra Tradizione e nella Sacra Scrittura, ma non sono ancora completamente esplicitate. "La Chiesa, nel corso dei secoli, tende incessantemente alla pienezza della verità divina", e arricchisce continuamente il suo magistero con pronunciamenti ufficiali e Dogmi di Fede. A questo proposito il Concilio Vaticano II, nella Costituzione Dogmatica la Dei Verbum, chiarisce definitivamente dicendo: "La sacra Tradizione e la sacra Scrittura costituiscono un solo sacro deposito della Parola di Dio affidato alla Chiesa". Il Concilio di Trento, da quanto traspare nei suoi pronunciamenti, identifica i tre principi e fondamenti della fede cristiana cattolica:
  • nei libri sacri dell'Antico Testamento, che furono scritti sotto l'ispirazione dello Spirito Santo;
  • in Cristo, che ha piantato il suo Vangelo, non per iscritto ma oralmente, non sulla carta ma nei cuori di ogni uomo sulla terra. Da ciò che emanò da Cristo (quae a Christo emanarunt) furono scritte alcune cose, altre rimasero nel cuore degli uomini. Questo secondo principio della fede, viene comunemente chiamato rivelazione pubblica, in quanto il divino si è manifestato all'uomo pubblicamente, assumendo la natura umana, ed è costituito dai libri Sacri del Nuovo Testamento e dalla Sacra Tradizione della Chiesa.
  • a ciò si aggiunge come terzo principio (tertium autem) il fatto seguente: poiché il Figlio dell'uomo non doveva rimanere per sempre tra di noi, egli mandò il suo Spirito Santo nel mondo, il quale doveva spiegare i misteri di Dio e tutto ciò che per l'uomo era rimasto ancorato nel dubbio. Da qui le parole di Gesù riferite dall'Apostolo Giovanni:” Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera” (Gv 16,12-13).
“L'ufficio poi di interpretare autenticamente la parola di Dio scritta o trasmessa è affidata al solo Magistero vivo della Chiesa, la cui autorità è esercitata nel nome di Gesù Cristo”. Ecco che la Chiesa, con il suo Magistero, illumina i fedeli circa le verità da credere e dal Deposito della Fede, si "attinge tutto ciò che propone a credere come rivelato da Dio”, al mondo intero. Le rivelazioni private, comprese quelle riconosciute dall'autorità della Chiesa Cattolica, non appartengono al Deposito della Fede. Nelle due costituzioni dogmatiche del Concilio Vaticano II relative alla divina rivelazione e alla Chiesa, rispettivamente: Dei verbum e Lumen Gentium, non si fa menzione delle rivelazioni private. Si sono accavallate dal Concilio di Trento in poi, autorevoli opinioni di indirizzo diverso sulla natura dell'adesione, di sola fede umana o di fede divina, che ad esse sia dovuta. La materia non è ancora definita dogma, ma qualsiasi rivelazione che pretenda di superare o di correggere la Rivelazione di cui Cristo è il suo compimento non può essere considerata accettabile da nessun punto di vista. Bisogna anche aggiungere che, non tutte le verità di Fede vengono proposte dal Magistero con lo stesso grado di certezza. Esistono pronunciamenti dogmatici che sono infallibili ed altri irriformabili; altri ordinari come ad esempio: le sentenze prossime o pertinenti alla fede. Infine, esistono le cosiddette opinioni teologiche, dove la materia non è ancora ben definita, quindi, il Magistero non si è ancora pronunciato in maniera solenne, né tantomeno nelle sue funzioni ordinarie. A questo punto, i teologi presentano le loro conclusioni che a volte risultano anche essere in disaccordo o una forte contraddizione fra loro stessi. Il Magistero papale, quindi, nella sua forma comune ed ordinaria non è infallibile. Anche le decisioni delle varie e rispettive Congregazioni non sono infallibili. Non di meno, esse sono da accogliersi con l'assenso interno sgorgante dall'obbedienza all’autentico Magistero ecclesiastico. Per questo, si deve credere con “fede divina” e “cattolica” a tutto ciò che la Chiesa propone e annuncia a credere come: “divinamente rivelato da parte di Dio e da Gesù Cristo” sia con un giudizio solenne, sia con un magistero ordinario ed universale. Però, in via eccezionale, per i pronunciamenti diversi da quelli infallibili, “può cessare l'obbligo dell'assenso interno quando un competente in materia, avendone coscienziosamente esaminato tutti i motivi, giungesse alla sicura convinzione che la decisione del magistero ecclesiastico poggia su uno o più determinanti errori, che potrebbero portare in confusione il popolo di Dio”. A questo punto del nostro argomento, possiamo riassumere e schematizzare i gradi della Fede nella seguente tabella qui ivi riportata:
Il magistero solenne, il grado massimo, infallibile e irriformabile, da credere con fede divina e cattolica:
  • Proclamazioni di dogmi di fede;
  • Verità solennemente proclamate da un Concilio Generale;
  • Le Canonizzazioni;
  • Il magistero ordinario, il grado intermedio, non infallibile
Da credere con fede divina e cattolica:
  • Lettere encicliche di magistero ordinario;
  • I Catechismi approvati dai Vescovi;
  • Decisioni delle congregazioni romane;
  • Le Sentenze pertinenti alla fede o teologicamente certe (sententiae ad fidem pertinentes vel theologice certae); la cui verità è garantita dal loro intimo rapporto con la rivelazione;
  • Le Sentenze prossime alla fede (sententiae fidei proximae); ritenute dalla quasi totalità dei teologi come verità rivelate, ma che la Chiesa non ha ancora proclamato tali dogmaticamente;
Le opinioni teologiche, minor grado di credibilità, fallibili, dove non c'è l'obbligo di credere con fede divina e cattolica:
  • La Sentenza comune appartiene per sé alle libere opinioni ma è sostenuta comunemente dai teologi;
  • La Pia Sentenza, quando è comunemente riconosciuta nella Chiesa;
  • La Sentenza ben fondata, quando è teologicamente fondata;
  • La Sentenza più probabile ha una sicura priorità sulle altre;
  • La Sentenza probabile ha una priorità sulle altre;
  • L'Opinione tollerata; essa ha il minimo grado di credibilità poiché è solo debolmente fondata ma è tollerata dalla Chiesa.
Infine, nel senso negativo esistono poi le cosiddette censure teologiche ovvero dei giudizi per mezzo dei quali alcune proposizioni concernenti la dottrina o la morale della Chiesa cattolica vengono designate come contrarie alla fede o almeno pericolose, sia per il Magistero che per i fedeli del popolo santo di Dio. Un altro elemento fondamentale che è presente nel Deposito della Fede, e la questione importante dell’infallibilità del Romano Pontefice, che la Chiesa lo ha definito un autentico Dogma della Fede. Il Papa, «quando parla ex cathedra, vale a dire, è quando esercita il suo supremo ufficio di Pastore e di Dottore di tutti i cristiani, e in forza del suo supremo potere Apostolico definisce una dottrina circa la fede e i costumi vincola tutta la Chiesa, per la divina assistenza a lui promessa nella persona del Beato Apostolo Pietro, quindi, gode di quell'infallibilità con cui il Divino Redentore volle fosse corredata la sua Chiesa nel definire la dottrina intorno alla fede e ai costumi: pertanto tali definizioni del Romano Pontefice sono immutabili per sé stesse, e non per il consenso della Santa Cattolica e Apostolica Chiesa». Non è invece infallibile, quando insegna come dottore privato, esprimendo opinioni personali, rivolgendosi a particolari gruppi di fedeli, riferendosi a rami del sapere estranei al Deposito della Fede. Questa limitazione è indicata nella stessa definizione dogmatica del Concilio Vaticano I, che dichiara il Papa infallibile solo come persona pubblica, ossia quando insegna come pastore e dottore universale: «cum omnium Christianorum pastoris et doctoris munere fungens» (sess. IV, c. 4, o Denzinger, 3074). In conclusione, l’ultimo tassello da analizzare è: il senso della fede, dal latino sensus fidei. È una grazia tramite la quale la totalità dei fedeli, avendo l'unzione che viene dallo Spirito Santo, (cfr. 1 Gv 2,20 e 27), non può sbagliarsi in tutto ciò che bisogna credere, altrimenti verrebbe compromessa una qualche verità custodita nel Deposito della Fede. A tale punto, questo meccanismo implica che: se dai Vescovi fino agli ultimi fedeli laici, c'è l'universale consenso in cose di fede e di morale, allora la dottrina è valida. Viceversa, se la quasi totalità dei fedeli, pastori e laici, cadesse in errore, o addirittura nella consapevole eresia, ci sarebbe sempre un piccolo numero, a volte detto: “il piccolo resto cattolico”, per portare avanti la sana dottrina, preservando l'integrità del Deposito della Fede. Cristo, considerato dal mondo intero, il grande Maestro di Verità e di Vita, adempie in pieno il suo ufficio profetico fino alla piena manifestazione della Sua gloria, non solo per mezzo della gerarchia ecclesiastica, che insegna in nome e con la potestà di Lui, ma anche per mezzo dei laici, che costituisce suoi testimoni, provvedendoli del senso della fede e della grazia della parola (cfr. At 2,17-18; Ap 19,10), perché la forza del Vangelo risplenda nella vita quotidiana, familiare e sociale di ogni uomo, su tutta la faccia della terra.

CAPITOLO V
Gli impegni del vescovo per la Chiesa Universale

In forza della sua appartenenza al Collegio episcopale, il Vescovo ha la sollecitudine per tutte le Chiese, quindi, è legato agli altri membri del Collegio mediante la fraternità episcopale e lo stretto vincolo che unisce i Vescovi al Capo del Collegio; ciò richiede che ciascun Vescovo collabori strettamente e pienamente con il Romano Pontefice, Capo del Collegio episcopale, al quale, per l’ufficio primaziale su tutta la Chiesa, è affidato il compito di portare a tutti i popoli la luce del Vangelo. In primo luogo, il Vescovo dovrà effettivamente essere segno e promotore di unità nella Chiesa particolare che egli rappresenta in seno alla Chiesa universale. Egli dovrà avere quella sollecitudine per tutta la Chiesa, che, anche se non è esercitata individualmente su concreti fedeli con la potestà di giurisdizione, contribuisce al bene di tutto il popolo di Dio. Per questo motivo che il Vescovo dovrà “promuovere e difendere l’unità della Fede e la disciplina comune a tutta la Chiesa”, contribuendo al Magistero ordinario della Chiesa e all’adeguata applicazione della disciplina canonica universale, educando i propri fedeli al senso della Chiesa universale e collaborando a promuovere ogni attività comune alla Chiesa. Il Vescovo non dovrà mai in nessun modo dimenticare il principio pastorale secondo il quale, reggendo bene la propria Chiesa particolare, contribuisce al bene spirituale di tutto il popolo di Dio, che è il corpo della Chiesa di Cristo. Oltre alla principale forma istituzionale di collaborazione del Vescovo al bene comune di tutta la Chiesa, nella partecipazione al Concilio Ecumenico, nel quale si esercita in forma solenne e universale la potestà del Collegio episcopale, tale collaborazione si realizza anche nell’esercizio della suprema e universale potestà mediante l’azione congiunta con altri Vescovi, se essa è come tale indetta o liberamente recepita dal Romano Pontefice. Ogni Vescovo ha il diritto e il dovere di assistere e collaborare attivamente all’una o all’altra azione collegiale con la preghiera, lo studio ed esprimendo il suo voto su determinati quesiti o proposte da parte di altri Vescovi. Il Sinodo dei Vescovi offre un prezioso aiuto consultivo alla funzione primaziale del Successore di Pietro, oltre a rafforzare i vincoli di unione tra i membri del Collegio episcopale. Se è chiamato a parteciparvi personalmente, il Vescovo compie l’incarico con zelante applicazione, guardando soltanto alla gloria di Dio e al bene della Chiesa, lasciando lontano da lui eventuali problemi o afflizioni che lo affliggono. Questi stessi sentimenti devono guidarlo nel dare il proprio parere sulle questioni proposte dalla riflessione sinodale o quando si tratta di eleggere, nel seno della propria Conferenza Episcopale, i Vescovi impegnati nel ministero, o i Vescovi emeriti che, per conoscenza ed esperienza della materia, possano rappresentarlo nel Sinodo. La medesima sollecitudine per la Chiesa universale spingerà il Vescovo a presentare al Papa consigli, osservazioni e suggerimenti, a segnalargli eventuali pericoli per la Chiesa, occasioni per iniziative e altre utili indicazioni: così presta un inestimabile servizio al ministero primaziale e un contributo sicuro all’efficacia del governo universale della Chiesa. Alla richiesta di pareri intorno a questioni pastorali o sollecitato a collaborare nella preparazione di documenti di portata universale, specialmente se ricopre l’ufficio di membro o consultore di qualche Dicastero della Curia Romana, il Vescovo risponda con franchezza, dopo un serio studio e una continua meditazione, della materia coram Domino. Se gli viene richiesto di espletare un incarico per l’interesse di tutta la Chiesa, il Vescovo farà il possibile per accettarlo e lo compirà con diligenza, premura e massima attenzione. Consapevole della sua responsabilità per l’unità e totalità della Chiesa e tenendo presente con quanta facilità oggi qualunque dichiarazione venga conosciuta da larghi strati dell’opinione pubblica, il Vescovo si guardi dal mettere in discussione aspetti dottrinali del Magistero autentico, o eventuali segnalazioni disciplinari per non recare danno all’autorità della Chiesa e a quella sua persona; egli ricorra piuttosto agli ordinari canali di comunicazione con la Sede Apostolica e con gli altri Vescovi, se ha questioni da porre al riguardo di aspetti dottrinali o eventuali provvedimenti disciplinari. Come effetto della sua consacrazione episcopale, della comunione gerarchica e della sua appartenenza al Collegio episcopale e quale segno di unione con Gesù Cristo, il Vescovo tenga nel più gran conto e alimenti con cuore la comunione di carità e di ubbidienza col Romano Pontefice, facendo proprie le sue intenzioni, le iniziative, le gioie e le preoccupazioni e incrementando anche nei fedeli i medesimi filiali sentimenti. Il Vescovo esegua fedelmente le disposizioni dettate dalla Santa Sede e dei vari Dicasteri della Curia Romana, che aiutano con diligenza il Romano Pontefice nella sua missione di servizio alle Chiese particolari e ai loro Pastori. Procuri, inoltre, che i documenti della Santa Sede giungano capillarmente a conoscenza dei sacerdoti o, secondo le circostanze, a tutto il popolo, illustrandone opportunamente il contenuto per renderlo accessibile a tutti. Per dare attuazione nel modo più appropriato ad ogni documento, oltre alle eventuali indicazioni presenti nel medesimo, il Vescovo dovrà studiarne la natura propria (magisteriale, dispositiva, orientativa, ecc.) e il contenuto pastorale; trattandosi di leggi e altre disposizioni normative, occorre speciale attenzione nell’assicurarne l’immediata osservanza dal momento della loro entrata in vigore, eventualmente mediante opportune norme applicative diocesane. Se si tratta di documenti di altro genere, per esempio di orientamento generale, il Vescovo stesso dovrà valutare con prudenza il modo migliore di procedere, in funzione del bene pastorale del suo gregge che gli fu affidato dal Signore Gesù Cristo. Un membro importante e funzionale della Chiesa è il Legato Pontificio. Egli rappresenta il Romano Pontefice davanti alle Chiese particolari e davanti agli Stati. La sua missione non si sovrappone alla funzione dei Vescovi e neppure la ostacola o sostituisce, bensì la favorisce in molte maniere e la sostiene con fraterno consiglio. Pertanto, il Vescovo s’impegni a mantenere con il Rappresentante Pontificio rapporti improntati a sentimenti fraterni e di reciproca confidenza, tanto a livello personale come in unione alla Conferenza Episcopale, e utilizzi i suoi uffici per trasmettere informazioni alla Sede Apostolica e per sollecitare i provvedimenti canonici che ad essa competono. Come forma specifica di collaborazione con il ministero del Romano Pontefice, il Vescovo, insieme agli altri Pastori della provincia ecclesiastica o della Conferenza Episcopale o anche personalmente, segnali alla Sede Apostolica quei sacerdoti che giudica idonei per ricevere la consacrazione episcopale. Nello svolgimento delle previe indagini sui possibili candidati, il Vescovo potrà consultare singolarmente persone informate; ma non consentirà mai che si faccia una consultazione collettiva, in quanto essa metterebbe in pericolo il segreto prescritto dalla legge canonica, necessario quando si tratta del buon nome delle persone, e potrebbe condizionare la libertà del Romano Pontefice nella scelta del più idoneo. “I Vescovi, in ragione del vincolo di unità e di carità, secondo le disponibilità della propria diocesi o se gestiscono una Prelatura Personale, contribuiscano a procurare i mezzi di cui la Sede Apostolica secondo le condizioni dei tempi necessita, per essere in grado di prestare in modo appropriato il suo servizio alla Chiesa universale”. Il Vescovo neppure trascuri quella particolare questua che si chiama Obolo di San Pietro, destinata a far sì che la Chiesa di Roma possa validamente adempiere il suo ufficio di presidenza nella carità universale. Quando le possibilità della diocesi lo permettono e vi siano sacerdoti adatti e preparati che vengano richiesti, il Vescovo li metta a disposizione della Santa Sede ad tempus o in maniera illimitata. Ora, secondo la disciplina canonica, il Vescovo diocesano compie ogni cinque anni l’antica tradizione della Visita “ad Limina”, per onorare i sepolcri dei santi Apostoli Pietro e Paolo e incontrare il Successore di Pietro, il Vescovo di Roma. La visita nei suoi diversi momenti liturgici, pastorali e di fraterno scambio, ha per il Vescovo un preciso significato: accrescere il suo senso di responsabilità come Successore degli Apostoli e rinvigorire la sua comunione con il Successore di Pietro. La visita, inoltre, costituisce anche un momento importante per la vita della stessa Chiesa particolare la quale, per mezzo del proprio rappresentante, consolida i vincoli di fede, di comunione e di disciplina che la legano alla Chiesa di Roma e all’intero corpo ecclesiale. Gli incontri fraterni con il Romano Pontefice e i suoi più stretti collaboratori della Curia Romana, offrono al Vescovo un’occasione privilegiata non solo per fare presente la situazione del proprio ministero e le sue aspettative che ne derivano, ma anche per avere maggiori informazioni circa le speranze, le gioie e le difficoltà della Chiesa universale, per ricevere opportuni consigli e direttive sui problemi del proprio gregge. Tale visita rappresenta un momento centrale anche per il Successore di Pietro che riceve i Vescovi delle Chiese particolari per trattare con essi le questioni riguardanti la loro missione ecclesiale. La visita “ad Limina” è così espressione della sollecitudine pastorale di tutta la Chiesa di Cristo. Per tali motivi, è necessaria una diligente preparazione. Con sufficiente anticipo, non meno di sei mesi, se possibile, il Vescovo si preoccuperà di inviare alla Santa Sede la Relazione sullo stato della diocesi, per la cui redazione dispone del relativo Formulario preparato dalla competente Congregazione per i Vescovi. Detta Relazione dovrà fornire al Romano Pontefice e ai Dicasteri romani un’informazione di prima mano, veritiera, sintetica e precisa, che è di grande utilità per l’esercizio del ministero petrino. Al Vescovo, successivamente, la relazione offrirà un mezzo idoneo per esaminare lo stato della sua Chiesa e per programmare il lavoro pastorale: perciò, conviene che per la sua elaborazione il Vescovo si avvalga dell’aiuto dei suoi più stretti collaboratori nella funzione episcopale, sebbene il suo contributo personale risulti indispensabile, soprattutto negli aspetti che riguardano più da vicino la sua attività ministeriale, per dare una visione d’insieme del lavoro pastorale. La prassi attuale è che le visite si svolgano di regola per le Conferenze Episcopali, o divise in vari gruppi se troppo numerose, evidenziando così l’unione collegiale tra i Vescovi. Benché diversi momenti si svolgano in gruppo, come ad esempio le visite alle tombe degli Apostoli, il discorso del Papa, la riunione con i vari Dicasteri della Curia Romana, è sempre il singolo Vescovo che presenta la relazione e compie la visita a nome della sua Chiesa, incontrando personalmente il Successore di Pietro, ed avendo sempre il diritto e il dovere di comunicare direttamente con lui e con i suoi collaboratori su tutte le questioni riguardanti il suo sacro ministero pastorale.

CONCLUSIONI

I Vescovi sono veri Pastori e giudici nella Fede, così anche loro sono soggetti al Papa senza cessare di essere Vescovi, Pastori e giudici nelle loro singole diocesi o prelature, come il Romano Pontefice lo è in tutta la Santa Chiesa. Quindi i Vescovi come i giudici inferiori non possono emanare una sentenza contraria a quella del Papa, nel caso che egli si sia già pronunciato, ma il loro giudizio deve conformarsi a quello del Papa per essere veramente un buon giudizio (De vi ac ratione, cap. XIII, n. 13). La natura del vero giudizio legale consiste nel fatto che il giudice pronuncia la sentenza con una sufficiente cognizione di causa. Ora quando i Vescovi, in un eventuale Concilio oppure sparsi nelle loro diocesi in tutto il mondo, approvano una dottrina definita dal Papa, pronunciano una sentenza con sufficiente cognizione di causa, sia perché hanno il dovere di studiarla, sia perché sanno che il Papa quando:
  • parla di fede e di morale;
  • come supremo Pastore della Chiesa universale;
  • definisce;
  • obbliga, quindi, non può errare nella Fede.
I Vescovi, come è rivelato nel Vangelo di San Matteo, in quanto successori degli Apostoli hanno ereditato i loro tre poteri, ossia il Magistero, il Ministero Sacro o Sacerdozio e, l’Imperio o Governo: “Andate e ammaestrate tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo e facendo loro osservare quanto vi ho comandato” (Mt., 28, 28). Essi, quindi, sono: 1) “veri doctores seu magistri” (CIC, 1917, can. 1326), che prolungano nel tempo l’insegnamento divino/apostolico e sono, col Romano Pontefice sottomessi a lui, gli autentici custodi e interpreti  della divina Rivelazione, che debbono predicare ai loro fedeli; 2) hanno il potere sacro di santificare v. Pontificale Romano: “Il Vescovo deve consacrare, ordinare, offrire il sacrificio, battezzare e cresimare”; 3) hanno, infine, il potere di giudicare con autorità giurisdizionale: “Lo Spirito Santo  ha posto i Vescovi a governare la Chiesa di Dio” (At., 20, 28). La nostra Fede, compendiata nel Credo e spiegata nel Catechismo della Chiesa Cattolica, ci insegna che il Papa è il Vicario in terra di Gesù Cristo. Egli è la Pietra sulla quale Cristo ha costruito la sua Chiesa e contro la quale “le porte degli inferi non prevarranno”. Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, è un mistero che si definisce come “Unione Ipostatica”. Tale mistero ci disorienta spesso, durante la sua vita e specialmente durante la sua Passione, quando la sua “Natura divina si nascondeva e lasciava trasparire solo quella umana, che soffriva terribilmente” (s. Ignazio da Loyola) ed era “più simile ad un verme che ad un uomo” (Isaia). Gli Apostoli stessi si scandalizzarono, smarrirono lo spirito di Fede e rinnegarono Gesù, non riuscendo a capire ed ammetter che il Messia potesse essere sconfitto e umiliato. La Chiesa è di Cristo che continua nel corso della storia, a svolgere le sue funzioni santificanti. Anch’essa ha un duplice elemento: quello divino, il principio che l’ha fondata Cristo e, il fine cui tende, vale a dire, il Cielo e Dio visto “faccia a faccia”, ed uno umano, le membra di cui è composta, gli uomini sia i semplici fedeli che i Vescovi ne fanno pienamente parte di essa. Quindi bisogna anche aggiungere che nel corso della storia della Chiesa vi sono state pagine gloriose, alcune poco belle, altre addirittura bruttissime da dimenticare. Se non avessimo la virtù teologale della Fede nella sua origine divina e nella protezione di cui la ammanta Gesù: “ogni giorno, sino alla fine del mondo”, rischieremmo di scandalizzarci e perdere la nostra Fede, “senza la quale è impossibile piacere a Dio” dice san Paolo nei suoi scritti. Il Papa è un uomo come tutti gli altri uomini della terra, ma assistito da Dio infallibilmente; però solo a certe specifiche condizioni, che non tolgono o aggiungono nulla alla sua natura umana debole e caduca. San Pietro stesso rinnegò Gesù non una ma ben tre volte con le parole “non conosco quest’uomo”. Quindi, per quanto riguarda Gesù, la Chiesa e il Papa occorre sempre, aver presente il loro duplice elemento: umano e dunque “deficiente”; divino e quindi “impeccabile”. Se si vede solo il primo, si cade nel razionalismo naturalista e si rinnega la Fede teologale, se si fa riferimento solo al secondo si scivola verso un angelismo rigorista e un pneumatismo cataro, che porta egualmente alla rovina, “ogni eccesso è considerato un difetto”. Chi pretende di sapere tutto di tutto e di avere la certezza e l’evidenza di come stiano realmente le cose sbaglia terribilmente; specialmente in una situazione di oscurità e di incertezza come l’attuale, che non ha avuto eguali in tutta la storia della Chiesa. Ogni risposta (anche la mia), “soluzione” o “tentativo” è parziale ed ha le sue ombre e i suoi chiaroscuri. Solo la Chiesa gerarchica potrà dirci la parola definitiva. Quindi “sì non vis errare, noli velle scrutare” (s. Agostino). La crisi conciliare e postconciliare è un “mistero tremendo”; ora il mistero va oltre la ragione umana, la sorpassa, ma non è contro di essa. Dunque, “cerchiamo di rendere certa la nostra elezione, mediante le nostre buone opere” (s. Pietro). Ossia, fare ciò che la Chiesa ha sempre fatto, rifiutando le novità che ci hanno portato a tale stato di confusione dommatica, morale e liturgica. Nella Summa Teologica di San Tommaso d’Aquino spiega che “la Divinità miracolosamente permise all’umanità di Cristo di provare angoscia per l’abbandono (apparente) da parte di Dio, pur essendo essa unita ipostaticamente alla Persona divina del Verbo e godendo la visione beatifica. Ciò fu permesso perché attraverso molte tribolazioni occorre entrare nel Regno dei Cieli” (III, q. 45, a. 2, in corpore). Sempre nella Somma leggiamo: “Fu per miracolo che la divinità non ridondava sull’umanità di Cristo” (III, q. 14, a. 1 ad 2um), “affinché potesse compiere il mistero della nostra redenzione soffrendo” (III, q. 54, a. 2, ad 3um). Gesù Cristo stesso ha richiamato la nostra attenzione su tale mistero quando ha gridato sulla croce: “Dio mio perché mi hai abbandonato?”. La risposta al “perché” non è stata immediata, ci si è dovuti accontentare, durante la Passione, del “fatto”. Così oggi nella Passione della Chiesa si nasconde il suo elemento divino ed appare solo quello umano nella maniera più brutta. Questo è un mistero che deriva da quello dell’Unione Ipostatica e dal duplice elemento (divino e umano) della Chiesa (che è Cristo continuato nella storia). Gesù aveva predetto agli Apostoli questa sua (e loro) eclissi: “Voi tutti vi scandalizzerete per causa mia in questa notte. Poiché sta scritto: Percuoterò il Pastore e il gregge si disperderà” (Giovedì Santo). Nostro Signore, però, ci esorta assieme agli Apostoli: “Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e in Me” e spiega: “Vi ho detto queste cose perché non abbiate a scandalizzarvi. Quando giungerà la loro ora ricordatevi che ve ne ho parlato”. L’ora della “Sinagoga di satana” (Ap., II, 9) e del potere infernale è qualcosa di preternaturale, che quasi si tocca con mano oggi, come durante la Passione di Gesù. “Verrà la loro ora, anzi è già venuta, in cui tutti voi vi disperderete ciascuno per conto proprio e mi lascerete solo”. “Ma non dovete preoccuparvi, perché io sarò con voi, fino alla fine del mondo”.

Dato a Roma nella Sede Episcopale, il 24 Novembre A. D 2019
Nella XXXIV Domenica del Tempo Ordinario
Solennità di Cristo Re dell’Universo

+ Salvatore Micalef
Vescovo Ordinario
50

Ammontare della Donazione

Sua Ecc.za Mons. Peter Paul Brennan

Presidente Emerito

Sua Ecc.za Mons. William Manseau

Presidente

Sua Ecc. za Mons. Joaquin Perez

Vescovo

Sua Ecc.za Mons. Robert Graf

Vescovo

Sua Ecc.za Mons. Philip Belzunce

Vescovo

Sua Ecc. za Mons. Salvatore Micalef

Vescovo Ordinario Roma - Italia

Sua Ecc.za Mons. Angelo Velandia

Vescovo Ordinario Diocesi della California Mission Cristo Rey

Inter-comunione in Sacris.

Sua Ecc.za Mons. Mike Kline

Primate Order of Corporate Reunion

Sua Ecc.za Mons. Salvatore Micalef

Arcivescovo Primate

Sua Ecc.za Mons. Jaime Antonio Mota Ruiz

Vescovo Ausiliare e Presidente del Sinodo Internazionale Messico

Sua Ecc.za Mons. Celestin Xavier

Vescovo Camerun

Sua Ecc.za Mons. Bertin Moualal

Vescovo Camerun

Sua Ecc.za Mons. Jacob Marie

Vescovo Gabòn

Sua Ecc.za Mons. Albert Marie Lukombo Tsiania

Vescovo Congo

Sua Ecc.za Mons. Stephane Mendeng Éfoudébé

Vescovo Camerun

Sua Ecc.za Mons. Michel Marie Ondigui Essomba

Vescovo Camerun

Sua Ecc.za Mons. Japson Edison Giraldo Jaramillo,

Vescovo Colombia

Sua Ecc.za Mons. James Cardona López

Vescovo Colombia

Sua Ecc.za Mons. Jean Robert Bonyenga

Vescovo Congo

Sua Ecc.za Mons. Mario Alexander Lozano Amagüeña

Vescovo Colombia

Sua Ecc.za Mons. Cristian Reinaldo Torres

Vescovo Equador

Don Jose Gregorio Guillen

Presbitero Equador

Don Gesù Noe Najera Ragazza

Presbitero Equador

Don Norbert Jacques Nonga

Diacono Camerun

Mons. Marcos Rodiguez Fontana

Presbitero Brasile

Don Tomas Andrade Juarez

Sacerdote Messico

Don Luis Javier Bautista

Sacerdote Messico

Don Miguel Bautista

Sacerdote Messico

Don Juan Domingo Vega

Sacerdote Argentina

Don Rodolfo Eduardo Sanches Roddriguez

Sacerdote Costa Rica

padre Mario Miguel Zurita Pincay

Presbitero Equador

Padre Josè Antonio Urcine Nunes

Sacerdote Religioso Brasile

Padre Abate Alberto Manuel Ramentol Hernandez

Sacerdote Religioso Cuba

Benoit Alain Biavula Itununa

Presbitero Congo

Crispin Kassanda Katumbe

Presbitero Congo

Etoundi Beyala Odilon Ulrich

Presbitero Camerun

Juste Firmin Enama Mazana

Presbitero Camerun

Lone Frederic Zibi Ntzama

Presbitero Camerun

Tshitenge Kayembe Anatole

Presbitero Congo

Grace Albert Ezangi Kubanga

Candidato Congo

Sem. Edwin Yael Romero Alcantara 

Seminarista Messico

Il Vescovo Ordinario  image
NOTE BIOGRAFICHE
Sua Eccellenza Reverendissima Mons. Salvatore Micalef, Arcivescovo Primate e Esorcista, della Prelatura Cattolica Internazionale "SS. Pietro e Paolo". Il 28 Aprile 2008 Ordinato Diacono in Roma. Il 24 Marzo 2009 Ordinato Presbitero in Roma. Nominato ed Eletto Vescovo il 01 Settembre 2014.
Consacrato Vescovo dall'Arcivescovo William J. Manseau, assistito dall'Arcivescovo Peter Paul Brennan, e da altri Vescovi, il 15 Ottobre 2014, Festa di Santa Teresa di Gesù (d'Avila), con il Rito Cattolico del Pontificale Romano a Vienna – Austria, con Valida Successione Apostolica da S. Paolo VI Papa.
Riconosciuto dal Magistero della Chiesa per la Valida Successione Apostolica e la valida Eucaristia, in quanto Chiesa Particolare. (Dominus Iesus, paragrafo 17).
Il Vescovo Micalef è nato a Taurianova (RC) il 12 Dicembre 1974, è vissuto insieme ai suoi genitori a San Giorgio Morgeto (RC), fino all'età di 19 anni.
Nel 1985 ha conseguito il Diploma di Dattilografia e Pratica Commerciale
Nel 1993, ha conseguito il Diploma Scuola Superiore a Polistena (RC).
Nel 1999, ha conseguito la Laurea in Archeologia con indirizzo Egittologia a Roma.
Nel 2000 Diplomato in informatica, Windows 98 ed applicativi Word ed Excel c/o la Filiare Roma Sud della Multi Service.
Nel 2001 Diplomato come Operatore di Sistema informatico in diversi applicativi. Windows, Access 2000, Visual Basic e Internet 5.0, c/o la New System Automation Roma.
Da Gennai 2001 a Settembre 2004, è stato per molti anni collaboratore c/o l'Associazione "Famiglia del Cuore Immacolato di Maria", in qualità di Segretario, in Roma.
Nel 2015 "Magister Sacrae Theologiae", conferito dalla Commissione Teologica del Sinodo dei Vescovi, della Old Catholic Confederation.
Nel 2018 nominato Consigliere della Commissione per il Dialogo Interreligioso presso l'Organizzazione Mondiale degli Stati.
Nel 2019 nominato Senatore Accademico presso Accademia Studi Giuridici Europei Auge a Napoli.
Nel 2021 nominato Senatore Accademico presso la Pontificia Accademia Leonina in Roma.
Nel 2021 nominato Ambasciatore di Pace dall'Associazione ACMID Donna Onlus in Roma.
Nel 2022 eletto Nuovo Presidente della Sacra Domus Hospitalis in Roma.
Nel 2022 Premio Arte & Gusto di Loredana Paolesse per la Letteratura, Sala della Protomoteca del Campidoglio – Roma.
Nel 2022 Nomina a Cappellano, dell'Associazione "Cibo & Arte " di Loredana Paolesse - Roma.
Fu collaboratore instancabile da tanti anni della redazione giornalistica "L'Attualità" fondato dal prof. Cosmo G. Sallustio Salvemini in Roma, con la qualifica di Addetto Stampa.
Promotore di corsi di preparazione e di approfondimento nel settore dell'Archeologia Biblica ed Egittologia, c/o "L'Attualità" Roma.
Membro effettivo del WWF Italia per la salvaguardia e difesa della Natura.
Socio Ordinario c/o il Gruppo archeologico Romano dal 1981, Via Contessa di Bertinoro 6 - 00162 Roma
Nel 1999 ha partecipato agli scavi archeologici con rilevamento stratigrafico "nell'Aria Settentrionale del Palatino" c/o la Via Nova e la Via Sagra, diretti dal Dott. Andrea Carandini Docente dell'Università "La Sapienza" in Roma.
Nel 1999 ha collaborato con Sovraintendenza Egiziana ad una Campagna di scavi c/o la Valle dei Re in Egitto, dalla durata di 25 giorni, riportando alla luce oggetti d'arte, sepolti da millenni di storia passata.
Dal 2009 al 2014 Cappellano c/o la Cappellania "San Michele Arcangelo", ricoprendo diversi incarichi importanti in qualità di Vicario Generale per l'Italia.
Dal 2014 Vescovo Ordinario c/o la Prelatura Cattolica "SS. Pietro e Paolo ", Sede Episcopale in Viale Bruno Buozzi, 99 - Roma.
Dal 2023 nominato Arcivescovo Primate, per l'America Centrale, America Latina, Africa ed Europa.
Nel settore Storico – archeologico ha scritto diversi saggi, tra cui: Studi Archeologici nella Palestina Antica; Tutankhamon, la Tomba del Faraone Fanciullo; Il Mistero della civiltà Egizia; Il Culto delle Sacre Reliquie nella Tradizione della Chiesa.
Ha pubblicato nel 1999 in "Antologia" nel settore della saggistica: Alla Scoperta dell'Antico Egitto, le Tombe Reali nell'Antica Valle dei Re, Edizioni Movimento Salvemini Roma; e nel 2000, La dimora dei Defunti, Edizioni Movimento Salvemini Roma.
Nel settore della Teologia Mariana ha scritto: Padri e Tradizione Ecclesiale dalle Origini al VI Secolo; Madre del Buon Consiglio; Maria nel Pensiero dei Teologi Medievali Latini; Maria Madre della Redenzione; La Donna e Maria in Santa Edith Stein; Il Concetto di Consacrazione, alla Luce della Teologia Morale nel Movimento Sacerdotale Mariano.
Nel 2015 ha pubblicato grazie all'Amico e Scrittore Salvatore Sottile: Lettera Pastorale. La Potenza di Gesù Cristo schiaccia il potere di satana.
Nel 2016 ha pubblicato, "Lo Spirito Santo e i suoi ineffabili Doni", Casa Editrice Serena - Viterbo.
Nel 2019 ha pubblicato "Delitto in Transilvania" nel volume le "Ombre di Monteselva" con premiazione Casa Editrice Serena - Viterbo.
Nel 2021 ha pubblicato "Inferno. Causa e Origine di ogni male", Gesù. Il Mistero dell'Eucaristia" e "Maria. Madre Nostra" Casa Editrice Armando Curcio Editore - Roma.

Nel 2023 ha pubblicato "O Inferno e a sua Eternidade" in lingua portoghese Casa Editrice Amazon.
Nel 2023 ha pubblicato "Exocizando o demonio" in lingua portoghese Casa Editrice Amazon
Nel 2023 fa pubblicato "Esorcizzando il demonio" in lingua italiana Casa Editrice Amazon

Stemma e Motto image
Stemma Episcopale e Motto di
Sua Ecc.za Mons. Salvatore Micalef

 
Secondo la tradizione araldica ecclesiastica cattolica, lo stemma di un Vescovo è tradizionalmente composto da:
- uno scudo, che può avere varie forme (sempre riconducibile a fattezze di scudo araldico) e contiene dei simbolismi tratti da idealità personali, o da tradizioni familiari, oppure da riferimenti al proprio nome, all'ambiente di vita, o ad altro;
- una croce astile a un braccio traverso, in oro, posta in palo, ovvero verticalmente dietro lo scudo;
- un cappello prelatizio chiamato galero, con cordoni a dodici fiocchi, pendenti, sei per ciascun lato (ordinati, dall'altro in basso, in 1.2.3.), il tutto di colore verde;
- un cartiglio inferiore recante il motto scritto abitualmente in nero che in questo caso le prime lettere sono di colore rosso.
Nel nostro caso si è scelto uno scudo di foggia gotica, classico e frequentemente usato nell'araldica ecclesiastica e una croce trifogliata in oro.
Nella parte superiore dello scudo sono inpressi i Sacri Cuori di Gesù e di Maria con uno sfondo di colore rosso fuoco.
Nella parte destra c’è raffigurato San Michele Arcangelo Protettore della Santa Chiesa di Dio, che schiaccia l’antico dragone sotto i suoi piedi, con tutte le sue legioni, e che ci protegge da ogni male.
Nella parte sinistra l’Agnello Immolato seduto sul Sacro Libro della Parola di Dio, accompagnato dai due simboli dell’alfabeto greco, l’A e l’Ω il Principio e la Fine, circondato da una corona di spine, a simboleggiare la Passione e Morte del Signore per la nostra Salvezza Eterna.
Infine il Motto: Mater Mea Fiducia Mea.
Le parole del Motto Episcopale di Mons. Micalef, si rifanno al momento della Passione del Signore, quando lo stesso Gesù affidò sua Madre a Giovanni, l’Apostolo che egli amava, “ è dal quel momento la prese in casa con se”, perchè senza Maria Madre di Dio e Madre nostra che intercede per noi presso l’Altissimo, noi non avremmo le Grazie e la Consolazione da parte di Suo Figlio Gesù.

+ Salvatore Micalef
Vescovo Ordinario
Depositum fidei image
SOMMO PONTEFICE
GIOVANNI PAOLO II
COSTITUZIONE APOSTOLICA
FIDEI DEPOSITUM
PER LA PUBBLICAZIONE
DEL CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA
REDATTO DOPO IL
CONCILIO ECUMENICO VATICANO II
Ai venerabili Fratelli Cardinali,
Arcivescovi, Vescovi, Presbiteri, Diaconi
e a tutti i membri del Popolo di Dio
GIOVANNI PAOLO II VESCOVO
SERVO DEI SERVI DI DIO
A PERPETUA MEMORIA
INTRODUZIONE
Custodire il deposito della fede è la missione che il Signore ha affidato alla sua Chiesa e che essa compie in ogni tempo. Il Concilio Ecumenico Vaticano II aperto trent’anni or sono dal mio predecessore Giovanni XXIII, di felice memoria, aveva come intenzione e come finalità di mettere in luce la missione apostolica e pastorale della Chiesa, e di condurre tutti gli uomini, facendo risplendere la verità del Vangelo, a cercare e ad accogliere l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza.(1)
Al Concilio il Papa Giovanni XXIII aveva assegnato come compito principale di meglio custodire e presentare il prezioso deposito della dottrina cristiana, per renderlo più accessibile ai fedeli di Cristo e a tutti gli uomini di buona volontà. Pertanto il Concilio non doveva per prima cosa condannare gli errori dell’epoca, ma innanzitutto impegnarsi a mostrare serenamente la forza e la bellezza della dottrina della fede. « Illuminata dalla luce di questo Concilio — diceva il Papa — la Chiesa … si ingrandirà di spirituali ricchezze e, attingendovi forze di nuove energie, guarderà intrepida al futuro …. Il nostro dovere … è di dedicarci con alacre volontà e senza timore a quell’opera che la nostra età esige, proseguendo così il cammino, che la Chiesa compie da quasi venti secoli ».(2)
Con l’aiuto di Dio i Padri conciliari hanno potuto elaborare, in quattro anni di lavoro, un considerevole complesso di esposizioni dottrinali e di direttive pastorali offerte a tutta la Chiesa. Pastori e fedeli vi trovano orientamenti per quel « rinnovamento di pensieri, di attività, di costumi e di forza morale, di gaudio e di speranza, che è stato lo scopo stesso del Concilio ».(3)
Dopo la sua conclusione, il Concilio non ha cessato di ispirare la vita della Chiesa. Nel 1985 potevo affermare: « Per me — che ho avuto la grazia speciale di parteciparvi e di collaborare attivamente al suo svolgimento — il Vaticano II è sempre stato, ed è in modo particolare in questi anni del mio Pontificato, il costante punto di riferimento di ogni mia azione pastorale, nell’impegno consapevole di tradurne le direttive in applicazione concreta e fedele, a livello di ogni Chiesa e di tutta la Chiesa. Occorre incessantemente rifarsi a questa sorgente ».(4)
In questo spirito, il 25 gennaio 1985 ho convocato un’Assemblea straordinaria del Sinodo dei Vescovi, in occasione del ventesimo anniversario della chiusura del Concilio. Scopo di questa assemblea era di celebrare le grazie e i frutti spirituali del Concilio Vaticano II, di approfondirne l’insegnamento per meglio aderire ad esso e di promuoverne la conoscenza e l’applicazione.
In questa circostanza i Padri sinodali hanno affermato: « Moltissimi hanno espresso il desiderio che venga composto un catechismo o compendio di tutta la dottrina cattolica per quanto riguarda sia la fede che la morale, perché sia quasi un punto di riferimento per i catechismi o compendi che vengono preparati nelle diverse regioni. La presentazione della dottrina deve essere biblica e liturgica. Deve trattarsi di una sana dottrina, adatta alla vita attuale dei cristiani ».(5) Dopo la chiusura del Sinodo, ho fatto mio questo desiderio, ritenendolo « pienamente rispondente ad un vero bisogno della Chiesa universale e delle Chiese particolari ».(6)
Come non ringraziare di tutto cuore il Signore, in questo giorno in cui possiamo offrire a tutta la Chiesa, con il titolo di « Catechismo della Chiesa Cattolica », questo « testo di riferimento » per una catechesi rinnovata alle vive sorgenti della fede!
Dopo il rinnovamento della Liturgia e la nuova codificazione del Diritto canonico della Chiesa latina e dei canoni delle Chiese orientali cattoliche, questo Catechismo apporterà un contributo molto importante a quell’opera di rinnova mento dell’intera vita ecclesiale, voluta e iniziata dal Concilio Vaticano II.
II
ITINERARIO E SPIRITO DELLA STESURA DEL TESTO
Il « Catechismo della Chiesa cattolica » è frutto di una larghissima collaborazione: è stato elaborato in sei anni di intenso lavoro condotto in uno spirito di attenta apertura e con un appassionato ardore.
Nel 1986 ho affidato a una Commissione di dodici Cardinali e Vescovi, presieduta dal signor Cardinale Joseph Ratzinger, l’incarico di preparare un progetto per il Catechismo richiesto dai Padri del Sinodo. Un Comitato di redazione di sette Vescovi diocesani, esperti di teologia e di catechesi, ha affiancato la Commissione nel suo lavoro.
missione, incaricata di dare le direttive e di vigilare sullo svolgimento dei lavori, ha seguito attentamente tutte le tappe della redazione delle nove successive stesure. Il Comitato di redazione, da parte sua, ha assunto la responsabilità di scrivere il testo, di apportarvi le modifiche richieste dalla Commissione e di esaminare le osservazioni di numerosi teologi, esegeti e catecheti e soprattutto dei Vescovi del mondo intero, al fine di migliorare il testo. Il Comitato è stato un luogo di scambi fruttuosi ed arricchenti per assicurare l’unità e l’omogeneità del testo.
Il progetto è stato fatto oggetto di una vasta consultazione di tutti i Vescovi cattolici, delle loro Conferenze episcopali o dei loro Sinodi, degli Istituti di teologia e di catechetica. Nel suo insieme esso ha avuto un’accoglienza largamente favorevole da parte dell’Episcopato. Si ha ragione di affermare che questo Catechismo è il frutto di una collaborazione di tutto l’Episcopato della Chiesa Cattolica, il quale ha accolto con generosità il mio invito ad assumere la propria parte di responsabilità in un’iniziativa che riguarda da vicino la vita ecclesiale. Tale risposta suscita in me un profondo sentimento di gioia, perché il concorso di tante voci esprime veramente quella che si può chiamare la « sinfonia » della fede. La realizzazione di questo Catechismo riflette in tal modo la natura collegiale dell’Episcopato: testimonia la cattolicità della Chiesa.
III
DISTRIBUZIONE DELLA MATERIA
Un catechismo deve presentare con fedeltà ed in modo organico l’insegnamento della Sacra Scrittura, della Tradizione vivente nella Chiesa e del Magistero autentico, come pure l’eredità spirituale dei Padri, dei santi e delle sante della Chiesa, per permettere di conoscere meglio il mistero cristiano e di ravvivare la fede del popolo di Dio. Esso deve tener conto delle esplicitazioni della dottrina che nel corso dei tempi lo Spirito Santo ha suggerito alla Chiesa. E anche necessario che aiuti a illuminare con la luce della fede le situazioni nuove e i problemi che nel passato non erano ancora emersi.
Il Catechismo comprenderà quindi cose nuove e cose antiche,(7) poiché la fede è sempre la stessa e insieme è sorgente di luci sempre nuove.
spondere a questa duplice esigenza, il « Catechismo della Chiesa Cattolica » da una parte riprende l’« antico » ordine, quello tradizionale, già seguito dal Catechismo di san Pio V, articolando il contenuto in quattro parti: il Credo; la sacra Liturgia, con i sacramenti in primo piano; l’agire cristiano, esposto a partire dai comandamenti; ed infine la preghiera cristiana. Ma, nel medesimo tempo, il contenuto è spesso espresso in un modo « nuovo », per rispondere agli interrogativi della nostra epoca.
Le quattro parti sono legate le une alle altre: il mistero cristiano è l’oggetto della fede (prima parte); è celebrato e comunicato nelle azioni liturgiche (seconda parte); è presente per illuminare e sostenere i figli di Dio nel loro agire (terza parte); fonda la nostra preghiera, la cui espressione privilegiata è il « Padre Nostro », e costituisce l’oggetto della nostra supplica, della nostra lode, della nostra intercessione (quarta parte).
La Liturgia è essa stessa preghiera; la confessione della fede trova il suo giusto posto nella celebrazione del culto. La grazia, frutto dei sacramenti, è la condizione insostituibile dell’agire cristiano, così come la partecipazione alla Liturgia della Chiesa richiede la fede. Se la fede non si sviluppa nelle opere, è morta (8) e non può dare frutti di vita eterna.
Leggendo il « Catechismo della Chiesa cattolica », si può cogliere la meravigliosa unità del mistero di Dio, del suo disegno di salvezza, come pure la centralità di Gesù Cristo, l’Unigenito Figlio di Dio, mandato dal Padre, fatto uomo nel seno della Santissima Vergine Maria per opera dello Spirito Santo, per essere il nostro Salvatore. Morto e risorto, Egli è sempre presente nella sua Chiesa, particolarmente nei sacramenti; Egli è la sorgente della fede, il modello dell’agire cristiano e il Maestro della nostra preghiera.
IV
VALORE DOTTRINALE DEL TESTO
Il « Catechismo della Chiesa Cattolica », che ho approvato lo scorso 25 giugno e di cui oggi ordino la pubblicazione in virtù dell’autorità apostolica, è un’esposizione della fede della Chiesa e della dottrina cattolica, attestate o illuminate dalla Sacra Scrittura, dalla Tradizione apostolica e dal Magistero della Chiesa. Io lo riconosco come uno strumento valido e legittimo al servizio della comunione ecclesiale e come una norma sicura per l’insegnamento della fede. Possa servire al rinnovamento al quale lo Spirito Santo incessantemente chiama la Chiesa di Dio, Corpo di Cristo, pellegrina verso la luce senza ombre del Regno!
L’approvazione e la pubblicazione del « Catechismo della Chiesa Cattolica » costituiscono un servizio che il successore di Pietro vuole rendere alla Santa Chiesa Cattolica, a tutte le Chiese particolari in pace e in comunione con la Sede apostolica di Roma: il servizio cioè di sostenere e confermare la fede di tutti i discepoli del Signore Gesù,(9) come pure di rafforzare i legami dell’unità nella medesima fede apostolica.
Chiedo pertanto ai Pastori della Chiesa e ai fedeli di accogliere questo Catechismo in spirito di comunione e di usarlo assiduamente nel compiere la loro missione di annunziare la fede e di chiamare alla vita evangelica. Questo Catechismo viene loro dato perché serva come testo di riferimento sicuro e autentico per l’insegnamento della dottrina cattolica, e in modo tutto particolare per l’elaborazione dei catechismi locali. Viene pure offerto a tutti i fedeli che desiderano approfondire la conoscenza delle ricchezze inesauribili della salvezza.(10) Intende dare un sostegno agli sforzi ecumenici animati dal santo desiderio dell’unità di tutti i cristiani, mostrando con esattezza il contenuto e l’armoniosa coerenza della fede cattolica. Il « Catechismo della Chiesa Cattolica », infine, è offerto ad ogni uomo che ci domandi ragione della speranza che è in noi (11) e che voglia conoscere ciò che la Chiesa Cattolica crede.
Questo Catechismo non è destinato a sostituire i Catechismi locali debitamente approvati dalle autorità ecclesiastiche, i Vescovi diocesani e le Conferenze episcopali, soprattutto se hanno ricevuto l’approvazione della Sede apostolica. Esso è destinato ad incoraggiare ed aiutare la redazione di nuovi catechismi locali, che tengano conto delle diverse situazioni e culture, ma che custodiscano con cura l’unità della fede e la fedeltà alla dottrina cattolica.
V
CONCLUSIONE
Al termine di questo documento che presenta il « Catechismo della Chiesa Cattolica », prego la Santissima Vergine Maria, Madre del Verbo Incarnato e Madre della Chiesa, di sostenere con la sua potente intercessione l’impegno catechistico dell’intera Chiesa ad ogni livello, in questo tempo in cui essa è chiamata ad un nuovo sforzo di evangelizzazione. Possa la luce della vera fede liberare l’umanità dall’ignoranza e dalla schiavitù del peccato per condurla alla sola libertà degna di questo nome (12) quella della vita in Gesù Cristo sotto la guida dello Spirito Santo, quaggiù e nel Regno dei cieli, nella pienezza della beatitudine della visione di Dio faccia a faccia!(13)
Dato il giorno 11 ottobre 1992, trentesimo anniversario dell’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II, quattordicesimo anno del mio pontificato.
Omelie del Vescovo image
Omelia Messa Crismale 2018

Carissimi confratelli sacerdoti, è a voi in modo particolare, anche se non esclusivo, che questa mattina il vostro Vescovo rivolge la sua parola, ma soprattutto apre il suo cuore e la sua mente. Vedo vivo e operante in voi lo Spirito Santo che un giorno avete ricevuto in pienezza con l’imposizione delle mani. So che siete coscienti di essere stati consacrati con il crisma, olio profumato che vi impegna a realizzare una santità autentica, una santità che vi spinge alla missione di portare il Vangelo in questo nostro mondo così secolarizzato, alle stesse nostre comunità cristiane, che pur conoscendo Dio ed avendo fatto esperienza di Lui sovente vivono troppo immerse in ciò che le allontana da Lui. Voi siete i sacerdoti che, insieme con me, siete chiamati a svolgere il ministero in un contesto culturale che ci appare così allergico ai valori di cui noi siamo annunciatori e portatori. Tuttavia, guardandovi uno ad uno, citando Isaia (1a lettura), con grande fiducia nel cuore vi manifesto la mia stima perché “voi sarete chiamati sacerdoti del Signore, ministri del nostro Dio sarete detti … coloro che vi vedranno riconosceranno che voi siete la stirpe benedetta dal Signore” (Cf Is 61, 6.9). E due righe più avanti lo stesso profeta ci suggerisce di dire: “Io gioisco pienamente nel Signore, la mia anima esulta nel mio Dio” (Is 61, 10).
  1. Verifichiamo la nostra identità
Questa è una giornata importante di festa, ma anche di verifica della nostra identità. Questa è l’occasione solenne davanti a Dio e a tutta l’Assemblea presente di guardarci dentro, senza veli e senza timori, perché prima ancora delle nostre miserie ci sono i tesori da scoprire, quei tesori che il Signore ha messo nel nostro cuore e nelle nostre mani. Un sacerdote perde l’orientamento di vita quando non vede più la grandezza alla quale Dio lo ha elevato e non crede più fino in fondo a quell’amore personale di amicizia e di predilezione con il quale Gesù lo ha scelto per essere “uno dei suoi”.
Andiamo indietro nella nostra vita: pensiamo a quelle persone che fin dalla nostra infanzia e fanciullezza ci hanno indicato Gesù come il miglior amico che potevamo trovare; pensiamo a quando abbiamo avvertito lo sguardo di Gesù su di noi, “e Gesù, fissatolo, lo amò” (Mc 10, 21), e abbiamo sentito con chiarezza la sua chiamata, abbiamo risposto positivamente con entusiasmo, ci siamo preparati al ministero e ne abbiamo assunto gli impegni mettendo in gioco tutta la nostra vita.
Ora ci chiediamo, a distanza di tanti o pochi anni dal giorno radioso della nostra Ordinazione, il nostro ministero lo viviamo come dono o come peso?
  • Lo si sente e lo si vive come “dono” se la nostra attenzione è concentrata su Gesù e su quello che Egli ha voluto fare delle nostre persone:
  • Siamo “suoi” non solo perché legati a Lui a titolo particolare in quanto discepoli, ma soprattutto perché “consacrati” a Lui e alla edificazione del suo Regno con il dono dello Spirito Santo ricevuto con l’imposizione delle mani del Vescovo che ci ha abilitati ad agire “in persona Christi”.
  • Siamo “mandati” nel mondo per portare quella Parola di verità, che è Cristo stesso, unica capace di dare prospettiva di salvezza. Deve colmarci di stupore il constatare che, nonostante la nostra povertà, Gesù abbia posto la sua fiducia proprio su di noi mettendo nelle nostre mani quei tesori di grazia che arrivano alle diverse persone attraverso il nostro ministero.
  • Siamo da Gesù anche “santificati” perché abitati dalla Santissima Trinità: una presenza questa che ci fa partecipi della santità divina che ci rende capaci di realizzare noi stessi anche nella nostra umanità in quanto ci abilita ad amare con cuore puro, come è puro il cuore di Dio.
  • Il rischio invece di vivere il ministero come “peso” lo si corre se impostiamo la nostra vita seguendo la logica del mondo. Questo accade quando:
  • si vuole ottenere risultati immediati;
  • si cerca di avere gratificazioni personali, successo, popolarità;
  • si organizza la nostra giornata in modo da rimetterci il meno possibile di ciò che è nostro, mentre Gesù ci chiede di vivere la logica del chicco di grano, che per portare frutto deve morire: “Chi ama la propria vita la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna” (Gv 12, 25).
  1. Camminare con la Chiesa
L’unità del Corpo mistico di Cristo, che a me piace immaginare come rappresentata da quella veste di Gesù senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo, che sul Calvario nemmeno i soldati hanno osato strappare, ma se la sono tirata a sorte, deve essere custodita e garantita da tutti, specialmente da noi sacerdoti. Questa unità si esprime in modo particolare nella testimonianza di una comunione sincera:
  • A livello universale dobbiamo vivere ed agire in comunione con La SS.ma Trintà che governa con potenza e forza la Chiesa, edificata dal Sangue di nostro Signore Gesù Cristo dagli attacchi che gli vengono inferti dal maligno che cerca in ogni occasione di distruggerla. Questo è il tempo della vigilanza, soprattutto per illuminare con la dovuta chiarezza i nostri fedeli, i quali molto spesso sono tratti in inganno da tante eresie e contraddizioni dottrinali.
  • All’interno della Prelatura, la comunione ecclesiale ci impegna a vivere una sintonia di fede da parte dei presbiteri nei confronti del proprio Vescovo, e viceversa: cioè io, a mia volta devo, e vi confesso che questo lo sento come un impegno che cerco di vivere con sincerità, dimostrare a tutti voi, nessuno escluso, non solo sentimenti, ma anche atteggiamenti ispirati alla paternità e fraternità. Se c’è questa volontà reciproca di comunione spirituale, anche se talvolta ci possono essere idee e sensibilità diverse, allora la nostra pastorale cammina ed è benedetta dalla grazia del Signore.
  • A livello di cappellanie con i nostri fedeli. Su questo versante conservare e coltivare la comunione significa accogliere tutti senza preferenza di persone, ma anche farsi carico di tutti con quell’ansia missionaria che ci spinge a pensare ai lontani, a quanti potrebbero ricominciare “da adulti” un più cosciente e responsabile cammino di fede, così da suscitare in tutti il desiderio di farsi sinceri cercatori di Dio.
2 Il nostro offertorio pasquale a Gesù
Come avviene nella Celebrazione eucaristica dove noi presentiamo al Signore povere cose, come il pane e il vino, le quali però, con la potenza dello Spirito Santo, diventano il Corpo e il Sangue di Cristo, così ora in questa Solenne Celebrazione, rinnovando le nostre promesse sacerdotali, noi mettiamo nelle mani di Cristo le nostre povere persone così da diventare nelle sue mani strumenti preziosi per la costruzione del suo Regno di Amore.
Questa è per me, cari confratelli, una delle solenni occasioni per manifestare a tutti voi la mia sincera riconoscenza per la vostra preziosa e generosa collaborazione al mio ministero.
  • Conosco le vostre difficoltà, delusioni e solitudini, e se questo stimola me a farmi sempre più capace di prossimità, mi suggerisce anche di ricordarvi che chi ha dato la sua vita al Signore Gesù, crocifisso e risorto, deve saper mettere in conto anche questa situazione: ogni risultato pastorale richiede il suo prezzo di sofferenza e di croce.
  • Vorrei che mi leggeste nel cuore per scorgere i sentimenti di affetto, amicizia e paternità che sempre mi animano anche quando vi chiedo il sacrificio di un nuovo servizio pastorale perché sempre queste scelte, frutto anche di discernimento con il mio Vicario, sono proposte, mai imposte, tenendo presenti le varie necessità che si presentano nella nostra Prelatura.
Conclusione
Il mio augurio pasquale a voi, al nuovo prossimo diacono e a tutti i presenti è di continuare il cammino spirituale e pastorale con la convinzione che Gesù è sempre al nostro fianco, come con i due discepoli di Emmaus, per offrirci la luce della sua Parola, il ristoro della sua Eucaristia e la gioia dell’entusiasmo ritrovato.
La Vergine Maria che scioglie i nodi, doni la sua protezione materna a quanti sono, come è stata Lei, ai piedi della croce, a quanti come noi che siamo ancora impegnati nel lavoro pastorale, e ci renda tutti forti nella fede nel Signore Gesù risorto nel quale, con il quale e per il quale vogliamo vivere il nostro ministero a lode e gloria della Santissima Trinità, ora e sempre. Amen.

Messa in Coena Domini

Cristo sacerdote istituisce il sacramento dell’amore
L’istituzione dell’Eucaristia come rito memoriale della «nuova ed eterna alleanza» è certamente l’aspetto più evidente della celebrazione odierna che del resto giustifica la sua solennità proprio con un richiamo «storico» e figurativo dell’avvenimento compiuto nell’ultima cena. Ma è lo stesso messale romano che invita a meditare su altri due aspetti dei mistero di questo giorno: l’istituzione del sacerdozio ministeriale e il servizio fraterno della carità. Sacerdozio e carità sono, in effetti, strettamente collegati con il sacramento dell’Eucaristia, in quanto creano la comunione fraterna e indicano nel dono di sé e nei servizio il cammino della Chiesa.
Gesù lava i piedi ai suoi: è un gesto di amore
E’ significativo il fatto che Giovanni, nel riferire le ultime ore di Gesù con i suoi discepoli e nel raccogliere nei «discorsi dell’ultima cena» i temi fondamentali del suo vangelo, non riferisca i gesti rituali sui pane e sul vino come gli altri evangelisti: eppure era questo un dato antichissimo della tradizione, riportato in una forma ben definita dal primo documento che ne parla, la lettera di Paolo ai Corinzi (prima lettura). Giovanni richiama l’attenzione sul gesto di Gesù che lava i piedi ai suoi e lascia, come suo testamento di parola e di esempio, di fare altrettanto tra i fratelli. Non comanda di ripetere un rito, ma di fare come lui, cioè di rifare in ogni tempo e in ogni comunità gesti di servizio vicendevole — non standardizzati, ma sgorgati dall’inventiva di chi ama — attraverso i quali sia reso presente l’amore di Cristo per i suoi («li amò sino alla fine»). Ogni gesto di amore diventa così «sacramento», cioè visibilizzazione, incarnazione, linguaggio simbolico dell’unica realtà: l’amore del Padre in Cristo, l’amore in Cristo dei credenti.
Gesù dà se stesso in cibo: è il sacramento dell’amore
Il Giovedì santo, con il suo richiamo «anniversario» all’evento dell’ultima cena, pone al centro della memoria ecclesiale il segno dell’amore gratuito, totale e definitivo: Gesù è l’Agnello pasquale che porta a compimento il progetto di liberazione iniziato nel primo esodo (cf prima lettura); il suo donarsi nella morte è l’inizio di una presenza nuova e permanente; «il suo corpo per noi immolato è nostro cibo e ci dà forza, il suo sangue per noi versato è la bevanda che ci redime da ogni colpa» (prefazio della ss. Eucaristia I). Partecipare consapevolmente all’Eucaristia, memoriale dei Sacrificio di Gesù, implica avere per il corpo ecclesiale di Cristo quel rispetto che si porta al suo corpo eucaristico. La presenza reale del Signore morto e risuscitato nel pane e nel vino su cui si pronuncia l’azione di grazie (cf seconda lettura), si estende, sia pure in altro modo, alla persona dei fratelli, specialmente dei più poveri (cf tutto il contesto della 1 Cor 11). «In questo grande mistero tu (o Padre) nutri e santifichi i tuoi fedeli, perché una sola fede illumini e una sola carità riunisca l’umanità diffusa su tutta la terra» (prefazio della ss. Eucaristia II). Chi dunque fa discriminazioni, chi disprezza gli altri, chi mantiene le divisioni nella comunità «non riconosce il corpo del Signore». La sua non è più la Cena dei Signore, ma un rito vuoto che segna la sua condanna.
Il sacerdozio nasce dall’Eucaristia: è il dono per l’unità
All’interno della comunità, i rapporti reciproci sono valutati in chiave di servizio e non di potere, e trovano la loro più perfetta espressione nel momento dell’azione eucaristica. Chi  «presiede» la comunità e ne è responsabile, presiede anche l’Eucaristia: la raccoglie nella preghiera comune, come la unisce nelle diverse attività della parola e dell’aiuto reciproco.
Il Concilio Vaticano II afferma: «I Presbiteri… ad immagine di Cristo, sommo ed eterno Sacerdote, sono consacrati per predicare il vangelo, pascere i fedeli e celebrare il culto divino, quali veri sacerdoti dei Nuovo Testamento… Esercitando, secondo la loro parte di autorità, l’ufficio di Cristo Pastore e Capo, raccolgono la famiglia di Dio, quale insieme di fratelli animati da un solo spirito, e per mezzo di Cristo nello Spirito li portano al Padre… » (LG 28). «Il senso ultimo del sacerdozio di Cristo e di ogni sacerdozio che da lui trae origine, è quello di essere modello per tutti coloro che offrendosi in lui, con lui, per lui in sacrificio a Dio gradito, mettono la loro vita a servizio dei fratelli…. Cristo e il suo mistero vive e perdura nella Chiesa; la Chiesa non fa altro che rendere attuale questo mistero di salvezza mediante la Parola, il Sacrificio, i Sacramenti, mentre riceve in sé per la forza dello Spirito Santo, la vita del suo Signore da testimoniare nel mondo… Da questa sacramentalità della Chiesa… scaturisce il significato essenziale della consacrazione-missione di quanti sono chiamati a predicare il Vangelo, a presiedere le azioni di culto e a svolgere un ruolo di guida del popolo di Dio» (Ordinazione del Vescovo, dei Presbiteri e dei Diaconi, Premesse, p. 12).
L’agnello immolato ci strappò dalla morte
Dall’«Omelia sulla Pasqua» di Melitone di Sardi, vescovo  (66-67; SC 123,95-101)
Molte cose sono state predette dai profeti riguardanti il mistero della Pasqua, che è Cristo, «al quale sia gloria nei secoli dei secoli. Amen ». (Gal 1,5 ecc.). Egli scese dai cieli sulla terra per l’umanità sofferente; si rivestì della nostra umanità nel grembo della Vergine e nacque come uomo. Prese su di sé le sofferenze dell’uomo sofferente attraverso il corpo soggetto alla sofferenza, e distrusse le passioni della carne. Con lo Spirito immortale distrusse la morte omicida.
Egli infatti fu condotto e ucciso dai suoi carnefici come un agnello, ci liberò dal modo di vivere del mondo come dall’Egitto, e ci salvò dalla schiavitù del demonio come dalla mano del Faraone. Contrassegnò le nostre anime con il proprio Spirito e le membra del nostro corpo con il suo sangue.
Egli è colui che coprì di confusione la morte e gettò nel pianto il diavolo, come Mosè il faraone. Egli è colui che percosse l’iniquità e l’ingiustizia, come Mosè condannò alla sterilità l’Egitto.
Egli è colui che ci trasse dalla schiavitù alla libertà, dalle tenebre alla luce, dalla morte alla vita, dalla tirannia al regno eterno. Ha fatto di noi un sacerdozio nuovo e un popolo eletto per sempre. Egli è la Pasqua della nostra salvezza.
Egli è colui che prese su di se le sofferenze di tutti. Egli è colui che fu ucciso in Abele, e in Isacco fu legato ai piedi. Andò pellegrinando in Giacobbe, e in Giuseppe fu venduto. Fu esposto sulle acque in Mosè e nell’agnello fu sgozzato.
Fu perseguitato in Davide e nei profeti fu disonorato.
Egli è colui che si incarnò nel seno della Vergine, fu appeso alla croce, fu sepolto nella terra e risorgendo dai morti, salì alle altezze dei cieli. Egli è l’agnello che non apre bocca, egli è l’agnello ucciso, egli è nato da Maria, agnella senza macchia. Egli fu preso dal gregge, condotto all'uccisione, immolato verso sera, sepolto nella notte. Sulla croce non gli fu spezzato osso e sotto terra non fu soggetto alla decomposizione.
Egli risuscitò dai morti e fece risorgere l’umanità dal profondo del sepolcro.

Omelia della Domenica di Pasqua di Resurrezione del Signore

Fratelli e Sorelle carissimi, noi cristiani non seguiamo un perdente, ma un vincente. Gesù ha vinto sul peccato e sulla morte, ed è capace di far vincere noi che siamo in lui. Oggi è giorno solenne della vittoria per tutti noi. La carità ha vinto l’odio; la vita ha vinto la morte. La carità tutto spera, tutto sopporta, ci dice san Paolo, e questo lo abbiamo visto in Cristo: tutto ha sperato di fronte alla macchina di disperazione che gli aveva preparato il mondo e il demonio; tutto ha sopportato in mezzo al mulinare di insulti e di torture che ha subito. La carità tutto spera, fratelli e sorelle. Quante persone oggi hanno cessato di sperare. Non parlo delle disperazioni di fronte al dolore, di fronte ai fallimenti, parlo della disperazione di vedere un futuro nuovo, un mondo migliore. Molti, troppi, disperano, e per questo hanno estinto in loro la carità. Vero, a forza di sentire orrori, a forza di vedere dissoluzioni familiari, e altro, in molti è cessata la speranza, e quindi la carità (Cf. Mt 24,12). Molti, molti, sperano, ma sperano in modo debole, con speranza fondata sull’umano. Sperano, ma il raggio della loro speranza è debole, corto, incerto; sperano per loro, per i loro cari, per il loro lavoro, per i loro affetti, magari per la loro patria, magari anche per il mondo. Una speranza senza Cristo è una speranza debole, inconsistente, aperta sempre più a cedere alla disperazione, a quella estrema che giunge a dire: “Il male è; il bene non è”. Ma noi, fratelli e sorelle, abbiamo riposto la speranza in Cristo: Cristo è la nostra speranza. Chi non ama, non ha speranza; è pessimista, pensa male dell’uomo. Sì, pensa male dell’uomo, perché sempre più le creature di Satana gli si presentano davanti e le osserva sentendosene attratto, e pensa che l’uomo sia così, sia fatto così; che tutto il male nasca dalla stessa natura dell’uomo e non dalla perversione che un uomo sceglie. Terribile quando non si guarda più a Cristo e alle creature di Cristo, ai santi, agli uomini e donne trasformati in carità dall’azione dello Spirito Santo, e si finisce per combatterli. Oggi, fratelli e sorelle, è giorno di vittoria e di speranza di vittoria. La carità ha vinto prima di fronte alle seduzioni nei quaranta giorni passati da Gesù nel deserto, poi la carità ha vinto il dolore, l’angoscia. Poi la carità, l’amore del Padre, ha fatto vincere il Figlio vincitore, anche contro la morte risorgendolo. La tomba ha dovuto mollare la sua presa, la terra che accoglie le nostre spoglie mortali di fronte all’onnipotenza di Dio si è arresa di colpo, ed è diventata capace di accogliere il soffio ricreatore dello Spirito, che ricrea in Cristo l’uomo, e per mezzo di uomini ricreati in Cristo plasma la terra secondo Dio e non più secondo il peccato. Sperare negli uomini, negli uomini che idolatrano se stessi, e chiedono di essere idolatrati, è maledizione che l’uomo pronuncia su se stesso. Noi speriamo in Cristo, e i veri portatori di speranza sono quelli che sono in Cristo. Noi crediamo pensiamo bene dell’uomo, non ci lasciamo sgomentare di fronte alle creature plasmate dall’egoismo, dalla lussuria, dall’odio, dalla superbia. Noi, fratelli e sorelle, non ci sentiamo attratti da loro, ma vogliamo Cristo, e diciamo con la sposa del Cantico dei Cantici (1,4): “Trascinami con te, corriamo!”, e sempre con lei affermiamo davanti a tutti (5,10): “L’amato mio è bianco e vermiglio, riconoscibile fra una miriade”. “Il primo giorno della settimana”, quando ancora era buio, la pietra venne sbalzata lontano. E’ mattino, ancora è buio, il sole non è ancora sorto sull’orizzonte, ma ecco, il Sole divino – Cristo – esce dal buio della tomba per creare un giorno nuovo. La risurrezione è un nuovo comando di Dio (Cf. Gn 1,3): “Sia la luce!”. Gesù, vero Dio e vero uomo, nel tempo era stato l’Uomo-Dio, nella risurrezione divenne piuttosto il Dio-uomo, perché la sua umanità fu innalzata alla gloria. Quel primo giorno della settimana è l’inizio di un continuo di giorni nuovi, segnati dall’azione dello Spirito Santo nella Chiesa e nella storia. Le tenebre del peccato sono dissolte, ma potranno oscurare la Luce. Le tenebre potranno tentare di addensarsi, di distruggere la Chiesa, la lampada che irraggia la Luce, ma lampada reggerà sempre, illuminerà sempre. Anzi, il suo cristallo diventerà sempre più terso, sempre più libero da parti oscure, sempre più capace di illuminare. Maria di Magdala, corse da Simon Pietro. Giovanni e Pietro corsero alla tomba. Si corre quando qualcosa urge. La Chiesa corre spinta dalla carità. La Chiesa è veloce; noi dobbiamo essere veloci; veloci non nel produrre il male, ma nel produrre il bene. “Cercate le cose di lassù, non quelle della terra”, ci dice Paolo. Non è un invito ad astrarsi dalla storia, ma un invito a vivere nella storia, sulla terra, nella Luce dei nuovi giorni creati dalla risurrezione e aperti al giorno eterno del cielo. Le cose della terra appartengono al giorno del peccato, “le cose di lassù” appartengono al nuovo giorno, a quello illuminato dal Sole divino. Il mondo che ama il giorno del peccato vuole produrre luci, ma sono luci buie, gelide, ombre, che presentano il peccato come luce, mentre invece è tenebre. Corriamo dunque, fratelli e sorelle, certi di non inciampare, certi di vincere in virtù del Vincitore al quale vogliamo essere fedeli sino alla morte. La carità rende veloci, ma la carità non produce corse disordinate. Giovanni corse veloce, più di Pietro, ma si fermò per lasciare che Pietro entrasse per primo nella tomba. Non corse Giovanni per esplorare per primo, ma perché spinto dall’amore. “Vide”, ma non entrò; lasciò la precedenza a Pietro. Giovanni credette perché disposto ad ascoltare Pietro, che forse non disse in quel momento: “E’ risorto”, ma certo non fu affatto scettico. L’accoglienza dell’autorità di Pietro portò Giovanni a vedere e credere. Non c’è accoglienza della verità senza Pietro, non c’è pensiero teologico senza Pietro. Senza Pietro, senza i successori di Pietro, saremmo ben presto smarriti. Questo è il giorno che ha fatto il Signore; giorno nel quale si vive nella Luce; giorno che ci fa vedere l’uomo, la sua vocazione all’amore, la sua chiamata a Dio in Cristo nell’appartenenza alla Chiesa.
Laudetur Iesus Christe. Semper
Lettera Pastorale Quaresima 2020 image
+ SALVATORE MICALEF
PER GRAZIA DI DIO E DELLA SANTA CHIESA
VESCOVO ORDINARIO

Prot. N. 166/2020 v- o

LETTERA PASTORALE TEMPO DI QUARESIMA 2020

Fratelli e Sorelle carissimi,
oggi 26 Febbraio è iniziato il Tempo di Quaresima, tempo di riflessione, di meditazione, di pentimento, di dialogo con il Signore, che, dopo aver ricevuto il Battesimo da Giovanni Battista andò nel deserto dove soffrì la fame e la sete, e fu tentato da satana. Questo numero di quaranta giorni non fu stabilito dagli uomini, ma consacrato da Dio, né indetto per considerazioni terrene, ma ordinato dalla celeste maestà per tutti gli uomini, che vogliono redimersi dal peccato e dalla morte eterna. È Dio ci ha ordinato di osservare l'impegno quaresimale in questo periodo dell'anno liturgico quando tutta la natura si rinnova e risorge dal torpore dell’inverno. La terra all'inizio della Quaresima depone la tristezza del freddo, ed io e voi all'inizio della Quaresima respingiamo la tristezza dei peccati; la terra è aperta dall'aratro per essere pronta a ricevere la sua semente, la terra della mia e della vostra anima è arata dai digiuni perché sia pronta a ricevere la semente celeste, di cui non avremo mai più, né fame e né sete. Perché, come trae maggior raccolto colui che lavora più assiduamente il suo campo, cosí raccoglie maggiori grazie colui che più lavora il campo del suo corpo e della sua anima con frequenti digiuni e mortificazioni. Ecco infatti che in questo tempo di astinenza nei seminati rinverdisce la messe, i polloni s'alzano in arbusti, le viti si coprono di gemme, tutta la natura si aderge verso l'alto; cosí in questo stesso tempo torna a guardare al futuro la speranza ch'era semimorta, si ritrova la gloriosa fede perduta, la vita temporale si innalza verso la vita eterna, e tutto il genere umano si sottrae al dominio infernale, puntando alto verso il cielo. In questo ciclo di quaranta giorni tutte le creature si danno cura di purgarsi di ciò che è nocivo per giungere pulite alla Pasqua di Resurrezione del Signore. Ora tutte le creature sono in parto, per presentarsi poi col loro frutto. Quindi, inaspettatamente la spina porterà la rosa, sul giunco sboccerà il giglio, gli aridi virgulti daranno profumo, e tutto s'adornerà di fiori cosí che la stessa natura sembrerà col suo splendore celebrare la festa del gran giorno. Queste infatti sono le spine del nostro corpo che pungono l'anima, delle quali dice la Scrittura: “La terra ti germinerà triboli e spine. Mi germina spine la mia terra quando mi stuzzica coi blandimenti della carnale libidine; mi germina triboli quando mi tormenta con l'avidità delle mondane ricchezze”. (Genesi, 3, 18) È spina per il cristiano l'avarizia, spina per l'uomo valente l'ambizione: sembrano dar piacere, ma invece fan danno. Da esse non possiamo difenderci se non con la vigilanza e il digiuno; anzi, in virtù della astinenza quelle stesse spine si mutano in rose. Il digiuno può trasformare la libidine in castità, la superbia in umiltà, l'ingordigia in frugalità. Questi sono i fiori della nostra vita che olezzano soavemente per il Cristo, che mandano buon profumo a Dio, onde dice l'Apostolo Paolo: “Perché noi siamo il buon profumo di Cristo per Dio” (2 Corinti, 2, 15). Il Signore ci ha dunque elargito la Quaresima perché durante questo tempo, cosí come fa tutta la natura, noi concepiamo i germi delle virtù per produrre il frutto della giustizia nel giorno della Pasqua del Signore. Ora, nello stesso spazio di quaranta giorni, il Cristo s'è esercitato, non per progredire Egli stesso, ma per mostrare a noi come progredire verso la salvezza. In Lui non v'era spina di peccato da trasformare in fiore; poiché era egli stesso il fiore nato non da spina ma da verga, come dice il profeta: “Uscirà una verga dalla radice di Jesse, e un fiore salirà su dalla radice” (Isaia, 11, 1). La verga infatti era Maria, gentile, semplice e vergine, che germinò il Cristo come un fiore dalla integrità del suo corpo verginale. Il Signore dunque ha stabilito per noi questa osservanza quaresimale digiunando egli stesso ininterrottamente per quaranta giorni e notti senza voler mangiare. Ma infine, dice l'Evangelista, ebbe fame. Come può dunque essere che, non avendo sentito fame né sete per cosí tanti giorni, dopo abbia avuto desiderio di mangiare? Ebbe fame, certo; e non possiamo negare che abbia desiderato di prendere cibo: perché desiderava non il cibo degli uomini ma la loro salvezza, non agognava banchetti di vivande terrene, ma bramava la santificazione delle anime immortali. Infatti, il cibo del Cristo è la redenzione dei popoli, cibo del Cristo è l'adempimento della volontà del Padre, come disse Egli stesso: “Mio cibo è di fare la volontà del Padre che mi ha mandato” (Giovanni, 4, 34). Ha preso su di sé le nostre colpe, i nostri gravi peccati, e si consegnò volontariamente alla morte di Croce, per dare a noi la salvezza eterna, annientare definitivamente per l’eternità la morte, il diavolo e il peccato. Quindi dobbiamo anche noi sentire la fame, non di quel cibo che si imbandisce sulle mense di questo mondo, ma di quello che si coglie dalla lezione delle divine Scritture! Poiché quello nutre il corpo per il tempo, questo ristora l'anima per l'eternità.

Data a Roma nella Sede Episcopale il 26 Febbraio 2020
Mercoledì delle Ceneri

+ Salvatore Micalef.
Vescovo Ordinario.


Lettere Pastorali del Vescovo image
+ SALVATORE MICALEF
PER GRAZIA DI DIO E DELLA SANTA CHIESA
VESCOVO ORDINARIO
 
Prot. n. 135/2018 v-o
 
LETTERA PASTORALE QUARESIMA 2018

Carissimi Fratelli e Sorelle nel Signore,
la Grazia e la Pace di Dio nostro Padre e del Signore nostro Gesù Cristo sia con tutti Voi. Anche quest’anno con il Mercoledì delle Ceneri, inizia il cammino di Quaresima. Un cammino di penitenza e di riflessione personale di quaranta giorni, che ci conduce pian piano verso la Pasqua di Resurrezione del Signore, per riscoprire il dono della fede a noi donata con il Santo Battesimo. Per incominciare bene questo cammino, dobbiamo valutare e considerare: il digiuno, la preghiera e il silenzio, come tre potentissime armi letali che annientano e allontanano da noi le forze del male e del peccato che cercano in tutti i modi di distracci dalla retta via del Vangelo, che con gioia e senza timore abbiamo l’obbligo di annunciare alle genti fino agli estremi confini della terra. Ora tutti insieme poniamoci questa domanda: Qual è il significato bibblico del segno delle ceneri?
La teologia biblica ci rivela un duplice significato dell'uso delle ceneri:
  1. Anzitutto sono segno della debole e fragile condizione dell'uomo. Abramo rivolgendosi a Dio dice: "Vedi come ardisco parlare al mio Signore, io che sono polvere e cenere..." (Gen 18,27). Giobbe riconoscendo il limite profondo della propria esistenza, con senso di estrema prostrazione, afferma: "Mi ha gettato nel fango: son diventato polvere e cenere" (Gb 30,19). In tanti altri passi biblici può essere riscontrata questa dimensione precaria dell'uomo simboleggiata dalla cenere (Sap 2,3; Sir 10,9; Sir 17,27).
  2. Ma la cenere è anche il segno esterno di colui che si pente del proprio agire malvagio e decide di compiere un rinnovato cammino verso il Signore. Particolarmente noto è il testo biblico della conversione degli abitanti di Ninive a motivo della predicazione di Giona: "I cittadini di Ninive credettero a Dio e bandirono un digiuno, vestirono il sacco, dal più grande al più piccolo. Giunta la notizia fino al re di Ninive, egli si alzò dal trono, si tolse il manto, si coprì di sacco e si mise a sedere sulla cenere" (Gio 3,5-9). Anche Giuditta invita invita tutto il popolo a fare penitenza affinché Dio intervenga a liberarlo: "Ogni uomo o donna israelita e i fanciulli che abitavano in Gerusalemme si prostrarono davanti al tempio e cosparsero il capo di cenere e, vestiti di sacco, alzarono le mani davanti al Signore" (Gdt 4,11).
Secondo elemento importante del cammino quaresimale è, l’astinenza, in particolare dalla carne, che risale all’Antico Testamento e per alcune circostanze allo stesso mondo pagano, anche se con il passare del tempo ha avuto un ampio sviluppo nel monachesimo cristiano. Una severa alimentazione e il controllo della gola combatteva le tentazioni e la concupiscenza della carne, favorendo l’ascesi e il dominio dello spirito sul corpo. Se da un punto di vista scientifico il digiuno quaresimale può essere un toccasana per il corpo, da un punto di vista spirituale ha poco senso se non viene accompagnato con fede dalla preghiera a Dio e dall’elemosina: i tre elementi insieme connotano la pratica penitenziale all’interno della Santa Chiesa.
Terzo elemento è il silenzio, che deve vibrare nel nostro essere umano non come un vuoto interiore ed incolmabile, ma come un riempimento spirituale che ci permette di sentire la voce del Signore che ci parla nell’intimità del nostro cuore, e la sua parola venga udita. “La grande tradizione patristica ci insegna che i misteri di Cristo sono legati al silenzio e solo in esso la Parola può trovare dimora in noi, come è accaduto in Maria, inseparabilmente donna della Parola e del silenzio”. Quindi, la privazione, è l’esperienza tipica del deserto, è una prova che ci rende provati. Ci rafforza e ci eleva fino all’altezza del nostro destino, ci fa scoprire le nostre sorgenti nascoste. E’, se lo vogliamo, un dono che, ci mette in contatto con l’Acqua viva che zampilla nel nostro cuore. Il deserto ci porta alla scoperta delle nostre oasi verdegianti, è un’incudine che forgia l’anima. L’esperienza biblica del silenzio di Dio ci trasmette una lezione che possiamo verificare nella nostra vita: nel suo silenzio, nel suo tacere, Dio ci parla e ci guida sulla retta via, che conduce alla salvezza eterna senza fine.
In conclusione, manteniamo un atteggiamento di raccoglimento e di riflessione personale, seguiamo con devozione la liturgia quaresimale: la Via Crucis, la liturgia penitenziale, e facciamo tesoro degli insegnamenti del Signore, perché questa vita terrena piena di impudicizie e tanta cattiveria non vinca su noi stessi.
 
Laudetur Iesus Christe. Semper Laudetur
 
Dato a Roma nella Sede Episcopale il 14 Febbraio 2018
Mercoledì delle Ceneri
 
Cordialmente in Cristo
+ Salvatore Micalef
Vescovo Ordinario

+ SALVATORE MICALEF
PER GRAZIA DI DIO E DELLA SANTA CHIESA
VESCOVO ORDINARIO
 
Prot. n. 141/2018 v-o
 
LETTERA PASTORALE PER LA SETTIMANA SANTA 2018

Carissimi fratelli e sorelle, pace e benedizioni nel Signore Gesù!
Ormai siamo vicini alle porte della Settimana Santa. Occasione più che straordinaria per preparare il cuore e lo spirito a meditare e rivivere con profondità e devozione la Passione del Signore che si è fatto uomo per noi, e si è addossato i nostri vili peccati per la nostra salvezza, “perché non moriamo in eterno, ma restiamo in vita” (2Tm 2,8-13). I giorni del Triduo pasquale rendono attuale la memoria del dono che Gesù ha fatto e continua a fare di sé stesso all’umanità in ciascuno di noi. Nel suo cammino verso il luogo del Suo supplizio finale, il Calvario, il Signore abbraccia insieme alla croce, la difficile e dura obbedienza verso il Padre, accogliendo su se stesso il progetto di salvezza che risplenderà con la luce della Resurrezione. Il Signore Gesù invita ciascuno di noi a fare il cammino in sua compagnia, aiutandolo con le nostre misere forse a portare la sua Croce. Conosce la nostra debolezza, le paure e le resistenze, i piccoli e grandi tradimenti. Ma nonostante tutto Egli ci vuole bene e ci ama di un amore Misericordioso, ma, bisogna anche precisare, che Gesù è Giudice, “e verrà a giudicare i vivi e i morti e il Suo Regno non avrà fine”, (Credo).
Carissimi Fratelli e Sorelle, mi rivolgo a ciascuno di voi per offrirvi il mio saluto e il mio augurio. Nelle mie visite alle varie cappellanie e famiglie in Italia e all’Estero, durante questi tre anni di ministero episcopale, ho conosciuto molti di voi. Al contempo però ho percepito in tanti una fede profonda, ma anche, bisogna dirlo, una fede alle volte rituale e abitudinaria, come se tutto va per scontato. Ma non è così, la fede in Cristo non si può vivere solo sulla spinta di tradizioni o come un elemento sociale esteriore, pur importante, ma non fondamentale per ottenere la vita eterna. Siamo chiamati e siete chiamati a fare delle fede un elemento di scelta consapevole, che si matura continuamente nella relazione con Dio e con il prossimo e ha bisogno di essere resa visibile nella vita quotidiana. Siete chiamati ad approfondire la relazione tra voi e Dio Padre, Figlio e Spirito Santo, tra voi e la comunità cristiana in cui siete inseriti e chiamati ad agire in virtù di essere cristiani. La Pasqua è un’occasione unica, favorevole, per ritrovarsi insieme come credenti e per vivere il momento centrale della nostra fede: la morte e Resurrezione di Gesù nostro Signore. Non si tratta di vivere le celebrazioni pasquali come un dovere, una tradizione staccata dall’adesione profonda, ma piuttosto come una scelta che ci definisce come credenti e come parte cooperante della comunità cristiana cattolica.
Carissimi, non abbiate paura di vivere la nostra fede, di approfondirla, di raccontarla, di testimoniarla, anche di interrogarla. Non ci sia timore nell’affrontare i dubbi, per capirla e amarla meglio. La fede è certo dono di Dio, ma va anche coltivata, aiutata, stimolata, con la preghiera e i sacramenti. I sacerdoti delle vostre parrocchie, i diaconi, le religiose e i religiosi che vi accompagnano e vi aiutano, sono chiamati a questo ministero e fa parte della loro vocazione aiutare tutti coloro che vogliono conoscere e amare sempre più il Signore. D’altra parte, anche voi siete chiamati ad aiutare presbiteri e i consacrati a vivere la loro vocazione con sempre maggiore fedeltà, nella qualità di una coerenza che aiuta tutti a costruire il popolo di Dio, la Santa Chiesa.
Ora mi rivolgo a voi, carissimi sacerdoti e diaconi. Il Signore mi dà la grazia di vivere insieme a voi la Pasqua. Ci ritroveremo anche quest’anno per celebrare la Messa Crismale la mattina del Giovedì Santo. Non si tratta di una celebrazione di routine, ma di una manifestazione visibile di unità della nostra Prelatura, convocata attorno alla mensa del Signore che tutti ci chiama a seguirLo e, in cui il vescovo manifesta il segno tangibile di comunione con voi. Nei giorni del Triduo Pasquale il Signore ci riproporrà ancora una volta il suo stile di servizio, umiltà, obbedienza, fedeltà, amore, così efficacemente manifestati nella lavanda dei piedi. A ciascuno di voi auguro di vivere il cuore dell’anno liturgico e la sorgente da cui scaturisce la nostra fede: la Passione e la Resurrezione del Signore Gesù, come un invito alla Speranza che sempre ci deve animare anche nei momenti difficili e cupi della nostra vita. Non seminiamo per noi stessi, non parliamo una nostra parola, non annunciamo una nostra salvezza, non diamo una nostra misericordia, ma tutto è invio dello Spirito Santo come dono del Signore, e che ci ha promesso di stare con noi sino alla fine del mondo. Vi esorto dunque a ritornare all’essenziale della nostra vocazione, per rispondere con generosità alla fame e sete di Dio. Siamo chiamati ed inviati tutti alla Mensa del Signore per saziarci con il Pane della Parola e dell’Eucaristia.
Auguri a tutti. Auguri per una Pasqua che illumini gli angoli oscuri del nostro cuore e di ogni uomo della terra, presenti nella nostra vita di credenti. Auguri per una Pasqua di Speranza, di Amore, di Fedeltà al Signore, che incoraggia il nostro cammino nonostante la fatica o il dubbio che quotidianamente riscontriamo nella nostra vita. Auguri anche per coloro che si sentono lontani, non toccati da questo annuncio, forse anche a causa di una nostra tiepida testimonianza.
Auguro a tutti che il Cristo della Pasqua, che dissipa il timore e il male dai nostri cuori ci doni la Pace, entri in ogni casa e ogni cuore, inondandolo della Sua infinita Misericordia.

Laudetur Iesus Christe. Semper Laudetur

Dato a Roma nella Sede Episcopale il 25 Marzo 2018
Domenica delle Palme e della Passione del Signore.

Cordialmente in Cristo

+ Salvatore Micalef
Vescovo Ordinario

Sua Ecc. za Mons. Salvatore Micalef

Arcivescovo Primate

Sua Ecc.za Mons. Jaime Antonio Mota Ruiz

Vescovo Ausiliare e Presidente del Sinodo Internazionale Messico

Don Tino Alberto Crudo

Vicario Generale Pro Tempore

Ing. Alfredo Pasquini

Segretario - Rappresentate tra lo Stato Italiano e la Prelatura

Dott. Alessandro Nebbiai

Segretario - Rappresentante per i Rapporti Internazionali

Studio Legale Tozzi

Avvocato

Via Flaminia, 388 00196 Roma (RM)

Don Tino Alberto Crudo

Vicario Generale Pro Tempore

Don Pasquale Bisceglie

Presbitero

Presbitero Don Gennaro Vitiello

Presbitero Napoli

Don Pedro Lorenzo Rodrigues Reyes

Presbitero Canarie

Don Luigi Sartorello

Diacono Permanente Venezia

Don Daniele Tamiazzo

Diacono Permanente Rovigo

Don Giuseppe d'Agostino

Diacono Roma

Dott. Giovanni De Ficchy

Responsabile Comunicazioni e Caritas

Dott.ssa Alessandra Guida

Ministra Straordinaria dell'Eucaristia Roma

Presbitero Don Alberto Piccione

Don Antonio Sorgiovanni

Presbitero

VESCOVO ORDINARIO
S.E.R. MONS. SALVATORE MICALEF
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CANCELLIERE
Don Daniele Tamiazzo
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Pro Tempore
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UFFICIO LEGALE TOZZI
Avv. Ivano TOZZI
Avv. Riccardo SCARPA
Via Flaminia, 388 - 00196 Roma (RM)
Tel. 06 3226563
Fax: 06 3214300
Nel 1999 in ”Antologia” nel settore della saggistica: Alla Scoperta dell’Antico Egitto, le Tombe Reali nell’Antica Valle dei Re, Edizioni Movimento Salvemini Roma.
Nel 2000, La dimora dei Defunti, Edizioni Movimento Salvemini Roma.
Nel 2015 ha pubblicato grazie all'Amico e Scrittore Salvatore Sottile: "Lettera Pastorale. La Potenza di Gesù Cristo, schiaccia il potere di satana".
Nel 2016 ha pubblicato, "Lo Spirito Santo e i suoi ineffabili Doni", Casa Editrice Serena - Viterbo.
Il libro è in vendita online, oppure, potete fare richiesta scrivendo alla seguente mail: salvatoremicalef@gmail.com , sarà nostra cura spedirlo a destinazione.
Nel 2021 ha pubblicato "Inferno. Causa e Origine di ogni male", Gesù. Il Mistero dell'Eucaristia" e "Maria. Madre Nostra" Casa Editrice Armando Curcio Editore - Roma.
I volumi si trovano in tutte le librerie italiane e del Vaticano.


SALVATORE MONS. MICALEF
VESCOVO ORDINARIO
PIANO PASTORALE ANNO 2017/2020
“L’EUCARISTIA
PER RIDIVENTARE CRISTIANI E COSTRUIRE LA CHIESA
SPOSA DI CRISTO RISORTO”

Roma lì, 15 Ottobre 2017

Introduzione
Come è noto, il progetto pastorale ha una scansione triennale: 2017/2020. Ed ha come soggetto di fondo la “Trasmissione della fede”. Il primo anno ci vedrà impegnati a riflettere sui soggetti della trasmissione della fede (comunità cristiana, presbiteri, gruppi e associazioni) e sui percorsi della fede (primo annuncio, secondo annuncio, percorsi differenziati). Ovviamente, la riflessione si concretizzerà con le iniziative. Quest’anno, senza perdere d’occhio il primo step, anzi consolidandolo, vorremmo introdurci in quell’humus propizio e fecondo per la trasmissione della fede qual è la Liturgia dei Sacramenti, soffermandoci però quasi esclusivamente su: “L’Eucaristia, celebrata e adorata, come fonte e culmine della vita cristiana”. Indubbiamente sarebbe interessante e utile proporre una riflessione sul Sacramento del Battesimo come luogo della prima trasmissione della fede; del Sacramento della Cresima come confermazione di tale fede accolta con senso di responsabilità dal soggetto battezzato; del Sacramento della Confessione o Penitenza come purificazione della fede vissuta; del Sacramento dell’Ordine finalizzato alla edificazione di una comunità di fede; del Sacramento del Matrimonio finalizzato alla testimonianza dell’Amore che, al dire del Magistero della Chiesa, è l’essenza, il nucleo della fede. Come pure sarebbe interessante e utile una riflessione sulla Liturgia delle Ore come alimentazione quotidiana della fede adulta. Ci soffermiamo invece sul senso che ha l’Eucaristia per la vita della Chiesa e del mondo, sul suo contenuto, il suo valore, il suo significato e la direzione che ci guida nella storia. Partiamo da una constatazione: l’Eucaristia è il “Mistero della fede!”. Di conseguenza, tutto ciò che riguarda la fede cristiana è in Essa contenuto. Di qui la concatenazione inscindibile tra “catechesi – Messa – vita”. La catechesi, o meglio “il percorso formativo a diventare cristiani adulti”, è, per così dire, una iniziazione permanente alla celebrazione del Mistero eucaristico! Essa, dunque, ha anima eucaristica. Se per sua natura la catechesi è “introduzione al discepolato di Cristo Eucaristia” per essere trasformati in Eucaristia, in modo riflesso, consapevole e libero, e non una lezione scolastica di religione, di impronta culturale, va da sé che, se vissuta a se stante, senza alcun legame con la Messa, a cui condurre, diventa un aborto. La Messa è il compimento e il senso profondo della catechesi. A sua volta, la Messa è destinata a sfociare nella vita, concretamente negli ambiti della laicità per fecondarli eucaristicamente (questo sarà il tema dell’anno prossimo, che tuttavia va tenuto sull’orizzonte già da quest’anno). Come la catechesi è interamente protesa alla Messa, così la Messa è interamente protesa alla vita di ogni singolo cristiano, che ne è il terminale per giungere alla vita eterna. Non a caso il Concilio Vaticano II definisce il Sacrificio Eucaristico “fonte e culmine di tutta la vita cristiana” (LG 11; la stessa definizione di Liturgia: SC 10: “La Liturgia è il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa è, insieme, la fonte primaria da cui promana tutta la sua virtù”). Nulla di più lontano dal ritualismo o dal comune bigottismo! In questo anno pastorale vorremmo anche scoprire l’identità battesimale e missionaria dei cristiani coinvolti con la partecipazione alla celebrazione della Santa Messa. Si tratta anzitutto della comunità cristiana, nata dal Battesimo, che si edifica in comunione fraterna proprio nella celebrazione dell’Eucaristia, grazie all’azione trasformante dello Spirito Santo. Evidenzieremo il rapporto tra Eucaristia e famiglia, piccola chiesa domestica (Messa domenicale della famiglia!). E’, pur senza mai separarli dal loro contesto familiare, vorremmo riservare una particolare attenzione ai “giovani”, perché riacquistino il gusto per la partecipazione, “attiva e devota”, alla Messa domenicale. La nostra Chiesa non potrà rassegnarsi al fatto che la Messa sia disertata da bambini, ragazzi, adolescenti e giovani. Ci interrogheremo poi sul senso che ha il presbitero con il suo compito di presidente dell’assemblea eucaristica. E porremo attenzione al mistero della vocazione al sacerdozio. Infine, vorremmo far emergere quanto la Messa è: la scuola più alta di discepolato, per intercettare, e per portare a compimento la chiamata alla vita di santità familiare. Dalla Messa può nascere una comunità capace di corresponsabilità laicale, che sia di aiuto e sostegno alla parrocchia, e al suo buon funzionamento. (cfr équipe di adulti rappresentativi della comunità, con mente e sensibilità panoramiche).
In conclusione, mentre nell’Eucaristia ci è dato di capire fin dove si spinge l’amore di Dio, assolutamente gratuito, per l’uomo, così esprimibile parafrasando il versetto del dialogo di Gesù con Nicodemo: “Dio ha tanto amato e ama l’umanità da consegnarsi nelle loro mani Eucaristia nel Figlio morto e risorto”, prendiamo coscienza di quanto Essa ci responsabilizza nei confronti di noi stessi, della Chiesa (che edifica in comunione fraterna eucaristica), dell’umanità. Quali ministeri sono connessi con la celebrazione e da essa esigiti? L’accoglienza, il servizio all’altare (accoliti, diaconi); i lettori (siano preparati a leggere bene!); il coro (anche prima e dopo la celebrazione, dove si possono eseguire musiche e canti strettamente liturgici, di carattere religioso, ma non profani): educare al canto liturgico appropriato; il decoro dell’ambiente, dell’altare, delle suppellettili e dei vasi sacri. Il clima spirituale che deve avvolgere la celebrazione dell’Eucaristia: sentire come grazia e diritto, prima che obbligo, la partecipazione alla Messa; premettere una adeguata preparazione spirituale già partendo da casa, prendendo coscienza del senso partecipativo alla celebrazione dell’Eucaristia come cuore della Domenica-Festa, Giorno del Signore (meglio se ci si prepara in famiglia con la lettura del Vangelo!); avere desiderio di portare alla Messa la vita della propria famiglia; il segno della croce con l’acqua battesimale all’ingresso della Chiesa; creare un clima di silenzio che sintonizza con il Mistero; dopo il saluto liturgico, è auspicabile aggiungere “Buona Domenica!”; realizzare una solenne sobrietà celebrativa da parte del “Presidente”, che rende presente il Vescovo; assicurare armoniosa articolazione dei momenti celebrativi, precisati dal Presidente stesso, senza sforamenti nella lunghezza dei canti e dell’omelia (massimo dieci minuti! Imperniata sui testi biblici, liturgici; a carattere mistagogico esistenziale); tenere una partecipazione “consapevole, attiva e fruttuosa” (SC 11): “È il Signore!”, sempre però nel grembo dell’Amore Trinitario di Dio; fare genuflessione all’ingresso e all’uscita che esprima fede; maturare piena disponibilità a portare nella vita il mistero celebrato e assimilato. E il presbitero abbia possibilità di fermarsi con la sua gente! Quale umanesimo viene germinato dall’Eucaristia? Un umanesimo eucaristico, cioè che si fa dono, contro la cultura dell’individualismo egoista che circonda come in una morsa mortale questo povero mondo. E’ quali sono le attenzioni preferenziali che derivano dall’Eucaristia celebrata e adorata? Quelle verso i poveri, materialmente e spiritualmente, gli anziani soli, i disabili, i malati. Quale rapporto tra Confessione e Comunione, cioè tra stato di salute spirituale e necessità di nutrimento eucaristico? Si tratta di verificare sul piano personale l’efficacia reale del risanamento operato dalla Confessione e del nutrimento eucaristico. Altrimenti se ne contraddice il senso stesso. Tutti gli itinerari pastorali terranno sott’occhio la realtà sacramentale dell’Eucaristia. E come icona? Gesù e i discepoli di Emmaus.
Laudetur Iesus Christe. Semper Laudetur.

CAPITOLO I

ANNO PASTORALE DEDICATO ALL’EUCARISTIA

Un evento di grazia e di celesti favori.
Fratelli e Sorelle carissimi, l’obiettivo primario della nostra prelatura è quello di riprendere, approfondire e riproporre il ricco magistero conciliare intorno all’Eucaristia, come culmine e fonte della vita e della missione della Chiesa (Sacrosanctum Concilium, 10), affinché sia concretamente vissuto nell’esperienza di fede di tutti e di ciascuno e nella pastorale ecclesiale, in prospettiva spirituale e missionaria. Quest’anno, senza perdere d’occhio il primo step, anzi vorremmo introdurci in quell’humus propizio e fecondo per la trasmissione della fede qual è la Liturgia dei Sacramenti, soffermandoci però quasi esclusivamente su: “L’Eucaristia, celebrata e adorata, come fonte e culmine della vita cristiana”, che, per molti aspetti, costituisce l’orizzonte e il quadro di riferimento necessari per comprendere il legame intrinseco che intercorre tra l’Eucaristia e la Chiesa, tra il Corpo sacramentale di Cristo e quello mistico che è la Chiesa, mirabile sacramento scaturito dal mistero pasquale di cui l’Eucaristica è memoriale. Non a caso nell’antichità cristiana il termine “Corpo mistico” era attribuito sia all’Eucaristia che alla Chiesa. L’enciclica di San Giovanni Paolo II: la “Dies Domini” sul giorno del Crocifisso-Risorto e giorno della Chiesa (31 maggio 1998), nella quale è sottolineata la centralità dell’assemblea eucaristica domenicale per l’esperienza di fede dei cristiani e l’edificazione della comunità ecclesiale.
… Per diventare cristiani e costruire la nostra Chiesa
Sull’Eucaristia abbiamo dunque un magistero ricchissimo e stimolante. Occorre solo saper scegliere rispondendo da una parte all’istanza della fedeltà a ciò che abbiamo ricevuto e, dall’altra, alle esigenze e situazioni delle nostre comunità cristiane sparse per il mondo.
D) Perché, allora, una lettera del Vescovo su un argomento così delicato e importante come questo?
· Non si corre il rischio di sovrapporre un altro documento ai molti già esistenti che non è facile leggere, tra tanti impegni?
· Non si corre anche il pericolo di introdurre, nel già complesso itinerario che ci è chiesto di compiere intorno all’iniziazione cristiana, un elemento “di disturbo”?
Questo interrogativo me lo sono posto anch’io. Mi sono deciso a scrivere, soffermandomi sul senso reale che ha l’Eucaristia per la vita della Chiesa e del mondo, sul suo contenuto, il suo valore, il suo significato e la direzione che ci guida nella storia. Partiamo da una constatazione: l’Eucaristia è il “Mistero della fede!”. Di conseguenza, tutto ciò che riguarda la fede cristiana è in Essa contenuto. Di qui la concatenazione inscindibile tra “catechesi – Messa – vita”. In questa prospettiva mi piace, dunque, collocare questa lettera che vuole aiutarci a non dimenticare, anzi a dare tutto il rilievo soprattutto pastorale al fatto che per essere e ridiventare cristiani, e più in generale per costruire una Chiesa autentica ed operosa, occorre mettere alla base, o meglio, al centro, il Mistero eucaristico. “Infatti come afferma il Concilio Vaticano II nella santissima Eucaristia è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa, lo stesso Cristo, nostra Pasqua e pane vivo sceso dal cielo che, mediante la sua carne vivificata dallo Spirito santo e vivificante, dà vita agli uomini i quali sono in tal modo invitati e indotti ad offrire assieme a lui se stessi, il proprio lavoro e tutte le cose create. Per questo l’Eucaristia si presenta come fonte e culmine di tutta l’evangelizzazione” (Presb.Ord., 5). E subito dopo si afferma che essa è “il centro della comunità dei cristiani presieduta dal presbitero”, e dunque della comunità parrocchiale che è chiamata perciò ad essere “comunità eucaristica”. Non tanto perché i cristiani che la compongono partecipano in qualche modo e con frequenza abbastanza regolare alla Messa domenicale, quanto piuttosto perché dall’Eucaristia si lasciano non solo interpellare ma, soprattutto, “plasmare” verso una nuova esistenza di vita. C’è da chiedersi: concretamente cosa significa e comporta questo? Ebbene questa lettera si propone, umilmente, di dare almeno qualche risposta a questo interrogativo. Lo farò cogliendo soltanto alcuni aspetti del Mistero, che reputo fondamentali e che sono come raggi luminosi di un prisma ricchissimo di facce e di riflessi. Con una preoccupazione e un intento particolare. Quello di tentare, a partire proprio dal Mistero eucaristico, di ridisegnare l’identità dei cristiani, in modo che la partecipazione ad esso contribuisca a comunicare loro la forza dello Spirito per diventarlo o ridiventarlo. In secondo luogo, ma in stretta relazione con quanto appena accennato, per convincerci ed impegnarci sempre più decisamente nella costruzione di una Chiesa che sia veramente e pienamente “eucaristica”. Una Chiesa di accoglienza, di dialogo, di oblatività, di comunione e di servizio. Sono questi appunto gli aspetti del Mistero eucaristico sui quali desidero puntare l’attenzione.
L’Eucaristia, sacramento della nuova ed eterna alleanza.
Ritengo finalmente doverosa un’altra “dichiarazione di intenti”. Attiene al “modo” con il quale cercherò di accostarmi al Mistero. Non secondo categorie astratte o razionali ovvero in una prospettiva “statica”, quanto piuttosto ad un “evento” divino, “nascosto” se si vuole, e quindi trascendente, che si svela però e si fa presente qui ed oggi, come evento di salvezza, attraverso segni sensibili, conforme a quella “legge dell’incarnazione” o delle mediazioni che presiede a tutta l’economia della salvezza. E’ secondo questo significato che San Paolo e la Tradizione patristica e liturgica intendono il termine “mistero/i”. Cercherò, dunque, di accostarmi, con timore e tremore, al Mistero Eucaristico partendo dal segno o dai segni attraverso i quali l’evento si fa visibile, fidando sulla luce dello Spirito che, solo, può guidarci dal segno al mistero e farcene diventare partecipi. Per andare dal segno al mistero occorre anzitutto cogliere il senso talora recondito ma inesauribile dei segni partendo dal loro significato antropologico-culturale, ma soprattutto mettendo in risalto il valore espressivo che essi hanno assunto nella storia della salvezza, e in particolare nella Rivelazione biblica. E’ dalla parola di Dio, infatti, che prendono senso pieno e dunque spessore salvifico i “santi misteri” che noi quotidianamente celebriamo. Venendo dunque al Mistero eucaristico l’approccio che mi propongo, squisitamente biblico, è quello di “leggerlo” con gli occhi della fede (come direbbero i Padri) nell’ottica dell’alleanza tra Dio e gli uomini che è come il “filo rosso” di tutta la Rivelazione sia dell’antico come del nuovo testamento. Un’alleanza con caratteristiche particolari in rapporto ai particolari o speciali protagonisti o partners, se si vuole; tra le quali la più singolare sembra essere quella della “sponsalità”, messa in risalto già nella letteratura profetica e sapienziale, e ripresa nella tradizione evangelica e patristica. Un’alleanza, ancora, realizzata con paziente gradualità, secondo quella “pedagogia divina” che risulta da tutta la storia della salvezza, e che fa emergere due aspetti e momenti. Uno relativo all’alleanza come evento storico che, nell’antico testamento, è costituito dalla liberazione di Israele dalla schiavitù d’Egitto, suggellata dall’alleanza stipulata con Mosè alle pendici del Sinai come un sacrificio di comunione sancito dal sangue. Nel nuovo testamento questo evento è costituito dal sacrificio pasquale di Cristo sulla Croce, compiuto una volta per tutte, nel quale ha pieno e definitivo compimento l’alleanza tra Dio e gli uomini. L’altro aspetto è quello della celebrazione memoriale dell’evento stesso. Nell’antica alleanza il popolo d’Israele, divenuto speciale proprietà di Dio, ne celebra la memoria in un’azione rituale nella quale fa concreta esperienza della salvezza che Dio continua ad offrire, attraverso la mediazione dei simboli a coloro che credono in lui e gli sono fedeli. Segnatamente nella cena pasquale, celebrata il Giovedì Santo ogni anno in ricordo dell’Eucaristia. Quindi, il nuovo popolo di Dio, sempre nella celebrazione memoriale dell’Eucaristia, attualizza il sacrificio pasquale di Cristo, ne gode la presenza reale, gli rende grazie e vi s’inserisce partecipando al suo Corpo e Sangue, in attesa del suo glorioso ritorno nella gloria. Vista in questa prospettiva l’Eucaristia, sacramento del sacrificio di Cristo, memoriale perenne dell’alleanza-comunione che in Lui e per Lui Dio offre agli uomini, non è solo una celebrazione del più grande evento della storia della salvezza, ma svela a quanti lo celebrano un progetto di fede e quindi di vita per diventare cristiani e per costruire la Chiesa, nell’ottica appunto dell’alleanza. E’ su questo “progetto” che questa lettera vuole concentrare l’attenzione. Affinché sia da tutti meglio conosciuto e soprattutto “sposato” con più consapevolezza e impegno.

CAPITOLO II

L’EUCARISTIA E’ INCONTRO TRA DIO E L’UOMO
L’incontro: momento iniziale di comunione
Ogni relazione tra persone, soprattutto quella dell’amore, e dell’amore sponsale in particolare, muove sempre e si sviluppa a partire da un incontro. E’ nell’incontro, quando è frutto di una ricerca, di un desiderio, addirittura di un’attesa o di un bisogno, che in genere scatta la scintilla dell’amore. E’ il momento dell’innamoramento che ha sempre qualcosa di indicibile e di “urgente” che spinge fortemente ad aprire un dialogo per una conoscenza più approfondita che è premessa per creare una comunione più profonda. L’alleanza creata tra Dio e gli uomini, è il filo conduttore di tutta la Rivelazione biblica, come già ricordato, non sfugge a questa “logica”. Dio cerca l’uomo perché vuole invitarlo ed ammetterlo alla comunione con Sé, vuole renderlo partecipe della Sua vita Divina (Dei Verbum, 2); con tutti coloro poi che si lasciano trovare e si aprono con la fede all’invito, vuole formare una sola famiglia, un popolo che lo riconosca nella verità e fedelmente lo serva con amore e dedizione (Lumen gentium, 9). Perché Dio cerca l’uomo? Perché Dio è Amore (I Gv 4,8) e l’Amore si rivela e si diffonde, vuole espandersi fino ai confini della terra. Questo avviene in seno alle tre Persone divine nel mistero della Trinità, che è mistero di relazioni e di comunione insieme. Questo fatto, tuttavia, risulta con maggiore chiarezza dalla storia della salvezza di cui il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono i protagonisti perché il mistero della comunione divina si riveli in una “economia” che null’altro ha di mira se non introdurre in essa gli uomini. È il disegno supremo che Dio ha concepito fin dall’eternità e che si sta svolgendo nel tempo e del quale Cristo incarnato, crocifisso e risorto è il centro ed il cardine.
Il Dio dell’alleanza è “con” e “per” gli uomini.
Il Dio della Rivelazione è Dio con noi e Dio per noi. E’ il significato pieno ed autentico del suo “nome”, rivelato a Mosè nel fuoco del roveto ardente, al momento della sua chiamata alla Vera Vocazione. Questa, si può considerare per molti aspetti, l’inizio della vicenda storico-religiosa d’Israele e dunque dell’alleanza con cui Dio, dopo la fase delle promesse, vuole “fare” un popolo numeroso come le stelle del cielo. Dicendo “Io sono Colui che sono” (Es 3,14), infatti, Dio non vuole solo esprimere la trascendenza, ma anche il suo essere “con” e “per” gli uomini di buona volontà. La stessa celebrazione dell’alleanza, dalla quale nasce il popolo di Dio, e che porta a compimento la pasqua di liberazione, inizia con un invito all’incontro, con una vocazione, anzi con una convocazione. “Va’ e convocami il popolo”, ordina Dio a Mosè. La convocazione, l’incontro tra Dio e i salvati dalla schiavitù, è dunque il primo “atto” della celebrazione dell’alleanza. Quello sarà chiamato perciò “il giorno dell’assemblea” (Dt 4, 10). Se dall’antica passiamo alla nuova alleanza, dalla figura alla realtà, dalla promessa all’adempimento, non è fuori luogo considerare il primo momento di essa nell’evento dell’incarnazione. E’ nel suo Figlio fatto uomo che Dio viene a cercare gli uomini, viene a convocarli, per renderli partecipi della sua vita e farne la “ecclesia”, il popolo della nuova ed eterna alleanza. Nell’incarnazione infatti, come avremo modo di approfondire più avanti, Dio si è fatto definitivamente uomo, in Cristo Gesù; si è “sposata” l’umanità chiamando tutti alla comunione con lui. E’ stata soprattuto la Tradizione patristica a sviluppare questo filone di riflessione teologica, destinato a suscitare lo stupore e l’azione di grazie.
L’incontro del Risorto con i due Discepoli di Emmaus
Prendiamo in considerazione l’episodio dei due discepoli in cammino verso Emmaus, avvenuto “il giorno dopo il sabato”, cioè la sera del giorno della risurrezione (Lc 24, 13 ss), e nel quale non è difficile riconoscere, come in filigrana, il dinamismo della celebrazione eucaristica, non solo prende avvio con l’incontro del Risorto con i due Discepoli, ma si qualifica in tutto il suo svolgimento come un incontro sconvolgente, come un appuntamento che cambia radicalmente la vita dei due. Gesù in incognito, travestito da pellegrino si fa loro compagno di viaggio, si unisce discretamente ad essi, si interessa della loro vita, nei loro discorsi, si lascia provocare dalle loro domande, dai dubbi che li assalgono, dalle delusioni che li rattristano. Il Risorto è con loro ma i loro occhi sono impediti di riconoscerlo perché la fede si è spenta e la speranza infranta, in quel famoso Venerdì Santo della storia della salvezza. Il “riconoscimento”, che diventerà esperienza di comunione, avverrà gradualmente, nella misura in cui si apriranno alla parola e si metteranno a tavola con lui. L’esperienza di quei due è quella di tutti i discepoli, nell’Eucaristia. Cristiani si diventa nella misura in cui si accoglie l’invito del maestro, a seguirlo, a camminare con lui sulle vie che egli per primo ha percorso, tracciando la strada sicura che porta alla vita piena ed eterna. Ma quanta fatica, quante sconfitte e delusioni, quante difficoltà, tentennamenti e tentazioni di volgersi indietro o cambiare strada ci vogliono per essere come Gesù veramente ci vuole! Per questo il Signore non cessa di venirci a cercare, di farsi accanto a noi, anzi a “convocarci” intorno a lui per fare Chiesa, Comunità. Per questo motivo infatti, l’ Eucaristia è il sacramento dell’incontro di lui con noi e di noi con lui per formare un solo Corpo. Non è forse questo il significato del “canto di inizio” della celebrazione? Là dove si fondono le voci – afferma Sant’Agostino- si uniscono i cuori. L’Eucaristia è “festa”, di chi chiede sempre di ritrovarsi, di agire insieme con parole e gesti che esprimano gioia e creino unità. “Là dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt 18, 20), queste parole del Signore la Tradizione patristica le ha sempre riferite in modo eminente al “convenire in unum” dell’assemblea eucaristica. Di conseguenza il “saluto” rivolto ai fedeli da colui che presiede e nell’assemblea rende presente Cristo Capo e Pastore, non è solo un augurio, ma soprattutto una constatazione: “Il Signore è con noi”. E se lui è con noi non abbiamo nulla da temere. Niente può spaventarci, nessuno frenarci o arrestarci nel cammino per diventare veri discepoli, ne il dubbio e lo scoraggiamento, né la fatica o la stanchezza che a volte la sequela ci fa sentire. Neanche il peccato, che ci raffredda nell’amore, quando addirittura non lo uccide. Anche in questa situazione infatti, il Risorto che è nostro pastore ci insegue nella valle oscura della lontananza da lui e ci viene a cercare. Chiede soltanto che ci lasciamo raggiungere dai suoi richiami e torniamo a “volgere lo sguardo” a lui, dopo avergli voltato le spalle. È questo il senso della “conversione”, condizione imprescindibile per rinnovare l’alleanza con Dio, compromessa, o peggio ancora, corrotta con la ribellione del peccato. In questa prospettiva prende senso ed acquista spessore impegnativo non solo “l’atto penitenziale” posto all’inizio della celebrazione, ma soprattutto – se siamo consapevoli di aver infranto gravemente l’alleanza con Dio e con i fratelli- il sacramento del perdono. Gesù ha voluto infatti l’ Eucaristia “in remissione dei peccati”, dunque come il sacramento di riconciliazione, o meglio, di un’esistenza riconciliata tra noi con lui, che è la nostra pace (Ef 2 , 14). Solo a questa condizione, divenuti “nuove creature” dall’amore effuso nei nostri cuori che è lo Spirito del Risorto, noi siamo resi degni di “stare davanti a Dio” e di servirlo, con un culto che gli è gradito perché gli è presentato dallo stesso Cristo Signore, Figlio diletto del Padre Sommo Sacerdote, nostro “avvocato” e Mediatore.
L’Eucaristia ci educa all’incontro.
La Chiesa, infatti, prolungamento nel tempo dell’umanità di Cristo, che nell’assemblea eucaristica ha la sua più alta epifania, è “la tenda dell’incontro”. Non soltanto perché in essa sono le sorgenti della vita e ci è dato, perciò, d’incontrare il Risorto che è via, verità e vita e formare una sola famiglia; ma perché nel deserto del mondo, a molti che sono pellegrini smarriti e disorientati, è consentito di trovare nella celebrazione eucaristica domenicale un’oasi di accoglienza, per soddisfare attese e trovare risposta alle loro domande. L’Eucaristia, mistero di accoglienza del Signore nei nostri confronti, è un’esperienza che deve modellare il cristiano e la comunità che la contemplano, la celebrano e la adorano e quindi spingere a tradurla in uno stile di apertura, di disponibilità, di accompagnamento nei confronti di tutti coloro che s’incrociano sulle loro strade. E a farlo come lo ha fatto lui, “in sua memoria”, con la stessa intensità e vicinanza, con le stesse caratteristiche di gratuità, di tolleranza, di pazienza e di premura. “Accoglietevi gli uni gli altri, come Cristo ha accolto voi”, ci ripete San Paolo (Rm 15,7). L’Eucaristia plasma ed educa all’accoglienza. Non solo quando ci si raduna in assemblea per celebrare il memoriale della pasqua, senza pregiudizi o chiusure; ma anche prima e dopo e in ogni situazione della vita, in modo che chiunque nelle comunità soprattutto parrocchiali si senta sempre ed effettivamente accolto come membro di una famiglia, come una persona che ha una sua dignità e merita perciò rispetto, attenzione, ascolto; specialmente se in difficoltà o alla ricerca di risposte da dare alle domande di senso che si agitano nel cuore. Per far sì che appaia effettivamente che Dio è Padre e vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità (I Tm 3,4).

CAPITOLO III

L’EUCARISTIA E’ DIALOGO
La Rivelazione: dialogo tra Dio e gli uomini
Nella relazione d’amore, e nell’alleanza sponsale in particolare, l’incontro dell’uomo e della donna, che ne costituisce l’inizio ed il fondamento, è destinato a svilupparsi e maturare nel dialogo. E’ nella natura delle cose. L’uomo infatti, “spirito incarnato”, come lo definisce San Tommaso, i suoi pensieri e i suoi sentimenti più profondi li manifesta e li comunica prima di tutto con la parola. La parola riconosciuta e accolta genera la risposta e dunque il colloquio dell’amore. “Quando Dio parla agli uomini usa il linguaggio degli uomini”, dice Sant’ Agostino. Questo vuol dire che quando Dio decide di far conoscere agli uomini da lui eternamente amati il suo progetto di salvezza, per invitarli a diventare non solo destinatari ma protagonisti nella storia, adotta uno stile che si muove secondo la stessa logica. E’ la “pedagogia” che si riscontra già nella Rivelazione biblica. Così Dio mostra la sua “condiscendenza” verso l’umanità e pone in atto una “strategia di adattamento” nei confronti degli uomini, che diventa quindi punto di riferimento imprescindibile per quanti egli chiama a collaborare al suo disegno e perciò costituisce suoi testimoni. Questo è vero in modo del tutto speciale per l’alleanza dapprima promessa e poi realizzata, nella prima fase della storia salvifica, con Israele e dopo di lui e a partire da lui con il mondo intero. E’ per tale motivo che Paolo VI nella sua prima enciclica dal titolo “Ecclesiam suam”, può affermare senza ombra di dubbio che la “Rivelazione, cioè la relazione soprannaturale che Dio stesso ha preso l’iniziativa di instaurare con l’umanità, può essere raffigurata in un dialogo”. E continua ricordando che “la storia della salvezza narra … questo lungo e vario dialogo che parte da Dio, e intesse con l’uomo è mirabile conversazione” (n. 72) e che ha -com’è noto- la sua più piena attuazione nella Parola fatta carne (Eb 1, 1 ss). Lo dice la stessa parola “Rivelazione”. Attraverso questo dialogo Dio svela ed attua progressivamente il suo progetto di alleanza/comunione; mette in atto una sapiente pedagogia fatta di rispetto per l’uomo, di gratuità e di amore; si fa conoscere, manifesta la sua volontà: ciò che egli chiede all’uomo per essere amato e servito; ma chiede soprattutto una risposta di libertà, una decisione; in una parola “l’obbedienza alla fede” (Rm 1,5) che è quanto dire una vita di fedeltà ed un servizio che ha la sua somma espressione più significativa nel culto, nella preghiera nell’obbedienza e nell’amore reciproco.
Il dialogo nella celebrazione dell’alleanza
Quanto siamo venuti dicendo emerge con chiarezza da quasi tutte le pagine della Sacra Bibbia. Come, ad esempio, quando Dio chiama gli uomini a collaborare all’attuazione del suo disegno di amore. A partire dai patriarchi con i quali stringe un’alleanza e li fa portatori della promessa di volerla estendere ad un popolo numeroso come le stelle del cielo; fino ai profeti ai quali chiede, quando Israele si allontana da lui, di farsi suoi portavoce per esortarlo alla conversione e annunciare un’alleanza nuova che non verrà mai meno. Quando l’alleanza verrà finalmente sancita, per la prima volta “nel giorno dell’assemblea”, come sopra ricordato, per portare a compimento l’evento pasquale di Israele, Dio, dopo la convocazione apre con il popolo un dialogo attraverso Mosé. Propone le “dieci parole dell’alleanza” e detta per così dire le clausole di un patto di comunione che comporta una reciproca fedeltà e viene suggellato in un rito di sangue, ma solo dopo che Israele ha detto “l’amen” della sua obbedienza e del suo impegno (cfr. Es 24, 3 ss). Tutto ciò avviene, nella vicenda di Israele, tutte le volte che il popolo avendo tradito l’alleanza, la fiducia dell’Unico Vero Dio, dopo averne preso piena conscenza e consapevolezza, ritorna come un agnello mansueto a Dio per rinnovarne gli impegni (Gs. 24, 1 ss; Ne 8-9). Sono soprattutto le pagine del Vangelo, “buona novella” dell’alleanza che Dio vuole sancire con tutti gli uomini, per mezzo del suo Figlio fatto carne, ad attestarci che la Rivelazione è dialogo. Dopo averli incontrati ed essersi interessato ai loro dubbi ed allo smarrimento che li invade, il Risorto entra in dialogo con essi; spiega le Scritture e mentre svela il suo “segreto messianico” alla luce delle antiche profezie, dissipa le loro incertezze, risponde alle domande che si agitano nel loro cuore triste ed abbattuto, soprattutto in ordine alla scelta fatta del discepolato di Cristo che li aveva attratti e chiamati con sé. Le parole del misterioso Viandante scendono nel cuore e lo fanno ardere da una fiamma viva e rigenerante, sono un “mistero di luce” che ridesta la fede e fa fiorire sulla loro bocca l’invocazione: “Resta con noi, Signore!” ormai è giunta la sera. La loro esperienza di fedeltà diventa anche la nostra nell’Eucaristia, memoriale della risurrezione del Signore.
Il dialogo nell’Eucaristia
La liturgia nel suo insieme di segni sensibili ed efficaci dell’alleanza nuova di Dio con gli uomini come “storia della salvezza in atto” ha una dimensione e struttura essenzialmente “dialogica”. “In essa –come afferma la Costituzione liturgica, Dio parla al suo popolo e il popolo risponde con il canto e la preghiera” (n. 33). Non a caso, infatti, nell’azione liturgica un posto fondamentale ed insostituibile ha la proclamazione della parola di Dio che svela il piano della redenzione nella storia umana, dapprima annunciato e poi definitivamente compiutosi in Cristo. Privata della parola di Dio la liturgia si riduce facilmente a cerimonia o rito esteriore. Può essere anche esteticamente bella, ma risulterebbe senz’anima. Perde la sua efficacia salvifica. La stessa risposta ad essa, nella celebrazione è costituita prevalentemente dai Salmi con i quali noi rispondiamo a Dio con le sue stesse parole, come afferma Sant’Agostino. Per questo possiamo star certi di essere più facilmente ascoltati. Questo che è vero per ogni celebrazione, lo è soprattutto dell’Eucaristia nella quale il dialogo divino raggiunge il suo vertice, particolarmente nella prima parte, opportunamente denominata liturgia della parola e che la riforma conciliare, aprendoci una mensa più varia e abbondante di essa, per di più proclamata nella lingua viva, ci ha fatto riscoprire. Non come semplice “scuola” e dunque con valore didattico o di insegnamento, ma come evento di grazia e di santificazione. Attraverso le letture, Dio ci parla e continua ad operare le meraviglie del suo amore; attraverso il Vangelo, in particolare, Cristo Signore si fa realmente presente tra i suoi per donare lo Spirito, per alimentare la fede e trasformare così tutta la vita in offerta gradita al Padre, come la sua. Quella parola divenuta viva, ha un suo naturale prolungamento nell’omelia, destinata a renderla attuale ed impegnativa per chi l’accoglie, non è dunque semplice rievocazione di fatti del passato. “E’ viva, efficace e più tagliente di una spada” (Eb 4,12) destinata ad avere il suo compimento in coloro a cui è inviata perché si faccia carne in loro, come in Maria nel mistero dell’incarnazione e in tutta la sua vita di prima discepola del Signore. E’ questa la prima e fondamentale risposta che ci è chiesta nel dialogo con Dio. Tuttavia, nella celebrazione eucaristica, la risposta è destinata ad assumere anche forme sensibili, come è richiesto dalla natura stessa non solo della liturgia, ma della nostra natura di creature che esprimiamo i sentimenti più profondi attraverso parole e gesti. Ascolto, contemplazione, stupore, lode e azione di grazie, compunzione di cuore e invocazione, si esprimono nel silenzio, nella risposta del salmo (in rapporto al messaggio della lettura proclamata), nel canto gioioso di acclamazione che, mentre ci apre all’accoglienza della parola evangelica, ci fa dire “grazie” dopo averla fatta nostra. Ma è soprattutto attraverso la professione di fede (il Credo degli Apostoli sancito nel Concilio di Nicea nell’Anno 325), che manifestiamo il nostro assenso a ciò che Dio nella sua parola ci svela e ci chiede per diventare discepoli del suo Figlio. Finalmente, nella preghiera di invocazione con respiro universale, mentre esercitiamo il servizio sacerdotale, facciamo nostre le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce, i bisogni e le attese non solo della Chiesa ma del mondo perché tutto e tutti sperimentino la bontà di Dio e siano a lode della sua gloria.
ll dialogo come servizio alla comunione e alla missione
Il dialogo che avviene nella celebrazione eucaristica è chiamato però a irradiarsi e a prolungarsi in forme e momenti diversi sia nell’esperienza di fede personale del discepolo, sia in quella dell’intera comunità orante. Sempre però da un duplice versante: quello “discendente”, del dialogo che, come dono, viene da Dio direttamente e/o attraverso mediazioni; quello “ascendente” che è costituito dalla risposta al dono da parte di chi lo accoglie. Ciò si presenta, per esempio, nelle diverse forme di annuncio della parola di Dio. A partire dal “primo” che ha come buona notizia Cristo crocifisso e risorto. E’ l’inizio dell’itinerario della fede che non possiamo mai dare per scontato nell’attuale situazione. E poi c’è la catechesi ordinaria, servizio fondamentale per la crescita e maturazione nella fede e, con essa, le nuove forme di annuncio come l’attivazione dei Centri di ascolto del Vangelo, di testimonianza negli ambienti di vita. Nel clima di smarrimento, d’ incertezza, di disgregazione e di conflitti soprattutto interiori o di ricerca di senso più o meno espressa, di fronte alle non poche occasioni che ci si offrono, un’attenzione particolare va riservata alla relazione interpersonale e al dialogo a tu-per-tu di cui Gesù è maestro, come si evidenzia dai suoi noti colloqui con Nicodemo (Gv 3, 1 ss) e con la Samaritana (ivi 4, 7 ss). Sono occasioni da valorizzare per offrire a Dio l’opportunità di continuare a parlare e aprire un dialogo con gli uomini del nostro tempo affamati di verità anche se distratti e disorientati da tante parole e proposte. C’è poi un dialogo “ascendente” tra gli uomini, divenuti discepoli, e il Padre, il Figlio suo nello Spirito Santo, destinato a prolungarsi nel colloquio della preghiera personale soprattutto, fatta di silenzio, di contemplazione, di ascolto, di stupore che non sempre è esprimibile con le parole… Come non pensare parlando dell’Eucaristia, all’adorazione che spinge il credente singolarmente e tutta la comunità, a sostare in ginocchio in preghiera davanti al tabernacolo o all’altare sulla cui mensa è esposto, in momenti che si vorrebbero sempre più frequenti e ben preparati, il sacramento della presenza di Cristo tra i suoi? Se si vuole viverli come esperienza d’incontro e di dialogo è necessario che, lasciando tempo adeguato al “sacro silenzio” essi propongano, con sobrietà e senza eccessivo verbalismo, l’ascolto della parola di Dio e suscitino la risposta dell’adorazione, del ringraziamento e della supplica. Ma c’è ancora un altro aspetto da tenere presente. Il dialogo che si compie durante la celebrazione eucaristica e, più in generale nell’annuncio della parola di Dio e nella preghiera è esemplare, anzi “normativo”, punto prezioso di riferimento per la missione che i credenti che sono sollecitati a compiere per far progredire il disegno di Dio nella storia, fino al suo compimento, la discesa della Nuova Gerusalemme Celeste. Con il Concilio Vaticano II la Chiesa ha inteso riprendere, dopo secoli di separazione, di incomprensioni reciproche, di fratture e persino di contrapposizioni, le vie del dialogo non solo con il mondo moderno, ma anche con le altre confessioni cristiane e con le grandi religioni. Paolo VI che dell’assise ecumenica è stato guida saggia, prudente ed aperta, nell’enciclica già ricordata “Ecclesiam suam” ne ha illustrato senso e portata, le caratteristiche, lo stile, gli obiettivi a partire dal dialogo intessuto da Dio con gli uomini, nella storia della salvezza. Ebbene questo dialogo che ha nella celebrazione eucaristica la sua espressione più alta e di più grande efficacia, in ragione della presenza del Risorto che con la parola fa dono ai suoi dello Spirito Santo per la comunione e la missione, non solo ci plasma come Discepoli ed Apostoli di Cristo, ma ci educa e ci spinge al dialogo con il mondo. Un dialogo da condurre con discernimento, ma anche con coraggio profetico per riconoscere i semi del Verbo presenti nella storia e portarli a compimento con pazienza ed amore, ma anche per denunciare il male in tutte le forme ed estirparlo alle radici al fine di aprire all’umanità gli orizzonti della speranza nuova. Nei confronti dell’uomo smarrito, disorientato, in preda alle molte paure, il dialogo è la via privilegiata per stabilire ponti d’intesa e di comprensione per favorire quell’accompagnamento personale in grado di far scoprire o riscoprire la fede e quindi la chiamata di Dio ad entrare nel suo progetto salvifico. È una “strategia” da riprendere e valorizzare, facendo delle nostre comunità parrocchiali, edificate sull’Eucaristia “fontane” non inaridite, ma in grado di soddisfare la sete di chiunque bussa alla porta della “casa comune” per trovare ospitalità non da straniero, ma da amico e fratello, e formare una sola famiglia.

CAPITOLO IV

L’EUCARISTIA E’ DONARE LA VITA
Dio celebra le nozze con l’ umanità
In ogni rapporto d’amore fra uomo e donna giunge sempre il momento nel quale si avverte che le parole non sono più sufficienti ad esprimere in pienezza la relazione interpersonale ed a creare una comunione che si desidera sempre più profonda e coinvolgente. Per questo all’altro/a ci vuole il totale dono reciproco della vita. È avvenuto così in qualche modo anche nella storia dell’alleanza tra Dio e gli uomini. Dopo la fase del dialogo incentrato sulla parola e instaurato in particolare con il suo antico popolo, Dio infatti ha voluto farsi carne nel Figlio, nato dalla Vergine, perché tutti gli uomini, in lui e per lui, avessero la pienezza della vita. Dopo la stagione del fidanzamento con Israele vissuta emblematicamente nel deserto, durante i quaranta anni dell’Esodo (Os 2, 16) Dio, nella pienezza del tempo (Gal. 4,4), ha voluto celebrare le nozze con l’umanità, unendosi così in certo modo ad ogni uomo (Gaudium et Spes, 22). È la prospettiva nella quale si colloca, ad esempio, il racconto evangelico di Giovanni, che, nella sua dimensione simbolico-sacramentale ci svela il “mistero”. Come fa anche la Lettera agli Ebrei, considerata dagli studiosi una grandiosa omelia nella quale domina Cristo mediatore della nuova ed eterna alleanza. L’incarnazione costituisce il primo momento delle nozze tra Dio e l’umanità. Di esse Giovanni vede un “segno” nello sposalizio di Cana, inizio dell’ “ora” di Cristo che si compirà più tardi con la morte sulla croce. È analoga la prospettiva della Lettera agli Ebrei. Entrando nel mondo e assumendo una carne umana da Maria, per opera dello Spirito Santo, il Verbo dice il suo “eccomi”, il sì dell’obbedienza al Padre ed al progetto dell’alleanza. È il primo momento di un evento, quello sponsale, che avrà la sua “consumazione” nel sacrificio della croce, quando il dono della vita sarà totale e fecondo.Qui l’atto di obbedienza al Padre sarà definitivo e Dio esprimerà il suo gradimento risuscitandolo da morte il terzo giorno e costituendolo Signore e datore di vita per tutti coloro che crederanno in lui. E da esso nascerà la Chiesa, Sposa dell’Agnello e inizio di una nuova umanità redenta dal suo sangue innocente.
La “vita data” nel segno del sangue
Di quanto Dio ha compiuto nella pienezza del tempo abbiamo però qualche prefigurazione e annuncio già nell’antica alleanza. Il popolo d’Israele infatti era già stato in qualche modo introdotto nell’esperienza di comunione alla vita divina. Un segno particolare esprime questa partecipazione: il sangue, che in molte culture antiche è il simbolo per eccellenza della vita. È nel segno del sangue, infatti, che viene sancita sul Monte Sinai l’alleanza di Dio con Israele proposta dalle parole della Legge. “Mosé scrisse tutte le parole del Signore poi si alzò di buon mattino e costruì un altare ai piedi del monte… Incaricò alcuni giovani tra gli Israeliti di offrire… sacrifici di comunione per il Signore… Prese poi metà del sangue e lo versò sull’altare. Con l’altra metà asperse il popolo dicendo: ecco il sangue dell’alleanza che il Signore oggi ha concluso con voi” (Es 24, 4-5.7). Se dal segno andiamo al “mistero” è facile scoprire il messaggio trasmesso dalle parole e dai gesti di Mosé. L’alleanza si suggella nel contesto di un sacrificio di comunione. Il sangue sparso prima sull’altare, luogo della presenza o rivelazione divina, e poi sulle tribù d’Israele esprime con chiarezza che l’alleanza è un patto vitale, che crea una comunione di vita tra Dio ed Israele divenuto, in forza di ciò, da un insieme di tribù, il popolo che appartiene a Dio, una nazione santa chiamata ad annunciare a tutti le meraviglie compiute per lui. Dalle pendici del Sinai andiamo al Cenacolo, dove Gesù, come ogni ebreo sta celebrando insieme agli Apostoli, nel rito pasquale la memoria della liberazione o alleanza. La nostra attenzione si concentra sulle parole che egli pronuncia alla fine della cena mentre prende in mano il calice del vino per pronunciare la “benedizione” con la quale si rendevano grazie a Jahvè per l’evento. Sono, con qualche aggiunta significativa che evidenzia la novità di quanto sta avvenendo, le stesse pronunciate da Mosé quando viene sancita l’antica alleanza: “Questo è il mio sangue dell’alleanza, versato per molti in remissione dei peccati” (Mt 26, 28). Quel sangue è quello dell’Agnello/Servo: lo stesso che l’indomani sarà versato sulla croce; il sangue della nuova ed eterna alleanza che abbatterà tutti i muri innalzati dalla superbia umana che separano gli uomini da Dio (Ef 2,14) e rappacificherà tutte le cose che stanno sulla terra e nei cieli (Col 1,20). Quel sangue è la vita “data”, offerta al Padre, perché il progetto antico, ombra e figura della comunione sponsale, sia finalmente compiuto.
L’Eucaristia, sacramento della “vita data”
Nel suo intrinseco dinamismo di azione simbolico/rituale, che si rifà a ciò che avvenne sul Sinai, l’Eucaristia, dopo l’incontro iniziale con il Risorto e il dialogo attraverso la parola proclamata ed accolta nella fede, raggiunge il suo vertice nella grande preghiera di azione di grazie e di santificazione. Non è un semplice testo da “recitare” magari frettolosamente, come si sente con una certa frequenza, ma un vero e proprio “evento”, un’azione di grande respiro che fa memoria dell’opera della redenzione. Ciò che “avviene”, tutto quello che colui che presiede dice e fa e di cui tutti si fa esperienza, assume significato e portata salvifica nel nostro oggi. Ci consente di entrare del mistero “grande e tremendo” che si compie e diventarne partecipi dell’unico Corpo. È necessario sostare, anche se per un istante in contemplazione di ciò che avviene. Gesù, come il padre di famiglia nella cena pasquale, compie i gesti tipici del rito: prende il pane… prende il vino, rende grazie e li dà ai suoi amati Apostoli. Questi gesti però acquistano spessore particolare alla luce delle parole che li accompagnano. Quel pane e quel vino infatti non sono soltanto gli alimenti del pasto rituale, ma diventano il suo Corpo e il suo Sangue offerti in sacrificio al Padre per la vita del mondo. Sono la sua stessa vita di Figlio, Servo obbediente fino alla morte, spesa tutta per la gloria del Padre e la salvezza di noi uomini corrotti e, che si consumerà totalmente nella morte di croce, nel dono supremo di sé fatto sì “con forti grida e lacrime” (Eb 5,7) con totale obbedienza al Padre e con l’amore più grande per gli uomini. Agli Apostoli chiede di ripetere quei gesti e quelle parole fino a che Egli venga. Da allora in poi il pane ed il vino, deposti sull’altare, intorno a cui è riunita la famiglia di Dio presieduta da chi rende presente in essa il Signore Gesù, presi in mano in un clima di azione di grazie e di memoria e accompagnati dalle stesse illuminanti parole, per un singolare intervento dello Spirito Santo diventano ancora il suo Corpo ed il suo Sangue, il sacramento del suo sacrificio. Nulla è mutato all’apparenza, ma in essi e attraverso di essi Cristo Signore è presente in Corpo Sangue e Divinità, è veramente e pienamente l’ Emmanuele, il Dio con noi e per noi. Il Crocifisso Risorto, Sacerdote eterno, glorioso alla destra del Padre al quale egli mostra le piaghe gloriose, sempre vivo per intercedere a nostro favore (Eb 7, 25) e gli ripete il “si” della sua obbedienza sacrificale, mentre continua ad effondere sulla Chiesa lo Spirito Santo, come fece dalla croce, per consentire ai suoi di unirsi a lui e fare lo stesso.
Fate questo in memoria di me
Davanti al mistero della vita data, che è come Gesù stesso dichiara la prova ed il segno supremo dell’amore (cfr.Gv 15,13), solo silenzio e stupore sono gli atteggiamenti adeguati. “Adorare, tacere e godere”, come diceva Antonio Rosmini. Eppure il Signore ci chiede qualcosa di più sorprendente e sconvolgente: Fate questo in memoria di me (Lc 22, 19). Cosa in concreto? Non semplicemente di ripetere le sue parole o i suoi gesti, quanto piuttosto come dice san Paolo di fare nostri i sentimenti che furono in lui, al momento del suo sacrificio pasquale, di cui appunto facciamo memoria nell’Eucaristia. Ci chiede che il sacrificio del suo corpo dato e del suo sangue versato diventi “nostro”. E ciò è possibile nella misura in cui anche la nostra vita come la sua è “perduta”, cioè data al Padre in un atteggiamento di obbedienza filiale e di servizio. Gesù sa cosa c’è nel cuore dell’uomo (cfr. Gv 2, 24); conosce le debolezze, le fragilità, le miserie che ci inclinano sui sentieri tortuosi dell’egoismo, della superbia e dell’autosufficienza. Per questo ci viene incontro e supplisce al nostro limite; e su noi, che lo invochiamo dal Padre nella preghiera eucaristica, effonde lo Spirito Santo. Quello stesso che a lui consentì di offrirsi vittima immacolata a Dio (Eb 9, 14) rende capaci anche noi di diventare sacrificio gradito a Dio, servi-figli pronti a fare della nostra vita tutto ciò che Cristo ha fatto della sua. Come diventa non solo impegnativa ma esaltante e feconda la nostra partecipazione all’Eucaristia se celebrata e vissuta così! Ben diversa da un rito di costume, di convenienza o abitudine. Lo stesso atteggiamento oblativo dovrebbe animare anche il momento nel quale l’adorazione del “mistero della fede”, compiuta nel cuore della celebrazione eucaristica, si estende soprattutto dopo di essa per prolungarne l’esperienza. Il culto in Spirito e verità (Gv 4,24) che Dio ricerca dai suoi autentici adoratori, come Gesù rivela alla Samaritana e di cui egli ci dà per primo l’esempio, chiama in causa anzitutto quegli atteggiamenti interiori che si riassumono nel sì dell’obbedienza e della fedeltà. Tutto il resto, a cominciare delle parole e gesti del culto, sono “veri” nella misura in cui esprimono e traducono lo spirito che dovrebbe animarli. “La pietà che spinge i fedeli a prostrarsi in adorazione dinanzi all’Eucaristia li attrae a partecipare più profondamente al mistero pasquale… offrendo tutta la loro vita con Cristo al Padre nello Spirito Santo, attingono da questo mirabile scambio un aumento di fede, di speranza e di carità” (Rituale del culto eucaristico, Premesse, n. 88).
La Chiesa dall’Eucaristia
C’è un ulteriore aspetto da sottolineare legato al dono della vita fatta da Cristo al Padre con il suo sacrificio pasquale, di cui facciamo memoria. È relativo al frutto più importante e maturo di esso che è la Chiesa, mirabile sacramento scaturito dal suo fianco, sulla croce. Proprio perché l’Eucaristia è il sacramento di questo sacrificio, si deve affermare che da essa la Chiesa, che si manifesta e si edifica in ogni assemblea liturgica, è costantemente generata e rigenerata. “La Chiesa vive dell’ Eucaristia” è l’argomento dell’enciclica che San Giovanni Paolo II ha reso pubblico. In una bella pagina del Concilio Vaticano II tante volte ricordata, si legge: “Non è possibile che si formi una comunità cristiana se non avendo come radice e come cardine la celebrazione della Santa Eucaristia, dalla quale deve prendere le mosse qualsiasi educazione tendente a formare lo spirito di comunità “ (Decr. sul ministero e la vita dei presbiteri, n. 6). Radice e cardine perché nell’Eucaristia è dato a coloro che vi partecipano, di diventare un cuor solo ed un’anima sola. Lo Spirito Santo, riversato nei cuori dal Risorto presente nel mistero, li riempie del suo amore, suscita nella comunità doni e servizi, introduce tutti in una esperienza viva e forte con il Signore, mette in ciascuno il fuoco della missione. Si comprende allora la centralità che ha e deve avere l’Eucaristia nella vita della comunità parrocchiale, soprattutto nel “giorno del Signore” che perciò è anche “giorno della Chiesa”. In ordine soprattutto ad una comunione autentica ed operosa che non può limitarsi a stare gli uni accanto agli altri, dunque di tipo puramente fusionale. Radicata su colui che è il Capo del Corpo, originato e vivificato dallo Spirito, la comunione non sopporta chiusure individualistiche o di gruppo; divisioni e frammentazioni che contraddicono l’unità della stessa famiglia; dispersioni che lacerano il tessuto della veste senza cuciture di Cristo, che è appunto la Chiesa. Quante conseguenze dovremmo avere il coraggio di trarre da questi richiami di carattere teologico per la spiritualità e la nostra pastorale!
Perché il “fate questo” sia vero…
Quella di Cristo non è solo una pre-esistenza vissuta nella relazione della comunione trinitaria, ma una vera “pro-esistenza”: una vita spesa facendo del bene a tutti, come buon samaritano dell’umanità, incarnazione dell’amore del Padre per tutto l’uomo e per tutti gli uomini. Fino alla morte di croce. Il cristiano è “un altro Cristo”. Lo è già per un dono dello Spirito Santo ricevuto nel battesimo, ma deve diventarlo sempre più nella risposta quotidiana al dono e vissuta in coerenza con ciò che Cristo ha fatto e insegnato durante il corso della sua vita. Fino a giungere “all’età matura” (Ef 4, 7). Dare la vita è dunque requisito essenziale per camminare da veri discepoli (Lc 9, 23-24). Anche se su questa istanza avremo modo di ritornare più avanti; mi preme qui sottolinearne un obiettivo fondamentale come quello della comunione che è requisito per fare memoria nell’Eucaristia del Servo- Figlio e nello stesso tempo impegno per viverla autenticamente. Ciò richiede, tra l’altro, spendersi generosamente e totalmente perché sia aperto a tutti l’accesso alla comunione con Cristo senza porre barriere o lasciandosi condizionare o frenare da pregiudizi. Chiede anche di non chiudersi nel privato, di superare le innate e frequenti spinte all’individualismo, al ripiegamento su se stessi o nel piccolo gruppo degli affini. La coerenza con quanto siamo venuti dicendo, comporterebbe non pochi cambiamenti nel nostro modo di pensare e di agire. Si tratta di quella “conversione” a cui sollecitano i Vescovi nel recente documento “Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia”. In ordine, ad esempio, ad una integrazione tra la celebrazione eucaristica domenicale della comunità e quelle di eventuali altre aggregazioni, Confraternite comprese, che, se non sono armonizzate e subordinate ad essa, possono offuscare il senso dell’unità intorno all’unico altare e contraddire l’unico pane di vita che tutti siamo chiamati a condividere per formare un solo Corpo. L’Anno dell’Eucaristia è un’occasione da non perdere a riguardo, non per il gusto di cambiare rispetto a consuetudini radicate da tempo, ma con l’intento evangelico di potare dalla santa vite che è Cristo vivente nella Chiesa, qualche tralcio di troppo o d’ingombro perché porti più frutto.

CAPITOLO V

L’EUCARISTIA E’ COMUNIONE
Il banchetto, nelle culture e nell’esperienza religiosa
In ogni cultura antica e moderna ritrovarsi insieme intorno ad una mensa acquista un senso ed un valore che vanno ben oltre la convenzionalità o il bisogno materiale di nutrirsi. Tanto più quando si tratta di banchetti – si direbbe “ufficiali”- che sottolineano patti o alleanze importanti, come ad esempio il matrimonio ovvero suggellano accordi di grande portata. È sotteso alla convivialità uno spessore che dà corpo a vincoli reciproci ossia ad impegni contratti che hanno non poche benefiche ripercussioni sulle persone e sulla collettività. Questo si verifica già sotto il profilo antropologico e sociale. Ci sono valori che il condividere lo stesso cibo nasconde e svela simultaneamente e che non possono essere sottovalutati: l’incontro, la festa, il dialogo, l’intesa, la volontà e l’impegno di costruire il bene e la pace, il desiderio di proiettarsi verso un futuro migliore e edificarlo con un impegno comune. Tutto questo è bene espresso in un proverbio che recita: “A tavola o si è amici o si diventa amici”. Insieme, intorno alla stessa mensa, specialmente in un contesto di alleanza, si creano e si consolidano vincoli, si stringono e si rinnovano intese, si assumono impegni importanti, si esprimono auspici e si tracciano cammini anche di fede per un futuro migliore. È su questi valori strettamente connessi con l’esperienza della convivialità che si innesta anche la valenza “religiosa” che le viene attribuita specialmente nelle culture più antiche. Nascono così i primi banchetti “sacri”. Questi vanno letti nell’ottica più ampia del “sacro” come espressione di una domanda religiosa che appartiene si potrebbe dire al DNA dell’uomo, il quale, sperimentando il suo limite e la sua precarietà, “invoca” una trascendenza che gli consenta se non di colmarli o almeno di acquietarli. In questa luce si spiegano anche i banchetti funerari con i quali chi è colpito da un terribile lutto esprime il desiderio di continuare a tenere vivi i legami con chi non è più con noi e, nello stesso tempo, l’auspicio che egli possa in qualche modo essere introdotto nella familiarità con Dio nel suo Regno di Amore. Ma è specialmente nel pasto dei sacrifici delle religioni naturalistiche che si evidenzia la dimensione “simbolica” dell’esperienza conviviale, strettamente connessa con i sacrifici rituali considerati un mezzo fecondo di unione con la divinità.
Il banchetto pasquale dell’antica alleanza
Inserito in questo filone prende significato specifico nell’esperienza religiosa d’Israele il banchetto, che nei sacrifici di comunione comporta la condivisione di una parte delle vittime immolate a Jahvè. C’è, in questi pasti l’espressione non solo della dipendenza da Dio e del desiderio di unirsi a lui, ma anche la volontà di un’unione con quanti vi prendono parte e, con essi, manifestano la stessa fede. Questo vale soprattutto per il banchetto pasquale che, nell’esperienza del culto proprio di Israele, non traduce solo un bisogno o un desiderio, ma celebra un dono ricevuto concretamente nella storia dalla gratuità di Dio e dalla sua bontà attraverso la liberazione da lui operata e dell’alleanza con cui è stata suggellata, nel rito del sangue. Tutto ciò avviene nel memoriale che Dio stesso ha ordinato al suo popolo di celebrare ogni anno nella coincidenza storica dell’evento stesso (Es 12-13) più in particolare nell’azione rituale e quindi nei segni che lo caratterizzano e lo rendono unico nel suo genere (l’agnello, le erbe amare e il pane azzimo che evocano quanto avvenne allora, la dura schiavitù del suo popolo) come pure i gesti e le preghiere, prima fra tutte la “benedizione” di rendimento di grazie. Attraverso la via simbolica dell’agire rituale era dato così ad ogni pio israelita che, riunito in famiglia faceva memoria dell’evento, di sperimentare la fedeltà e la potenza di Jahvè. Egli infatti -come recitava la preghiera di ringraziamento pronunciata dal padre di famiglia- non aveva salvato e fatto suoi soltanto i “padri” che ne furono protagonisti, ma vuole salvare e di fatto salva coloro che nell’oggi ne fanno memoria. Non solo, ma si è impegnato, in forza della fedeltà promessa, a farlo in futuro per le generazioni a venire. Ad una sola condizione: la fedeltà all’alleanza e l’obbedienza alla legge che ne è alla base. Ecco il senso profondo del memoriale, che abbraccia: passato presente e futuro. Va ben oltre, pure recependone alcuni aspetti, i banchetti sacri delle religioni naturali. È segno e strumento di comunione con il Dio dell’alleanza, ma anche di unità del popolo che gli appartiene.
Il banchetto pasquale di Cristo
È proprio in questo contesto che Gesù nostro Signore con gli Apostoli celebra la Pasqua alla vigilia della sua passione e morte, sull’antica innesta la nuova ed eterna Alleanza con il sacrificio che avrebbe offerto se stesso l’indomani sulla croce, come si è detto nel capitolo precedente. Nei segni sacramentali lo rende presente, chiedendo ai suoi di continuare a fare ciò che lui ha fatto. Appartiene a questo “fare” anche – e naturalmente- in ragione del “segno”, il mangiare e il bere. Emerge così la particolare natura di questo singolare sacrificio che, reso presente nel memoriale eucaristico, non comporta altro spargimento di sangue come invece avvenne in quello offerto dal Signore Gesù sulla croce che il Padre ha gradito risuscitandolo da morte il Terzo Giorno. Per essere sacrificio che suggella l’alleanza chiede prima di tutto, a chi vi prende parte, l’obbedienza della fede che è frutto dell’azione dello Spirito Santo; tuttavia questa disponibilità interiore o “sacrificio spirituale” esige che venga espressa e si manifestata con un segno eloquente e facilmente riconoscibile. Questo segno è appunto il mangiare ed il bere il Corpo ed il Sangue dell’Agnello alle cui nozze, perpetuate in ogni Eucaristia, sono invitati i Discepoli. C’è dunque una “manducazione spirituale”, costituita dal “sì” detto alla volontà/progetto del Padre; ma c’è quindi deve esserci, per quanto possibile, una manducazione “sacramentale” che consiste nella partecipazione ai segni eucaristici del Corpo e Sangue del Signore. In questo modo è dato ai commensali di far propria l’alleanza pasquale nella sua forma più piena. Non a caso perciò il Concilio Vaticano II ricorda che la “piena” partecipazione al Mistero eucaristico è data dalla comunione sacramentale. Ci si rende conto allora che l’alleanza o comunione alla quale il Signore ci invita e di cui vuole farci dono non è in noi totalmente realizzata o “consumata” se all’ascolto della parola di Dio, nella celebrazione, e al rendimento di grazie non si unisce il mangiare il Corpo del Signore. Gesto questo che appartiene al “segno” stesso del convito, non solo sotto il profilo antropologico ma soprattutto sotto quello biblico, in rapporto a ciò che il Signore Gesù ha fatto e ci ha comandato di fare. E’ infatti nell’atto dello spezzare il pane che i due discepoli di Emmaus riconobbero il Risorto. Quel verbo “riconoscere” non indica semplicemente che essi ravvisarono finalmente nel volto di quel misterioso pellegrino i lineamenti del Maestro che li aveva un giorno chiamati e che essi avevano seguito; vuol dire piuttosto che ne fecero l’esperienza più coinvolgente, quella della Pasqua: dalle tenebre alla luce radiosa della verità pasquale; dalla paura e dalla oscurità di una fede superficiale ad una totale adesione alla Persona del Cristo Crocifisso e Risorto; dallo smarrimento e dalla solitudine alla comunione perpetua con lui. Partecipando al Corpo e Sangue del Signore, noi come dice san Giovanni Crisostomo, diventiamo suoi “concorporei e consanguinei”, una sola cosa con lui; dimora di Dio e tempio vivo dello Spirito Santo nella forma più “compiuta” rispetto all’evento iniziale del battesimo. Dice San Giovanni Paolo II nella lettera “Resta con noi, Signore”: “(Gesù), mediante il sacramento dell’Eucaristia trovò il modo di rimanere in “noi”. Ricevere l’Eucaristia è entrare in comunione con Gesù. Rimanete in me e io in voi (Gv 15, 4). Questo rapporto di intima e reciproca ‘permanenza’ ci consente di anticipare, in qualche modo, il cielo sulla terra. Non è forse questo l’anelito più grande dell’uomo? Non è questo ciò che Dio si è proposto, realizzando nella storia il suo disegno di salvezza?” (n. 19). In questo senso l’Eucaristia è: “il pegno della gloria futura” (S.Tommaso). Ci introduce nel banchetto festoso della comunione eterna con Dio stesso, verso la quale camminiamo come i Discepoli del pellegrinaggio terreno e del quale l’Eucaristia è “viatico” per la vita eterna. Questo però esige che ci si accosti al Corpo e Sangue del Signore con fede viva, anima e coscienza pura e purificata dal Sacramento della Penitenza. Per questo San Paolo stigmatizza con forza il comportamento dei Corinti che, cadendo nella contraddizione con il mistero celebrato e nell’incoerenza rispetto alle esigenze della fede e del discepolato, mangiano e bevono senza “discernimento” e in modo grave in situazione di peccato. E’ un monito severo perché questo vuol dire mangiare e bere la propria condanna (I Cor 11,29). Purtroppo non raramente accade anche oggi, nelle nostre comunità, che specialmente in particolari occasioni, molti si accostino all’Eucaristia, considerando la comunione al Corpo e Sangue del Signore in una dimensione soltanto “orizzontale” come segno di solidarietà, ovvero come un fattore di fraternità ed amicizia umana, quindi bisogna mettersi in testa che non si può ricevere Gesù Eucaristia senza aver fatto la Santa Confessione. L’Anno dell’Eucaristia è un’occasione da non perdere per ravvivare la coscienza su questo punto fondamentale. “Non è possibile partecipare alla mensa del Signore ed alla mensa dei demoni”, ammonisce severamente l’Apostolo (I Cor 10,2). L’Eucaristia è fonte di vita nuova; non è compatibile perciò con la vita dell’uomo vecchio posseduto dal peccato.
Un solo pane per formare un solo corpo
L’intimità profonda, anzi il rapporto sponsale che si realizza tra i Discepoli ed il loro Signore, nella partecipazione al suo Corpo e Sangue, non può essere adeguatamente compresa e realizzata se non la si mette in intima connessione con la comunione ecclesiale. In Cristo, per Cristo e con Cristo noi diventiamo ciò che siamo, come dice Sant’Agostino, cioè il suo Corpo. Quando, ricevendo nella bocca come su un trono di gloria l’Eucaristia, noi confessiamo con “l’amen” la fede nel mistero, diciamo simultaneamente “si” a formare un solo Corpo, una sola famiglia; in una parola: al suo progetto, quindi di conseguenza ci impegniamo, stretti a Cristo pietra angolare, a costruire, come pietre vive, la Chiesa, edificio spirituale, perché è abitato dallo Spirito Santo; e a vivere pienamente in comunione con lui, che è il Capo, e con gli altri membri del suo Corpo. Noi tutti dunque che mangiamo l’unico pane formiamo un corpo solo e un solo spirito (I Cor 10,17). In questa prospettiva si scopre tutto lo spessore dell’affermazione di ispirazione agostiniana ripresa dal teologo H. De Lubac, fatta propria dal Concilio Vaticano II e ribadita da San Giovanni Paolo II nell’enciclica “Ecclesia de Eucharistia”: l’Eucaristia fa la Chiesa. Se questa è il Corpo di Cristo, allora vuol dire che essa si costruisce e quindi cresce e in essa si cammina per diventare discepoli, nella misura in cui ciascuno è unito a Cristo e al suo Corpo che è la Chiesa. Queste affermazioni che nessuno osa mettere in discussione vanno tradotte nel vissuto per diventare credibili soprattutto a “coloro che sono fuori” ed hanno diritto di vedere testimoniata la comunione ecclesiale fondata sull’Eucaristia con parole, gesti e soprattutto comportamenti coerenti. Non è forse la comunione la prima fondamentale forma di comunicazione del Vangelo e, dunque della missione ecclesiale in un mondo lacerato, frammentato e disorientato come il nostro? Nell’assiduità eucaristica dunque sta la radice e la sorgente della fraternità evangelica e della comunione ecclesiale che non ammettono chiusure o ripiegamenti su se stessi, forme di prevaricazione degli uni sugli altri, spinte autonomistiche ovvero manifestazioni di sapore individualistico, quali invece è dato ancora di vedere nelle comunità. Se davvero vogliamo che le parrocchie diventino “comunità eucaristiche”, ogni divisione come ogni ingiustificata diversità deve comporsi nell’armonia; ogni pregiudizio deve essere abbattuto; ogni bisogno o limite e vuoto deve trovare qualcuno che si curvi su di esso con amore; e, finalmente ogni solitudine deve sperimentare compagnia. Se ci incammineremo insieme con decisione e perseveranza su questi percorsi, sui quali per tanti motivi si fa fatica a procedere, la nostra, come tutta la Chiesa, diventerà davvero “casa e scuola di comunione”, icona della comunione trinitaria e comunità missionaria in grado di testimoniare quell’unità che Gesù ha dato come distintivo ai suoi amati Discepoli; e, soprattutto, di far rinascere quella speranza che tutti auspichiamo per il futuro non solo dei credenti ma di tutta l’umanità.

CAPITOLO VI

L’EUCARISTIA E’ SERVIZIO
Dall’alleanza all’impegno
Ogni stipulazione di patti, ogni comunione che lega tra loro le persone, a cominciare da quella sponsale che è la prima fondamentale e la più forte, comporta sempre, insieme a clausole vincolanti, impegni esigenti. La fedeltà, soprattutto, che è per molti aspetti banco di prova e garanzia della riuscita dell’alleanza, della sua durata, dei benefici e/o vantaggi sperati. Se gli impegni non vengono mantenuti vuol dire che l’alleanza è tradita o inevitabilmente compromessa, peggio ancora rotta del tutto. È avvenuto così anche nella storia dell’alleanza tra di Dio e gli uomini. Fin dal principio e sempre quando l’uomo, rinunciando al dono divino pretende di fare a meno del suo Creatore e di mettersi al suo posto per costruire se stesso sul “proprio” progetto. Non è andata diversamente del rapporto instaurato con l’alleanza tra Jahvé ed il suo popolo. Questo, cedendo alla tentazione molteplice di assimilarsi alle nazioni, si è ribellato a Dio ed ha ripetutamente tradito l’alleanza, anche se Dio non ha mai smesso di attrarlo a sè e accoglierlo quando è ritornato a Lui con una conversione sincera. E’ il messaggio dei profeti, importante anche per noi che facciamo una medesima esperienza. Acquista quindi grande significato su questo sfondo il fatto che, nella Bibbia ed in particolare nelle profezie di Amos, Geremia ed Ezechiele, il tradimento dell’alleanza da parte d’Israele nei confronti di un Dio/Sposo sia descritto come una prostituzione ed un adulterio. È ciò che rende Israele una Sposa infedele, oggetto di vergogna davanti a Jahvé. Questi, invece, rimarrà fedele per sempre e quindi non cesserà mai, anche di fronte ai tradimenti più grandi, come quello dell’idolatria, di richiamare a sè la Sposa per stringerla con vincoli ancora più forti. Quella che abbiamo fatta, a proposito del tradimento di Israele non è una digressione, ma una riflessione che consente di apprezzare ed esaltare ancora di più la gratuità, la benevolenza della misericordia di Dio nei confronti del suo popolo, del quale noi siamo eredi; ma anche per comprendere fino a che punto giunge la fedeltà di un Dio che non si arrende nel suo amore e sempre attende dal suo popolo la risposta al dono che gli ha fatto. La risposta, espressa con una parola chiave ricorrente nella Bibbia, in particolare nell’Antico Testamento, è il servizio. Questo è un termine complesso perché, l’appellativo “servizio” è dato non solo al popolo d’Israele nel suo insieme, ma anche a persone singole che Dio sceglie, chiama e consacra con lo Spirito Santo per una missione finalizzata a garantire la fedeltà all’alleanza (ad esempio: i profeti, i giudici e re, ecc.). Riferito al popolo, il servizio lo riscatta da una concezione della sua stessa “elezione” come privilegio e potere per leggerla appunto come un “compito” nei confronti degli altri popoli ai quali è inviato a proclamare le opere meravigliose di un Dio vicino ai suoi, per i quali ha operato cose grandi. A parte ciò emerge una duplice dimensione del servizio al quale Israele è chiamato in forza dell’alleanza. Quello, anzitutto, che si potrebbe definire “verticale” ed è costituito dall’impegno dell’ascolto e all’obbedienza alla parola di Dio, da cui scaturisce il “culto” nelle diverse forme con cui esso si attua nell’esperienza religiosa. Il servizio del culto nella storia d’Israele sarà sempre esposto ai pericoli del formalismo e dell’esteriorità che lo svuotano del suo più intimo valore. Costituiscono perciò uno dei peccati più grandi d’Israele denunciati dai profeti e per i quali è chiesta una conversione totale ispirata ad una più autentica interiorità. È un rischio che possiamo correre anche noi… Accanto a questa la dimensione “orizzontale” del servizio che viene in certo modo ad identificarsi con la missione, come descriverò in breve.
La nuova alleanza e l’istanza del “farsi servi”
È soprattutto nella nuova alleanza che si rivelano i legami di essa con il servizio. Ciò risulta dal senso che assumono, in Cristo Gesù e nel suo sacrificio, gli annunci profetici sul Servo di Jahvé contenuti nella seconda parte del libro di Isaia (capp. 40-56) che lo stesso Gesù (Lc 4, 18-19) e gli scritti del Nuovo Testamento (Fil 2, 9 ss) considerano realizzati pienamente in lui e nella sua missione, con particolare riguardo al sacrificio che ne costituisce il momento culminante e fondamentale. Il legame alleanza e servizio però risulta specialmente dalle parole che accompagnano la “benedizione” sulla coppa del vino, durante la cena pasquale. Il sangue versato da Gesù, e dunque il suo sacrificio, come del resto tutto il suo ministero messianico, non conosce barriere: è per tutti. Un’attenzione particolare va rilevata per i poveri, i piagati nel corpo e nello spirito, i peccatori. Egli offrendosi come modello agli Apostoli, preda di ambizioni di prestigio e di potere, in aperto contrasto con il discepolato, egli dichiara di essere venuto “non per essere servito ma per servire” e aggiunge: “e per dare la propria vita” (Mt 20,28). Il che comporta che per Cristo il servire s’identifica con la sua “pro-esistenza” con la vita totalmente donata – come già è stato detto- nella morte di croce e che continua a donare nell’Eucaristia, perché tutti l’abbiano e in abbondanza (Gv 10,10). A quanti vogliono essere o diventare veri Discepoli e ad essa prendono parte chiede ciò che chiese agli apostoli, nella cena di addio alla vigilia della passione. Non solo di ricevere e condividere il Corpo e il Sangue del suo sacrificio, ma anche di imitarlo nel gesto emblematico del farsi servi. Il Cristo della cena, e dunque dell’Eucaristia, è in un atteggiamento “diaconale”. Mentre è seduto a tavola compie il servizio proprio degli schiavi, lui che è Maestro e Signore (Gv 13, 1 ss). E a Pietro riluttante ad accettare quel gesto umiliante e agli altri, stupiti per lo stesso motivo, chiede di fare ciò che lui ha fatto, la lavanda dei piedi. Questo vuol dire che anche il gesto di cui Gesù da’ esempio ai suoi, nel significato più profondo, appartiene al “memoriale” eucaristico. Integra ed arricchisce quello della frazione del pane e della comunione al Corpo e Sangue di lui. Due forme distinte, ma non separabili per non rendere vana la Croce di Cristo e quindi per fare memoria, nella celebrazione e nella vita, dello stesso sacrificio; rese ambedue possibili per l’azione dello Spirito che è stato diffuso dalla croce e che è sempre origine e anima di ogni servizio nel Corpo di Cristo che è la Chiesa. A ben riflettere due sono le modalità con cui il “farsi servi” per i cristiani dovrebbe attuarsi: anzitutto nella celebrazione. L’assemblea eucaristica epifania di una comunità tutta “ministeriale”, in forza di doni diversi dello Spirito Santo che la anima dovrebbe essere dunque una vera “sinfonia” di servizi. Tutti e ciascuno dovrebbero essere disponibili a dare il loro contributo per una liturgia seria, semplice e bella, come è richiesto dal fare festa, soprattutto di Domenica. C’è ancora molta strada da fare da una parte per uscire dal persistente individualismo e dalla passività, dall’inveterato atteggiamento di considerarsi solo spettatori o fruitori di un rito. E’ da evitare, però, anche l’atteggiamento opposto di un esibizionismo e di una indebita appropriazione di compiti spettanti agli altri come pure di superficialità e di improvvisazione nell’esercizio dei diversi ministeri previsti nell’azione. Chiedo quindi impegno maggiore ai Diaconi, Sacerdoti, responsabili e agli animatori delle celebrazioni, di Domenica soprattutto, affinché siano esperienze autentiche di comunione e di festa. Soprattutto per quanto attiene al servizio del canto, che nella maggior parte delle situazioni, stenta ancora ad essere come afferma Sant’Agostino- “sacramento”, vale a dire, segno e strumento di quella fraternità e gioia che nasce spontaneamente se l’Eucaristia è realmente l’incontro con il Signore Risorto.
Un servizio per la missione
Il servizio che si radica sull’Eucaristia e da essa promana, è destinato tuttavia ad assumere respiro più ampio e ad identificarsi con la missione nel senso più globale che i cristiani, plasmati dall’Eucaristia, sono chiamati a compiere quoditianamente. In questa prospettiva si colloca la lettera “Mane nobiscum Domine”, scritta da San Giovanni Paolo II nell’ultimo capitolo intitolato: “L’Eucaristia, principio e progetto di missione”. “Quando si è fatta l’esperienza del Risorto – scrive- nutrendosi del suo Corpo e del suo Sangue non si può tenere solo per sé la gioia provata. L’incontro con Cristo suscita nella Chiesa ed in ciascun cristiano l’urgenza della testimonianza e di evangelizzare… Il congedo alla fine di ogni Messa costituisce una consegna che spinge il cristiano all’impegno per la propagazione del Vangelo e l’animazione cristiana della società” (n. 24). È un vero e proprio, invio in missione; l’invito ad iniziare a svolgere un’altra celebrazione nella quale tutta la vita va coinvolta ed è impegnata. Se l’assemblea si scioglie non è perché tutto è finito e si può stare al riparo o tranquilli avendo adempiuto ad un precetto perché si è compiuto un rito di tradizione, ma è un disperdersi nelle strade del mondo per testimoniare a testa alta il Vangelo della Risurrezione del Signore accompagnandolo con le opere dell’amore e l’amore delle opere.
D) Come si fa a custodire intimisticamente un tesoro, un dono che esige invece di essere spinto fino all’estremo limite, secondo ciò che Gesù ha fatto e chiede di fare ai suoi?
In questa prospettiva la missione viene colta e quindi va vissuta nella sua esatta portata: non si va a portare qualcosa, e tanto meno qualcosa di proprio, ma a comunicare il dono ricevuto: il lieto annuncio di Cristo Crocifisso e Risorto, con la forza dello Spirito Santo comunicata a coloro che nell’Eucaristia lo hanno incontrato, ascoltato e riconosciuto senza tentennamenti o indecisioni. La missione di salvezza si trova così legata alla consacrazione eucaristica in particolare. L’una e l’altra sono opera dello Spirito Santo. Non si tratta di una funzione tattica o organizzativa ma di prolungare la missione di Colui che è l’Inviato del Padre, in ogni dove, vivono le persone spesso in preda della solitudine, della depressione, devastati dalle tentazioni del maligno, della povertà non raramente nascosta, della sofferenza e dell’emarginazione, della violenza e dell’ingiustizia, per annunciare co gioia e coraggio a tutti la speranza della Risurrezione. Il Vangelo dice: “Come il Padre ha mandato me, io mando voi” (Gv 20,21). Il Signore Risorto ci chiede di uscire dall’apatia, da un cristianesimo ripiegato su se stesso che si esaurisce nell’ambito del culto e delle tradizioni, per andare invece nella “Galilea delle genti”, dove il Risorto continua a dare appuntamento a quanti lo cercano, per essere e riconosciuto, accolto e amato.

CONCLUSIONE

“Abbiamo contemplato, o Dio, le meraviglie del tuo amore” (Salmo 97).
L’intento di questo piano pastorale, secondo il desiderio del vostro Vescovo che Ama, Adora e Venera la SS.ma’Eucaristia, altro non voglio ottenere se non la contemplazione adorante del Mistero eucaristico, capace di suscitare lo stupore e la lode. Sono questi gli unici atteggiamenti possibili di fronte alla prova suprema dell’amore donatoci da Cristo Signore con la sua morte e risurrezione di cui l’Eucaristia è il memoriale per antonomasi. “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio Unigenito perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna” (Gv 3,16). Queste note parole dette da Gesù al saggio ricercatore della verità che fu Nicodemo, desideroso di saperne di più sulla sua persona e sul messaggio di cui Egli era portatore, sono ripetute anche a noi nel nostro tempo che abbiamo contemplato nella fede l’amore con cui il Padre continua ad amare il mondo donandoci il suo Unico Figlio nel sacramento del suo sacrificio cruento della Croce. E’ solo nella logica dell’amore oblativo, che il Signore Gesù ci svela nell’Eucaristia e di cui vuol farci partecipi, che è possibile dire il nostro “Amen”, il nostro sì di fede al Dono che egli ci fa fino alla fine dei tempi. Di questo amore abbiamo cercato di cogliere qualche aspetto, “declinando” per così dire una parola che di per sé dice tutto, ma può correre il rischio di rimanere generica e quindi insignificante. Nel Mistero eucaristico l’amore con cui il Signore Gesù ci ha amati è accoglienza, dialogo, oblatività, comunione e servizio. Queste sono le componenti fondamentali di una identità quella del discepolo e di tutta la comunità cristiana alla quale l’Eucaristia vuole plasmarci ed educarci. Per ridiventare cristiani autentici ed edificarci come Chiesa che sia “una” in lui ed aperta alla missione come lui la vuole. E’ l’obiettivo fondamentale a cui guarda il cammino di questo Anno che voglio dedicare alla Santa Eucaristia nella nostra Prelatura (Chiesa particolare). Animato dalla speranza che ciò possa realizzarsi, desidero “consegnare” questa lettera a tutta la Prelatura, e in particolare ai sacerdoti e ai diaconi, alle persone consacrate, agli operatori pastorali impegnati a costruire nelle loro parrocchie comunità autenticamente e pienamente eucaristiche. E’ una consegna che mi piace cogliere nella ricchezza che questo termine evoca nel linguaggio cristiano. Non si tratta semplicemente di affidare un messaggio verbale su uno dei punti centrali e qualificanti del mistero della salvezza e dunque di quella “comunicazione del Vangelo” a cui siamo sollecitati oggi nel mutato contesto culturale di indifferenza e di perdita della fede. Dal momento che si tratta dell’Eucaristia, la consegna acquista un senso assai più profondo: è una trasmissione vitale e reale, per il fatto che essa contiene e trasmette tutto il “mistero della fede”. E’ vero che nella celebrazione eucaristica noi annunciamo il grande messaggio dell’amore di Dio e della speranza per l’uomo, ma è altrettanto certo che essa non è semplice parola o tanto meno una dottrina. Come sacramento del sacrificio pasquale di Cristo è in certo senso “l’arca santa” in cui è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa, “Cristo stesso nostra Pasqua” (Presb. Ord. 5). “Fratelli e Sorelle carissimi, io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso…” (I Cor 11, 23): con queste parole inizia il racconto dell’istituzione dell’Eucaristia fatto, detto e scritto da San Paolo. In esso si richiama una Tradizione che a partire da Gesù, passando attraverso gli Apostoli ed i loro successori,(compreso me), giunge fino a noi. Di essa l’Eucaristia è il cardine, così come lo è di ogni fedele cristiano e della Chiesa che di essa continuamente vive e si manifesta. Con questa mia lettera ho voluto in certo modo farvi una “riconsegna” del Mistero eucaristico come “dono d’amore per l’umanità” perché sia contemplato, celebrato, adorato e vissuto e quindi portato a tutti, fino ai confini della terra. Quando infatti si è accolto e si accoglie il dono di un amore spinto fino all’estremo si sente il bisogno di comunicarlo. Quando la buona notizia della Pasqua del Signore Risorto arde nel cuore di ogni essere vivente, si avverte insopprimibile l’esigenza di diffonderla. Non c’è via di mezzo per chi è cristiano. La vergine Maria, la prima “donna eucaristica”, donna dell’incontro, del dialogo, della vita donata, della comunione e della missione, ci insegni a camminare da Veri Discepoli del suo adorato Figlio Gesù. Lei che per prima ha fatto ciò che fece Gesù, insegni a noi a prendere sul serio il suo comando: “Fate questo in memoria di me” (Lc 22,19).

Dato a Roma nella Sede Episcopale il 15 Ottobre 2017
Terzo Anniversario di Consacrazione Episcopale

+ Salvatore Micalef
Vescovo Ordinario
Piano Pastorale image
Guardia d'Onore al Cuore Immacolato di Maria image
GUARDIA D’ONORE
Fratelli e Sorelle carissimi, il 1917 è l’anno che apre un nuovo periodo nella storia della Chiesa e dell’umanita’. L’Immacolata addita agli uomini, nel suo Cuore Immacolato, la salvezza.
La Madonna, nelle apparizioni avvenute a Fatima dal 13 maggio al 13 ottobre 1917, ha chiesto:

La consacrazione delle persone e delle famiglie al suo Cuore Immacolato
Gesu’ vuol stabilire nel mondo la devozione al mio Cuore Immacolato.  A chi la pratichera’ prometto la salvezza. Queste anime saranno predilette da Dio e come fiori saranno collocate da me dinanzi al suo trono.
Avete visto l’inferno, dove vanno a finire le anime dei poveri peccatori. Per salvarli il Signore vuol stabilire nel mondo la devozione al mio Cuore Immacolato.

La pratica dei primi cinque sabati del mese
Guarda, figlia mia, il mio Cuore circondato dalle spine con cui gli uomini ingrati ad ogni momento lo trafiggono con le loro bestemmie e ingratitudini. Tu almeno cerca di consolarmi, e da parte mia annuncia che io prometto di assistere, nell’ora della morte, con le grazie necessarie alla salvezza delle loro anime, tutti quelli che nel primo sabato di cinque mesi consecutivi si confesseranno, riceveranno la S.Comunione, diranno una corona del Rosario e mi faranno compagnia durante quindici minuti, meditando i misteri del Rosario, con il fine di offrirmi riparazione.

La recita quotidiana del S. Rosario
A Fatima, come prima a Lourdes, la Madonna e’ apparsa con la corona del Rosario, ne ha insistentemente richiesto la recita quotidiana per ottenere la pace nel mondo e venire in nostro aiuto.
La penitenza per la salvezza dei peccatori
Sacrificatevi per i peccatori e dite spesso, ma specialmente nel fare qualche sacrificio:  O Gesu’ per vostro amore, per la conversione dei peccatori e in riparazione delle ingiurie commesse contro l’Immacolato Cuore di Maria.

Origini
Mentre a Fatima Maria, nel nome del Figlio suo, chiede il culto al suo Cuore Immacolato, a Monaco di Baviera è Gesu’ stesso ad ispirare la devozione per onorare il Cuore Immacolato della Madre sua Santissima.
Infatti il 13 maggio 1917, nel medesimo giorno e nella stessa ora in cui la Vergine appariva a Fatima, a Roma il Papa Benedetto XV consacrava Vescovo MONS. EUGENIO PACELLI, che doveva subito trasferirsi a Monaco come Nunzio Apostolico, con il delicato incarico di perorare la sorte dei prigionieri di guerra.
La Provvidenza volle che il nuovo Nunzio scegliesse, come suo confessore e direttore spirituale, PADRE BONAVENTURA BLATTMANN, il quale, da tempo, pensava ad una nuova associazione mariana per consacrare le persone al Cuore Immacolato di Maria. L’incontro di queste due grandi anime mariane determina la nascita della PIA UNIONE DELLA GUARDIA D’ONORE DEL CUORE IMMACOLATO DI MARIA.
Il Cardinale Pacelli, divenuto Papa Pio XII, eleva la Guardia d’Onore al grado di Arciconfraternita in Perpetuo.

Appartenenza
Ogni cattolico che goda di buona reputazione puo’ iscriversi alla Guardia d’Onore del Cuore Immacolato di Maria.
Per quanto riguarda la richiesta di iscrizione per la Sede di Roma, va fatta per iscritto compilando un apposito formulario al Vescovo Ordinario della Prelatura Cattolica “SS. Pietro e Paolo Usa Italiana” Sua Ecc.za Mons. Salvatore Micalef, di cui ad avvenuta iscrizione rilascia la tessera personale con numero progressivo, e l’iscrizione nell'apposito registro secondario. Successivamente trasmette i nominativi alla DIREZIONE NAZIONALE nella Repubblica di San Marino.
Per ogni informazione ed iscrizione potete scrivere a: Sua Ecc.za mons. Salvatore Micalef, Vescovo Ordinario, alla seguente mail: salvatoremicalef@gmail.com, lasciando; nome, cognome, indirizzo, recapito telefonico, e sarete al più presto contattati.

Gli iscritti vengono registrati nel libro della Pia Unione.
Per essere Guardia d’Onore del Cuore Immacolato di Maria e per poter partecipare a tutti i benefici e privilegi è indispensabile l’iscrizione nel registro del Centro Nazionale.

ISCRIZIONE ORDINARIA
Nel giorno dell’iscrizione possibilmente: si riceva il sacramento della penitenza, si partecipi alla celebrazione eucaristica, comunicandosi con il Corpo del Signore, dopo la Santa Comunione, davanti all’altare della Madonna, si reciti la seguente formula:
“Io ….., con la gioia più intensa, oggi mi consacro al servizio di Guardia d’Onore del sacro Cuore di Maria: lei deve regnare nel mio cuore come una Regina! Unito a lei nell’amore, voglio imitarla nella preghiera, nel sacrificio, nel generoso compimento dei miei doveri, voglio espiare i peccati del mondo e così lavorare con Maria per la salvezza dei fratelli. Tutte le feste mariane mi saranno particolarmente care e l’ora di guardia che io prometto di compiere giornalmente dalle ore … alle ore … dovrà unirmi sempre più nell’intenzione con quella del suo sacro Cuore. Amen.”
 “Tutto in nome di tutti i fratelli e per tutti i fratelli.”


LE PICCOLE GUARDIE D’ONORE
Le Piccole Guardie d’Onore sono tutti i bambini e bambine che non hanno ancora compiuto il 14° anno di età, ma che sediderano amare e servire Maria, tributarle ogni onore e lavorare con grande impegno, sul suo esempio, per la salvezza spirituale dei loro coetanei. Esse assumono gli stessi impegni delle Guardie, ma sono organizzate in sezione speciale, la cui erezione, con la relativa accettazione degli iscritti, è riservata al Centro nazionale che ha per loro un particolare registro. Patroni delle Piccole Guardie d’Onore sono Francesco e Giacinta Marto, i due veggenti di Fatima. Dopo il 14° anno di età, per appartenere ancora alla Pia Unione, occorre dare di nuovo la propria adesione affinché si possa venire inseriti nell'apposito registro nazionale. Per essere ammessi alle Piccole Guardie si seguirà il rito indicato per l’iscrizione solenne alla Guardia d’Onore.

Formazione Spirituale Permanente
In piena comunione con la Direzione Nazionale della Repubblica di San Marino, la Sede di Roma organizza ogni anno Incontri Mariani di alcuni giorni per tutti gli iscritti; invia a tutti i membri un bollettino bimestrale e tiene attiva, con particolare cura, la corrispondenza per posta, per telefono e via fax.
Ogni sabato il Vescovo Ordinario celebra una Santa Messa per tutte le Guardie d’Onore vive e defunte.

Conclusione
Ciò che ha importanza in questa devozione non è la pratica in se stessa, ma lo spirito che la pervade.
Il primo movente che spinge un’anima ad unirsi alla Guardia d’Onore del Cuore Immacolato di Maria è l’amore per l’Immacolata, attraverso l’imitazione delle sue virtù.Come esorta il Vaticano Secondo: I fedeli si ricordino che la vera devozione; procede dalla fede vera, dalla quale siamo portati a riconoscere la preminenza della Madre di Dio, e siamo spinti al filiale amore verso la Madre nostra ed all'imitazione delle sue virtù (LG 67).
"Gesù vuole stabilire nel mondo la devozione al mio Cuore Immacolato" (La Madonna a Lucia). Ogni Guardia d'Onore deve recitare continuamente la Piccola Ave "Ave Maria, piena di grazia, prega per noi Gesù".

All'interno della Prelatura Cattolica “Santi Pietro e Paolo”, istituita con lo scopo di accogliere, tutti coloro che desiderano vivere una vita di preghiera, di consacrazione, di contemplazione del mistero di Dio che ha inviato sulla terra il Suo Figlio unigenito per riscattare l'umanità dalla sofferenza e dall'angoscia. Al suo interno è stato costituito, con Decreto del Vescovo Ordinario n°87/2016 v-o del 15 Novembre 2016 un ramo destinato ad accogliere esclusivamente, il Clero e i candidati di sesso maschile all'Ordine Sacro, in stato di celibato, per rendere Gloria a Dio, per il bene della Santa Chiesa di Cristo. Questo ramo dipende canonicamente dalla Prelatura Cattolica “SS. P. P.”, con tutti i suoi diritti e doveri. Detto ramo è denominato “Religiosi di Maria Immacolata”.
Il Clero e i fedeli laici consacrati che ne fanno parte, dovranno vivere in stato di celibato, senza alcuna costrizione ma liberamente, servendo la Chiesa con dignità e umiltà.
La massima autorità della Prelatura Cattolica “SS. Pietro e Paolo” è il Vescovo Ordinario, che ha nominato un Superiore Generale, che ne controlla la vita apostolica dei suoi componenti nella persona del Rev.do Sac. Tino Alberto Crudo, attuale Vicario Generale (pro tempore) della medesima Prelatura.
Per ogni informazioni potete scrivere a: religiosidimariaimmacolata@gmail.com
Vi daremo tutte le informazioni utili per conoscere questa realtà spirituale.
Religiosi di maria Immacolata imageReligiosi di maria Immacolata image
Cappella "San Michele Arcangelo" image
Carissimi visitatori, fedeli del popolo santo di Dio, vi diamo il Benvenuto nella nostra Cappella "San Michele Arcangelo", che per il momento nasce online, e spero che con l'Aiuto del Buon Dio, della Vergine Maria e di San Michele Arcangelo si possa realizzare al più presto, anche con la Vs. generosità ed il Vs. amore. E' in piena comunione con la Prelatura Cattolica "SS. Piero e Paolo Usa Italiana" Giursdizione Sui Juris. La Comunità è fondata da: Diaconi, Sacerdoti e Vescovi, Cattolici, Apostolici. Siamo operatori instancabili nella Vigna del Signore, senza scopo di lucro, "No Profit. Accetta il Magistero della Chiesa e ne osserva la Sua Dottrina Ufficiale, il Concilio Vaticano II, e le sue Leggi Canoniche. Questa Comunità di Preghiera, nasce per il volere di Nostro Signore Gesù Cristo, per ispirazione divina, è si basa, sulle rivelazioni fatte a Suor Anna Ali, il 4 Dicembre 1987. Il Messaggio, Appello Divino n. 11 cita: "L'umanità peccatrice non si pente. Mi sto rivolgendo ai preti....chiedo loro di far penitenza e di formare dei gruppi di preghiera ed espiazione". Lo scopo specifico del Messaggio Divino è di testimoniare il Santo Vangelo alle genti, guarire i malati e scacciare i demoni, tutto questo è, per attualizzare la salvezza di tutte le anime, travagliate dal peccato e da tutte le insidie del male, che vaga per il mondo per la distruzione dell'umanità. Siamo ben lieti fratelli carissimi di accogliervi in un abbraccio di amore e di pace, inviandoci le vostre richieste di preghiera per via E-mail con i vostri problemi irrisolvibili, e noi, di canto nostro vi aiuteremo ad uscire da ogni situazione di tristezza e di angoscia.
Dio vi benedica sempre a voi e tutte le vostre famiglie.
Pace e Bene e Grazie Gesù
+Salvatore Micalef
Vescovo Ordinario
Devozione a maria che scioglie i nodi image
COSA SI INTENDE CON LA PAROLA "NODI"?

Con la parola “nodi” si intendono tutti quei problemi che portiamo molto spesso negli anni e che non sappiamo come risolvere; tutti quei peccati che ci incatenano e ci impediscono di accogliere Dio nella nostra vita e di gettarci tra le sue braccia come bambini: i nodi dei litigi familiari, dell’incomprensione tra genitori e figli, della mancanza di rispetto, della violenza; i nodi del risentimento fra sposi, la mancanza di pace e di gioia nella famiglia; nodi dell’angoscia; i nodi della disperazione degli sposi che si separano, i nodi dello scioglimento delle famiglie; il dolore provocato da un figlio che si droga, che è malato, che ha lasciato la casa o che si è allontanato da Dio; i nodi dell’alcolismo, dei nostri vizi e dei vizi di quelli che amiamo, i nodi delle ferite causate agli altri; i nodi del rancore che ci tormenta dolorosamente, i nodi del sentimento di colpa, dell’aborto, delle malattie incurabili, della depressione, della disoccupazione, delle paure, della solitudine…nodi dell’incredulità, della superbia, dei peccati delle nostre vite.
«Tutti abbiamo nodi nel cuore e attraversiamo difficoltà. Il nostro Padre buono, che distribuisce la grazia a tutti i suoi figli, vuole che noi ci fidiamo di Lei, che le affidiamo i nodi dei nostri mali, che ci impediscono di unirci a Dio, affinché Lei li sciolga e ci avvicini a suo figlio Gesù. Questo è il significato dell'immagine».
La Vergine Maria vuole che tutto questo cessi. Oggi viene incontro a noi, perché le offriamo questi nodi e Lei li scioglierà uno dopo l’altro.
Ora avviciniamoci a Lei.
ContemplandoLa scoprirete che non siete più soli. Davanti a Lei vorrete confidarLe le vostre angosce, i vostri nodi…e da quel momento, tutto può cambiare. Quale Madre piena d’amore non viene in aiuto al suo figliolo in difficoltà quando la chiama?

NOVENA A “MARIA CHE SCIOGLIE I NODI”

Come pregare la Novena:
Si fa prima il segno della Croce, poi l'atto di contrizione (la preghiera ATTO DI DOLORE), poi si comincia il Santo Rosario normalmente, poi dopo il terzo mistero del Rosario si legge la meditazione del giorno della Novena (ad esempio il PRIMO GIORNO, poi il giorno seguente si legge il SECONDO GIORNO e cosi' via per gli altri giorni...), poi si continua il Rosario con il quarto e il quinto Mistero, poi alla fine (dopo la Salve Regina, le Litanie Lauretane e il Pater, Ave e Gloria per il Papa) si conclude il Rosario e la Novena con la Preghiera a Maria che scioglie i nodi riportata a fine Novena.
Inoltre, ogni giorno della novena è opportuno:
1. Lodare, benedire e ringraziare la Santissima Trinità;
2. Perdonare sempre e chiunque;
3. Vivere con impegno la preghiera personale, familiare e comunitaria;
4. Compiere opere di carità;
5. Abbandonarsi alla volontà di Dio.
Seguendo questi suggerimenti e impegnandosi quotidianamente in un cammino di conversione, che operi un reale cambiamento di vita, si vedranno realizzate le meraviglie che Dio ha in serbo per ciascuno di noi, secondo i suoi tempi e la sua volontà.

PRIMO GIORNO

Santa Madre mia amata, Santa Maria, che Scioglie i "nodi" che opprimono i tuoi figli, stendi le tue mani misericordiose verso di me. Ti do oggi questo "nodo" (nominare) e ogni conseguenza negativa che esso provoca nella mia vita. Ti do questo "nodo" (nominare) che mi tormenta, mi rende infelice e mi impedisce di unirmi a Te e al tuo Figlio Gesù Salvatore. Ricorro a te Maria che scioglie i nodi perchè ho fiducia in te e so che non hai mai disdegnato un figlio peccatore che ti supplica di aiutarlo. Credo che tu possa sciogliere questi nodi perchè sei mia Madre. So che lo farai perchè mi ami con amore eterno. Grazie Madre mia amata.
O Maria, Madre del buon consiglio, prendi questo nodo (nominare) che mi ostacola e con la forza della tua mano scioglilo.
"Maria che scioglie i nodi" prega per me.

SECONDO GIORNO

Maria, madre molto amata, piena di grazia, il mio cuore si volge oggi verso di te. Mi riconosco peccatore e ho bisogno di te. Non ho tenuto conto delle tue grazie a causa del mio egoismo, del mio rancore,della mia mancanza di generosità e di umiltà.
Oggi mi rivolgo a te, "Maria che scioglie i nodi" affinchè tu domandi per me, a tuo Figlio Gesù la purezza di cuore , il distacco, l'umiltà e la fiducia. Vivrò questa giornata con queste virtù. Te le offrirò come prova del mio amore per te. Ripongo questo "nodo" (nominare) nelle tue mani perchè mi impedisce di vedere la gloria di Dio.
O Maria, Madre del buon consiglio, prendi questo nodo (nominare) che mi ostacola e con la forza della tua mano scioglilo.
"Maria che sciogli i nodi" prega per me.

TERZO GIORNO

Madre mediatrice,Regina del cielo, nelle cui mani sono le ricchezze del Re, rivolgi a me i tuoi occhi misericordiosi. Ripongo nelle tue mani sante questo "nodo" della mia vita (nominare), e tutto il rancore che ne risulta.
Dio Padre, ti chiedo perdono per i miei peccati. Aiutami ora a perdonare ogni persona che consciamente o inconsciamente, ha provocato questo "nodo". Grazie a questa decisione Tu potrai scioglierlo. Madre mia amata davanti a te, e in nome di tuo Figlio Gesù, mio Salvatore, che è stato tanto offeso, e che ha saputo perdonare, perdono ora queste persone (nominare) e anche me stesso per sempre.
O Maria, Madre del buon consiglio, prendi questo nodo (nominare) che mi ostacola e con la forza della tua mano scioglilo.
"Maria che sciogli i nodi" prega per me.

QUARTO GIORNO

Santa Madre mia amata, che accogli tutti quelli che ti cercano, abbi pietà di me. Ripongo nelle tue mani questo "nodo" (nominarlo).
Mi impedisce di essere felice,di vivere in pace,la mia anima è paralizzata e mi impedisce di camminare verso il mio Signore e di servirlo.
Sciogli questo "nodo" della mia vita, o Madre mia. Chiedi a Gesù la guarigione della mia fede paralizzata che inciampa nelle pietre del cammino. Cammina con me, Madre mia amata, perchè sia consapevole che queste pietre sono in realtà degli amici; cessi di mormorare e impari a rendere grazie, a sorridere in ogni momento, perchè ho fiducia in te.
O Maria, Madre del buon consiglio, prendi questo nodo (nominare) che mi ostacola e con la forza della tua mano scioglilo.
"Maria che sciogli i nodi" prega per me.

QUINTO GIORNO

"Madre che scioglie i nodi" generosa e piena di compassione, mi volgo verso di te per rimettere, una volta di più, questo "nodo" nelle tue mani (nominare). Ti chiedo la saggezza di Dio, perchè io riesca alla luce dello Spirito Santo a sciogliere questo cumulo di difficoltà.
Nessuno ti ha mai vista adirata, al contrario, le tue parole sono così piene di dolcezza che si vede in te lo Spirito Santo. Liberami dall'amarezza, dalla collera e dall'odio che questo "nodo" (nominare) mi ha causato.
Madre mia amata, dammi la tua dolcezza e la tua saggezza, insegnami a meditare nel silenzio del mio cuore e così come hai fatto il giorno della Pentecoste, intercedi presso Gesù perchè riceva nella mia vita lo Spirito Santo, lo Spirito di Dio venga su di me.
O Maria, Madre del buon consiglio, prendi questo nodo (nominare) che mi ostacola e con la forza della tua mano scioglilo.
"Maria che sciogli i nodi" prega per me.

SESTO GIORNO

Regina di misericordia, ti do questo "nodo" della mia vita (nominare) e ti chiedo di darmi un cuore che sappia essere paziente finchè tu sciolga questo "nodo". Insegnami ad ascoltare la Parola del tuo Figlio, a confessarmi, a comunicarmi, perciò resta con me Maria.
Prepara il mio cuore a festeggiare con gli angeli la grazia che tu mi stai ottenendo.
O Maria, Madre del buon consiglio, prendi questo nodo (nominare) che mi ostacola e con la forza della tua mano scioglilo.
"Maria che sciogli i nodi" prega per me.

SETTIMO GIORNO

Madre purissima, mi rivolgo oggi a te: ti supplico di sciogliere questo "nodo" della mia vita (nominare) e di liberarmi dall'influenza del male. Dio ti ha concesso un grande potere su tutti i demoni. Oggi rinuncio ai demoni e a tutti i legami che ho avuto con loro. Proclamo che Gesù è il mio unico Salvatore e il mio unico Signore.
O " Maria che sciogli i nodi" schiaccia la testa del demonio. Distruggi le trappole provocate da questi "nodi" della mia vita. Grazie Madre tanto amata. Signore, liberami con il tuo prezioso sangue!
O Maria, Madre del buon consiglio, prendi questo nodo (nominare) che mi ostacola e con la forza della tua mano scioglilo.
"Maria che sciogli i nodi" prega per me.

OTTAVO GIORNO

Vergine Madre di Dio, ricca di misericordia, abbi pietà di me, tuo figliolo e sciogli i "nodi" (nominare) della mia vita.
Ho bisogno che tu mi visiti, così come hai fatto con Elisabetta. Portami Gesù, portami lo Spirito Santo. Insegnami il coraggio, la gioia, l'umiltà e come Elisabetta, rendimi piena di Spirito Santo. Voglio che tu sia mia Madre, la mia Regina e la mia amica. Ti do il mio cuore e tutto ciò che mi appartiene: la mia casa, la mia famiglia, i miei beni esteriori e interiori. Ti appartengo per sempre.
Metti in me il tuo cuore perchè io possa fare tutto ciò che Gesù mi dirà di fare.
O Maria, Madre del buon consiglio, prendi questo nodo (nominare) che mi ostacola e con la forza della tua mano scioglilo.
"Maria che sciogli i nodi" prega per me.

NONO GIORNO

Madre Santissima, nostra avvocata, Tu che sciogli i "nodi" vengo oggi a ringraziarti di aver sciolto questo "nodo" (nominare) nella mia vita. Conosci il dolore che mi ha causato. Grazie Madre mia amata,Ti ringrazio perchè hai sciolto i "nodi" della mia vita. Avvolgimi con il tuo manto d' amore, proteggimi, illuminami con la tua pace.
O Maria, Madre del buon consiglio, prendi questo nodo (nominare) che mi ostacola e con la forza della tua mano scioglilo.
"Maria che sciogli i nodi" prega per me.

PREGHIERA A NOSTRA SIGNORA CHE SCIOGLIE I NODI (da recitare a fine Rosario)

Vergine Maria, Madre del bell'Amore, Madre che non ha mai abbandonato un figliolo che grida aiuto, Madre le cui mani lavorano senza sosta per i suoi figlioli tanto amati, perchè sono spinte dall'amore divino e dall'infinita misericordia che esce dal Tuo cuore volgi verso di me il tuo sguardo pieno di compassione. Guarda il cumulo di "nodi" della mia vita.
Tu conosci la mia disperazione e il mio dolore. Sai quanto mi paralizzano questi nodi Maria, Madre incaricata da Dio di sciogliere i "nodi" della vita dei tuoi figlioli, ripongo il nastro della mia vita nelle tue mani.
Nelle tue mani non c'è un "nodo" che non sia sciolto.
Madre Onnipotente, con la grazia e il tuo potere d'intercessione presso tuo Figlio Gesù, mio Salvatore, ricevi oggi questo "nodo" (nominarlo se possibile...). Per la gloria di Dio ti chiedo di scioglierlo e di scioglierlo per sempre. Spero in Te.
Sei l'unica consolatrice che Dio mi ha dato. Sei la fortezza delle mie forze precarie, la ricchezza delle mie miserie, la liberazione di tutto ciò che mi impedisce di essere con Cristo.
Accogli il mio richiamo. Preservami, guidami proteggimi, sii il mio rifugio.
Maria, che scioglie i nodi, prega per me.
Madre di Gesù e Madre nostra, Maria Santissima Madre di Dio; tu sai che la nostra vita è piena di nodi piccoli e grandi. Ci sentiamo soffocati, schiacciati, oppressi e impotenti nel risolvere i nostri problemi. Ci affidiamo a te, Madonna di Pace e di Misericordia. Ci rivolgiamo al Padre per Gesù Cristo nello Spirito Santo, uniti a tutti gli angeli e ai Santi. Maria incoronata da dodici stelle che schiacci con i tuoi santissimi piedi la testa del serpente e non ci lasci cadere nella tentazione del maligno, liberaci da ogni schiavitù, confusione e insicurezza. Dacci la tua grazia e la tua luce per poter vedere nelle tenebre che ci circondano e seguire la giusta strada. Madre generosa, ti presentiamo supplichevoli la nostra richiesta d'aiuto. Ti preghiamo umilmente:
· Sciogli i nodi dei nostri disturbi fisici e delle malattie incurabili: Maria ascoltaci!
· Sciogli i nodi dei conflitti psichici dentro di noi, la nostra angoscia e paura, la non accettazione di noi stessi e della nostra realtà: Maria ascoltaci!
· Sciogli i nodi nella nostra possessione diabolica: Maria ascoltaci!
· Sciogli i nodi nelle nostre famiglie e nel rapporto con i figli: Maria ascoltaci!
· Sciogli i nodi nella sfera professionale, nell'impossibilità di trovare un lavoro dignitoso o nella schiavitù di lavorare con eccesso: Maria ascoltaci!
· Sciogli i nodi dentro la nostra comunità parrocchiale e nella nostra Chiesa che è una, santa, cattolica, apostolica: Maria ascoltaci!
· Sciogli i nodi fra le varie Chiese cristiane e confessioni religiose e dacci l'unità nel rispetto delle diversità: Maria ascoltaci!
· Sciogli i nodi nella vita sociale e politica del nostro Paese: Maria ascoltaci!
· Sciogli tutti i nodi del nostro cuore per poter essere liberi di amare con generosità: Maria ascoltaci!
Maria che sciogli i nodi, prega per noi tuo Figlio Gesù Cristo nostro Signore. Amen.
Dopo la Preghiera a "Maria che scioglie i nodi" potete recitare questa Supplica:

SUPPLICA A MARIA CHE SCIOGLIE I NODI:

O Vergine Immacolata, Vergine Benedetta, Tu sei la dispensatrice universale di tutte le Grazie di Dio. Sei la speranza di ogni uomo e la mia speranza. Ringrazio sempre ed in ogni momento il mio amato Signore Gesù che mi ha permesso di conoscerti, e mi ha fatto capire come posso ricevere le Grazie Divine ed essere salvato. Questo modo sei Tu stessa, Augusta Madre di Dio, perché so, grazie principalmente ai Meriti di Gesù Cristo, e poi alla Tua intercessione che io posso raggiungere la Salvezza Eterna. O mia Signora che sei stata così sollecita nel visitare Elisabetta, per santificarla, Ti prego, affrettati a venire a visitare la mia anima. Meglio di me, Tu sai quanto sia misera e quanti mali l'affliggono: affezioni sregolate, cattive abitudini, peccati commessi e tante gravi malattie che possono solo portarla alla morte eterna. Solo da Te dipende guarire la mia anima da tutte le sue infermità e sciogliere tutti i "nodi" che l’affliggono. Prega per me, o Vergine Maria, e raccomandami al Tuo Divin Figlio. Meglio di me Tu conosci le mie miserie e i miei bisogni. O Madre mia e dolce Regina prega per me il Tuo Figlio Divino e ottienimi di ricevere le Grazie che mi sono più necessarie ed essenziali per la mia Salvezza Eterna. Io mi abbandono completamente a Te. Le Tue preghiere non sono mai state respinte da Lui: sono le preghiere di una Madre al suo Figlio; e questo Figlio Ti ama così tanto, che Egli fa tutto ciò che Tu desideri al fine di aumentare la Tua Gloria e di testimoniare il grande amore che Egli prova per Te.
O Maria, esaudisci le mie preghiere.

PREGHIERA DI SAN BERNARDO

Ricordati, o dolcissima Vergine Maria, che non abbiamo mai sentito dire che nessuno di quelli che hanno chiesto la tua protezione, implorato il tuo soccorso e chiesto la tua intercessione siano stati da Te abbandonati. Animato da una tale fiducia, o Vergine tra le Vergini, o Madre mia, vengo da Te, e mentre soffro sotto il peso dei miei peccati, mi prostro ai tuoi piedi. O Madre del Verbo, non rifiutare le mie preghiere, ma ascoltale favorevolmente ed esaudiscile. Amen. (San Bernardo)
Programma Liturgico image
Adorazione Eucaristica;
Celebrazione della Santa Messa quotidiana
Preghiere di Liberazione e guarigione;
Messe di Liberazione e guarigione
Esorcismi Solenni, privati e pubblici, su persone possedute, vessate e colpite dal maligno anche a domicilio;
Matrimoni, Battesimi e Funerali
Santo Rosario Meditato
Novene/Tridui/Processioni
Via Crucis tutti i venerdì di Quaresima
Confessione Sacramentale
Ordinazioni Diaconali, Presbiterali ed Episcopali

 "Cuore Immacolato di Maria, intercedi per noi presso l'Altissimo Dio"
"San Michele Arcangelo, prega per noi peccatori. Amen"
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Ama il prossimo tuo come te stesso - ONLUS
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